Prefazione 1964 al Sentiero dei nidi di ragno Questo romanzo e il primo che ho scritto; quasi posso dire la prima cosa che ho scritto, se si eccettuano pochi raccon-ti. Che impressione mi fa, a riprenderlo in mano adesso? Piü che come un'opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale d'un'epoca, da una ten-sione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva, dopo la fine della Se-conda Guerra Mondiale. L'esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, prima che un fatto d'arte, un fatto fisiologico, esistenziale, col-lettivo. Avevamo vissuto la guerra, e noi piü giovani - che avevamo fatto appena in tempo a fare il partigiano - non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, «bruciati», ma vincito-ri> spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d'una sua ereditä. Non era fecile ottimismo, perö, o gratuita euforia; tutt'altro: quello di cui ci sentivamo depositari era un senso della vita come qualcosa che puö ricominciare da zero, un rovello pro-blematico generale, anche una nostra capacitä di vivere lo strazio e lo sbaraglio; ma l'accento che vi mettevamo era quello d'una spavalda allegria. Molte cose nacquero da quel clima, e anche il piglio dei miei primi racconti e del Primo romanzo. Questo ci tocca oggi, soprattutto: la voce anonima del-i'epoca, piü forte delle nostre inflessioni individuali anco-ra incerte. L'essere usciti da un'esperienza - guerra, guer-ra civile - che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva uu'immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo Pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva Usentiero dei nidi di ragno vissuto vite irregolari drammatiche avventurose c' 1 strappava la parola di bocca. La rinata liberta di paŕlare /' per la gente al principio smania di raccontare: nei treti ehe riprendevano a funzionare, gremiti di persone e pac' chi di farina e bidoni ďolio, ogni passeggero raccontava agh sconosciuti le vicissitudini ehe gli erano occorse, e cosi ogni avventore ai tavoli delle « mense del popoloJ, ogni donna nelle code ai negozi; il grigiore delle vite quotidiane sembrava cosa ďaltre epoche; ci muovevamo in un multi-colore universo di storie. Chi cominciô a scrivere allora si trovô cosi a trattare la medesima matéria delľanonimo narratore orale: alle storie che avevamo vissuto di persona o di cui eravamo stati spettatori s'aggiungevano quelle che ci erano arrivate gia come racconti, con una voce, una cadenza, un'espressione mimica. Durante la guerra partigiana le storie appena vis-sute si trasformavano e trasfiguravano in storie raccontate la notte attorno al fuoco, acquistavano gia uno stile, un linguaggio, un úmore come di bravata, una ricerca ďeffet-ti angosciosi o truculenti. Alcuni miei racconti, alcune pa-gine di questo romanzo hanno alľorigine questa tradizio-ne orale appena nata, nei íatti, nel linguaggio. Eppure, eppure, il segreto di come si scriveva allora non era soltanto in questa elementare universalita dei con-tenuti, non era 11 la molia (forse ľaver cominciato questa prefazione rievocando uno stato ďanimo collettivo, mi a dimenticare che sto parlando di un libro, roba scritta, ri-ghe di parole sulla pagina bianca); al contrario, mai f u tar^ to chiaro che le storie che si raccontavano erano mater grezzo: la carica esplosiva di liberta che animava il giova ne scrittore non era tanto nella sua volonta di docurnen re o informare, quanto in quella di esprimere. Esprir"^ che cosa? Noi stessi, il sapore aspro della vita che ave mo appreso allora allora, taňte cose che si credeva di s ^ re o di essere, e forse veramente in quel momento sap mo ed eravamo. Personaggi, paesaggi, spari, didasca ie litiche, voci gergali, parolacce, lirismi, armi ed amp Prefazione 1964 1187 non erano che colori della tavolozza, note del pentagram-ma sapevamo fin troppo bene che quel che contava era la musica e non il libretto, mai si videro formalisti cosl acca-niti come quei contenutisti che eravamo, mai lirici cosl ef-fusivi come quegli oggettivi che passavamo per essere. Il «neorealismo» per noi che cominciammo di 11, fu quello; e delle sue qualita e difetti questo libro costituisce un catalogo rappresentativo, nato com e da quella acerba volonta di far letteratura che era proprio della «scuola». Perche chi oggi ricorda il «neorealismo» soprattutto come una contaminazione o coartazione subita dalla letteratura da parte di ragioni extraletterarie, sposta i termini della questione: in realta gli elementi extraletterari stavano 11 tanto massicci e indiscutibili che parevano un dato di na-tura; tutto il problema ci sembrava fosse di poetica, come trasformare in opera letteraria quel mondo che era per noi il mondo. II «neorealismo» non fu una scuola. (Cerchiamo di dire le cose con esattezza). Fu un insieme di voci, in gran parte Periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Itálie, anche - o specialmente - delle Itálie fino allora piú inedi-te per la letteratura. Senza la varieta di Itálie sconosciute ' una all'altra - o che si supponevano sconosciute -, senza 'a varieta dei dialetti e dei gerghi da far lievitare e impa-stare nella lingua letteraria, non ci sarebbe stato «neorea->smo». Ma non fu paesano nel senso del verismo regiona-e ottocentesco. La caratterizzazione Iocale voleva dare sa-P°re di veritä a una rappresentazione in cui doveva rico-n°scersi tutto il vasto mondo: come la provincia america-n.a in quegli scrittori degli Anni Trenta di cui tanti critici p riInproveravano ďessere gli allievi diretti o indiretti. erciô U