Emilio Pasquini Fra Due e Quattrocent Cronotopi letterari in Italia LETTE RATUR A ITALIANA SAGGI E STRUMENTI FrancoAngeli iL MESSAGGIO POETICO DI FRANCESCO D'AsSISI Ě con una certa emozione che ritorno a testi e problemi che cominciai a coltivare nel lontano 1970, stendendo il capitolo relativo nella Storia delia letteratura italiana dell'editore Laterza, diretta da Carlo Muscetta; ma non posso non richiamare al tempo stesso la commozione che provai in prima liceo a studiare per la prima volta il Cantico delte creature (ľavevo letto, ma non capito né apprezzato nei primi anni delle Medie inferiori, in parte giä alle elementari). Cosi, questo di oggi ě il terzo incontro con la parola di Francesco: tanto piü consapevole dei precedenti, in quanto carico di una pluridecennale esperienza didattica neue aule universitarie. Eppure, oggi, debbo piü che mai cercare di tornare alle radiči, anche per sottrarmi al peso delle tante riletture che si sono sviluppate intorno alla figura e alľopera de] santo di Assisi, a cominciare dall'affascinante interpre-tazione che di lui ha offerto Dante nel quarto cielo (Paradiso, canto XI), affidandone ľelogio a Tommaso dAquino. Una geniale^tTumeritäTízžazio-ne'', dominata da una stratégia ideologica che va ben oltre la dimensione storica del personaggio^ma noea qiun ŕrancesco-Sole, creatura di luce e di fuoco era giä neUeJbnti frMcescane1. Nella prospettiva dantesca, Francesco divMŕá'ľé^Qe^uĽ^Yeťtä, o meglio il cojtromodejlo solare della lupa, ľavarizia o ľaviditä che domina il mondo civile, la cui icona si iden-tilica con la pianta malefica della casa di Francia, i Capetingi, corruttrice della Chiesa e del popolo di Dio (si veda in proposito il XX del Purgato-rió). Nessuna traccia, in quel memorabile XI canto, delľalone poetico del- 1. Cfr. da ultimo Pietro Citati, Un uomo unico tra i segretl dell'iiniverso, a proposito della Vita di Tommaso da Celano. in uno splendido elzeviro uscito su "La Repubblica" del j 23 giugno 2005: «Q_uest'uomo di peccato e malattia, di grotta e vermi, di terra e abiezione, notf guarda mai verso la terra, perche la terra e il regno della pesantezza. Guarda verso la luce di Dio: egli e soprattutto una creatura di luce e di fuoco. come rivela un episodio imitate) da un passo famosissimo della Bibbia...» (e allude al carro di Elia, nel Libro dei Re: un prodigio rievocato per Francesco dal Celanense). 1*17 i , .—1? la parola di Francesco. Vi dominano invece i gesti decisivi di un'esistenza eccezionale, le nc^ «m^ma^c^^ regola, la 'predicazione fiC^^rrrQeiTTlestiir^^ la morte sullä nuda terra. Insomma, Dante, il quäle ben conosce e mette a profitto le biografie del santo, mostrerebbe di ignorare i suoi testi creativi, in particolare qui le Landes creaturarum, il Cantico delle creature, al quäle ricorrerä in tutt'al-tro luogo del poema, come vedremo. Detto altrimenti, Dante ha fatto di Francesco, in parallelo a Domenico, l'eroe della fede_ (ricordate che per soccorrere la Chiesa pericolante la Provvidenza divina «due principi ordi-nö in suo favore, / che quinci e quindi le fosser per guida»: Paradiso, XI 28 ss.), Feroe di un'azione riformatrice ispirata ai valori del Vangelo e all'e-sempkfdi Cristo. mettendo in ombra quanto ci resta della sua parola. E ciö saTäwro e legittimo sul piano della macrostoria, che puö del resto riser-vare certe particolari emözioni (penso alla benedizione autografa di Francesco a frate Leone nella cartula che si conserva nel reliquiario assisiate)2; ma il nostro discorso sul messaggio poetico di Francesco non puö non an-dare in tutt'altra direzione, che privilegia le parole rispetto ai gesti. Occorre anche sottrarsi a una seconda e piü sottile insidia, quella della figurazione un po' affettata e leziosa, quando non sdolcinata, che ema-na dai Fioretti: tarda stilizzazione di una microstoria ritmata da miracoli e prodigi, che ha diffuso per secoli un'immagine poco veritiera del santo assisiate: culminante nel pezzo forte del colloquio con frate Leone a proposi-to della vera letizia. L'autentico Francesco, carattere scabro e asciutto, tem-pra di combattente ma portatore di pace, e semmai quello che esce dalle fonti dei maggiori biografi, Bonaventura da Bagnoregio e Tommaso da Celano. Del primo si colga questa'istantanea dalla Legenda maior (V 6): Otium autem omniura malarum cogitationum sentinam docebat summopere fugiendum, exemplo demonstrans, rebellem carnem et pigram disciplinis continuis et fructuosis laboribus esse domandam. Unde corpus suum asinum appellabat, tamquam laboriosis supponendum oneribus, crebris caedendum flagelli set vili pabulo sostentandum. Si quem vero cernebat otiosum et vagum aliorum velle manducare labores, fratrem muscam nommandum censebat, eo quod talis nihil boni facies, sed benefacta inficiens, vilem et abominabilem se omnibus reddat... Cioe>: ? L'ozio, poi, sentina di tutti i pensieri malvagi, insegnava che lo si deve fuggire con somma cura e. mediante il suo esempio, mostrava che la carne ribelle e pigra si doma con d1SCrpline continue e fruttuose fatiche. In questo senso chiamava il • riuLta" m7Z™a!t afra i Ennc° Menestö e Stefano Brufani' Assisi> Edi™ni Por" ziuncula, 1995, pp. 50-51 e Fowi Franc««,™. PBdova, Edizioni Mcssaggeio 1980 p 177 3. Fontes Franascam.... pp. 817-818 * Fonti francescane..., p. 875 12 suo corpo «frate asino», indicando che va sottoposto a compiti faticosi, va percos-so con frequenti battiture e sostentato con foraggio di poco prezzo. Se, poi, notava qualcuno ozioso e bighellone, che voleva mangiare sulle fatiche degli altri, lo face-va denominare «frate mosca», perché costui, non facendo niente di buono e spor-cando le buone azioni degli altri, si rende vile e abominevole a tutti. Al secondo - oltre alia pagina straordinaria sulla conversione di Francesco4 - dobbiamo questa preziosa testimonianza del fascino che esercitavano l'oratoria e persino la gestualitá del predicatore, grazie anche alia sua so-vrana capacitá di adeguarsi a