^ All9.s«ia e ill.si.ni delia ..„dizione „ma„a Ha scritto Giovanni Macchia che «quel che cob< ^ stesse parole*, l/n esempto di ctô e data da aheste t>aai„, „ n ! í' Wtia Pascal. OgmmZäei due testU^^nT ~ " ^ 11 h fll fu Mattia Pascal, cap. xu; xm] [A] UNO STRAPPO NEL CIELO Dl CARTA - La tragédia ďOreste in un teatrino di marionette! - venne ad mm | signor Anselmo Paleari.' - Marionette automatiche, di won inve/ione. Staen, alle ore otto e mezzo, in via dei Prefetti, numero cinquantaquattro. Sarebhe da an-darci, signor Meis. 5 - La tragédia d'Oreste? - Giä! D'apres Sophocles dice il manifestino. Sará YElcttra. Ora senta un rnV che bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la ma rionetta che rappresenta Oreste é per vendicare la morte del padre sopra Igisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che awerrebbe? Oi- 10 calei. - Non saprei, - risposi, stringendomi ne le spalle. - Ma é facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sooOGCrtHO da quel buco nel cielo. - E perché? 15 - Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gľimpulsi delia vendetta, vorrebbe se-guirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero 11. I quelle strappo, donde ora ogni sorta di mali intlussi penetierebbero ndla seem, e a sen tirebbe cader le braccia. Oreste, insomnia, diyenjejrebbe Amlcto. 1 utta la difteren za, signor Meis, fra la tragédia antica e la moderna consiste in ció, creda pure: m 20 un buco nel cielo di carta. E se ne andô, ciabattando. . . Mattia Pascal, che per vivere (anzi per... sopravv,- S JJJ^ divťnU.IťWH. do* un I*"***' ^ vcre all* —__S k, «e..nm il nome di Adna- _ _ _t)iiKKi ^hlrmatico. incaiuce di amic vere alla sua mořte) ha assunto il nome di Adria- ^ ^. lubl>i pror,|ťmatKOi „u.ip.ue di agne no Meis, c il signor Paleari, presso il quale, I KO- ' CCcesso di consaptvoklM crWct, conw d ma, eglivive. protagonista del dramnu shakespearuno. 2 Daprěs Sophocle. ricavato (quindi COH 8 I CLASSIC! —Ť-^^^^^m IB) A CIASCUNO IL SUO "LANTKRNINO" Per consolarmi, il signor Anselmo Paleari mi voile dimostrare con un lungo ra-gionamento che il bujo era immaginario. - Immaginario? Questo? - gli gridai. - Abbia pazienza; mi spiego. 5 E mi svolse (fors'anche perché fossi preparato a gli esperimenti spiritici, che si sarebbero fatti questa volta in camera mia, per procurami un divertimento) mi svolse, dico, una sua concezione filosofica, speciosissima, che si potrebbe forse chiamare lantcmitiosofia. Di tratto in tratto, il brav'uomo s'interrompeva per domandarmi: 10 - Dorme, signor Meis? E io ero tentato di rispondergli: «S1, grazie, dormo, signor Anselmo.» Ma poiché l'intenzione in fondo era buona, di tenermi cioě compagnia, gli ri-spondevo che mi divertivo invece moltissimo e lo pregavo anzi di seguitare. 15 E il signor Anselmo, seguitando, mi dimostrava che, per nostra disgrazia, noi non siamo come l'albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, I'aria, la pioggia, il vento, non sembra che sieno cose ch'esso non sia: cose amiche o nocive. A noi uomini, invece, nascendo, ě toccato un tristo privilegio: quello di sentirf.ijá-vere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioě come una realtá fuori di 20 hoi questo nostro interno sentimento della vita,2 mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna. E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lan-ternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sper-duti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt'in- 25 torno a noi un cerchio piú o meno ampio di luce, di lá dal quale ě l'ombra nera, Tombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alia fine a un soffio, ci accoglierá la notte perpetua dopo il giorno fu-moso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alia mercé dell'Essere, 30 che avrá soltanto rotto le vane forme della nostra ragione? - Dorme, signor Meis? - Segua, segua pure, signor Anselmo: non dormo. Mi par quasi di vederlo, co-desto suo lanternino. - Ah, bene... Ma poiché lei ha l'occhio offeso, non ci addentriamo troppo nella 35 filosofia, eh? e cerchiamo piuttosto d'inseguire per ispasso le lucciole sperdute, che sarebbero i nostri