linguaggio, lo stile, il ritmo avevano tanta impor-tanza per noit per qUesto nostro realismo che doveva esse-|e ll Piú possibile distante dal naturalisme Ci eravamo att5» una linea, ossia una specie di triangolo: J Malavoglia, 1188 // sentiero dei nidi di regno Prefazione 1964 1189 Conversazione in Sicilia, Paesi tuoi, da cui partire, ognuno sulla base del proprio lessico locale e del proprio paesaľ gio. (Continuo a parlare al plurále, come se alludessi a un movimento organizzato e cosciente, anche ora ehe sto spiegando che era proprio il contrario. Come ě facile, par. lando di letteratura, anche nel mezzo del discorso piü se-rio, piů fondato sui fatti, passare inavvertitamente a con-tar storie... Per questo, i discorsi sulla letteratura mi dan-no sempre piu fastidio, quelli degli altri come i miei). II mio paesaggio era qualcosa di gelosamente mio (ě di qui che potrei cominciare la prefazione: riducendo al mi-nimo il cappello di « autobiografia d'una generazione lette-raria», entrando subito a parlare di quel ehe mi riguarda direttamente, forse potrö evitare la generická, l'approssi-mazione...), un paesaggio che nessuno aveva mai scritto davvero. (Tranne Montale, - sebbene egli fosse dell'altra Riviera, - Montale ehe mi pareva di poter leggere quasi sempre in chiave di memoria locale, nelle immagini e nel lessico). Io ero della Riviera di Ponente; dal paesaggio del-la mia cittä - San Remo - cancellavo polemicamente tutto il litorale turistico - lungomare con palmizi, casino, alber-ghi, ville - quasi vergognandomene; cominciavo dai vicoli della Cittä vecchia, risalivo per i torrenti, scansavo i geometria campi dei garofani, preferivo le «fasce» di vigna e d'oliveto coi vecchi muri a secco sconnessi, m'inoltravo per le mulattiere sopra i dossi gerbidi, fin su dove comin-ciano i boschi di pini, poi i castagni, e cosi ero passato d mare - sempre visto dall'alto, una striscia tra due quinte di verde - alle valli tortuose delle Prealpi liguri. Avevo un paesaggio. Ma per poterlo rappresentare °c correva che esso diventasse secondario rispetto a qua s'altro: a delle persone, a delle storie. La Resistenza rap-presentö la fusione tra paesaggio e persone. Il romanzo che altrimenti mai sarei riuscito a scrivere, ě qui- L° sce nario quotidiano di tutta la mia vita era diventato mte mente straordinario e romanzesco: una storia sola si s nava dai bui archivolti della Cittä vecchia fin su ai bosc era l'inseguirsi e il nascondersi d'uomini armati; anche le ville, riuscivo a rappresentare, ora che le avevo viste requisite e trasformate in corpi di guardia e prigioni; anche i campi di garofani, da quando erano diventati terreni alio scoperto, pericolosi ad attraversare, evocanti uno sgranare di raffiche nell'aria. Fu da questa possibilitä di situare storie umane nei paesaggi che il «neorealismo»... In questo romanzo (ě meglio che riprenda il filo; per mettersi a rifare ľapologia del «neorealismo» ě troppo presto; analizzare i motivi di distacco corrisponde di piú al nostro stato ďanimo, ancor oggi) i segni delľepoca let-teraria si confondono con quelli della giovinezza dell'auto-re. Ľesasperazione dei motivi della violenza e del sesso fi-nisce per apparire ingenua (oggi che il palato del lettore ě abituato a trangugiare cibi ben piú bollenti) e voluta (che per 1'autore questi fossero motivi esterni e provvisori, lo prova il seguito della sua opera). E altrettanto ingenua e voluta puô apparire la smania di innestare la discussione ideologica nel racconto, in un rac-conto come questo, impostato in tutťaltra chiave: di rap-presentazione immediata, oggettiva, come linguaggio e come immagini. Per soddisfare la necessitä delľinnesto ideo-logico, io ricorsi alľespediente di concentrare le riflessioni teoriche in un capitolo che si distacca dal tono degli altri, IX, quello delle riflessioni del commissario Kim, quasi Una prefazione inserita in mezzo al romanzo. Espediente che tutti i miei primissimi lettori eriticarono, consiglian-omi un taglio netto del capitolo; io, pur comprendendo clle 1 omogeneitä del libro ne soffriva (a quel tempo, 1'uni-ta stilistica era uno dei pochi eriteri estetici sicuri; ancora n°n erano tornati in onore gli accostamenti di stili e lin-^Ua8gi diversi che oggi trionfano), tenni duro: il libro era nato Cosl, con quel tanto di composito e di spurio. jj ^nche 1'altro grande terna futuro di discussione eritica, tejna lingua-dialetto, ě presente qui nella sua fase inge- 1190 U sentiero dei nidi di ragno Prejazione 1964 1191 nua: dialetto aggrumato in macchie di colore (mentre nelle narrazioni che scriverö in seguito cercherö di assorbirlo tutto nella lingua, come un plasma vitale ma nascosto); scrittura ineguale che ora quasi s'impreziosisce ora corre giü come vien viene badando solo alla resa immediata; un repertorio documentaristico (modi di dire popolari, canzo-ni) che arriva quasi al folklore... E poi (continuo l'elenco dei segni dell'etä, mia e generale; una prefazione scritta oggi ha un senso solo se é criti-ca), il modo di figurare la persona umana: tratti esasperati e grotteschi, smorfie contorte, oscuri drammi visceral-col-lettivi. L'appuntamento con l'espressionismo che la cultu-ra letteraria e figurativa italiana aveva mancato nel Primo Dopoguerra, ebbe il suo grande momento nel Secondo. Forse il vero nome per quella stagione italiana, piü che « neorealismo » dovrebbe essere « neo-espressionismo ». Le deformazioni della lente espressionistica si proietta-no in questo libro sui volti che erano stati di miei cari compagni. Mi studiavo di