pubblici diversi (Vita secunda, LXXIII)": Licet autem evangelista Franciscus per material ia et rudia rudibus praedicaret, utpote qui sciebat plus opus esse virtute quam verbis, tamen inter spirituales magisqua capaces vivifica et profonda parturiebat eloquia. Brevibus innuebat quod erat ineffabile, et ignitos interserens gestus et nutus, totos rapiebat auditores ad caelica... cioe: II predicatore del Vangelo Francesco, quando predicava a persone incolte, usava espressioni semplici e materiali. ben sapendo che vi ě piü necessitä di virtú che di parole. Tuttavia tra persone spiritual i e piü colte cavava dal cuore parole profonde. che davano vita. Con poco spiegava ciö che era inesprimibile e, unendovi movi-menti e gesti di fuoco, trascinava tutti alle altezze celesti. Ma il vero Francesco ě soprattutto nei suoi scritti, non soltanto quel-li vergati con un evidente intento letterario. Non vi ě dubbio, ad esempio. che un alone di poesia emani dal latino disadorno, ma tutt'altro che incol-to, del Testamentům, da cui estraggo un passo nell'antico volgarizzamento duecentesco6: E poscia che '1 Signore Iddio m'ha dato de' frati, niuno mi mostrava quello ch'io dovessi fare; solamente l'altissimo Iddio m'ha rivelato ch'io debba vivere secondo la formadel santo Evangelio. E io con poche parole e semplice I ho tatto iscrivere. e messere lo Papa me l'ha confermato. E coloro che veniano a ricevere e a vivere con questa vita, tutto quello che avere potevano, davano a' poveri. ed erano contend d'uno vile e solo vestimento dentro e di fuori ripezzato e racconciato, collo cingolo e' panni di gamba. E piü non volevano avere. L'ufficio noi cherici diciava-mo secondo gli altri cherici, e' laici dicevano il paternostro; e molto volcntieri sta- 4. Su cui ritorna Citati, Un noma muco...: «La conversione di Francesco avviene con passi discreti, leggerfe'lrtairetti: čón cenní e piccoli simboli, evitando l'aspetlo tremendo e spettacolare delle conversioni di Paolo o Manzoni...». 5. Fontes Franciscam..., p. 541 e Fonti Francescane..., p. 640. 6. Testo in Mistici del Duecento e del TrecentQ a cura di Arrigo Levasti, Milano. Riz-zoli, 1961, p. i i^V^s«^/N^-/^ 13 varno nella chiesa, e eravamo ignoranti e sottoposti a tutti. E io colle mie mani la-vorava... Altrettanto indubitabile che qualche emozione si trasmetta anche attra-verso certe sue preghiere, a dispetto delle riserve di Benedetto Croce, il quale escludeva invece la preghiera dall'orizzonte della poesia. Penso alia travolgente iterazione delle Landes Dei altissimf: Tu es sanctus Dominus Deus solus, qui facis mirabilia. Tu es fortis, tu es magnus, tu es altissimus, tu es rex omnipotens, tu pater sancte, rex caeli et terrae. Tu es trinus et unus Dominus Deus deorum, tu es bonům, omne bonum, summum bonum. Dominus Deus vivus et verus. Tu es amor, Caritas; tu es sapientia, tu es humilitas, tu es patientia... («Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende. Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l'Altissimo. Tu sei il Re onnipotente. Tu sei il Padre santo, Re del cielo e della terra. Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dei. Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, Signore Iddio vivo e vero. Tu sei amore, caritä. Tu sei sa-pienza. Tu sei umiltä. Tu sei pazienza»). O aWOratio ante crucifixum dicta*: Summe, gloriose Deus, illumina tenebras cordis mei et da mihi fidem rectam, spem certam et caritatem perfectam, sensum et cognitionem, Domine, ut faciam tuum sanctum et verax mandátům di cui si tramanda anche una versione in volgare: Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio et dame fede dricta, speranza čerta e caritade perfecta, senno e cognoscemento, Signore, che faza lo tuo santo e verace comandamento. Che vada acquisita al circuito della poesia, stando anche alla rigida gri-glia delle sei funzioni di Jakobson (la poetica, quando la comunicazione fa leva sulla qualitä del messaggio), proprio in quanto si fonda suWiixlarita^ iwfeonwLjmche la brevissima lauda di 13 versi rivolta alle sorelle ciarisse, sulla cui autenticita a ťorto si ě dubitato, pare ugualmente sicuro. Rileggia-mone almeno ľinizio9, dove spicca il perentorio invito alľinterioritä, di sa-pore tutto agostiniano («Noli foras ire, in te ipsum redi. In interiore hornine habitat veritas»): 7. Fontes Franciscani..., p. 45; Fonti Francescane. 8. Fontes Franciscani..., p. 167 9. Ibid., p. 245. ..pp. 176-177. 9 '1 tuo valore / da ogne creatura. Pater iwster^pér tradurre il secondo versetto, «sant í 13 ® Audite, poverelle, dal Signor[eJ vocate, ke de multe parte et provincie sete adunate: vivate sempře en veritate, ke en obedientia moriate. Non guardate a la vita de fore, ka quella dello spirito ě migliore... Iniine al regno della poesia appartiene per intero il Cantico delle crea-ture, testo di semplicissima lettura ma insieme di complessa interpretazio-ne, su cui peraltro, alia luce dell'esegesi secolare, sembra davvero arduo dire qualcosa di nuovo10. Sia dßttq preliminarmente che tutto ruota intor- _ no alla resa della preposizione per^reiterata piü volte nel testo senza appa-renti variazioni semantiche, la'-qtratlé prospetta ben tre possibili interpreta-zioni. La prima, avallata nientemeno da Dante («Jarrchtto sia '1 tuo nome e » a Purgatorio,[Xl 6-7jnella parafrasi del cetur nomen tuum»), oltre che dai biografi piü autorevoli (Tommaso da Celano, Vita secunda, CXXIV: «Inaudite devotionis affectu complectitur omnia, alloquens ea de Domino, et in laudem eius adhortans», cioě: «Abbraccia tutti gl i esseri cre-ati con un amore e una devozione quale non si ě mai udita, parlando loro del Signore ed esortandoli alia sua lode»)", vede neljjer ľequivalente di un da, a introdurre un complemento di agente: le lodi, rivolte a Dio, sarebbe-ro dunque intonate dalle singole creature, e perciô nel titolo {Cantico delle creature o Laudes creaturarum) il genitivo sarebbe soggettivo. La secon-da vede il per come segnale di un mmplemento Hj