JACOPONE DA TODI II piú celebre autore di laude ě Jacopone da Todi; ma le sue laude, benché generalmente in forma di ballata, non hanno niente a spartire con quelle delle confraternite, nei cui popolari repertorí entrano solo per eccezione. «Ii Laudario Jacoponico non ě un rituále né un'antologia: ě un Laudario personale», scrive il De Bartholomaeis; egli doveva comporre per i propri confratelli, predsa il Novati, confermando il dato dell'antica tradizione mano-scritta («pro consolatione et profecto [profitto] novitiorum studentium»). Una biografia di aspetto alquanto leggendario fa morire Jacopone nel 1306 di settant'anni: date che sembrano pero confor-tate dalľopera. Si dice che appartenesse alla famiglia todina dei Benedetti e fosse notaio; e che la sua conversione fosse provo-cata dalla morte, in un crollo durante una festa, delia moglie, sul cui corpo fu trovato il cilicio. II fatto, se ci si riferisce alla lauda Que farai, fra Jacovone, va posto circa il 1268; dieci anni dopo, e furono anni di vita mendica da terziario, ľingresso nelľordine francescano vero e proprio. Jacopone appartenne alla corrente rigoristica degli Spirituali, ne approvô ľambasciata a Celestino V (1294), partecipô alla lotta che, alleati dei Colonna, essi sosten-nero contro Bonifacio VIII. Fu tra i firmatari del manifesto di Lunghezza (nelľattuale comune di Roma) che deponeva il papa e chiedeva la convocazione del concilio (10 maggio 1297), fu dei catturati a Palestrina (settembre 1298) dopo lungo assedio e restô in carcere fino alla morte di Bonifacio (ottobre 1303). Pare vivesse i suoi ultimi anni a Collazzone presso Todi. II precedente culturale piú evidente degli Spirituali in genere (il cui libro fundamentale ě ľ Arbor vitae crucifixae Jesu di fra Ubertino da Casale), e di Jacopone in particolare, ě il filone mistico ehe, nelľalveo agostiniano, si richiama al Pseudo-Dionigi: il discepolo di san Paolo a cui furono attribuiti trattati (in realtä composti nel V secolo in ambiente neoplatonico) tradotti presto anche in latino e diffusissimi nel medio evo; il principále anello di congiunzione con la corrente mistica francescana, di cui ě capo san Bonaventura, ě rappresentato dalla scuola dei Vittorini (canonici regolari di Saint-Victor a Parigi). La teológia a cui Jacopone si rifa ě una teológia non positiva ma negativa, in quanto Dio vi ě definito solo per opposizione alia qualitä del finito, ed ě perciö non-Essere piuttosto che Essere: non ente di ragione, ma termine di azione, l'unione con Dio, tecnicamente detta «trasfor-mazione», che ě un rovesciamento della natura umana. Al terna delľamore divino fa contrappeso nel laudario jacoponico la con-siderazione satirica della realtä, violentemente negata nei suoi tradizionali aspetti mondani, di cui ě denunciata la caducitá e vanitá, e nelle specifiche tentazioni del religioso, che sono il fari-saismo e la libido sciendi. In possesso di buona cultura, fosse pure per rifiutarla, Jacopone per solito non ricorre al latino (del suo latino sono sicuri solo pochi righi, ma l'attribuzione di brevi prose ascetiche e di qualche poesia, principále lo Stahat mater, non puö essere troppo velocemente respinta): ricorre, con inten- zione di accusata espressivitä, non di rado grottesca, alia parlata dei poverí di cultura, al suo dialetto umbro. Raccolte organiche di laude jacoponiche, dove saranno anche da rintracciare nuclei origináli, furono elaborate in ambiente soprattutto francescano nel Tre e nel Quattrocento: mettere ordine nel laudario, espellerne i numerosi apocrifi, recuperare le non poche laude che corrono anonime, é stato ed é cómpito, arduo quanto appassionante, delia moderna filológia. Delia quale é a ogni modo precedente necessario l'interesse degli amatori di poesia (e non dei soli cultori della pietä), che per le ragioni indicate di espressivitä poteva nascere solo col romanticismo. II neo-classico Perticari, che fu pure un pregevole studioso delle scritture antiche, sentiva disgusto della creativitä neologistica di Jacopone, mentre al De Sanctis, benché male informato dei com-ponimenti autentici e incompetente di teológia, non sfuggiva l'importanza