renderli contraffatti, irricono-scibili, «negativi», perché solo nella «negativita» trovavo un senso poetico. E nello stesso tempo provavo rimorso, verso la realta tanto piü variegata e calda e indefinibile, verso le persone vere, che conoscevo come tanto umana-mente piü rieche e migliori, un rimorso che mi sarei porta-to dietro per anni... Questo romanzo ě il primo che ho scritto. Che effetto mi fa, a rileggerlo adesso? (Ora ho trovato il punto: questo rimorso. E di qui che devo cominciare la prefazione). II disagio che per tanto tempo questo libro mi ha dato in parte si é attutito, in parte resta: ě il rapporto con qualco-sa di tanto piü grande di me, con emozioni che hanno coinvolto tutti i miei contemporanei, e tragedie, ed eroi smi, e slanci generosi e geniali, e oscuri drammi di co scienza. La Resistenza; come entra questo libro nella << et teratura della Resistenza»? Al tempo in cui l'ho scritto. creare una «letteratura delia Resistenza» era ancora un problema aperto, serivere «il romanzo della Resistenza* si poneva come un imperativo; a due mesi appena daUa Li-berazione nelle vetrine dei librai c'era giä Uomini e no di Vittorini, con dentro la nostra primordiale dialettica di morte e di felicitä; i «gap» di Miláno avevano avuto subi-to il loro romanzo, tutto rapidi scatti sulla mappa concen-trica della cittä; noi ehe eravamo stati partigiani di monta-gna avremmo voluto avere il nostro, di romanzo, con il nostro diverso ritmo, il nostro diverso andirivieni... Non ehe fossi cosi culturalmente sprovveduto da non sapere ehe ľinfluenza della storia sulla letteratura ě indi-retta, lenta e spesso contraddittoria; sapevo bene ehe tanti grandi avvenimenti storici sono passati senza ispirare nes-sun grande romanzo, e questo anche durante il «secolo del romanzo» per eccellenza; sapevo ehe il grande romanzo del Risorgimento non ě mai stato scritto... Sapevamo tutto, non eravamo ingenui a tal punto: ma credo ehe ogni volta ehe si ě stati testimoni o attori ďun'epoca storica ci S1 Sente preši da una responsabilitä speciále... A me, questa responsabilitä finiva per farmi sentire il *ema come troppo impegnativo e solenne per le mie forze. E allora, dal proprio per non lasciarmi mettere in soggezione tema, decisi che l'avrei affrontato non di petto ma di Scorci0. Tutto doveva essere visto dagli occhi d'un bambi-"°> in un ambiente di monelli e vagabondi. Inventai una 0ria che restasse in margine alla guerra partigiana, ai 01 eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse 0 °re, Paspro sapore, il ritmo... de?Üesto r°manzo ě il primo che ho scritto. Come posso ■Jtfnri« 0ra' 3 "esaminarlo tant' anr" C'0P0') (Devo rico-ta f'are ^a caPo. M'ero cacciato in una direzione sbaglia-ün' ln'V° per dimostrare che questo libro era nato da trat.aStuz'a per sfuggire all'impegno; mentre invece, al con-•••). Posso definirlo un esempio di «letteratura impe- 1192 // sentiero det nidi di ragno Prejazione 1964 1193 gnata» nel senso piú ricco e pieno delia parola. Oggi, j-genere, quando si parla di «letteratura impegnata» cí se ne řa unidea sbagliata, come ďuna letteratura che serve da illustrazione a una tesi giä definita a priori, indipen-dentemente dalľespressione poetka. Invece, quello che si chiamava 1'« engagement», ľimpegno, puó saltar fuori a tutti i livelli; qui vuole innanzitutto essere immagini e parola, scatto, piglio, stile, sprezzatura, sřida. Giä nella scelta del terna c'ě un'ostentazione di spaval-deria quasi provocatoria. Contro chi? Direi che volevo combattere contemporaneamente su due fronti, lanciare una sfida ai detrattori delia Resistenza e nello stesso tempo ai sacerdoti ďuna Resistenza agiografica ed edulcorata. Primo fronte: a poco piú ďun anno dalla Liberazione gia la «rispettabilitä ben pensante» era in piena riscossa, e approíittava d'ogni aspetto contingente di quelľepoca -gli sbandamenti della gioventú postbellica, la recrudescen-za della delinquenza, la difficoltä di stabilire una nuova legalita - per esclamare: «Ecco, noi 1'avevamo sempře detto, questi partigiani, tutti cosi, non ci vengano a parlare di Resistenza, sappiamo bene che razza d'ideali...». Fu in questo clima che io scrissi il mio libro, con cui intendevo paradossalmente rispondere ai ben pensanti: «D'accordo, faro come se aveste ragione voi, non rappresentero i mi-gliori partigiani, ma i peggiori possibili, metteró al centro del mio romanzo un reparto tutto composto di tipi un po storti. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si ě gettato nella lotta senza un chiaro perché, ha agito un'elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi cento mila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potřete mai sognarvi di esse re!». II senso di questa polemica, di questa sfida e orrna1 lontano: e anche allora, devo dire, il libro fu letto semp cemente come romanzo, e non come elemento di °1S(;U^ sione su di un giudizio storico. Eppure, se ancora sente frizzare quel tanto ďaria provocatoria, proviene la polemica ď allora. Dalla doppia polemica. Per quanto, anche la battaglia j secondo fronte, quelJo interno alia «cultura di sinistra*, ora pare lontana. Cominciava appena allora il tentative d'una «direzione politica» dell'attivita letteraria: si chiedeva alio scrittore di creare l'«eroe positivo», di dare immagini normative, pedagogiche di condotta sociale, di milizia rivoluzionaria. Cominciava appena, ho detto: e devo aggiungere che neppure in seguito, qui in Italia, simili pressioni ebbero molto peso e molto seguito. Eppure, il pericolo che alia nuova letteratura