causa: dunque. sarebbe ľautore (e con lui ogni singolo cristiano) a lodare Dio perché ci ha donate taňte cose belle, gl i elementi essenziali delia natura c della vita, dal sole alla morte. La terza coglie nel per un valore mediale, simile a quello della ^formula «per Christum Dominum nostrum»: quindi le creature avrebbero come Cristo un ruolo di mediazione fra gli uomini e Dio. Le cose si com-plicano anche per IthlěTTerenža col CHm^he apre la terza lassa («Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tueVreirture»), dove sembra che la lode pro-venga ancora dalľautore orante, come nei quattro versi d'esordio. La mia opinione ě che Francesco non privilegiasse ľuno o l'altro di que-sti significati, ma Ii sentisse compresenti quasi in un reciproco corroborarsi, consapevole anche della difficoltä di un significato unico per alcuni degli elementi chiamati in causa, non riducibili a un comune denominatore (cosi il fuoco o ľacqua e la morte, ancor piü quelli ehe perdonano nella quar- 10. Lo si rilegga o in Fontes Franciscani..., pp. 39-41 o in Fonti Francescane..., p. 178. Rinuncio a dare anche una pallida idea della bibliografia smisurata su questo glorioso manufatto. 11. Fontes Franciscani..., p. 590 e Fonti Francescane..., p. 685. 14 15 tultima lassa). E tuttavia l'ispirazione di quest'inno-preghiera, segmentato nell'edizione moderna in'l2 mini-lasse. resta unitaria, non soltanto perché l'ossatura e fornita da una serie compatta di vocativi. (prevalentemente Signore, ma per trc volte Altissimo), infranta solo nella coppia finale, rivol-ta al voi dei confratelli o dei fedeli in genere, ma anche per il ferreo paral-lelismo, lassa per lassa, del sintagma Laudato si'..., con una prima serie di sette occorrenze, interrotta dal sintagma Beati qitelli... (riecheggiato all'in-terno della penultima lassa in opposizione al guai a quelli del verso precedente), e ripresa dall'isolato Laudato si'... della medesima lassa: quattro versi che possono riguardarsi come una^arafrasijii Mfltt^q V 10,(«Bea-ti qui persecutionem patiuntur propter iustitiam, quoniam ipsorum est re-gnum caelorum», cioě «Beati quelli che soffrono persecuzioni per causa della giustizia, perché di loro ě il regno dei cieli»). Fa invece storia a sé l'ultima lassa, con l'esuberante sintagma Laudate e benedicete [...] et ren-gratiate I e serviateli...): un "a parte" rivolto al suo pubblico, in presenzae in assenza. ^-- Si aggiunga il ricorso^aflě~metafore di parentela{"fratello/ ě il sole, come il vento e il fuoco; KoreHej') sono la luna con le~sre"iteTracqua, la ma-dre terra, la morte corporaleTCiö sia detto a dispetto della remota possibili-tä (suggerita dalle antiche fonti francescane) che solo le lasse iniziali siano state composte dopo una notte di tormenti fisici illuminata alia fine da una visione consolatrice, e che in momenti successivi si siano aggiunte le lasse della rassegnazione o del perdono, addirittura in prossimita della morte i versetu finali. E difficile spiegare a fondo il fascino di questo testo, anche a volerlo analizzare pezzo per pezzo. I primi quattro versetti mostrano l'autore quasi in ginocchio davanti a Dip, invocato con tre appeUativi/'altissimo. on-nipotente e buono") cui si aggiungono qnnttrn attrihiui^oUrp a lodi e bejie-dizioni, l'onore e la_gloria insieme, congiunzione che esclude l'uomo, cui ě negata la gloria. La seconda sequenza ě una sorta di parafrasi di uno dei comandamenti («Non nominare il nome di Dio invano»), mentre la terza lassa (di cinque versi come la penultima, mentre le altre oscillano fra due e tre versi) fa eccezione rispetto alle altre in quantqj)ioě_lodaio con tut-te le creature, fra le quali si privilegia non a caso il sole, icona peculia-re del Creatore. Lo Speculum perfectionis, tra le fonti francescane, giusti-fica - uno dei titoli vulgati (Canticum fratris Solis, Cantico di frate Sole) aitribuendo aUanto il concetto che «sol est pulchrior aliis creatmis^eTma-gis potest assimilari Deo, immo in Scripnirá ipsp. TVvminni vocatur solju-siniac^ (cioě: «11 sole ě la piü bella di tutte le creature e piü rassomiglia al S.gnore, tanto che nella Scrittura ^Sjgnc^te^e chiamato sole di giu- 12. Ibid.. rispettivamente a pp. 2044 e 1434. 16 stizia»); che era peraltro nozione diffusa, riecheggiata da Dante nel Convi-viti: «Nullo sensibile in tutto lo mondo ě piü degao^di farsi essemplo di Dio che '1 sole» (III xii 7). Non a caso, dunque,(Vsole ě sottratto nel Cantico alia sequenza dei per e incluso in una lode che l'autore rivolge a Dio e al creato insieme. dove il sole ě la sola entita paragonabile a Dio: quindi la lode risulta indirizzata a Dio e insieme (cum) al sole, quale unico rappresen-tante del creato degno di l'ungere da figura Dei, icona di Din. Segue la sgrie 4e,lle laudes-rese a Dio dal santo a nome della comunita dei fedeli perche'ci 5a dato tanti doni benefici (luna e stelle-vento e varia-zioni di clima-acqua-fuoco-terra-persone miti e pazienti-morte fisica), se si accede all'interpretazione causale. Oppure, se si privilegia la funzione pas-siva, con per = "da" e complemento d'agente. siamo di fronte a una sequenza di lodi nvolte a Dio ďa tutte queste creature (compresa la morte), ugual-mente celebrate per la loro bellezza e utilita. O iníine l'invocazione sale a Dio dalla voce del santo non direttamente, ma_^iamandqlevarie_ entita naturali, celebrate per le loro virtu, a fungere da mediatori, come si prega Dio per Christian Dominiím nostrum, quasi rileiiendoci indegni di un ap-proccio diretto e invece bisognosi di un aiuto. Ma se riteniamo, anche alia luce della energia culturale di Francesco, che tali interpretazioni possano in certa uiisura^cojiyivere nella sua pre^hiera. ció che veramente conta é la selezione degli elementi del creato {tucte le tue creature) da. lui ritenuti basi lari per una visione cristiaiaraCTruniverso. Spiccá il sole, che non 6 solo frate ("fratello") ma anche messor, cioe dominus, "signore". Per lui non sono necessari molti