lanternini, nel bujo della sorte umana. Io direi innanzi tutto che son di tanti colori; che ne dice lei? secondo il vetro che ci fornisce l'illusione, gran mercantessa, gran mercantessa di vetri colorati/ A me sembra pero, signor Meis, che in čerte etá della storia, come in certe stagioni della vita individuate, si 40 potrebbe determinare il predominio d'un dato colore, eh? In ogni etá, infatti, si suole stabilire tra gli uomini un certo accordo di sentimenti che dá lume e colore a quei lanternoni che sono i termini astratti: Veritá, Virtu, Bellezza, Onore, e che so io... E non le pare che fosse rosso, ad esempio, il lanternone della Virtu 1 Per ... Paleari: Mattia Pascal ha subito unopcra- "concezione" o "coscienza" della vita, ma cli setí-zione ad un occhio e deve rimanerc quarantj ^ior- timento. nTaljjjujfluPer il signor Paleari cfr. nota 1, t 117a. r tantx colori... vetri colorati: il nostro sentimento verso i quali la realta ci appare differentemente. 706 pagana?4 Di color violetto, color depriment* 45 ďuna idea comune é alimentato dal sentiment nll « YinÚ cristiana-11 pero si scinde, nmane si in piedi la lanternaTl , °; Se quest0 sentimente deiridea vi crepita dentro e vi guizza e vi sinlhi astratt0' ma la flamma periodi che son detti di transizione Non ™™ • com^suole avvenire in tutti i Šate che spengono ďun tratto tuth quei fflS,?*^ St0? Certe fiere ven" 50 bujo, allora ě indescrivibile lo scompidio deT C,he Placere! Ncirimprowiso 50 chi di lá, chi torna indietro, dáúSS^S& ^T™ ChÍ " di ^ _ " ,d66ira> nessuna piu trova a via- si urtano s a<>- gregano per un momente in dieci, in venti; ma non possono mete i d wSofe tornano a sparpagliarsi in gran confusione, in furia angosciosa: come le formiche che non rovino piu la bocca del formicajo, otturata per ispasso da un bambino 55 crudele. Mi pare, signor Meis, che noi ci troviamo adesso in uno di questi mo-menti. Gran bujo e gran confusione! Tutti i lanternoni, spenti. A chi dobbiamo ri-volgerci? Indietro, forse? Alle lucernette superstiti, a quelle che i grandi morti la-sciarono accese su le loro tombe?" Ricordo una bella poesia di Niccoló Tommaseo: 60 65 70 La piccola mia lampa Non, come sol, risplende, Né, come incendio, fuma; Non stride e non consuma, Ma con la cima tende AI ciel che me la die. Stará su me, sepolto, Viva; népioggia o vento, Né in lei le etá potranno; E quei che passeranno Erranti, a lume spento Lo accenderan da me: 75 80 Ma come, signor Meis, se alla lampa nostra manca Folio sacro che alimentava quella del Poeta? Molti ancora vanno nelle chiese per prowedere deiralimento ne-cessario le loro lanternucce. Sono, per lo piu, poveri vecchi, povere donne, a cui menti la vita, e che vanno innanzi, nel bujo dellesistenza, con quei loro sentimente acceso come una lampadina votiva, cui con trepida eura riparano dal gelido soffío degli ultimi disinganni, ché duri almeno accesa fin lá, fino allorlo fatale, al quale saffrettano, tenendo gli ocehi intenti alla fiamma e pensando di continuo: «Dio tni vede» per non udire i clamori della vita intorno, che suonano ai loro oreechi come taňte bestemmie. «Dio mi vede...* perché lo vedono loro, non sola-mente in sé, ma in tutto, anche nella loro miseria, nelle loro sofferenze, che avran-no un premio, alla fine. II fioco, ma placido lume di queste lanternucce desta certo invidia angosciosa in molti di noi- a čerti altn, invece, che si credono armati, come temfcmve del fulmine domato dalla scienza, e, in luogo d. quelle lanter-ume tanu uiove, uci ,amn-Hine elettriche, íspira una sdegnosa com- nucce, recano in tnonfo le lampadine cicimv v E non le pare che fosse rosso... Virtu pagana?: il mondo classico considera positivamente (e quin-d" Virtu) la forza fisica, il corag&o, le qualita mi-'itari, una saxiguigiia viulili: da cio un rapporto analogico col colore rosso. scinde: nui^iLpiu^Sfin^^ IS (ettjvaniente. Non sono.. tomb* non sfuggano queste righe, nclle quali Pirandello dimostra la sua lucidi con sapevolezza dellCcrispotlo-noveceMesca. 7 Lopiuolu... dii me. Xiccoló Tommaseo, La mia lampada, in Poesie, Firenze 1872. 