eStidi Poesiaponl Enjambement o\ w. 2-3, che nterna al v. 5 (sciobordore... Ii cadenza onomatopeica; la «con tonfi spessi x e lunghe lento, iterativo, che per cosi delle lavandare; I'assonanza eta rifá i moduli delia poesia za in modo esemplare la coe j snte essenziole della m4»| serini: datura PreCÍsamCjír< ,ro diretta m.rnes. a 4 ricerca di un ^ Ho, seconu^ ° tipo di scavo: Lavandare, *j -"on /'/7 primo pjano un ctofo / come / 'aratro in mezzo m ie di un «documento iw#£ n canto popolare norch&£t el campo rimasto arat0>'itr tro «senza buoi, ^JzLek to,l" /irícťa rrae spunto dall'evento che segnd traumat ne del padre, ad opera di ignoti, il W agosto 1867. Z'Znl Ť dÍ ?a*°* ' W (tlfenomeno astronomtco delle stelle cadenti, particok^Jyf*e datt sto) 51 caricano disigmficati; «un gioco sapiente di anZTr ° h "0tte del 10 W-diventa il pianto del cielo; Vimmagine della rondine ahhlt P'T degIi uomini croce che richiama la morte del padre e sembra ricolleoarZl 2 aperte come dolore personále a vicenda dell'universo» (Melotti). sacrtJ'"o dt Cristo) dilata il La sapienza analogica che caratterizza questo celebs ™™„ ■ tro a cancellare Vimpressione, dovuta ale TiSliZZT^ *T ainnopportuna" ricerca del commavente in e^^^^l1^01^ e, m auello che abbiamo altro.e chtaJto p^lito^^^ Protilo, 9.5). 3' Pubblicata U9 agosto 1896 sul «Marzocco», la hrica fu indusa nella quarta edizione di Myricae (1903). /Myricae ] San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto 4 nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto: l'uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena de suoi rondinini. Ora ě lá, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido ě nell'ombra, che attende, che pigola sempře piu piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; , e restó negli aperti occhi un gndo: portava due bambole in dono... f N°ta metric* quartine di decasillabi e novenar. alte|-nati (ABAB, ecc). Jja» Lorenzo: il giorno di S. Lorenzo é U 10 ago- 2 si gm pianto: il cadere delle stelle ě visto 40■ l'aggettivo ritorna al v. 20, ei_^ trambi i casi mira a sottolineare l'estraneita, l'in-differenza del cielo (cioe della natura, di Dio) alia sofferenza delle creature (animali e umane). 11 nell'ombra: I'espressione ha un suo primo e realislico significato (nell'ombra della sera) se ri-(erito al nido dei rondinini, ma per I'implicita va-lenza analogica (nido = famiglia) si carica di altri e piii ampi signiticati (I'ombra dcll'abbandono, delle angustie economiche, ecc). 15 e restd... un grido: «ucciso d'un colpo, non poti gridare, ma il grido gii rimase come impres-so negli occhi spalancati» (Cucchi). Lo studio del Pdscoli I Castelvec-chio. 20 24 ic o Hode, li in.aire: tl voca il giovanc tlyj sassino del /).((//,■ ( Col tremito del /»,,/ Ora la, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male! 17 romita: abbandonata. 19 attonito: su quel volto, impietrito dalla morte, e'e lo stupore, lo sbigottimento per la malvagita degli uomini. 22 sereni: negli altri mondi che popolano l'uni- verso non esistono la malvagitá e la "iotas caratterizzano il mondo degli "omim'^ parte infinitesima, un atomo del creato. j (opaco) dal negativu, dal Male g£3l L'assiuolo Ľassiuolo c un rapa wette) spesso preset, nella tradizione pope, scandisce la Urica e v (v. 7) diventa «singul la lettura di questa In vazioni di E. GioanoL lugubre grido delľassi bilmente nella seminc tanú, tulte piit o mene namento sintattico da un materiále cosi poco siaseati, non logicamet, l'origine dello stilepase 1« Urica, pubblicata d'Myricae (1903). ÍMyricae/ Abbiamo accennato nel Profilo alľimportanza che nelľideologia e ne^0^L^^ scoli ha il mito (tradotto in una metafora) del "nido". Esplicitamente ^^°^*vt il nido come caposaldo ideologico, come groviglio di légami tra i famna" sti e i loro morti ritorna in taňte liriche di Pascoli {La voce, La cavallmo s/o^< do dei farlotti, ecc). Su questo argomento ha seritto Giorgio Bárberi i>q"° Nella dissoluzione delia societá che non sa dare misura e valori e pro| j te la volgaritä o la pena, il dolore o il male, ľestremo e unico riŕugu^j ŕ c0n1f,,,L punto, il «nido» familiäre, a cui partecipano, legáti dagli aftetti t ^'^j,,e-'1' nali del sangue, i vivi e i morti delia famiglia, costituendo il '"''^^.„m '""^'.k1 ' un rifugio (non idillico, tuttavia, mai) di fronte a una storia cIh' J ^ ť cM^,r rore, ďoppressione, di morte, e di fronte a una condizione u"ia,omjnj, rore onnipresente delia morte, che rende illusioni i gesti degli u jeggano^ ^ litä ogni tentativo ďemergere, anche il male e il dolore infli Dov'era la Iun "otava in una ed ergersi il mí Parevano a me ^nivano soffi, da "n nero di n ^vaunavo« ^Z^y- ^lio vej, 594 ľASCOLl T88 r/ Neero di Saint-Pierre, Al Re Umbertn) t « <Ä. da ogni con,a««„, ehe AKAI* ono al nueleo ,ivíito». avuícv, v.