appellativi (solo una coppia: belTu e radiante), perché in primo piano stanno gli effetti della sua azione, decisivi per la vita e la salvezza deU'uomo: é l'origine della luce diurna (lo qual e iorno), strumento di Dio per illuminarci, anche perché ne rappresenta l'unica possibile immagine (de te [...] porta significatione). Da sottolineare che un duplice appellativo, oltre che al sole, ě riservato soltanto alia terra, che é insieme sora e matre, per i molti.benefici che ci concede: infatti ci sostiene, ci alimenta e produce i suoi molteplici frutti. Tre attributi per la sorella luna e le sorelle stelle (chirite el pretiose el belle): unico ma essenziale il dono che ci viene dal vento, dalle nuvole e dal mutare delle stagioni, il sostegno per la salute e la condizione per il la-voro deU'uomo; quattro attributi per sorella acgua, (utile et umile et pretio-sa et casta) e altrettanti per fratello iuoco_(bello et iocundo et robustoso et forte), che pefgiunta ě il mezzo offertoci da Dio per vincere le tenebre del-la notte (eďěfacile per'noi immaginare il buio notturno che in quei secoli awolgeva le abitazioni, in cittá non meno che in campagna). Nell'ultima parte viene in primo piano il mondo deU'uomo, quello dei perseguitati ingiustamente, capaci di ogni sopportazione, per i quali si spa-lancano la porta e la gloria del cielo ("saranno incoronati da te. Signore"). Sembrerebbe qui prevalere una sorta dmscjritturadelle^ 17 "Sous lichá (Matteo 5, 2-11; Luca 6, 20-26), con una modulazione sintattica rical-caíai(sia pure con due soli elementi) proprio sul Discorso della montagna; ma in realta la composizione si chiude con una rinnovata lode a Dio, que: sta volta per sorella mořte, quella del corpo, «da la quale nullu homo viven-te po' scappare», tuttavia santificata dall'accordo con Dio, dunque opposta a quella deU'anima, che ě la mořte secunda, "la dannazione". La tonalitä ě suggerita da un tratto celebre MYApocalisse attribuita dalla tradizione a jsan Giovanni (XjCfr): «Beatus et sanctus, qui habeTpartem in resurrectione" Lprima: in his secunda mors non habet potestatem, sed erunt sacerdotes Dei et Christi et regnabunt cum illo mille annis» (cioě: «Beato e santo chi ha parte nella prima risurrezione! Su costoro la morte seconda non ha potere; ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo, e regneranno con lui mille anni»). Ma ě tutta francescana la serenitä di simile conciliazione con lajmorte, vi-sta come ilmassimodelle beatitudini, in questa penultima lassa dove con-vivono il Laudato si' e il Beati quelli..., preparando cosiTapDejlofinale ai confratelli e ai fedeli perche si uniscano in una lode collegi'äle al Signore, che e insiěrňě bénedizione, ringraziamento e umile spirito di servizio. Non possiamo neppure lontanamerrte=šrnrnaginare quale fosse l'impat-to di un simile těsto sul pubblico de§ 122jj/o dei mesi immediatamente suc-cessivi alia sua diffusione, prima o döpo la morte del suo autore (1226): quale fosse il tipo di eseeuzione di questi versetti salmodici o litanici, con ogni probabilita aecompagnati da una melodia originale, ispirata a model-li della innografia mediolatina o del canto gregoriano. Possiamo dire che i contemporanei di Francesco, rispetto a noi, erano meglio in grado di per-cepire la mirabile fusione fra il registro delle laudes liturgiche, nella prima parte, e quello evangelico-apocalittico nella seconda. Aggiungiamo che alcune tra le fontifencejcanej)iů antiche ci comunicano emozioni tali da farci illudere dip'artgcl^areaquel clima di esaltazione ascetica e religiosa che vide sgorgare il capolavoro di Francesco. Penso a certe pagine del Sacrum commercium saneti Francisci cum domina Paupertate, "Le mistiche nozze del beato Francesco con madonna Povertä"), come quella dove la Po-vertä b invitata da Francesco coi suoi fraticelli a condivirJere il loro pasto consuěto a base di pane, erbe scondite e acqua": Postquam autem exsaturati sunt magis ex tante inopie gloria quam essent rerum omnium abundantia, benedixerunt Domino, in cuius conspectu tantam invenerunt gratiam, et duxerunt illam ad locum in quo quiesceret, quia faticata erat. Sicque supra nudam terram nudam se proiecit. Petiit quoque pulvinar ad caput suum. At illi statim portaverunt lapidem et supposuerunt ei. Ilia vero, quietissimo somno ac sobria dormiens, surrexit festinanter, petens sibi claustrum ostendi. Adducentes cam in quodam colle ostenderunt ei totum orbem quem respicere poterant, dicentes: «Hoc est claustrum nostrum, domina*. 13. ibid., rispettivamente a pp. 1730 e 1662-1663. Cioě: E quando della gloria di tanta penuria si furono saziati piú che se avessero avutó^ abbondanza di ogni cosa, innalzarono lodi al Signore, al cui cospetto avevano tro-vato tanta grazia, e condussero la Povertá al luogo del riposo, perché era stanca. E cosi si adagio ignuda sopra la nuda terra. Chiese inoltre un guanciale per il suo capo. E quelli subito portarono una pietra e la posero sotto il capo di lei. Ed ella, dopo un sonno placidissimo e non appesantito da cibo né da bevanda, si alzó ala-cremente chiedendo che le fosse mostrato il chiostro. La condussero su di un colle e le mostrarono tutťintorno la terra fin dove giungeva lo sguardo, dicendo: «Que-; sto, signora, ě il nostro chiostro». Ě evidente tuttavia che una considerazione piú serena dei valori poetici del Cantico poté aversi solo a una čerta distanza di tempo; eppure non possiamo accontentarci di evocare le tante letture che di secolo in seco-lo 1'hanno accompagnato e in qualche misura trasformato attraverso diversi tipi di ricezione. non senza travisamenti (specie nelle fascinose riprese di Gabriele ďAnnunzio nelle sue "laudi", entro Alcyone), ma con significative attualizzazioni: ad esempio in san Bernardino da Siena, specie nelle predi-che del 1427. Oggi, mi interessa piuttosto riflettere su quale sia il messaggio poetico di Francesco per la societa del terzo millennio: su cosa possa ancora tra-smettere emotivamente il