fosse assegnata una funzione celebrativa e didascalica, era nell'aria: quando scrissi questo libro l'avevo appena avvertito, e gia stavo a pelo ritto, a unghie sfoderate contro l'incombere d'una nuova retorica. (Avevamo ancora intatta la nostra carica d'anticonformismo, allora: dote difficile da conservare, ma che - se pur conobbe qualche parziale eclisse - ancora ci sorregge, in quest'epoca tanto piu facile, non meno pe-ricolosa...). La mia reazione d'allora potrebbe essere enun-ciata cosi: «Ah, si, volete "l'eroe socialista"? Volete il "romanticismo rivoluzionario"? E io vi scrivo una storia di partigiani in cui nessuno e eroe, nessuno ha coscienza di classe. II mondo delle "lingere", vi rappresento, il lun-Penproletariat! (Concetto nuovo, per me allora; e mi pare-Va una gran scoperta. Non sapevo che era stato e avrebbe c°ntinuato a essere il terreno piu facile per la narrativa). E sara l'opera piu positiva, piu rivoluzionaria di tutte! Lne ce ne importa di chi e gia un eroe, di chi la coscienza ce I'ha gia? E il processo per arrivarci che si deve rappre-sentare! Finche restera un solo individuo al di qua della ^cienza, il nostro dovere sara di occuparci di lui e solo dl lui!». Cosi ragionavo, e con questa furia polemica mi buttavo * Sc"vere e scomponevo i tratti del viso e del carattere di ^ rsone che avevo tenuto per carissimi compagni, con cui r]Ve^° per mesi e mesi spartito la gavetta di castagne e il ^io della morte, per la cui sorte avevo trepidato, di cui ev° ammirato la noncuranza nel tagliarsi i ponti dietro 1194 U sentiero dei nidi di ragno le spalle, il modo di vivere sciolto da egoismi, e ne facevo maschere contratte da perpetue smorfie, macchiette grot-tesche, addensavo torbidi chiaroscuri - quelli ehe nella mia giovanile ingenuitä immaginavo potessero essere torbidi chiaroscuri - sulle loro storie... Per poi provarne un rimorso ehe mi tenne dietro per anni... Devo ancora ricominciare da capo la prefazione. Non ci siamo. Da quel che ho detto, parrebbe che scrivendo que-sto libro avessi tutto ben chiaro in testa: i motivi di pole-mica, gli avversari da battere, la poetica da sostenere... Invece, se tutto questo e'era, era ancora in uno stadio confuso e senza contorni. In realtä il libro veniva fuori come per caso, m'ero messo a scrivere senza avere in mente una trama precisa, partii da quel personaggio di monello, cioě da un elemento d'osservazione diretta della realtä, un modo di muoversi, di parlare, di tenere un rapporto con i grandi, e, per dargli un sostegno romanzesco, inven-tai la storia della sorella, della pistola rubata al tedesco; poi l'arrivo tra i partigiani si rivelo un trapasso difficile," salto dal racconto picaresco all'epopea collettiva minaccia-va di mandare tutto all'aria, dovevo avere un'invenzione che mi permettesse di continuare a tenere la storia tutta sul medesimo gradino, e inventai il distaccamento Dritte Era il racconto che - come sempre succede - imp0 soluzioni quasi obbligatorie. Ma in questo schema, 1"^va. sto disegno che si veniva formando quasi da solo, 10 J^.- e savo la mia esperienza ancora fresca, una folia di volti (deformavo i volti, straziavo le persone come ^ fa chi scrive, per cui la realtä diventa creta, strum ^ sa che solo cosi puö scrivere, eppure ne prova ri . un fiume di discussioni e di letture che a quell espe s'intrecciavano. universi Le letture e l'esperienza di vita non sono due ^ ma uno. Ogni esperienza di vita per essere interp Prefazione 1964 1195 chiama certe letture e si fonde con esse. Che i libri nasca-no sempre da altri libri ě una veritä solo apparentemente in contraddizione con l'altra: che i libri nascano dalJa vita pratica e dai rapporti tra gli uomini. Appena finito di fare il partigiano trovammo (prima in pezzi sparsi su riviste, poi tutto intero) un romanzo sulla guerra di Spagna che Hemingway aveva scritto sei o sette anni prima: Per chi suona la campana. Fu il primo libro in cui ci riconoscem-mo; fu di Ii che cominciammo a trasformare in motivi nar-rativi e frasi quello che avevamo visto sentito e vissuto, il distaccamento di Pablo e di Pilar era il «nostro» distaccamento. (Ora magari quello ě il libro di Hemingway che ci piace di meno; anzi, giä a quei tempi, fu scoprendo in altri libri dello scrittore americano - particolarmente nei suoi primi racconti - la vera sua lezione di stile, che Hemingway divenne il nostro autore). La letteratura che ci interessava era quella che portava questo senso d'umanitä ribollente e di spietatezza e di natura: anche i russi del tempo della Guerra civile - cioě di pnma che la letteratura sovietica diventasse castigata e °eografica - li sentivamo come nostri contemporanei. So-Pfattutto Babel, del quale conoscevamo L'armata a caval-°> tradotto in Italia giä prima della guerra, uno dei libri tra l^ar' rea^smo nostro secolo, nato dal rapporto mtellettuale e la violenza rivoluzionaria. Vei^a anche - su un livello minore - Fadeev (prima di di-]e) -ffe un h-mzionario della letteratura sovietica ufficia-la '• SU? Pr'mo libro, La disfatta, l'aveva scritto con quel-Slnceritä e quel vigore (non ricordo se l'avessi giä letto ^ando scrissi il mio libro, e non vado a verificare, non ě sj cne importa, da situazioni simili nascono libri ehe sepp^1^'!300' c°me struttura e come spirito); Fadeev ehe ijj. lnire bene come aveva cominciato, perché fu il solo n° in°fre stann'ano> nel '56, a dimostrare ďaver capito fi-tr3ge ,.on. ° la tragédia di cui era stato corresponsabile (la lužj0 la in cui Babel e tanti altri serittori veri della Rivo-e avevano