^ ~0-------v^.vw, t,iC c u «niao» (e il simkr,i~ „ • ■ uu,no 31 nudeo r S insistentemente usato per indicare tale stato) Ä°™^<» é proprio dal PaSC° ,1 familiäre, popolato di pochi vivi e Hi nJ^Sř™' ú ľnido» * esclusi ívamen- — ... i . %• .. . —»<-«i«j;. i-^apprii tpüUello famihare, popolato di pochi vivi e di un'infinitädi llkni, aspri, insistenti, queruh morti familiari del Pascoli)- fra i"n„»iTľa*&"flvl U Ä telli, le sorelle, tutti ugualmente connotati dal Santo e d ľn in ľ° M h ÍSuo ferito a mori*,dali a malv agi ta degli uominľu/^^ÄSSE W« XTČ 'ľ""5 ^ ÍOV^'fl; 11 nid0 dl «farlotti»í I" essi dom na cu itode, la madre: ehe é la depositana delle ragloni del sangue e delia terra, quella ehe con- voca il giovane figlio al nto erudele e inesorabile delľinvestitura delia Vendetta contro ľas-sassino del padre (La cavalla storna), quella ehe viene con la «voce stanca, voce smarrita Col tremito del batticuore» a nmproverare piü ehe a confortare il figlio tentato di morire.' [dalla voce «Pascoli», in Diz. critico delia len. it., m, Utet, Torino 1986, p. 370] di tór. n v, ty yWé L'assiuolo Vassiuolo ě un rapace notturno (in Toscana detto popolarmente "chiü" per il verso che emette) spesso presente nella poesia di Pascoli e generalmente sentito - come ďaltra parte nella tradizione popolare - quale simbolo di tristezza e di mořte. II suo verso inquietante scandisce la Urica e via via si carica di valenze simboliche: dalViniziale «voce dai campi» (v. 7) diventa «singulto» (v. 15) e infine «pianto di morte» (v. 23). Come pumo awio al-la lettura diquesta Urica tramata di sottili rapporti ci sembrano pertinentt queste osser-vazioni di E. Gioanola e I. Li Vigni: «Siamo alle soglie delYalba - un'alba di luna-eil lugubre grido delVassiuolo, annunciatore di morte nella credenza popolare, agxsceprooa-bümente nella semincoscienza del dormiveglia e suscita una seně di immagím inquie-tami, tuttepiü o meno riferibili alla realtá, ma travolte nella hro essenza enelloro ordu namento sintattico da un forte vento ďangoscia. E natura mentě , un materiále cosi poco coordtnato come quello onirico, svolgonoundi^%*£á xaccati, non logicamente dipendente, secondo una sintassi franta, a bloccht gwstappost:. L'origine dello stile pascoliano ě proprio qui». edizione la Urica, pubblicata prima sul «Marzocco» nel 1897, fu inciusa ne i tfMyricae (1903) ÍMyricae/ Dov'era la luna? ché il cielo notava in un'alba di perla, ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla. Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiu; veniva una voce dai campi: chiü... 1 si||ab°,a mírka: tre strofe di 7 novenari piü una auD0nomat°peica (chiü) a conclusione, in n-' ABABCDCD). 4 D°v'era ia tuna? meglio vedeň->a sentivo nel cuore un sussulto, com'eco d'un grido che fu. Sonava lontano il singulto: chiii... Su tutte le lucide vette tremava un sospiro di vento: squassavano le cavallette finissimi sistri d'argento (tintinni a invisibili porte che forse non s'aprono piu?...); e c'era quel pianto di morte... chiii... 12 frufru: un indistinto e inquietante fruscio. 13 fratte. cespugli. 14 com'eco... fu: e una di quelle definizioni pa-scoliane che derivano la loro suggestione proprio dalla loro indeterminatezza e quindi dalla loro polisemia; alcune ipotesi interpretative: «il ricor-do di un dolore che sembrava placato e che risor-ge al richiamo delle voci notturne» (Melotti); «un sussulto del cuore in corrispondenza del rinveni-mento nel fondo della coscienza di un grido spento nella morte» (Gioanola-Li Vigni). 17 le lucide vette. le cime deeli alheri n dalla luna. g ben 19-22 squassavano... non s'aprono piu* ^ do le zampe sulle elitre, le cavalletŕe p5£ unsuonosottde^cuto/Vgent^ľoľeľľ lo de^stri, strumenti musicali egiziani usaľiľd culto m.stenco_di Iside, che promettm ai suo, adepti la resurrezione dopo la morte. Ma tak á-ducia nelli resurrezioňeorä Fpíu prŠSlematici (le invisibili porte delia morte forse sono chius per sempre). Guida alľaiuliu Ad integrazione di quanto si ě detto nella presentazione, per aiulare a cogliere meglio la cifra di questa lirica - il trasformarsi del dato naturale in dato simbolico -, aggiungiamo alcune osservazioni, deriváte e opportunamente mediate da un famoso saggio di Gianfran-co Contini. II quäle rileva che alla base della poesia del Pascoli c'e una dialettica fradejsfc minato e indeterminato, fra precisione e imprecisione, fra oggetti «determmatissimi e cof: putabili» c «sfondo effuso» sul quäle essi si situano. Dato, questo, che risulta con particoo-re evidenza in liriche come Nebbia (t94), Gelsomino notturno (t95), L'assiuohJßpL. ^ «E che il fondo generale sia effuso e dittusivo, alta imprecisione qui cond,z'0.Jo[isr un'alfa precisione, ě queslo un dato che ricollega Pascoli al maggiorf ,aborat°n° prř co": "Jiciamo, a Mallärme e alla sua condanna del "sens trop précis" Nnit',c°° ^icaprt ciso] oppure al programma verlainiano ("De la musique avant toute chose j 04 mn Ai hittn] "Dp» la rnusique encore et tnnjnnr«;" [Ancora e semt ^Per create questa Indeterminatezza e questa imprecisione il poeta "c°"*°popos®1 mi, riconducibili piú o meno al paradigma «nero di nubi» (v. ô). H Contini scrive: „jj Non da «nub, nere», ma «da un nero di nubi»: ^^«2^*!