Cantico delle creature ai laici e agli uomini di fede. Piú di trenťanni fa mi dicevo persuaso di come Francesco giunges-se «a una visione delTuniverso senz'ombra di dramma o ďinquietudine, lieta anche sugli oscuri gorghi della morte; e insieme scevra di abbandoni panteistici, nella ferma incatenatura verticale ďogni aspetto del creato al-la sua essenza primigenia (il sole "figura" di Dio, ecc.) e neHallineamen-to delTuorno - senza borie di protagonista - su questo palcoscenico infinito della maechina mondana»14. Sottoscriverei ancora quel giudizio, aggiun-gendo che i nuovi problemi suscitati dal consumo incontrollabile delle ri-sorse naturali e dalla rottura degli equilibri ecologici ci stimolano a ritro-vare il fascino e il rispetto delle cose essenziali per la nostra vita (il sole, le stagioni, il fuoco, 1'acqua) e il senso pieno della naturalitá della morte se vissuta con la serenita di chi ě in pace con la propria coscienza. Ho appe-na finito di leggere un libro di grande chiarezza, dovuto alla penna del ministra deirEconomia, Giulio Tremonti15. Perfino un esponente di spicco delťattuale governo, certamente non sospettabile di vocazioni francescane, riconosce il fallimento di un modello di sviluppo illimitato. connesso col 14. Letteratura italiana, Lalerza, loc. cit. 15. La paura e la speranza. Europa: la erisi globále che si avvicina e la via per supe-rarla, Milano, Mondadori. 2008. [Oggi sarei piú cauto in questo tributo di stima]. 18 19 primato assoluto deU'economia16 e alForigine di un tipo umano «che non solo consuma per esistere, ma che esiste per consumare»17. In conclusione, egli prospetta come unico rimedio e sola fonte di speranza «un nuovo or-dine morale»18: che per noi in Europa non puö che essere il ritorno ai valo-ri essenziali della civiltä giudaico-cristiana. Un ritorno, insieme, alle nostre radici europee, alle misure dell'etica e dei desideri, a una sobrietä di scel-te e di comportamenti lontana dal "mercatismo" della globalizzazione. Tut-to questo non puö non farmi pensare a Francesco e al suo messaggio: dove sul riconoscimento delle cose belle e utili del creato s'innestano la rinuncia agli odii e il recupero di una morte umanizzata, non si dica sulla nuda terra, ma almeno fra le mura domestiche, circondati dall'affetto dei familiari. «Le soleil ni la mort ne se peuvent regarder fixement», cosi suona una delle piü celebri Maximes di La Rochefoucauld (1664); ma Francesco ci invi-ta a guardare in faccia, serenamente e senza paura, sia il sole sia la morte. Che poi questi insegnamenti ci vengano trasmessi in forma poetica non da un poeta di professione ma da un piccolo-grande santo vissuto ottocen-to anni fa, non puö che confermarci la dimensione di alter Christus che la tradizione ha nei secoli concordemente nconosciuto al santo di Assisi che oggi celebriamo. Sua'^ieL!ís:!íunSoS70rtame' ™ " nella SUa " * vita ne],a 17. Ivi, p. 36. 18. Ivi, p. 62. Francesco d'Assisi a Bologna. Bologna in Salimbene da Parma Interventi come questo, cui m'hanno indotto gli amici del «Comitato per Bologna storica e artistica», rischiano spesso di esaurirsi in uno stanco rito occasionale o, altrimenti, nel frettoloso riverbero di una sensibilita moderna su eventi e personaggi del passato remoto. Per sfuggire all'uno e alfaltro pericolo, conviene rituffarsi senza pregiudi-zi nelle testimonialize tlel tempo: e, in primo luogo, dare la parola a un cro-nista degno di fede, spettatore diretto nella piu solenne occasione che lego Francesco alia nostra citta. Alludiamo a Tommaso arcidiacono e poi vesco-vo di Spalato che, quanďera studente all'Universita di Bologna, si trovo ad essere testimone oculare di una predica tenuta da Francesco nell'agosto del 1222. Ecco come egu nvive quel la giornata,TTdistanza di quasi quarant'an-ni, redigendo la sua Historici pontificum Salonitanorum et Spalatensium1: Nello stesso anno, nel giorno dell'Assunzione della Madre di Dio. essendo io a Bologna come studente, vidi san Francesco predicare in piazza davanti al palaz- , zo del Comune. dove si era riunita quasi tutta la popolazione. L'esordio della sua predica fu «Gli angeli, gli uomini, i démoni*. Infatti parló di questi tre spiriti ra-zionali cosi bene e con tale chiarezza, che molti dotti 11 prescnti si stupirono mol-to, chiedendosi come un uomo senza cultura potesse tenere un cosi bel sermone. II suo stile pero non era di predicatore, ma quasi di oratorey^olitia}. Tutto il suo di-scorso tendeva a spegnere le inimicizie e a rinnovare i pattrdi pace. II suo abito era sordido, Faspetto spregevole, la faccia brutta; ma Dio diede tanta efficacia al-le sue parole che molte consorterie di nobili, tra le quali un barbaro furore, cau-sato da antiche inimicizie, aveva infuriato versando molto sangue. furono indotte s a far pace. La venerazione e la devozione della gente per lui era tanta. che uomini e donne in massa gli si gettavano addosso, beati se potevano toccare il lembo del suo saio o strappare un pezzo di quei suoi miserabili panni. 1. Traduzione e těsto originále presso C. Delcorno, La preďuazume nell'eta comuna-le. Firenze, Sansoni, 1974, pp. 66-67; cfr. anche Fonti francescane ecc, Padova. Messagge-ro, 1980, p. 1932. 