perso la vita), e a non tentare ipocrite re- 1196 U sentiero dei nidi di ragtjo Prefazione 1964 1197 criminazioni ma a trarne la conseguenza piú severa- , colpo di pistola in fronte. «vera. un Questa letteratura c e dietro al Sentiero dei nidi di ratno Ma in gioventu ogni libro nuovo che si legge ě come un nuovo occhio che si apre e modifica la vista degli altri oc chi o hbri-occhi che si avevano prima, e nella nuova idea di letteratura che smaniavo di fare rivivevano tutti gli uni-versi letterari che m'avevano incantato dal tempo dell'in-fanzia in poi... Cosicché, mettendomi a scrivere qualcosa come Per chi suona la campana di Hemingway volevo insie-me scrivere qualcosa come L'isola del tesoro di Stevenson. Chi lo capi subito fu Césare Pavese, che indovinö dal Sentiero tutte le mie predilezioni letterarie. Nominö anche Nievo, a cui avevo voluto dedicare un segreto omaggio ri-calcando l'incontro di Pin con Cugino sull'incontro di Carlino con lo Spaccafumo nelle Confessioni d'un Italiano. Fu Pavese il primo a parlare di tono fiabesco a mio pro-posito, e io, che fino ad allora non me n'ero reso conto, da quel momento in poi lo seppi fin troppo, e cercai di con-fermare la definizione. La mia storia cominciava a esser segnata, e ora mi pare tutta contenuta in quell'inizio. Forse, in fondo, il primo libro ě il solo che conta, tors^ bisognerebbe scrivere quello e bašta, il grande strapi» däi solo in quel momento, l'occasione di esprimerti si p senta solo una volta, il nodo che porti dentro o lo ^ quella volta o mai piů. Forse la poesia ě possibiie g momento della vita che per i piů coincide con un giovinezza. Passato quel momento, w"1-"1"'------ . auant an no (e non lo saprai se non dopo cento, ^nt^!"?dici), * ni; i contemporanei non possono essere °uonlf^re j] verso Ii in poi i giochi son fatti, non tornerai che a ^ ^ agli altri o a te stesso, non riuscirai piů a dir vera, insostituibile... Interrompo. Ogni discorso basato su una pura ragione letteraria, se e veritiero, finisce in questo scacco, in que-sto fallimento che e sempre lo scrivere. Per fortuna scrivere non e solo un fatto letterario, ma anche altro. Ancora una volta, sento il bisogno di correggere la piega presa dal-la prefazione. Questo altro, nelle mie preoccupazioni d'allora, era una definizione di cos'era stata la guerra partigiana. Con un mio amico e coetaneo, che ora fa il medico, e allora era studente come me, passavamo le sere a discutere. Per en-trambi la Resistenza era stata l'esperienza fondamentale; per Iui in maniera molto piu impegnativa perche s'era tro-vato ad assumere responsabilita serie, e a poco piu di ven-t'anni era stato commissario d'una divisione partigiana, quella di cui io pure avevo fatto parte come semplice gari-baldino. Ci pareva, allora, a pochi mesi dalla Liberazione, che tutti parlassero della Resistenza in modo sbagliato, che una retorica che s'andava creando ne nascondesse la vera essenza, il suo carattere primario. Mi sarebbe difficile ora ricostruire quelle discussioni; ricordo solo la conti-nua nostra polemica contro tutte le immagini mitizzate, la nostra riduzione della coscienza partigiana a un quid ele-mentare, quello che avevamo conosciuto nei piu semplici e' nostri compagni, e che diventava la chiave della storia Presente e futura. II mio amico era un argomentatore analitico, freddo, Sarcastico verso ogni cosa che non fosse un fatto; 1'unico Personaggio intellettuale di questo libro, il commissario .lrn> voleva essere un suo ritratto; e qualcosa delle nostre che tu ti sia espress0 o 'scussioni d'allora, nella problematica del perché combat- ^vano quegli uomini senza divisa né bandiera, dev'essere dlniasta nelle mie pagine, nei dialoghi di Kim col coman-ante di brigata e nei suoi soliloqui. d. L er>troterra del libro erano queste discussioni, e piú in-etro ancora, tutte le mie riflessioni sulla violenza, da p^do rrTero trovato a prendere le armi. Ero stato, prima ar>dare coi partigiani, un giovane borghese sempře vissu- 1198 // sentiero dei nidi di ragno Prefazione 1964 1199 to in famiglia; il mio tranquillo antifascismo era prima di tutto opposizione al culto delia forza guerresca, u stione di stile, di «sense of humour », e tutt'a un tratto la coerenza con le mie opinioni mi portava in mezzo alia vi<ü lenza partigiana, a misurarmi su quel metro. Fu un trauma, il primo... E contemporaneamente, le riflessioni sul giudizio morale verso le persone e sul senso storico delle azioni di cia-scuno di noi. Per molti dei miei coetanei, era stato solo il caso a decidere da che parte dovessero combattere; per molti le parti tutt'a un tratto si invertivano, da repubbli-chini diventavano partigiani o viceversa; da una parte o dalľaltra sparavano o si facevano sparare; solo la morte dava alle loro scelte un segno irrevocabile. (Fu Pavese che riusci a scrivere: «Ogni caduto somiglia a chi resta, e glie-ne chiede ragione », nelle ultime pagine della Casa in colli-na, strette tra il rimorso di non aver combattuto e lo sfor-zo d'essere sincero sulle ragioni del suo rifiuto). Ecco: ho trovato come devo impostare la preřazione. Per mesi, dopo la fine della guerra, avevo provato a rac-contare 1'esperienza partigiana in prima persona, o con un protagonista simile a me. Scrissi qualche racconto c e pubblicai, altri ehe buttai nel češtino; mi muovevo a disa-gio; non riuscivo mai a smorzare del tutto le vl^raz|°^ sentimentali e moralistiche; veniva řuori sempře ^m stonatura; la mia storia personále mi pareva umile, rn^ schina; ero pieno di complessi, ďinibizioni di fronte a