^ servono soltanto a determinate, come se fossero essi glieP»««-,. J>n,hc sia ^illdl, ero essi gU epneu, 'yi ^ ^ ,ul ^ Súelt'oVroced'ime'mo non é'evidentemente invenzionedi Pasceu fá^^ rato non molti decenni prima di lui, nella «fj!Jg»|fi| questo u Jjgfc . constatazione ďuno špecialista tedesco, dai frateTO|gfl£0 tuti tipici di quello che gli studiosi d. ^st^e[sil^^}' tori delia scuola ginevrina, Charles Bally, defin.sconojmpre. ^ľesempio del Bal «#b blanches [colonm b,trieínerché fondamen "eíte,rZ le formule che 0S^L„o anchc ch qu ''*mÔU qui a sostanti CtSrante, per gruppo í vedete: «sentivo un Manhvo nel cuore un si ico dunque, tuttav ríosimbolismo natural Sterno dello stesso ver onanza al veno success delia strofe: rarecc ľeU'azione. Hi piú: . sint -feoštantivato) o cullc spirojivento hanno la n tVnebbm di hute, o anc Queste osservazioni c sitá delia migliore poesie smi(w. 11, 12, 13)edc gio pre-grammaticale [ch I Temperale Ecco ora un esempio ass te nella produzione pasc de novitä. La lirica e sta /Myricae ] Un bubbolio 1 Rosseggia Tor come affocato nero di pece, a stracci di nubi tra il nero un < un'ala di gabb (AßcBccrrbaliata piccc Lol'"^tilvtTmine-di^' cell«, i tu0no e deriya eru8' nell'edizione R Q; |Q pr'i "QnotQ2;oni iso1 - isolata - é izione pc i- io ro >r *-un IU- 17 k fear Mt i, a dol' "mpesuUeelitre.ka^; un suono sottile, acuto, 'aigmu»*,« lo dci_sislri, strumenti musia ^ culto mjstericodilside,Atpimaa adVpü la resuneiione dopohwüj duíU ncHarc$ur"reÄoratp»p« (lekMfti porte d*«wH pcr sftnprel- pí.*.' ! .1 perché fondamentale ě ľepiteto e le sostanz! ' r»rto,dl «»tanza ed ep.teto si in-;^Vra le formule che ne.la Jo essen ho det nTnim" ta"t0 a Caralt™ 'eP'_ -^sono anche di quelle che sono costituite i Z ? qUest0 nP° sintagmatico, Imosso qui a sostaítivo), per di KS un * (pur Sutterante, per gruppo consonantico identico infrululTaní TnZ 3 Í vedete: «sentivo un fru fru tra le fratte» ě in SÄÄr EaTľa (> X sec co ě il pruno»; «bilenzio, intorno») enuncia quasi il terna e il tono della strofě. ' Digitale purpurea Questa Urica e collegata ad un ricordo di collegio della sorella Maria, la quale aveva rac-contato al poeta che un giorno la Madre maestra aveva vietato alle allieve di awicinarsi ad un fiore in un angolo del giardino perche il suo pwfumo era velenoso. L'episodio bio-graüco fornisce al Pascoli lo spunto per intessere una complessa tramasimbohca: due amicherievocano la low vita di collegio e i low turbamenü adolescenztah, e que fiore (la drgitale purpurea appunto) assume il significatodi ™™™> ™^XZ £ pLJJpa. II raVporto srmboUco fiore scoli (ad esempio nel Gelsomino notturnoj e rtentra nel ^Tnesente da ambivalen-Pascoli si aecosta alla tematica amorosa con un atteSgiame } m fu indusa nei za e senso di colpa. Pubblicata sul «Marzocco» nel marzo 1898, J Primi poemetti (ed. 1904). /Primi poemetti] I Siedono. L'una guarda l'altra. L'una esile e bionda, semplice di ves« edisguardi; ma l'altra, esile e bruna, l'altra...! due occhisempUdemocMi non ci tornasti?» «Mai.» 1 Wota metrica: strofe di 25 versi di terzine• dante-ogni strofa ě chiusa da un verso isoiai - J f^oner. Maria e Rachele nominate• al v. 51. {j3 Funa.. Valtra: V una é la sorella ^r^0\he ■ ' riconosciutasi nel personaggio. na s a nve« «Rachele [ľaltra] ľha ereata lu.»-<* soľ6,5,10 P«po,ito il Tropea: «M« P-^" ^1 "lone esotico e biblico del norneche^ i m ehe si era sposa-• ť Hivieti, ľaltra sorella. da. ™ ^ ta „ei 18», r un'espenenza p ella re, Pr°vandn°i U á del fratello e dj*" m0rb°nS consideravanocomeesp moSS^nsideravano rinľľtaedimorte»- _„: A, Mar«. v,etaa 'tu modes 10 piú?» «Non piú, cara.» «Io si: ci ritornai; e le rividi le mie bianche suore, e li rivissi i dolci anni che sai; quei piccoli anni cosi dolci al cuore...» L'altra sorrise. «E di': non lo ricordi quell'orto chiuso? i rovi con le more? i ginepri tra cui zirlano i tordi? i bussi amari? quel segreto canto 15 misterioso, con quel fiore, fior di...? » «morte. si, cara». «Ed era vero? Tanto io ci credeva che non mai, Rachele, sarei passata al triste fiore accanto. Che si diceva: il fiore ha come un miele 20 che inebria l'aria; un suo vapor che bagna l'anima d'un oblio dolce e crudele. Oh! quel convento in mezzo alia montagna cerulea!» Maria parla: una mano posa su quella della sua compagna; 25 e l'una e l'altra guardano lontano. II Vedono. Sorge nell'azzurro intenso del ciel di maggio il loro monastero, pieno di litanie, pieno d'incenso. Vedono; e si profuma il lor pensiero 30 d'odor di rose e di viole a ciocche, di sentor d'innocenza e di mistero. E negli orecchi ronzano, alle bocche salgono melodie, dimenticate, lä, da tastiere appena appena tocche... 13 zirlano: verbo onomatopeico indicante il ver-so del tordo. 14 bussi (piú normalmente: bossi) arbusti sempře verdi a foglie lucide. 14 canto: angolo. 15 fwrdi: si noti la rima franta con tordi. 16 mořte. «Rachele riprende direttamente la rao-tivazione data dalla suora circa il consiglio di te-nersi lontane da quel fiore» (Gioanola-Li Vigni). 21 iá^u^ssS^^ tn.stantiaggettivisottol.neai f.ore proibito. . ^gofif* 26 Vědom, rievocano neW ^ to, lo rivivono. f do„o & 28 pieno... d'incenso. s. stiche eolfattive. ioCChe-30 viole a ciocche: vicA***0 35 40 45 'oro, 50 Oh! quale vi sorrise oggi, alle grate ospite caro? onde piů rosse e liete tornaste alle sonanti camerate oggi: ed oggi, piü alto, Ave, ripete, Ave Maria, la vostra voce in coro; e poi ďun tratto (perché mai?) piangete.. Piangono, un poco, nel tramonto d'c senza perché. Quante fanciulle sono nell'orto, bianco qua e la di loro! Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono di vele al vento, vengono. Rimane qualcuna, e legge in un suo libro buono. In disparte da loro agili e sane, una spiga di fiori, anzi di dita spruzzolate di sangue, dita umane, l'alito ignoto spande di sua vita. in «Maria!» «Rachele!» Un poco piú le mani si premono. In quell'ora hanno veduto la fanciullezza, i cari anni lontani. Memorie (l'una sa dell'altra al muto premere) dolci, come ě tristo e pio il lontanar d'un ultimo saluto! «Maria!» «Rachele!» Questa piange, «Addio!» dice tra sé, poi volta la parola grave a Maria, ma i neri occhi no: «Io,» etfl e e cru i aggettivi libito. ono: rievocano ňvono. to... d'incenso: si fori' olfattive. •aciocche. violacciocche. sen si* oi"' tUi oggi- l'indicazione temporale, ripe-fa a' attualizza" la rievocazione del passato, ne na esperienza contemporanea (o comunque rolpamente "vissuta al presente). «L'ospite cade d n0'ricevut0 nella Comunione, che sorri-alle ] balaustra alle collegiali, le quali tornano sac °ro «merate in letizia, infervorate (rosse) dal 40 ement0 ri«vuto» (Gioanola-Li Vigni). amorP0'"' plan&te- misticismo e oscure pulsioni 43.440 ßturbano 'a sensibilitä adolescenziale. press) C° e ciarliero: una felice notazione im-Peti,i°nistlca' resa ancora piü suggestiva dalla n quell eeda'l'— ■ '-■ J-~ "iciun C0' H^^tico. e dairaccostamento del dato visivo con fruscio delle '°ro w°' 5uono * vele al venter. >0 vita: i fiori della digitale (a grappolo- tubolari e a macchie rosse) fanno pensare a did umane spruzzate (spruzzolate) di sangue, e con la loro macchia di colore costituiscono un'ambigua e inquietante presenza, che per cosi dire turba quel bianco sul quale prima (w. 43-44) il poeta ha insistito. In questi versi piu che una vera e propria simbologia fallica (di cui parlano Barberi Squarotti, Tropea e altri) ci sembra sia da vedere la capacita del Pascoli di oggettivare, in una im-magine attraente (un fiorc) e repulsiva (le macchie di sangue) nel contempo, I'ambiguita adolescenziale nella quale morbosamente coesistono c si fondono attrazione e sgomento. 54-55 l'una... premere: la sirella delle mani (v. 52-53) é una sorta di linguaggio muto ha di low. 59 i neri occhi no: perché si vergogna a confessare di aver (atto I'espcrienza del proibito. 60 65 70 75 mormora, «si: sentii quel fiore. Sola ero con le cetonie verdi. II vento portava odor di rose e di viole a ciocche. Nel cuore, il languido fermento d'un sogno che notturno arse e che s'era all'alba, nell'ignara anima, spento. Maria, ricordo quella grave sera. L'aria soffiava luce di baleni silenzi'osi. M'inoltrai leggiera, cauta, su per i molli terrapieni erbosi. I piedi mi tenea la folta erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni! Vieni! E fu molta la dolcezza! molta! tanta, che, vedi... (l'altra lo stupore alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta con un suo lungo brivido...) si muore!» 60 sentii: odorai. 61 cetonie: coleotteri di colore verde dorato. 63-65 Nel cuore.. spento: il ricordo del sogno notturno (di realizzazione del proibito, del peccato) lascia una voluttuosa dolcezza neiranimo. 66 grave. «pesante, afosa» (Cucchi). 67-70 baleni... erbosi: i baleni silenziosi sono pro- babilmente da intendere in senso psicologico piu che atmosferico, cosi come i terrapieni -molli. non indicano realisticamente un soffice prato sul quale si cammina facilmente, quanto piuttosto l'andare, attratti senza possibiiitá di resistenza. verso il compimento del sogno. 74 e vede ora: e ora capisce. Guidi all'analN II tema di fondo che percorre questo componimento ě da ricondurre alia sensibilita, a personalita del Pascoli e a specifiche esperienze biografiche; lo si potrebbe definire I ann guo e morboso atteggiamento - fatto di attrazione e repulsione insieme - di fronte a # (presente anche nel Gelsomino notturno). A questo dato specifico della personalita e p£ ta va aggiunta anche la (per lui) traumatica esperienza del matrimonio della sore a ^ adombrata qui nel personaggio di Rachele, mentre la fedele sorella Maria conse ^ ^ rappresentazione poetica - «esile e bionda, semplice di vesti / e di sguardi.» I suo nome reale. Scrive a questo proposito Mario Tropea: . tu "soreU3 Naturalmente [dell'esperienza erotica] non puô essere protagonista Mana jareť buona" della realtä, qui trasfigurata nel poemetto; cfr. v. 1), ma ""'i01!113^ de|ia po&'f complementare di lei, doe Rachele nella quale, date le morbose ambivalen c sor« della vita affettiva di Pascoli, non sembra ímprobabile scorgere 1'immagineawa'"w f la Ida, che sposandosi aveva affrontato quellesperienza per cosi dire trauma"^J^jí Manu e Giovanni, esperienza assimilata quindi nell'inconscio alla voluttá, altó' ^ ca: e alls mc L a sottohneare metto, nel quale ho I |0 descrizione dell a c/,e di mistero... - if jel proibito. 5ul pinno metrico mici» (cfr. T°0, Nover La terzina dantesca ganismo metrico anti voce rotta, inquieta e non sono sostanzialm sfasatura fra ritmo m daJla frequente introd suoni, armonie imitafj e il loro contrasto con soprattutto, come pro giuoco dei due piani questo caso allusivo z drammaticamente sfa acu'emusicalmente zione verso l'ignoto», [E. Bigi, La metrica dei G.P., 181 1 *«e fonciulli ^cornponirnento pTn mrrativ«" che tantal $UQ sPecifi< /ťnmipoemettiy Era il tramo erano intenti, i delľombroso Nel gioco, ser corsero a un tra lor parole ^* c,ascuna. 