8 molti di noi: ™hn ihe, non hann»ima Mi n-ligiosa; ma non siugga la prcgnan/a con la quale e defínito il loro atteggiamento (invidia angosciosa) nei rigujrďi dei credenti. I CLASSICI 85 miserazione.9 Ma domando io ora, signor Meis: E se tutto questo bujo, quesťe-norme mistero, nel quale indarno i filosofi dapprima specularono, e che ora, pur rinunziando alľindagine di esso, la scienza non esclude, non fosse in fondo che un inganno come un altro, un inganno della nostra mente, una fantasia che non si colora? Se noi finalmente ci persuadessimo che tutto questo mistero non esiste 90 fuori di noi, ma soltanto in noi, e necessariamente, per il famoso privilegio del sentimento che noi abbiamo della vita, del lanternino cioě, di cui le ho finora par-lato? Se la morte, insomma, che ci fa tanta paura, non esistesse e fosse soltanto, non l'estinzione della vita, ma il soffio che spegne in noi questo lanternino, lo sciagurato sentimento che noi abbiamo di essa, penoso, pauroso, perché limitato, 95 definito da questo cerchio d'ombra fittizia, oltre il breve ämbito dello scarso lume, che noi, povere lucciole sperdute, ci projettiamo attorno, e in cui la vita nostra ri-mane come imprigionata, come esclusa per alcun tempo dalla vita universale, eterna, nella quale ci sembra che dovremo un giorno rientrare, mentre giá ci sia-mo e sempře vi rimarremo, ma senza piii questo sentimento ďesilio che ci ango-100 scia?1011 limite ě illusorio, ě relativo al poco lume nostro, della nostra individualita: nella realta della nátura non esiste. Noi, - non so se questo possa farle piaccre - noi abbiamo sempře vissuto e sempře vivremo con ľuniverso; anche ora, in questa forma nostra, partecipiamo a tutte le manifestazioni delľuniverso, ma non lo sappiamo, non lo vediamo, perché purtroppo questo maledetto lumicino pia-105 gnucoloso ci fa vedere soltanto quel poco a cui esso arriva; e ce lo facesse vedere almeno com'esso ě in realtä! Ma nossignore: ce lo colora a modo suo, e ci fa vedere certe cose, che noi dobbiamo veramente lamentare, perbacco, che forse in * certi tilth... commiseruzione. qujiiti credono sol tanjo nella scienza e nel progresso (lampadine elettricheoppostea lantemmi)' 10 Se Iti morte... ci angosäa7. la pagina acquista una particolare tensione che si traduce in un pe-riodare per com dire "aiiunudato". Sonst) genera lc: l'uomo parteeipa della vita dell'universo, ma cQ-n "na sua coscieiua.. coa 4U».*u»-««numcn««' deHa vita dal quale deriva la sua iiuiiUUXtf 1,1 °nzzonti, la sua esclusione dall'universale;Ja morte potrehhe liberarlo da questo e sjanifi^'rc un ritorno, una reintegrazione nell'Esserejicbc avrá soltanto rotto le v^f fnrm> Hrlla P'""^"" gione» (come é giá detto alle rr. 29-30). PIRANDELLO Tl 18 un'altra forma d esistenza non avremo piü una bocca per poterne fare le matte ri-sate. Risate signor Meis di tutte le vane, stupide afflizioni che essedha procurá- 10 te, di tutte le ombre, d, tutti « fantasmi ambiziosi e strani, che ci fece sorgere n-nanzi e intorno, della paura che c ispiro! Oh perché dunque il signor Anselmo Paleari, pur dicendo, e con ragione, tanto male del lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso, ne voleva accendere ora un altro col vetro rosso lä in camera mia, pe suoi esperimenti spiritici?" Non 15 era giä di troppo quell uno? i' esperimenti spiritici: dei quali il signor Paleari é infatuato e ora vuole far partecipe Mattia Pascal. II testo A e una "bizzarria" che ha una sua particolare densitä metaforica, ricca di varie implicazioni; ci sembra comunque sufficiente limitarci a rendere esplicito il senso generale della metafora, che a nostro awiso mira a sottolineare la conftittualitä, la frattura, la disso-nanza che sono caratteristiche essenziali del personaggio "moderno": che dallo strappo nel cielo di carta del teatrino ricava la consapevolezza della propria condizione, dalla sco-perta che si tratta di carta azzurrina e non di un cielo vera (cioe, fuor di metafora, di con-venzioni, norme, istituzioni) ricava ir senso - doloroso e paralizzante - della recita e non pud vivere in altra dimensione che in quella di un'amletica perplessitä. Ecco allora «per-plessitä angosciose, ritegni, intoppi, ombre, pietä», che diventano elementi caratterizzanti