20 21 La fantasia integra le scarne parole di Tommaso e restituisce al vivo il quadro di piazza Maggiore inondata dal sole estivo e gremita di folia en-tusiasta («in platea ante palacium publicum, ubi tota pene civitas conve-nerat»), come forse ogni bolognese ha veduto almeno una volta nella propria vita. Ma occorre evitare un'antistorica sovrapposizione di immagini. La Bologna che san Francesco trovava nel 1222, settecentosessant'anni fa, era quella comunale sconvolta dalle lotte di parte fra Guelfi e Ghibelli-m^attestati intorno alle famiglie rivali dei Geremei e dei Lambertazzi, gli uni esponenti del partito "democratico" e gli altri del "conservatore"; solo su tale sfondo si pud dunque apprezzare il resoconto del dalmata («tantam Deus verbis illius contulit eflicaciam, ut multae tribus nobilium, inter quas antiquarum inimicitiarum furor immanis multa sanguinis effusione fuerat debachatus, ad pacis consilium reducerentur»). Bologna inoltre da un se-colo e mezzo era un centra culturale di rinomanza europea (specie per gli studi giuridici). grazie alia sua libera Universita, dove affluivano maestri c študenti da tutto il mondo civile (e Ťommaso era fra questi). Era ancora la Bologna della prima cerchia medievale, che pero giá chiudeva fra le sue mura edifici di straordinaria bellezza, con l'antichissimo complesso di Santo Stefano (la cosiddetta Sancta Ierusalem, che riproduceva i luoghi sacri della Palestina), con la cattedrale di San Pietro rinnovata dopo l'incendio del 1141, con le numerose torri gentilizie (fra cui l'Asinelli e la Garisen-da) che costituivano l'elemento piu caratteristico della cittá assieme ai pri-mi portici, con la piazza Maggiore assai piú spoglia di oggi (mancavano in-fatti le fabbriche piu grandiose, dal palazzo di Re Enzo alia basilica di San Petronio); e, intorno, un groviglio di strade anguste, con umili dimore di le-gno e poche case nobiliari. Tornando al 15 agosto 1222, resta in fondo secondario il tema prescelto quel giorno da Francesco (le tre specie di creature razionali), che non sem-bra trovare riscontro negli scritti del santo, a parte accenni isolati ai singo-li elementr. Importante invece la sottolineatura dei modi della predicazio- 2. Cosi, per i démoni, nella Regola non bollata, in Fonti francescane..., pp. 101 («Dice il Signore: "Questa specie di demoni non si puo scacciare se non con la preghiera e il di-giuno"»). 104 («il diavolo per la colpa di uno vuole corrompere mold*), 106 («fa' sempre qualche cosa di buono. affinché il diavolo ti trovi occupato»), 107 («il diavolo vuole acce-care quelli che lo desiderano e lo stimano piu delle pietre»), 111 («Se un frate per istiga-zione del diavolo. dovesse fornicare...»), 116 («Guai a quelli che non muoiono nella peni-rZ?;r,'C, ^Sarann° fi£li d£l diavol°- di cui sono collaborator!*); nelle Ammonizioni, ivi, W 138 WAdamo] per suggestione del diavolo e per aver trasgredito a un comando...»), I4U («E anche i demon, non lo crocifissero, ma tu con essi lo crocifiggesti e ancora lo cro-cóň h ™« ' ne!,v!zi e,nei Peccati»); "e"e ^tere, ivr, p. 156 («Tutti quelli che [...] oner Z TT, d^.da M stesso ingannati, e ne sono figli e ne compiono le dal diatl ) ' mSannati VOStrÍ nemÍCÍ' C™ dal1" Carne' dal ™ndo e ne, anzi della qualitä rivoluzionaria di quello stile («nec tarnen ipse modum praedicantis tenuit, sed quasi concionantis»)'; nonché degli scopi pratici, di pacificazione sociale, connessi al messaggio di Francesco («Tota vero ver-borum eius discurrebat matcries ad extinguendas inimicitias el ad pacis fo-edera reformanda»). Cosi, liQip^i^Qia («illetterato» o «senza cultura») egli appariva solo ai dotti che Vascoltavano, stupefatti per contro delletticacia di quella parola («ita bene et discrete proposuit, ut multis literatis qui ade-rant fieret admirationi non modicae sermo hominis idiotae»); mentre in re-altä Francesco andava proponendo un modello valido per tutta la successi-va predicazione francescana, almeno fino a Bernardino da Siena, il suo piü degno continuatore, vuoi per una comunicativa fatta anche di mimica e di gestualitä, vuoi per l'energia spiegata nella restaurazione di una pace civile in Italia. Come afferma il Delcorno4, non ci ě giunta nessuna prediea di san Francesco, ma sappiamo da testimonian-/c coeve che cssu fu geniale e irripelibile. e ehe esorbitava dalle teeniehe consue-te del sermone latino, insegnato nellc Facoltá di teologia lungo tutto il XII secolo [...]. E certo che Francesco doveva contare su qualitä mimetiche, su una sublime inventivitä giullaresca. che soggiogava gli uditori. Quel giorno, nella piazza di Bologna, era presente anche Federico Visconti, arcivescovo di Pisa, che rievoeö il memorabile incontro in un sermone del 12655; e lo stesso anno venne poi ricordato anche per un disastro-so terremoto (con epicentra a Brescia) predetto da Francesco, come registra il cronista Tommaso da Eccleston6. Non ě certo invece che alia predicazione del 1222, piuttosto che a precedenti soggiorni bolognesi di Francesco (nel 1213 o nel T8), si riferiscano i Fioretti, in un passo di rara suggestione7: Giugnendo una volta santo Francesco alia citta di Bologna, tutto il popolo della cittä correa per vederlo; ed era si grande la calca, che la gente a grande pena po-tea giugnere alia piazza. Ed essendo tutta la piazza piena d'uomini e di donne e di Scolari, e santo Francesco si leva suso nel mezzo del luogo. alto, e comincia a pre-<) dicare quello che lo Spirito Santo gli toccava. E_ predicava si maravigliosamente. che parea piuttosto che predicasse agnolo che uomo, e pareano le sue parole ce- 3. Singulare l'abbaglio in cui incorrono le pur benemerite Fonti francescane.:., p. 1932, che traducono «non aveva stile di uno che predicasse, ma di conversazione», insi-stendo per giunta, nella chiosa, «sul modo familiäre, discorsivo della predicazione di Francesco». Quella veemente arringa in piazza, da conCionator (quasi da tribuno), trasformata in un conversevole intrattenimento... 4. La predicazione nell'etä comunale..., p. 9. 5. Fonti francescane..., p. 1932. 6. Ivi, p. 2039. 7. Ivi, p. 1517. 