1) x i! ta! c olta ibŕitmosttnco.* Ma nello stesso momenta in cui forniamo queste indi™ ■ dare che bisogna guardarsi dai troppo meccanici rľppoľtľfrn' t necessario "™ poetica: e alle modalita poetiche che bisogna prSľľ L V'Cenda privata e r _ ^Hr,linpnrp nn7itiiHo U A:____• a prestare attenzione. In __L-... • ■. «51 ncor- ,ramro a sottolineare anzitutto la ^U^S^S^Tľ^- 'n tale «"**dSS Mricae. In questo componimentotaiTďln^nl^ ' Poe?etf'' risPett° alle conto, dialogo, rievocazione. Non puô sfuggire f a aľ I ^h SU diversi Piani: rac" nľetto, nel quale fra la prima e la terza paríe per osi d ľ' '^'f Struttura del Poe" ^crizione delľambiente , del clima convea - Seconda' che « - in certo qual modo W, con ^1^^^ 2 ŕwtt^ **• — Piani, La terzina dantesca rimane, almeno nei momenti piú felici, solo un primo piano un or-ganismo metnco antico e grave, con cui entra in suggestivo contrappunto o colloquio la voce rotta, mquieta e sommessa del poeta. Gli artifici di cui il poeta si vale a questo scopo non sono sostanzialmente dissimili da quelli giä analizzati nel primo gruppo di Myricae. sfasatura fra ritmo metrico e ritmo sintattico, sintassi analitica e franta (qui accentuata (iilla frequente introduzione del discorso diretto), interne corrispondenze di accenti e di suoni, armonie imitative ed onomatopee: tutti artifici tanto piú sensibili quanto piú forte ě il loro contrasto con un mglrfljradizionalmente robusto come la terzina. Basterä citare, soprattutto, come prova delia maggiore complessitä e raŕfinatezza, rispetto a Myricae, del giuoco dei due piani ritmici, il finale di Digitate purpurea, dove il ritmo delia terzina, in questo caso allusivo al terna serenamente e religiosamente arcaico del convento, ě ormai drammaticamente sfaldato dai fortissimi enjatnbements e dalle profónde pause sintattiche, a cui t musicalmente affidato ľaltro e piú segretô terna del poemetto, la «misteriosa attra-zione verso ľignoto»7il «consenso alia tentazione delia morte» (Getto). [E. Bigi, La metrica delia poesia italiana del Pascoli, in aa.w., Studiper il centenarxo delia nasáta di G.P., pubblicati nel cinquantenario delia morte, Bologna 1962, vol. n, pp. 42-43| I due fanciulli taňte del Pascoli poeta: la sua voca-Questo componimento testimonia un aspetto impona ffI>> e, ,„ maniera ňone "narrativa", che si esprime in testi che egh ^°JJ ^ componimento non Piu articolata e ambiziosa, nei Poemi conviviah. Rg«£^ ., mamera „emplare so/o per la sua specifica fisionomia poetica, ma y tanta parte delí'ideológia pascoliana. [Primi poemetti] Era il tramonto: ai garruli trastulli erano intenti, nella pace ďoro dellombroso viale, i due fanciulli. Nel gioco, serio al pari ďun lavoro, c«rsero a un tratto, con stupor de' tigli, tra lor parole grandi piú di loro. I Part"? í"etr,ca: terzine dantesche ripartite i 116 versi ciaseuna. in tre 1 tooT'dt^^ ch* finora sono 5.6 con stupor- giovaW pascou emone (l'una sa dell'altra al muto emere) doled, come e tristo e pio ' lontanar d'un ultimo saluto! « Addioi » Maria 1». « Rachele 1». Questa piange, ice tra sé, poi volta la parola ^jj^or Maria, ma i neri occhi no: «lo », rave a lormora, « si: sentii quel fiore. Sola ro con le cetonie verdi. II vento 6 >ortava odor di rose e di viole a ' :iocche. Nel cuore, il languido fermento Ibtov^og^ toaxe d'un sogno che notturno arse e che s'era all'alba, nell' ignara anima, spento. , ^ / Maria, ricordo quella grave sera. L'aria soffiava luce di baleni ,rr.fb33ieKDI silenzIosi.j;M'inoltrai leggiera, «63^6^ cauta, su per i molli terrapieni erbosi. I piedi mi tenea la folta crba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni! Vieni 1 e fu molta la dolcezza 1 m oka I tanta, che, vedi... (l'altra lo stupore alza degli occhi, e ^de ora, ed ascolta con un suo lungo brivido...) si muo'rel ». ITALY t H täm |jJ Nc sono eroi emigrant! di (Wn. ^ Garfagnana, non la fortezza P»f"52| Dante) che tornano m visita da CincuKuTTal boT^o" natlo..e in questo. ^fSt pe^ '« Ghita, state bene! .». i/c, bona , r >avetc preša la ticchetta? ». L ru0doPo ľaltro dava a /m la stretla Idi^<\ , ;y>;,servirô». «Come partlte m frettal ». Scendean le donne in zoccoli le scale k! veder Gbita. Sopra il suo cappello c'cra una fifä. con aperte 1 ale. iSc vedete il mi' babbo ... il mi' fratello ... il mi' cognato... ». « Oh yes ». « Un bel passaggio * vi tocca, o Ghita. II tempo é fermo al bello ». *Ob)tsy>. Facea pur bello 1 Ogni villaggio ridea nel sole sopra le colline. Sfiorian le rose da' rosai di maggio. fw/aw/i... cra ^ sussurro sen2a ^ J odo azzurro. Rosea, bionda, e mesta, °"y «a b mezzo ai bimbi e alle bambine. °0nn°> solo, m lá volgea la testa ' bunbi con vodo di festa: ^orneraj. M°W». Rispondeva: - Sll - 3 Si n. * Ar- !0Älesŕ ^ ____;_. d.