to quel ehe piú mi stava a cuore. ntravo Quando cominciai a scrivere storie in cui non e ^ io, tutto prese a funzionare: il linguaggio, il ritmo, i erano esatti, funzionali; piú lo facevo oggettivo, ano^ ^ piú il racconto mi dava soddisfazione; e non solo a anche quando lo facevo leggere alla gente del mesti ^ ero andato conoscendo in quei primi templ PoS~jn0j -Vittorini e Ferrata a Miláno, Natália e Pavese a non mi facevano piü osservazioni. Cominciai a capire che un racconto, quanto piü era oggettivo e anonimo, tanto piü era mio. Ii dono di scrivere «oggettivo» mi pareva allora la cosa piü naturale del mondo; non avrei mai immaginato che cosi presto 1'avrei perduto. Ogni storia si muoveva con per-fetta sicurezza in un mondo che conoscevo cosi bene: era questa la mia esperienza, la mia esperienza moltiplicata per le esperienze degli altri. E il senso storico, la morale, il sentimento, erano presenti proprio perche Ii lasciavo im-pliciti, nascosti. Quando cominciai a sviluppare un racconto sul perso-naggio d'un ragazzetto partigiano che avevo conosciuto nelle bände, non pensavo che m'avrebbe preso piü spazio degli altri. Perche si trasformö in un romanzo? Perche -compresi poi - l'identificazione tra me e il protagonista era diventata qualcosa di piü complesso. Ii rapporto tra il personaggio del bambino Pin e la guerra partigiana corri-spondeva simbolicamente al rapporto che con la guerra partigiana m'ero trovato ad avere io. L'inferioritä di Pin come bambino di fronte all'incomprensibile mondo dei grandi corrisponde a quella che nella stessa situazione pro-vavo io, come borghese. E la spregiudicatezza di Pin, per V1a della tanto vantata sua provenienza dal mondo della raalavita, che lo fa sentire complice e quasi superiore ver-*° ogni «fuori-legge », corrisponde al modo «intellettuale» essere all'altezza della situazione, di non meravigliarsi mai, di difendersi dalle emozioni... Cosi, data questa chia-. 01 trasposizioni - ma fu solo una chiave a posteriori, Sla °en chiaro, che mi servl in seguito a spiegarmi cos'ave-scritto - la storia in cui il mio punto di vista personale °andito ritornava ad essere la mia storia... a lua mia storia era quella dell'adolescenza durata troppo a^ng0' per il giovane che aveva preso la guerra come un ' nel senso proprio e in quello traslato. Nel giro di po- 1200 Usentiero dei nidi di ragno chi anni, ďimprovviso Valibi era diventato un qui e ora Troppo presto, per me; o troppo tardi: i sogni sognati troppo a lungo, 10 ero impreparato a viverli. Prima, il ca-povolgersi della guerra estranea, il trasformarsi in eroi e in capi degli oscuri e refrattari di ieri. Ora, nella pace, il fer-vore delle nuove energie ehe animava tutte le reíazioni, che invadeva tutti gli strumenti della vita pubblica, ed ec-co anche il lontano castello della letteratura s'apriva come un porto vicino e amico, pronto ad accogliere il giovane provinciale con fanfare e bandiere. E una carica amorosa elettrizzava ľ aria, illuminava gli occhi delle ragazze che la guerra e la pace ci avevano restituito e fatto piú vicine, di-venute ora davvero coetanee e compagne, in un'intesa che era il nuovo regalo di quei primi mesi di pace, a riempire di dialoghi e di risa le calde sere dell'Italia resuscitata. Di fronte a ogni possibilitä che s'apriva, io non riuscivo a essere quello che avevo sognato prima dell'ora della prova: ero stato l'ultimo dei partigiani; ero un innamorato in-certo e insoddisfatto e inabile; la letteratura non mi s apri-va come un disinvolto e distaccato magistero ma come una strada in cui non sapevo da che parte cominciare. Carico di volontä e tensione giovanili, m'era negata la spontanea grazia della giovinezza. II maturare impetuoso dei tempi non aveva fatto che accentuare la mia immatunta. II protagonista simbolico del mio libro fu un'immagine di regressione: un bambino. Alio sguar fantile e geloso di Pin, armi e donne ritornavano lontanmia incomprensibili; quel che la mia filosofia esaltava'ecäcesS0 poetica trasfigurava in apparizioni nemiche, il mio ec d'amore tingeva di disperazione infernale. ^ jn Scrivendo, il mio bisogno stilistico era tenermi p_ ^. basso dei fatti, l'italiano che mi piaceva era quello ^ «non parla l'italiano in casa», cercavo di scrivere avrebbe scritto un ipotetico me stesso autodidatta. ^ ^ U sentiero dei nidi di ragno ě nato da questo se"^° .Q> per latenenza assoluta, per meta patita fino alio stra ^ metä supposta e ostentata. Se un valore oggi MCO Prefazione 1964 1201 questo libro ě 11: l'immagine ďuna forza vitale ancora oscura in cui si saldano l'indigenza del «troppo giovane» e ľindigenza degli esclusi e dei reietti. Se dico che allora facevamo letteratura del nostro stato di poverta, non parlo tanto d'una programmaticita ideoJo-gica, quanto di qualcosa di piu profondo che era in ciascu-no di noi. Oggi che scrivere e una professione regolare, che il ro-manzo e un «prodotto», con un suo «mercato», una sua «domanda» e una sua «offerta», con le sue campagne di lancio, i suoi successi e i suoi tran-tran, ora che i romanzi italiani sono tutti «di un buon livello medio» e fanno parte della quantita di beni superflui di una societa troppo presto soddisfatta, e difficile richiamarci alia mente lo spi-r'to con cui tentavamo di cominciare una narrativa che aveva ancora da costruirsi tutto con le proprie mani. Continuo a usare il plurale, ma vi ho gia spiegato che Pado di qualcosa di sparso, di non concordato, che usciva da angoli di provincia diversi, senza ragioni esplicite in co-mur»e che non fossero parziali e