22 23 lestiali a modo che saette acute, le quali trappassavano si il cuore di colore che lo iHíväTToTctrenTrqaella predica grahde moltitudine di uomini c di donne si cofiver-ti'rono a penitenza. Nell'occasione, come aggiungono i Fioretti, abbandonarono il mondo «due nobili studianti delia Marca d'Ancona; e ľuno avea nome Pellegrino e ľaltro Rinieri». Quanto al primo, Pellegrino da Fallerone (venerato come beato nelľordine francescano), l'anonimo aggiunge che «mai non volle an-dare come chierico, ma come laico, benché fosse molto litterato e grande decretal ista; per la quale umiltä pervenne in grande perfezione di virtü, in tanto che frate Bernardo, primogenito di santo Francesco, disse di lui ch'e-gli era uno dei piü perfetti frati di questo mondo». L'altro neorito, meglio noto come Riccieri o Rizzerio da Muccia8, di-venne confratello assai caro a Francesco, tanto che le fonti lo ricollegano ad altri episodi della vita del santo. La Vita secunda di Tommaso da Celano racconta di una sua tentazione inespressa alia quale pose rimedio Francesco in persona, indovinando miracolosamente il suo stato ďanimo9; e lo Speculum perfectionis ce lo presenta come confidente di Francesco, che ad-dirittura gli avrebbe rivelato le sue piü riposte intenzioni, nel formuláre la Regola, specie rispetto al voto di povertä10. Non ci sono giunte per motivi ovvi, come l'assenza di riportatori", nep-pure le prediche che Francesco tenne nel settembre 1219 davanti al Sultano di Damietta Malik-al-Kamil (e di cui ci tramanda una traccia succinta Jacques de Vitry nella História Occidentalis)12; ma la verborum efficacia trova conferma nel giudizio comune, riassunto nella Vita secunda del Celane-se13: «Brevibus innuebat quod erat ineffabile, et ignitos interserens gestus et nutus, totos rapiebat auditores ad caelica» («Con brevissimi tratti esprime-va lmeffabile e, aiutandosi con gesti e movimenti di fuoco, trasportava tut-to ľessere degli uditori alľamoreäeľle cosecelesti»)14^^ Di fatto, nel naufragio della tradizione, la predica bolognese rappresen-ta uno dei pochi relitti di quella straordinaria oralitä, legáta alľarcana forza d'improvvisazione del «giullare di Dio». Eppure, dietro simile energia nati- 8. Su Pellegrino e Riccieri, cfr. ora T. Lombardi O.F.M., San Francesco d'Assisi de-scritto dar suoi compagni, Ferrara, Tip. Artigiana, 1982, p. 73. 9. Fonti francescane..., p. 590. 10. Ivi.p. 1307. 11. Del resto non facili da trovare neppure in terra cristiana, giusta la testimonianza di un medico nferita dal Celanese: cfr. Delcorno, La predicazione nelľetä comunale..., p. 68. 12. Cfr. Delcorno, La predicazione nelľetä comunale..., pp. 10 e 65-66. 13. II quale giä nella Vita prima, in un ritratto a tutto tondo del santo - meno impieto-so, quanto alľaspetto fisico, di quello di Tommaso -, l'aveva definito «uomo facondissimo» {Font, francescane..., p. 476), aggiungendo poi (p. 489) come fosse divenuto tutto lingua («de loto corpore fecerat linguam»). 14. Da Delcorno, La predicazione nelľetä comunale..., pp. 67-68. 24 va stava una chiara volonta programmatica. Nei suoi scritti. infatti. almeno una volta Francesco propose senza ambagi Fideale della brentas come mo-dello per Tomiletica francescana15: Ammonisco anche ed esorto gli stessi frati che nella loro predicazione le loro pa-K™m°'! 1! nil , ™te. autilita e aiedificmonedel popolo, annunc.ando a. AnilnuuiMcu oiu.ui, „v. .„ gn aueaai u role siano ponderate e caste, a~tUükä _e ad^edificazipne. del POPolo. annunciando ai fedeli i vižTe le virtu, la pena glagloriy cM fere^tydi^íscoho. poiché il Signore disse sulla terra parole brevi. In realtä, quest'uomo apparentemente semplice e senza cultura, come vorrebbe il dato comune a quasi tutti i biografi («vir simplex et illittera-tus» in Jacques de Vitry, «homo idiota» in Tommaso da Spalato, predican-te «per materialia et rudia rudibus» nel Celanese ecc), del resto autoriz-zato da lui medesimo, che nel sublime Testamentům presentö sé e i suoi primi seguaci quali homines illitterati, aveva idee estremamente chiare ed era fermissimo su alcuni temi essenziali, diventando cosi quasi senza voler-lo, un grande animatore e suscitatore di energie spiritual i. Scettico quanto a una cultura fine a se stessa16, e ben convinto (come dice Tommaso da Celano) «plus opus esse virtute quam verbis», si mostrava invece fiducioso nella forza trascinante dell'esempio quotidiano17. E i suoi discepoli (o almeno i migliori) lo seguirono proprio su questa strada. Bologna tuttavia si lega per altri titoli di merito alia penetrazione del messaggio francescano. Quando nel '22 Francesco venne a predicarvi in piazza, giä da una decina d'anni vi era attiva una comunita minoritica, per merito del fedele Bernardo di Quintavalle, che ne[ 121ft vi aveva fondato il primo convento"francescano. 11 racconto e meglio aftidarlo alia Candida penna dellautore dei Fioretti^: Addivenne, nel principio della religione, che santo Francesco mandö frate Ber-I nardo a Bologna, acciö che ivi, secondo la grazia che Iddio gli avea data, faces- 15. Nella Regola bollata del 1223 (Fonti francescane.... p. 128). 16. Delcorno, La predicazione nell'etä comunale..., p. 71: «S. Francesco, che pure non era sprovvisto di cultura, moströ sempře una forte diffidenza nei confront] del mondo degli studi. Egli proibi ai suoi frati l'uso privato dei libri...». E si ricordi come si conclude il dot-tissimo saggio ove G. Contini dimoströ la presenza del cursus aH'imerno degli scritti del santo (Un'iporesi sidle «Landes creaturarum», uiVarianii e ultra linguistica. Torino, bU_ naudi. 1970. pp. 141-159); «per un sistema coerenle qual é quello descritto si pun discorre-re senz'abuso di stile gregoriano. Usare, se non proprio ostentare, lo Stilus Romanae curiae é, nel contesto francescano, una prova di conformitä e d'obbedienza. La retorica interna alle Lfiudes creaturarum ě una retorica eminentemente ortodossa». JJtCfr. E. Auerbach, // fattore personale nell'ascendenw di sun Francesco d'Assisi, in S. Francesco, Dante, Vwo ed altri saggi diplologia romanza, Bari, De Donato, 1970, specie p. 11. 18. Fonti francescane..., pp. 1465-1467 (il «dottore di legge» era Niccolö de' Pepoli). 