«jj ÄVflic dolce Svúvŕ°»>>- Ca„ •e.chc> precisa in Ultitt* ri^ ™aI mial».' ttoaca- come giá in Colloquic 269 Va aggiunto inoltre che ció che qui e -me, c0|o mondo il nido che pr0,egge e isola (e come Xo^ T ■ ^ * y^'^o" é il pic-,'orto a. w. 19 e 29 e fa můra al v. 1 1). Ancorn .?n« IT0 T° *P». qui abbiamo •re dall'ignoto, Kifli w. 19 e 29 e fa m^aTv^ n /Ar6 dal dolore provocato dalla morte (v. 8)' dal pTantodJf * 1 mine che non casualmente echeggia da una strafe aSml M ' -i 1* ° noscondere ("n * te familiäre e angusto diventa in questa lirirr. «„„k« 1 ntu910 in que$,° ori"on-«o vi.a, vocazionB di mo-te. i^^a »Ä&ÄVmÄ f £5"° Tropea, «onnolen,o idolo H. di qJs,0 ÖÄÄST indiC°Z""'e iccole,^"*1" lartal«^ ...;..iuI0'!,v ,P«0 .1*" » q ř0 C -cl* ..IV* ...ti1 ,,i,P a 1 ..it1 .i .i * gg| Gelsomino notturno Per acquisito gitidizio critico questa lirica ě da considerare una dei risultati piii alti e originali della produzione pascoliana. Per essa piii che per tiualsiasi altra del Pascoli ě difficile indicate hi trama, produrrc una traduzioneprosastica: cid perché vi ěportato al-I'estremo quel proc슊o di rarcfazione dell'elcmento logico-narrativo che ě una caratteri-stica fondamentalc della poesta moderna e che EBEtQS timta parte, della sua produzione) ha introdotto neU'ambito della poena italiaiu^-La lirica quindi - che dcriva il suo csilc pretesto realistico dalla caratteristica del gelsomino notturno, che solo di notte apre h sua corolla per richiuderla ai primi raggi del sole - c tutta una trama di impressioni dpparentementedisordinate e casuali nel low ■iucredersL ma in realm legate reciproca-mente da sottili e rarcfafti rapporti, da una logica del sentimente piu difficile da cogliere. ma forse piii vera della logica della ragione. Per una prima Ictlura hasten) ricordare che quest i versi ftiro no scritti dal Pascoli per le twzze dell'amico Raffaclc Brieanti e in essi ě adombrato z_con mirabile levita simboliat = j7 řcřiiíi dell'unione di duejsseri, edel conscguente gcrmogliarc. daitxaljirnajnalle.e _segreta, di una nuova vita. .... La lirica venne pubblicata in un opuscolo "per twzze" nel luglw 1901, e pot mclusa net Canti di Castelvecchio (1903). /Canti di Castelvecchio/ E s'aprono i fiori notturni, nell'ora che penso a miei can. Sono apparse in mezzo ai viburni le farfalle crepuscolari. Da un pezzo si tacquero i gndi: la sola una casa bisbiglia. Sotto l'ali dormono i null, come gli occhi sotto le cigüa. I Nota mttriae quartine di novenari con nma AIUB ecc. 1 [2 Es'aprono... can: al crepuscolo ini/ia la^ra vi,J del llorc che schiude la sua corolla, ik-IIoi-P»ela nduam.iMU-moricdinu.ru-. . 6^^.:.Tm7.7g(KruTia present umana, cn '''«-d,ť,lS"Í,n""-,,ac,,lcon«e«: jsss»..........— • una nuova sensibilita 12 16 20 24 Dai calici aperti si esala l'odore di fragole rosse. Splende un lume la nella sala. Nasce l'erba sopra le fosse. Un'ape tardiva sussurra trovando giá prese le celle. La Chioccetta per l'aia azzurra va col suo pigolio di stelle. Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento. Passa il lume su per la scala; brilla al primo piano: s'e spento. Ě l'alba: si chiudono i petali un poco gualciti; si cova, dentro l'urna molle e segreta, non so che felicitä nuova. 9-10 Dai calici... rosse, l'odore che emana dalla corolla del gelsomino notturno richiama quello delle fxagokiLxui colore (rosse) e qui enunciato per suggerire l'intensitä del profumo (sineste-sia). 12 Nasce... fosse: l'erba che nasce e quasi la te-stimnnianza del rnntinnarp riella vita.~clel suo irionfo sulla morte (e proprio sul mistero di una nuova vita che inizia poggia tutta la Urica). 15-16 La Chioccetta... stelle. «i contadini chia-mano Chioccetta la costellazione delle Pleiadi» (Pascoli). In conseguenza di questo dato di par-tenza, la chioccetta (= Pleiadi) si trascina dietro per l'aia (= cielo) tutta una covata di pulcini (= stelle). 19-20 Passa... s'e spento: tutto ě proiettato in una remota lontananza, carica di silenzio e di mistero. 21-24 £ l'alba... nuova: «rapida la conclusions come se rapida fosse passata la notte; e il poeta volesse annunciare subito il compiuto mistero» (Vicinelli). un ritmo incalza j'accento su1ta se ni»); gli ultimi du nej mezzo con a vjburni»)- L'altem< ritmico-sintattiche spezzo solo nell' forte pousa dopo prima del verso s( A proposito di fico acquisito) ch grafico, I'immedi stringono I'assedi sta centrale prod I'ultima quartina smemorato languo attenzione ai dati figure metriche son La mia sera Un momento delle mento simbolico, gettivo (le stelte, le ziale. ÍCanti di Casteh těsto esiste una produzione eritica che ne ha messo in luce a volte con s ^ cata sottigliezza - 1'originalitá e la complessitá. Noi ci limitiamo a sottolmeare fondamentali. La tematica affrontata si collega in un certo senso a quella di^ Digitale PurPor^bo|iche -anche qui dominantě - sia_pure attraverso una complessa trama di mediaziom si ^ il terna delťeros, al quale il Pascoli si accostó sempře con una sensibilita turba a jment0 scenziale, con un complesso rapporto di attrazione e irustrazione. Questo comp cioě mostra con risultati poetici di alta suggestione «quali sono le condizioni, se P t-)Ca: male, ma sempře straordinariamente acute, dentro cui Pascoli sente 'esPer'enZarrroPea)-come sofferenza, morte, violazione, rinunzia, esperienza misteriosa e preclusa» \ ^ ^ ťatteggiamento del poeta dinnanzi alťatto nuziale, alťunirsi degli sposi nella lojo ^z0 quello di un adolescente, ě un morboso coesistere di vaghe e conturbanti idee di vl .