di quel grottesco; e il D'Ancona elaborö il mito, per quanto oggi anacronistico, del «giullare di Dio». Gli studi sulla mistica jacoponica hanno costretto a impostare in modo partico-lare, per quello che riguarda Jacopone, la problematica crociana di poesia e non-poesia: il Russo e il Casella in ispecie, con formule talvolta coincidenti («attualitä dei sentire» l'uno, «attualitä dello slancio mistico» ľaltro), hanno messo in giusto rilievo I'in-conciliabilitä dei poetare jacoponico con qualsiasi concezione umanistica della poesia. Le laude qui scelte trattano anzitutto la tematica mistica ed ascetica: amore divino, povertä, vanitä dei secolo; meditazione sulla Passione {Donna dei Paradiso ě, con altre due dei codice giä Urbinate, il piu antico esempio di lauda interamente dialogata, dunque della futura lauda drammatica, che si diffonderä appunto dall'Umbria). Seguono poi laude ďoccasione: su Celestino V, su Bonifacio VIII, sulla prigione da lui inflitta alľautore. Tutti que-sti componimenti appartengono al repertorio tradizionale, com-preso (con ľaddizione di qualche spuria) nella piú antica raccolta a stampa (fatta a Firenze nel 1490). Sono aggiunte pero due poesie (escatologiche, sotto il titolo De conversione peccatoris) tratte da quella parte dei laudario Urbinate che per ragioni stili-stiche va assegnata a Jacopone. Vengono poi esempi di impor-tanti scritture che giä in antico furono ascritte al patrimonio jacoponico: i Proverbia, probabilmente abruzzesi, e lo Stabat mater, questo di apocrifia tutt'altro che sicura. Per la conoscenza del linguaggio jacoponico (sui Proverbia, non jacoponici, viene data una nota speciale) valgano i seguenti awertimenti. Vi mancano anzitutto quei fenoméni ehe, diffusi dal fiorentino, non caratterizzano nemmeno tutta la Toscana: la chiusura delle vocali toniche (anafonesi, col termíne del Castel-lani) in lengua, vénto, ionto... (ehe nella lingua di base fiorentina diventano -i-, -ú-), di e protonica in se, de-, en, esmesurato, cepolla... (Jacopone ha in compenso virgogna, sirô...). La lingua di Jacopone mostra quali fenoméni piú vistosi: la metafonesi da -I (anche analogico) e -U (fice «feci», -isti «-esti», vide e mitte imperativi..., nui, surci, rutti, -uri «-ori»..., quisto, isso, -imo per «-emo»...); fre-quente -e da -i; ar- da RE- (argir, arvol, arman, arvenuto...), fatto ehe si salda con la prostesi di a a r- (aresce, aradunata...); o in ponire «punire»; la conservazione di i consonante (iubelo, iogo, iace, iornata..., aio «aggio, ho», veto «veggio, vedo», saietta, soiet-to..., cfr. relione e la serittura nigente «niente»); ľassimilazione in ND (granne, monno, donne, spenne, banno, -enno «-endo»...) e GN (renno, Sardenna); il raddoppiamento di -N- (cennere o cénnar); la sorda da -SJ- (mascione, pescione «pigione», malvascio...); ľepitesi di -ne (scuntrône, mustrône). Nella morfológia: i resti di nominativi (mate MATER, pate PÁTER, peco PECUS), il plurale palatalizzato (agni «anni»); la diffusione del suffisso (dalľaccusativo degli imparisillabi) -one (cestone «cesto», stomacone, scudone... e lo stesso nome delľautore); i possessivi tio e sio (su mio); il vocalismo, portato alle forme forti, di eurre, soceurga, mustri; il tema di pozzo «posso» e quello analogico di degga «debba», moga «muoia», soceurga «soecorra»; le terze pluráli ho, fo, sto (da -ao) «hanno, fanno, stanno» e con -o da -UNT (prenno); la conservazione del congiun-tivo servamo. ĽUrbinate ha regolarmente ar da -er- postonico (éssar(é), vivare...). O IUBELO DEL CORE... Ballata di tutti settenarí, schema ababbx (ripresa xx), sul tema delľamore mistico. La parola-chiave, iubelo, compare, sotto forma di ripetizione iniziale (anafora), nella variante Quanno iubel(o) nelle prime tre strofe, nella variante O iubel(o) nella quarta e nella ripresa; non partecipa di quesťartificio ľultima, svincolata come suol essere il congedo delia canzone. Alcune rime si rinnovano in strofe successive (b dalla prima alia secon-da, a da questa alla seguente). O iubelo del core, ehe fai cantar ďamore! Quanno iubel se scalda, Torna alla pagina 158 Paglna 393 Pagina 394 1 pagina rimanente nel capitolo