Il Carnevale di Venezia Il Carnevale ha le sue radici in più tradizioni, nella latina Saturnalia e nei greci culti dionisiaci, che contrassegnavano il passaggio dall'inverno alla primavera e che contemplavano l'uso di maschere e di rappresentazioni simboliche. Il vocabolo Carnevale viene citato per la prima volta in un documento del Doge Vitale Falier del 1094, dove si parla di divertimenti pubblici. Il Carnevale era anche una forma di rigido controllo delle pulsioni, e la spinta verso l'eccesso costituiva una concessione per un tempo prestabilito. E a Venezia, società rigidamente oligarchica, era necessario dare l'illusione ai ceti più umili di diventare simili ai potenti, pur con una maschera sul volto: questo per stemperare le tensioni. Attraverso l’anonimato che garantivano maschere e costumi, si otteneva una sorta di livellamento di tutte le divisioni sociali ed era autorizzata persino la pubblica derisione delle autorità e dell’aristocrazia. Il Carnevale cominciava dal 26 dicembre e si protraeva fino al Mercoledì delle Ceneri (che indica il primo giorno della Quaresima), anche se i festeggiamenti talvolta venivano fatti cominciare già i primi giorni di ottobre. Il Carnevale durava allora alcuni mesi, mentre adesso dura più o meno due settimane. Nella pubblica piazza la popolazione assisteva alle feste ufficiali, soprattutto a quelle del giovedì grasso. Vi erano inoltre i fuochi artificiali e spettacoli improvvisati di saltimbanchi, funamboli, burattinai, artisti da strada, tutte attività comunque regolamentate dallo Stato. Accanto a queste feste pubbliche si svolgevano anche moltissime feste private, nelle case e nei palazzi patrizi, in cui si organizzavano sfarzosi balli e spesso si praticava il gioco d'azzardo. Da menzionare il Ridotto di S. Moisé, una pubblica casa da gioco gestita dallo Stato. Tra il 1638 (anno d'apertura) e il 1774 (anno della chiusura) migliaia di giocatori in maschera spendevano i ducati facendoli passare dalle loro tasche alle casse dello stato. Il Volo dell´Angelo In un’edizione del Carnevale, verso la metà del 1500, tra le varie manifestazioni e spettacoli organizzati in città fu realizzato un evento straordinario che fece molto scalpore: un giovane acrobata turco riuscì, con il solo ausilio di un bilanciere, ad arrivare alla cella campanaria del campanile di San Marco camminando, nel frastuono della folla sottostante in delirio, sopra una lunghissima corda che partiva da una barca ancorata al molo della Piazzetta. Nella discesa, invece, raggiunse la balconata del Palazzo Ducale, porgendo gli omaggi al Doge. Dopo il successo di questo spettacolo, subito denominato Svolo del turco, l’evento, che solitamente si svolgeva il Giovedì Grasso, fu richiesto e programmato come cerimonia ufficiale anche per le successive edizioni. Quando queste variazioni portarono a prevedere, per lunghi anni di seguito, un uomo dotato di ali ed appeso con degli anelli alla corda, fatto scendere a gran velocità lungo la fune, si coniò il nuovo termine di Volo dell’Angelo. Nel 1759 l’esibizione finì in tragedia: ad un certo punto l’acrobata si schiantò al suolo tra la folla inorridita. Probabilmente a causa di questo grave incidente, l’evento fu vietato. Da questo momento il programma si svolse sostituendo l’acrobata con una grande colomba di legno che nel suo tragitto, partendo sempre dal campanile, liberava sulla folla fiori e coriandoli. Dalla prima di queste edizioni, il nome di Volo dell’Angelo divenne quindi Volo della Colombina. Tale evento, come la maggior parte delle altre ricorrenze e spettacoli, con la fine della storia millenaria della Serenissima si interruppe per un lungo periodo. Mentre in passato questo spettacolo veniva celebrato il Giovedì Grasso, nelle edizioni moderne esso ha luogo generalmente a mezzogiorno della prima domenica di festa, come uno degli eventi di apertura che decretano ufficialmente l’inizio del Carnevale stesso. Dall’edizione del 2001, la prima del millennio, si è passati nuovamente alla vecchia formula del Volo dell’Angelo, sostituendo la Colombina con un artista. L'artista assicurato ad un cavo metallico scorre lentamente verso terra. Il Carnevale del Settecento In quel periodo il Carnevale comincia a diventare un'attrazione turistica per tutta Europa. Carlo Goldoni Nelle commedie di Carlo Goldoni (1707-1793) il Carnevale è citato molto spesso. Le opere stesse venivano rappresentate durante la stagione del Carnevale. Goldoni non è certo benevolo nei confronti del lusso e del vizio ostentati durante il Carnevale e suggerisce, attraverso i suoi spettacoli, un tipo di divertimento semplice e parco. Giacomo Casanova Giacomo Casanova è il personaggio che meglio rappresenta l'aspetto godereccio, lussurioso e decadente della Venezia settecentesca. Protetto dalla sua immancabile maschera frequentava i migliori salotti, i teatri più alla moda oppure il Ridotto. Maschere Indossando maschere e costumi era possibile celare totalmente la propria identità e si annullava in questo modo ogni forma di appartenenza personale a classi sociali, sesso, religione. Il saluto che risuonava di continuo nell’atto di incrociare un nuovo "personaggio" era semplicemente Buongiorno signora maschera. L'utilizzo delle maschere ha fatto nascere la figura dei "maschereri", artigiani iscritti all'Arte dei Dipintori che creavano maschere in cartapesta o in tela cerata per soddisfare le esigenze dei diversi committenti. Un tipico travestimento veneziano è la bauta, indossata da uomini e donne: una mantellina nera abbinata sempre ad un cappello a tricorno nero e a una larva, maschera bianca che celava il viso. Con la bauta era garantito il totale anonimato ed il suo utilizzo era molto diffuso, dato che consentiva anche di bere e di mangiare. Altra maschera utilizzata dalle donne era la moretta, ovale di velluto nero che restava sul volto della dama grazie ad un bottoncino stretto tra i denti. Diffuso anche il domino, un lunghissimo mantello con cappuccio che copriva il volto. Un altro costume tipico di quei tempi era la Gnaga, semplice travestimento da donna per gli uomini, facile da realizzare e d’uso piuttosto comune. La commedia dell'arte In teatro la maschera trova la sua consacrazione ufficiale. Ecco allora Pantalone, vecchio mercante solitamente ricco, il saccente dottor Balanzone, di origini bolognesi, il servo furbo Brighella e quello sciocco Arlecchino, accomunati dalla comune origine bergamasca, e infine la scaltra Colombina, servetta maliziosa. Non di area veneta-lombarda ma sempre molto amato è Pulcinella, maschera napoletana, il buffone scansafatiche.