provvisorie. Fu piu che al-tro - diciamo - una potenzialita diffusa nell'aria. E presto sPenta. Gia negli Anni Cinquanta il quadro era cambiato, a co-^nciare dai maestri: Pavese morto, Vittorini chiuso in un enzio d'opposizione, Moravia che in un contesto diver-s° veniva acquistando un altro significato (non piu esi-jj^'ale ma naturalistico) e il romanzo italiano prendeva njSUo corso elegiaco-moderato-sociologico in cui tutti fi-mrno per scavarci una nicchia piu o meno comoda (o per rOV{ to *'nse w3re 'e nostre scappatoie). a ci fu chi continuô sulla via di quella prima fram-taria epopea: in genere furono i piu isolati, i meno djnser'ti» a conservare questa forza. E fu il piu solitario gnaUtti che riusci a fare iJ romanzo che tutti avevamo so-t0> quando nessuno piu se I'aspettava, Beppe Fenoglio, 1202 II sentiero dei nidi di ragno Prefazione 1964 1203 e arrivó a scriverlo e nemmeno finirlo (U* , Jna questione t>ri vata), e mor\ prima di vederlo pubblicato, nel pieno T quarant anni. II libro che la nostra generazione voleva f ' re, adesso c'e, e il nostro lavoro ha pieno dei un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione é compiuta, solo ora siamo certi che ě veramente esistita: la stagione che va dal Sentiero dei nidi di ragno a Una questione privata. Una questione privata (che ora si legge nel volume postu-mo di Fenoglio Un giomo di fuoco) é costruito con la geometr ica tensione d'un romanzo di follia amorosa e cavalle-reschi inseguimenti come V Orlando furioso, e nello stesso tempo e'e la Resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto piü forti quanto piü impliciti, e la commo-zione, e la furia. Ed ě un libro di paesaggi, ed ě un libro di figure rapide e tutte vive, ed ě un libro di parole precise e vere. Ed ě un libro assurdo, misterioso, in cui ciö che si insegue, si insegue per inseguire altro, e quest'altro per inseguire altro ancora e non si arriva al vero perché. Ě al libro di Fenoglio che volevo fare la prefazione: non al mio. Questo romanzo ě il primo che ho scritto, ^ASi^^b che ho scritto. Cosa ne posso dire, oggi- ma cosa questo: il primo libro sarebbe meglio non averlo m* scritto. j jja li- Finché il primo libro non ě scritto, si possiede qu ^ bertä di cominciare che si pub usare una sola vo ^. vita, il primo libro giä ti definisce mentre tu in p0i ancora lontano dall'esser definito; e questa dejm^rne c0n-dovrai portartela dietro per la vita, cercando di a ^ ^ ferma o approfondimento o correzione o smenti » piü riuscendo a prescinderne. . jar0no i E ancora: per coloro che da giovani cornin scrivere dopo un'esperienza di quelle con «tante cose da raecontare» (la guerra, in questo e in molti altri casi), il primo libro diventa subito un diaframma tra te e l'espe-rienza, taglia i fili che ti legano ai fatti, brucia il tesoro di memoria - quello che sarebbe diventato un tesoro se aves-si avuto la pazienza di custodirlo, se non avessi avuto tan-ta fretta di spenderlo, di scialacquarlo, d'imporre una ge-rarchia arbitraria tra le immagini che avevi immagazzina-to, di separare le privilegiate, presunte depositarie d'una emozione poetica, dalle altre, quelle che sembravano ri-guardarti troppo o troppo poco per poterle rappresentare, insomma d'istituire di prepotenza un'altra memoria, una memoria trasfigurata al posto della memoria globale coi suoi confini sfumati, con la sua infinita possibilita di recu-peri... Di questa violenza che le hai fatto scrivendo, la memoria non si riavrä piü: le immagini privilegiate reste-ranno bruciate dalla precoce promozione a motivi lettera-fi> mentre le immagini che hai voluto tenere in serbo, ma-gan con la segreta intenzione di servirtene in opere futu-re, deperiranno, perche tagliate fuori dall'integritä naturale della memoria fluida e vivente. La proiezione letteraria dove tutto e solido e fissato una volta per tutte, ha ormai occupato il campo, ha fatto sbiadire, ha schiacciato la ve-Setazione dei ricordi in cui la vita dell'albero e quella dei 10 d'erba si condizionano a vicenda. La memoria - o me-810 l'esperienza, che e la memoria piü la ferita che ti ha *Sciato, piü il cambiamento che ha portato in te e che ti 1 fatto diverso -, l'esperienza primo nutrimento anche dell dell to { °pera letteraria (ma non solo di quella), ricchezza vera 0 scrittore (ma non solo di lui), eeco che appena ha da- [orrna a un'opera letteraria insecchisce, si distrugge. Lo Scrtttore si ritrova ad essere il piü pověro degli uomini. s mi guardo indietro, a quella stagione che mi si pre-.nt0 gremita d'immagini e di significati: la guerra parti-laan.a' ' mesi che hanno contato per anni e da cui per tutta Vlta si dovrebbe poter continuare a tirar fuori volti e ^onimenti e paesaggi e pensieri ed episodi e parole e 1204 // sentiero dei nidi di ragno commozioni: e tutto e lontano e nebbioso, e le pagine scritte sono Ii nella loro sfacciata sicurezza che so bene in-gannevole, le pagine scritte giä in polemica con una memoria che era ancora un fatto presente, massiccio, che pa-reva stabile, dato una volta per tutte, Yesperienza, - e non mi servono, avrei bisogno di tutto il resto, proprio di quello che \\ non c'e. Un libro scritto non mi consolera mai di ciö che ho distrutto scrivendolo: quell'esperienza che custodita per gli anni della vita mi sarebbe forse servi-ta a scrivere l'ultimo libro, e non mi e bastata che a scri-vere il primo. Giugno 1964 IC. Nota introduttiva 1954 al Sentiero dei nidi di ragno Italo Calvino, ligure, nato nei 1923, ha iniziato la sua atti-vitä letteraria dopo la Liberazione, con