25 se frutto a Dio; e frate Bernardo facendosi il segno della santissima croce per la santa obbidienza, si parti e pervenne a Bologna. E vedendolo li fanciulli in abi-to disusato e vile, si gli faceano molti schemi e molte ingiurie, come si farebbe a uno pazzo: e frate Bernardo pazientemente e allegramente sostenea ogni cosa per amore di Cristo. Anzi, actio che meglio e' fusse istraziato, si puose istudiosamen-te nella piazza della citta; onde sedendo ivi, si gli si raunarono d'intorno molti fanciulli e uomini, e chi gli tirava il cappuccio dirietro e chi dinanzi, chi gli gittava polvere e chi pietre, chi '1 sospigneva di qua e chi di la: e frate Bernardo, sem-pre d'uno modo e d'una pazienza, col volto lieto, non si rammaricava e non si mu-tava. E per pro di ritorno a quello medesimo luogo, pure per sostenere simiglian-ti cose. E pero che la pazienza e opera di perfezione e pruova di virtu, uno savio dottore di legge, vedendo e considerando tanta costanza e virtu di frate Bernardo non potersi turbare in tanti di per niuna molestia o ingiuria, disse fra se medesimo: «Impossibile e che costui non sia santo uomo». E appressandosi a lui, si '1 dimando: «Chi sei tu, e perche se' venuto qua?». E frate Bernardo per risposta si mise la mano in seno e trasse fuori la Regolu di santo Francesco: c diegliela che la leggesse. E letta ch'e' l'ebbe, considerando il suo altissimo stato di perfezione, con grandissimo stupore e ammirazione si rivolse a' compagni e disse: «Veramente questo e il piu alto stato di religione ch'io udissi mai; e pero costui co' suoi compagni sono de' piu santi uomini di questo mondo, e fa grandissimo peccato chi gli fa ingiuria, il quale si si vorrebbe sommamente onorare, con cio sia cosa ch'e' sia amico di Dio». E disse a frate Bernardo: «Se voi volete prendere luogo nel quale voi poteste acconciamente servire a Dio, io per salute deH'anima mia volentie-ri vel darei». Rispuose frate Bernardo: «Signore, io credo che questo v'abbia ispi-rato il nostra Signore Gesu Cristo, e pero la vostra profferta io l'accetto volentieri a onore di Cristo». Allora il detto giudice con grande allegrezza e carita meno frate Bernardo a casa sua; e poi gli diede il luogo promesso, e tutto l'acconcio e com-piette alle sue ispese; e d'allora innanzi divento padre e speziale difensore di frate Bernardo e de' suoi compagni. E frate Bernardo, per la sua santa conversazione, comincio ad essere molto ono-rato dalle genti, in tanto che beato si tenea chi '1 potea toccare o vedere. Ma egli come vera discepolo di Cristo e dello umile Francesco, temendo che l'onore del mondo non impedisse la pace e la salute dell'anima sua, si si parti un di e tor-no a santo Francesco e dissegli cosi: «Padre, il luogo e preso nella citta di Bologna; mandavi de' frati che '1 mamegnino e che vi stieno, pero ch'io non vi facevo piu guadagno, anzi per lo troppo onore che mi vi era fatto, io temo ch'io non per-dessi piu ch'io non vi guadagnerei». Allora santo Francesco, udendo ogni cosa per ordine, siccome Iddio avea adoperato per frate Bernardo, ringrazio Iddio, il quale cosi incominciava a dilatare i poverelli discepoli della croce; e allora mando de' suoi compagni a Bologna e in Lombardia, li quali presono di molti luoghi in diverse parti. E una pagina vivacissima di cronaca duecentesca, ambientata ancora in piazza Maggiore, dove si rispecchia il porno impatto fra il rivohmonario messagg.o francescano (ancora affidato alia prima Regola, approvata so-looralmente da Innocenzo III) e la societa civile del tardo Medioevo? Alle reaz.on. beffarde di una folia smaliziata e godereccia, com'era anche allora quella bolognese, fanno seguito le perplessitä della stessa cultura ufficiale 26 emanante da\VAlma Mater studiorum; ŕino a che proprio il centra universitäre di Bologna, nella persona di uno dei suoi maestri, ě indotto a ricono-scere la novitä morale e ľautenticitä evangelica di quella proposta religio-sa. Bologna dunque segna il primo successo, anche di massa, nell'iniziale espansione (oltre l'Umbria) delle comunitä minoritiche. Eppure a Bologna, ma all'anno 1220 (quando Francesco, proveniente da Verona, era sulla via del ritorno dalla Siria), si lega il singolare episodio, riferito da parecchi bio-grafi'9, del rifiuto da parte di Francesco di visitare i suoi frati, perché ave-vano costruito una casa «non conforme alia povertä promessa», e del per-dono loro accordato - dietro rinuncia a ogni lusso indebito - grazie ai buoni uffici di un domenicano. Su questo punto, dell'austerita di vita, Francesco era davvero inflessibile e quasi disumano; i biografi ricordano che in quella congiuntura egli pretese che dal convento uscissero perfino i malati. Non apprezzava affatto la «singular dolcezza del sangue bolognese», come ľavrebbe chiamata il Boccaccio. Ma c'erano anche, a Bologna, francescani degni in tutto del loro maestro: ad esempio, quel frate bolognese Bonizzo (morto nel 1236), che ebbe la Ventura di collaborare con Leone, prediletto da Francesco, alia stesu-ra della seconda Regola; e ciö avvenne nelľeremo di Fonte Colombo nella valle di Rieti, come riferiscono la Leggenda perugina, lo Speculum per-fectionis e Angelo Clareno20. E Tommaso da Eccleston, nel trattato De adventu fratrum minorum in Angliemi11, aggiunge il particolare che Io stesso Bonizzo fu chiamato in causa nientemeno che da Giovanni da Parma, ministra generale delľOrdine, perché testimoniasse la veritä sul miracolo delle stimmate. Questi i fatti francescani riferibili a Bologna: non molti e tutti piú o meno noti, ma di straordinaria importajjza rispetto al breve arco di vita di un )/ uomo che sembrö nascere nel con la conversione, quando aveva giä ventisette anni, e che in soli diciassette anni di apostolato improntö di sé la spiritualita cristiana dell'Europa medievale. La Bologna del Duecento ha un rilievo particolarissimo anche nella Cro-nica di fra Salimbene, ben oltre 1'inclusione, con altre terre italiane, nella profezia di Merlino («Bononia regnabit, - cum integra longe durabit»):: 19. Cosi, il Celanese nella Vila secunda (in Fomi francescane..., p. 601); lo Speculum perfectionis (ivi, pp. 1312-1313); e, con particolari piu coloriti. Angelo Clareno nella Cronaca delle sette iriholazioni (ivi, pp. 1775-1776). 20. Fomi francescane.... pp. 1281, 1305 e 1782. 21. Ivi, p. 2065. 22. Salimbene de Adam, Cronica, nuova edizione eritica a eura di G. Scalia, Bari. La-terza, 1966, p. 789. 27