di questo personaggio (nel quale e legittimo vedere sia la condizione del personaggio rap-presentato sia quella dell'autore che lo rappresenta), ecco le «vertigini e i capogiri» deri-vanti dalla scoperta della convenzionale falsitä di quel cielo di carta. II testo B e una chiara professione di quel relativismo gnoseologicq che e fondamentale nell'ideologia di Pirandello e che nella sua produzione trova frequenti enunciaziom (Mario Costanzo ha indicato, fra I'altro, L'umorismo, parte II, cap. V; Ma non e una cosa seria, Atta II, scena prima; Non si sa come, Atto I; cfr. Pirandello, Tutti i romanzi, a cura di G. Mac-chia, cit., vol. I, p. 1302). Ma ci sembra anche utile notare la vcirjetä di torn che distingue il lungo discorso del Paleari, nel quale I'iniziole accattivante amabilitd colloquiale viene ad un certo punto travolta dalla tensione dram.matica che e insita nellargomentazione (e che si manifesto chiaramente alle rr. 85-111). II sentimento del contrario Dal saggio L^UmojisillP, che ě il testo nel quale piu compiutamente Pirandello argomen-ta la sua poetka (cfr. Profile 12.2), riportiamo alcunepagine essenziali. /L'Umorismo, Parte seconda, il] Vediamo dunque, senz'altro, qual e il processo da cui nsulta quella particolar rappresentazione che si suol chiamare umoristica; se questa ha peculiar! caratten che la distinguono, e da che derivano: se vi e un particolar modo di considerare il mondo, che costituisce appunto la materia e la ragione delPumorismo Ordinariamente, [...] l'opera d'arte e creata dal libero movimento della vita in-teriore che organa le idee e le immagini in una forma armomosa, di cui tutti gl. elementi han corrispondenza tra loro e con Tidea-madre che e coord.na. La n-Aessione, durante la concezione, come durante 1 esecuzione dell opera d arte non resta certamente inattiva: assjsje_ahiasce^ crescere dell opera, ne segue le fas, 10 progressive e ne gode,. raecosta i varii elementi, Ii coordina, Ii compara. La cp-scienza' non rischiara tutto Io spirito; segnatamente per l'artista essa non e un 1U-me distinto dal pensiero, che permetta alla volontä di attingere in lei come in un tesoro d'immagini e d'idee. La coscienza, in somma, non e una potenza creatrice, ma lo specchio interiore in cui il pensiero si rimira; si puö dire anzi ch'essa sia il 15 pensiero che vede se stesso, assistendo a quello che esso fa spontaneamente. E, d'ordinario, nelPartista, nel momento della coneezione, la riflessione si nasconde, r«ta^j2erj£sjji£e quasi, per l'artista una forma del sentimento. Man mano che Popera si fa, essa la critica, non freddamente, come farebbe un giudice spassionato, analizzandola; ma d'un tratto, merce 1 impressione che ne riceve. 20 Questo, ordinariamente. Vediamo adesso se, per la natural disposizione d'ani-mo di quegli scrittori che si chiamano umoiisfcLP per il particolar modo che essi hanno di intuire e di considerar gli uomini e la vita, questo stesso procedimento awiene nella coneezione delle loro opere; se cioe la riflessione vi tenga la parte che abbiamo or ora descritto, o non vi assuma piuttosto una speciale attivita. 25 Ebbene, noi vedremo che nella coneezione di ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile, non resta cioe quasi una forma del.seritT-mento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innan/.i, giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone l'immagine; da questa analisi "perö^da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello 30 che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo Usentimento del contrario. Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quäle orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. Awerto che quella vecchia signora e /'/ contrario di ciö che una vecchia ri-spettabile signora dovrebbe essere. Posso cosi, a prima giunta e superficialmente, 35 arrestärmi a questa impressione comica. 