racconti sulla guer-ra partigiana che apparvero su giornali e riviste. Questo suo primo breve romanzo, 7/ sentiero dei nidi di ragno, e stato scritto nei 1946, in poco piü d'un mese, e pubblicato nei 1947. A tenerlo a battesimo fu Cesare Pavese, che in una presentazione editoriale dei libro scriveva: «Stimolato da una materia spessa e opaca, caotica e tra-gica, passionale e totale, - la guerra civile, la vita partigiana, da lui vissuta sulla soglia dell'adolescenza, - Italo Calvino ha risolto il problema di trasfigurarla e farne raeconto colandola in una forma fiabesca e avventurosa, di quell'av-venturoso che si da come esperienza fantastica di tutti i ra-gazzi. II suo protagonista, il bimbo Pin, passa attraverso le miserie, gli eroismi e gli orrori di quella vita, col perenne distaeco, il perenne sarcasmo dei vero ragazzo, dell'inno-cente che non sa di esserlo e a chi glielo rivelasse risponde-rebbe con un'insolenza o un gestaccio. «Questo Pin e una tale figura che non riesce facile tro-vare l'eguale nella nostra narrativa. Forse soltanto il Carli-dei Nievo gli somiglia e lo vale. I suoi compagni sono altrove, sono Jim Hawkins delVIsola dei tesoro o il Nick di certi racconti di Hemingway. Ma c'e in Pin, nei suoi rac-c°nti angosciosi, divertiti e cattivi, una pena, un'ombra di tristezza, un'inconscia nostalgia di candore e di bontä, che n°n sempre ritroviamo, cos! acuta e commovente, in quel-le altre figure». Sempre Pavese (in un articolo ora ripubblicato in La let-terQtura americana e altri saggi) cosl definiva il segreto dei r°nianzo: «L'astuzia di Calvino, seoiattolo della penna, e 1206 U sentiero dei nididi ragno Nota 1954 1207 stata questa, d'arrampicarsi suUe piante, piü per gioco * per paura, e osservare la vita partigiana come una bosco, clamorosa, variopinta, "diversa" » 1 II libro dello scrittore esordiente riscosse consensi tra i cntia sta giovani che anziani (De Robertis, rintuzzano una puntata polemic, di Pavese che aveva contrapposto 1 poetica tutta fatti del Sentiere a quella della generazione dei «prosaton ď arte» e «frammentisti», scrisse che «an-che Calvino, si sente, ě stato a scuola di quei classic!» mentre Pancrazi, in una lettera a Calamandrei, pubblicatá di recente, scrisse che il libro «avrebbe vena e poesia, ma é anebe pieno di volute sudicerie; questi giovani e anche poetici scrittori, che poi hanno il gusto di insudiciare ogni cosa!»); ed ebbe un largo successo di pubblico, esaurendo in breve volger di tempo due edizioni. Ma ľ autore, non riconoscendosi piú in quella esaspera-zione di linguaggio e d'immagini, in quelľossessione della violenza e del sesso, - atteggiamenti letterari del dopo-guerra, presto diventati di maniera, - si disamorö del libro e ne fece rimandare d'anno in anno la terza edizione. Lo sentiva troppo legato alia data in cui era stato seritto, nello stile, nelľapprossimativa teorizzazione politico-sociale ehe si mescolava alia narrazione e pure nella spavalderia di porre al centro del racconto - quasi per paradossale sú a ai detrattori della Resistenza - non i migliori ma i peggi°rl partigiani possibili «il reparto piú scalcinato della briga^ ta», i declassati del lunpenproletariat, e rappresentare esaltare ľelementare spinta di riscatto umano °Perante^é che in chi s'era gettato nella lotta senza un chiaro pere ^ La scelta di quei personaggi e di quella problematica ^ ispirata non solo a esempi recenti come Hemingw ^ pure alia vecehia predilezione romantica per i vaga ^ i reietti d'ogni specie, che ebbe il suo ultimo manití, presentante in Gorkij, e a quell'acerbo sapore dl ^. ^ ribollente e di natura che troviamo pure in alcun ^ mi romanzi sovietici della guerra civile (come xc ri- Fadeev). Ma la tacita riserva «autoeritica» deli guardava i rapporti con la realta, piu che quelli con la let-teratura: egli sentiva che i partigiani che aveva conosciuto nella vita e a cui s'era affezionato avevano una ricchezza umana piu complessa e completa di quanto non esprimes-sero le figure del suo racconto, spesso ridotte a macchiet-te, a maschere, a smorfie. E gli dispiaceva che al Sentiero -nella generale penuria d'opere narrative sulla Resistenza -si finisse per chiedere d'essere «il romanzo della guerra partigiana » e non soltanto quello che era: un movimentato racconto «picaresco» con molte asprezze e una sempre presente vena di felicita avventurosa e di fiducia nel-l'uomo. Ora che la letteratura sulla Resistenza italiana s'e arric-chita d'opere soprattutto storiche e di raccolte di docu-menti tali da garantirne un'immagine vasta e precisa, questi scrupoli dell'autore sono in parte caduti. A distanza di alcuni anni, il libro dello scrittore ligure puo essere giudi-cato nella sua giusta prospettiva, sia di contenuto che di stile. Anche 1'acerba concitazione di quella prima stagione di «neorealismo» e gia situata nella storia letteraria; e // sentiero dei nidi di ragno viene ripubblicato oggi come uno dei piu significativi frutti di quella stagione. Anche se i mezzi narrativi di Calvino si sono ulterior-mente affinati nei suoi lavori susseguenti (ricordiamo i trenta racconti di Ultimo viene il corvo, il breve romanzo kntastico 17 visconte dimezzato, e le memorie d'adolescen-28 L'entrata in guerra) forse questa «opera prima » resta an-Cora la sua prova piu genuina. Scrittore versatile, Calvino riv°lge i suoi interessi in varie direzioni: ma comuni a ogni Sua prova sono la tendenza alia trasfigurazione favolosa e Jventurosa della realta, e l'interesse morale, la ricerca d u«a completa integrazione dell'uomo nel mondo.