| ^ (w. 21-22: «i petali / un poco gualciti») e di attrazione voyeristica (w. 19-20: <ě un bre Le trému] trascorre Nel giorn ^ Nota metrica: strofě ottonari, VuUitno ser fitta sera. * veiranno le stelle-. «co **t,Äsera- una dimen '«eile, e un primo esen tacite perché arrivano *Xe** detta sera, netta p ritm0 incalzante, concitato, rJy.,in,j,.h,f. t raccento sulía seconda sillaba e p0, Vl\\fJ ' " \ g|i ultim. due mvece sono caratterizzati da un rí m nel"mezzo con accento sulía'ter^"™ """'''^*'TT'' vibúrni»). ťalternanzo ritmica e sottolineata A iT°V0 f*^ '*'v'o Y<'' ''' ritmico-sintattiche costituite da due n í v,,,,:7' 'Z'"'" '' spezza solo nell ultima strofa, nella ni.nl. \ í' • ' 76> *cc I QtJaTji^™™ forte pausa dopo la terza sillaba "d é iírmet' 2' [* ^ « ^iff: J prima del verso seguente e permeťte la Mma din CU' '0 ""aba //di P^^kLaJTÍ! A praposito di questa alternanza ritmicc, tico acquisito) che «nella movenza imDennn»r, a!7 °*"rvoto mo«ormoí undatoaí grafice, 1'immediata significazione jS delÍS2 ^mtí * »» ^S stringono 1'assedio dei loro inviti ďamore Neali ,,ff5S'V'ta 000 ?' 10 no,UffJ <: sta centrále produce ha trasfuso un crollare %SmoZ^^J^.^'' ':' to cř* ^ *> l'uhima quartina (del v. 21 soprattutto) se "i ebbe a ^I^ ' L 0nofno,ío ^ <^ -- »ato lanauore, dopo la aptte nuziale. rsCS^Jff "C">,,0'e"' attenzione ai dati metrici, ricorderemo col Debpn^H l ^"''k'1* 0 *>*M'vo q*w«o La mia sera (Jn momento della giornata - il crepuscolo, e poi la sera - diventa in questa lirka mo-mento simbolico, la sera diventa la mia sera con una sapiente trasposízione del dalo <>% gettivo (le Stelle, le vod della nátura, il placarsi deU'«aspra bufera») a significato esisten ziale. /Canti di Castelvecchio/ fr^1 II giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c'ě un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera! I Nota metrica: strofě di otto versi (i primi sctte °''onari, 1'ultimo senario) con rima alternata ^"ABCDCd. Tutti i senari terminano con la r.ma •'ssa sera. dal |0r'""°Ie slelle- «come chi dicesse: di lonuno, quest0" ,8° viaggio,. (De Robertis); e 1'uso di stelle dl ° conferisce al fenomeno naturale - le 3 tac-. . ra ~ una dimensione favolosa. Pientc o C U" primo esempio della raffinata e sa-Ca; íflci,88e,tlVazionc che caratterizza tutta la lirí-cedenti t Pt>rché arr>vano dopo il fragorc dei pre-te Messa Tu* ° pcrché sono testimonianza, par-clla sera, nella quale i rumori del giorno tacciono. 4 gre gre. onomalopcd. 5-6 Le tremule... leggiera: una gjou (ut^getto) passa attraverw < trascorre e usato tranutivamen te) le řoglic dei pioppi. Non %(u%ga la rumu tor male di quettí due versi giuMamcnte farnost: la bre/M che passa altraveru) le Utg)ic e quati una gioia della nátura, ma ditcreta, non vittow (leggiera), in pieno acatrdo on la serenila della seta: le foglie non ne vengono agitate, ma appena ap-pena moste. I vtiiolmeano quctta delicatezza i due aggetlivi che aprono e chiudono in colltKa lione chiastíca IVnunc/ato: tremule, leggiera. 5-6 passa 1 CLASSICI II fanciullino Nello scritto intitolato II fanciullino, pubblicato nel 1897 e nella sua redazwne definuiva ml 1902, Pascoli espresse meglio ehe altrove i canom della sua poetica. \e rip0rtiamo al. cuni stralci essenziali. /II fanciullino] £ dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, come credeva Cebes Teba-no' che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra etä ě tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciul-li che ruzzano e contendono tra loro e, insieme sempre, temono sperano godano, 5 si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena meraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo di campanello. II quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell'etä giovanile forse cosi come nella 10 piů matura, perché in quella, occupati a litigare e perorare la causa della nostra vita, meno guardiamo a quell'angolo d'anima donde esso risuona. in I segni della sua presenza e gli atti della sua vita sono semplici e umili. Egli ě quello che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alia luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che 15 paxla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle; che popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli ě quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alia nostra ragione. Egli ě quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli ě quello che nella gioia pazza pronunzia, senza pensarci, la parola grave 20 che ci frena. Egli rende tollerabile la felicitá e la sventura, temperandole d'amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l'amore, perché accarezza esso come sorella (oh! il bisbiglio dei due fanciulli tra un bramire di belve), accarezza e consola la bambina che é nella donna. Egli nell'interno deiruomo serio sta ad ascoltare, ammirando, le fiabe e le 25 leggende, e in quello dell'uomo pacifico fa echeggiare stridule fanfare di trombette e di pive, e in un cantuccio dell'anima di chi piú non crede vapore d'incenso l'al-tarino che il bimbo ha ancora conservato da allora. Egli ci fa perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, che ora vuol vedere la cinciallegra che can-ta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol toccare la selce che riluce. E ciarla 30 tanto, senza chetarsi mai; e, senza lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle a ridirle, perché egli ě l'Adamo che mette il nome a tutto ció che vede e sente Egli scopre nelle cose le somiglianze e le relazioni piu ingegnose. Egli adatta if nome della cosa pi" 1 Cebes Tebano: Cebete di Tebe, uno degli interlocutor del Fedone, dialogo platonico: «E Cebes con un sorriso: "Come fossimo spauriti o Socra te, prova di persuaderci; o meglio non come spauriti noi, ma forse c'e dentro anche in fanciullino che ha timore di siffatte cose: c dunque proviamoci di persuadere a nc paura della morte come di visacci d'orco ••____ ľ V ft grande alia piü piccol; : ranza e curiositä megl per poter ammirare. Vale la pena sottoline< '"quadra cioě in tutta un ™ mira a superare i coi * Poesia; ma egli, anzic Caľ eche99iare nell tezze IT Ua Pr°du2io e,antQ^ "a scoperta d. PQrt* delľideolog I] Qnci^lino» h a sc r,) Poco azione del , compre \,5*a ilt^i a r, <ľ all ^o^^definfre' S>> tW8,ne sguarc cr»e*la gj ecent e n0v, -""'«Ilona, grande alla piü piccola, e al contrario. E a ciö lo spinge meglio stupore che igno-35 ranza e curiositä meglio che loquacitä: impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare. 21 e gil aftl úVlia sua vita sono semplici e um;!: UfllirniK».perchfalhuiovedfocreWi^ Ka^rkordandocosenon^* ,i- mentre respinge ľidea di una ^^^1 in consonanZa con lal.nea »• e dichiara che la grande poesia É rara e d. "—V''^ „0 reiicemente ind.cato centesca e noveceSesca delia «po«>M^-„ I l IASS1CI l'Anceschi), si serve delľimmagine del «fanciullino» sia per segnalare il modo mente nuovo delia sua ottica poetka, ehe é rovesciata rispetto a quella consueta aSS°luta-obiettiva (cioé «adulta», nel senso delia conoscenza razionale e scientifica) e' n°rnia'e> ľapparire sull'essere, onde puô capovolgere i rapporti fra le dimensioni, i luo fv^^ getti. In piú, il «fanciullino» significa il privilegio accordato a ciô ehe épre-ra '' ^' fronte alla scienza e alla ragione: ľinvenzione rispetto alla riproduzione realis^'0!113^ 1 rispetto al «vero», la «distrazione» rispetto alla logica, Varbitrarietä del segno e dM S°8n° contro la normalitä comunicativa. In questa prospettiva, la stessa «poetabiliť ,iaparola getti é sottoposta a scelta: ehe é, appunto, quella arbitraria di uno sguardn ch/* T?" °8" - —*■ di deeoro di «elasse», a eui la trad^o!' getti é sottoposta a scelta: ehe é, appunro, quena m um m--- ormai completamente dalle buone regole di deeoro di «classe», a eui la tradizione it aveva sottoposto il «poetabile». É un'idea anti-realistica delia poesia e delle sue fun ^ ma é anche uno dei punti piú avanzati (alla fine dell'Ottocento) delia meditazione di ^ tica in Itália in consonanza con la poesia moderna in Európa. P°e~ [dalla voce Pascoli, in Diz. critko delia len. it., m, Utet, Torino 1986] La grande proletaria si é mossa // testo ehe segue é tratto dal discorso ehe il Pascoli tenne al Teatro comunale di Barga il 21 novembre 1911 e nel quale espresse la sua entusiastica adesione alľimpresa libica, di fronte alla quale profonde erano state le diserepanze di valutazione e di atteggiamenti nel paese. Queste pagine ci sembrano di grande interesse in quanto coneretamente testimoniano ľimpsevedibile posizione - esultanza perché il popolo italiano «mette per primo in azione le immense navi, i mostruosi cannoni, le mine e i siluri» - alla quale il poeta di Myricae arriva partenda addirittura dalla familistic&e umbratile concezione del "nido". La grande proletaria si é mossa. Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori ehe in Patria erano troppi e dove-vano lavorare per troppo poco. Li mandava oltre alpi e oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzar terrapieni, a gettar moli, a scavar carbone, a scentar' serve, 5 a dissodare campi, a iniziare culture, a erigere edifizi, ad animare officine, a racco-gher sale, a scalpellar pietre; a fare tutto ciô ehe é piú difficile e fatieoso, e tutto ciô ehe e piu umile e perciô piú difficile ancora: ad aprir vie nelľinaccessibile, a co-struire citta dove era la selva vergine, a piantar pometi, agrumeti, vigneti dove era .o Ivrľítn05 aÍ?v ^ al Canto della strada- 11 m™<*° K aveva preši a opra i DoľoelUr i eiP1Uve ^ bÍS°gn°' meno mostrava di averne, e li pagava poco e h trattava male e h stranomava.^ Diceva: Carcamanos! Gringos! Cincali! De- chľlľs0cotT^orPO' C°me 1 negri> in America' questi connazionali di colui 15 nhä e s Z dav ZI nnr8n> °8mtant° Crano messi ^ d^a legge e delia uii*; S le á ľe chľavevľdatn ° T" ^ lor° PatHa' alla Patria loro nobilissima s i Piú profondr^Sn^P.111 .P°tenti conquistatori, i piú sapienti civilizuj ci indagatori, scoP2 ' ZXTl ^ meravi8»™ artisti> 1 pÍÚ ^es e opre erano costrette a cämh dd mondo'lontani ° vicini ehe fossero, q*** 20 tália. 3 Camblar patna, a rinnegare la nazione, a non essere piu d 1 ' a sce"tar selve. a sventraro f, scaglie. ntrare-fare scempio di bo- 2 ,, , . nom 0 » stranomava: assegnava loro nom senso spregiativo. i aventi un