11 conilc^y appunto un avvettiuieaio del contraria Ma se ora interviene in me fcfnfles^prieNe mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi cosl come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perche pietosamente s'inganna che, parata cosi, nascondendo cosi le rughe e la canizie, riesca a trattenere a se l'amore del 40 marito molto piü giovane di lei, eeco che io non posso piü riderne come prima, perche appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel pri-mo avvertimento, o piuttosto, niiTaTjHfijptro: da quel prinio avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed e tutta qui la diffe-renza tra il comico e Pumoristico. 45 Vediamo ora un esempio piü complesso, nel quäle la speciale attivita della riflessione non si scopre cosi a prima giunta; prendiamo (...) il Don Quijotedel Cervantes. Vogliamo giudicarne il valore estetico. Che faremo? Dopo la prima lettura e la prima impressione che ne avremo ricevuto, terremo conto anche qui dello stato d'animo che Pautore ha voluto suscitare. Qual e questo stato d'animo? Noi 50 vorremmo ridere di tutto quanto c'e di comico nella rappresentazione di questo povero alienalo che maschera della sua fbllia se stesso e gli altri e tutte le cose; vor- 1 La coscienza: il termine é da intendere nel senso di "consapevolezza". : Questo, ordinariumente... speciále attivitá: per comprendere meglio i termini del problema qui affrontato da Pirandello sará utile ricordare che egli polemizza con I'estetica di Croce e la sua Hj-ctrnrmnejrale vane attivita nmanp (o dello "Spirito"^, dot quella teoretica. quell.i prati^a, ecc. All'interno di questa polemica, che rifiuta la di- stinzione e separazione delle varie jiíHvifá dello sp"Trinj e rivendičälTŕuoIo'd^plla_^j|flf««"n^ŕo delia "coscienza") nel processo della ereazione ar-iistic.i, ľirandello distingue pero tra quanto av-viene ordinarúiuentc (n. 5 19) c quanto invciS i' SPCcj,ficP di qi'flľartista chť egli deflniscc "unio-nsta", ľartista cioé nel čui processo ereativo 1 'jn-cidenza delia riHessione é maggiore e determinante cne negli^Jtri. 60 remmo ridere, ma il riso non ci viene alle labbra schietto e facile; sentiamo che qualcosa ce lo turba e ce 1 ostacola; é un senso dkommiserazloi*, di£i3 e anche questo povero hidalgo sono s5 ridicolissime, pur non v ha dubbio che egli nella sua ridicolaggine é veramente eroico. Noi abbiamo una rappresentazione comka, ma spira da questa u n senti-mento che ci impedisce di ridere o ci turba il riso della comichä rappresentata; ce 16 rende amaro. 'Attraverso il comico stesso, abbiamo anche qui il sentimento del contrario. Ľautore ľha dostato m noi perché s e destato in lui, c noi ne abbiamo giä veduto le ragioni. Kbbene, perché non si scopre qui la speciale attivita della ri-flessione? Ma perché essa - frutto della tristissima esperienza della vita, esperienza che ha determinato la disposizionc umoristica nel poeta - si era giä esercitata sul sentimento di lui, su quel sentimento che lo aveva armato cavaliere della fede a Lepanto.1 Spassionandosi di questo sentimento e ponendovisi contro, da giudice, 65 nella oscura carcere della Mancha, ed analizzandolo con amara freddezza, la ri-flessione aveva giä destato nel poeta il sentimento del contrario, e frutto di esso é appunto il Don Quijote. é questo, sentimento del contrario oggettivato. II poeta non ha rappresentato la causa del processo (...) ne ha rappresentato soltanto l'ef-fetto, e perö il sejotimento-deLcontrario spira attraverso h comicitä della rappre-70 sentazione^ questa comicitä é frutto del sentimento del contrario generato nel poetadallaspecialeattivitádellariflessionesulprimo sentimento tenutonascosto. 3 cavaliere... a Lepanto: Cervantes aveva parteci-pato ed era stato ferito alia battaglia di Lepanto (1751) (cfr. vol. 2a, t38, dove si accenna all'inter-pretazione del Don Chisciottc qui proposta). II senso generale del passo ě alľincirca questo: nel Don Chisciotte non c'e prima una rappresentazione comica e dopo la riflessione sulle singole vicen-de dell'eroe; quando arriva a rappresentare il suo eroe, Cervantes ha giá esercitato e sperimentato in se stesso il sentimento del contrario, ha guardato i suoi entusiasmi di difensore della fede (a Lepanto) alla luce del dopo, della triste esperienza del carcere. Nella figúra di Don Chisciotte ci sono quindi il prima e i] dopo delľesperienza biografica deJLiuluKuna-Vissuti odlo stes-sn tempo nello Ste^SO istante, CO""1 .of