Un caffè con Svevo e Joyce Viaggio alla ricerca degli antichi caffè letterari della Trieste Mitteleuropea. Capitale mitteleuropea, Trieste è stata a cavallo fra Ottocento e Novecento il luogo d'incontro per artisti e scrittori, come James Joyce e Italo Svevo. È nei suoi caffè che avvenivano questi incontri letterari e ancora oggi in questi locali si può respirare l'aria della Mitteleuropa (nell’Ottocento di caffè così se ne contavano 54, nel 1911 addirittura 98). D'altra parte, il caffè è un immancabile rito per i triestini, che hanno anche uno speciale vocabolario per definire le più comuni bevande da bar: il nero è l'espresso, il gocciato simile al macchiato ma con una goccia soltanto di schiuma di latte, il capo equivale al macchiato e se è "in b" vuol dire che lo si preferisce nel vetro (nel bicchiere anziché nella tazzina). Un itinerario attraverso i caffè letterari di Trieste non può che iniziare da Piazza dell'Unità d'Italia, il salotto buono della città. In questa magnifica piazza affacciata sul mare, nel pianterreno del monumentale Palazzo Stratti si trova dal lontano 1839 il Caffè degli Specchi. I tavolini di questo locale hanno visto fermarsi artisti e letterati, politici e uomini d'affari: tutti insieme, gomito a gomito, per un caffè. Ma vale la pena sedersi ai tavolini all'aperto anche solo per godersi con calma le meraviglie della piazza. Proseguendo la passeggiata lungo la strada che costeggia il mare, ci si trova a un passo dal Teatro Lirico Giuseppe Verdi, apprezzato dallo stesso compositore emiliano per la sua acustica. Per chi vuol fermarsi per un aperitivo prima dello spettacolo, il vicino Caffè Tommaseo è il posto giusto. Anche in questo caso si tratta di un antico caffè, aperto dal 1830, molto amato dagli scrittori e artisti che animarono la Trieste Mitteleuropea e famoso anche per essere stato il primo locale a portare una novità d'inizio secolo: il gelato. Con i suoi saloni anni Quaranta, impreziositi da arredi classici e dalle Thonet, le celebri sedie di legno curvato, il Caffè Tommaseo sembra un vero e proprio locale viennese. Immergendosi fra le strade interne di Trieste si arriva a via Dante, dove si trova il buen retiro dello scrittore James Joyce. Lo scrittore irlandese, che visse a Trieste per oltre dieci anni, amava trascorrere il suo tempo ai tavolini del Caffè Pasticceria Stella Polare, ma non disdegnava neanche le prelibatezze preparate dalla Pasticceria Pirona, come il tradizionale Presnitz, un dolce tortiglione di pasta sfoglia ripieno di frutta secca. Aperto già nel 1867 dalla famiglia grigionese Griot, è stato inoltre rifugio di intellettuali e di numerosi irredentisti. Tant'è che il tranquillo signor Griot, per paura di rappresaglie, espose un cartello fuori dalla porta che recava un'eloquente scritta: " Qui non si parla di politica né di alta strategia". Con la fine della seconda guerra mondiale e l'arrivo degli americani in città, la Stella Polare divenne una famosa sala da ballo: da qui tante ragazze triestine presero il mare per gli Stati Uniti, spose felici di giovani americani. Il Caffè oggi non ha più il glamour di un tempo: è troppo costoso mantenere una sala da ballo e una da biliardo. Così si sono salvate solo due stanze dove gustare un dolce e sorseggiare un buon tè. Ancora un po' di metri e si arriva in via Battisti, nel rifugio di uno scrittore mitteleuropeo moderno: Claudio Magris. Magris, triestino purosangue, ha scelto come seconda casa l'Antico Caffè San Marco, dove si fa arrivare perfino la posta. Non è difficile incontrare Magris seduto fra i tavoli intento a lavorare alla scrittura di un libro, mentre i suoi vicini sono impegnati in un'agguerrita partita di scacchi. Caffè letterari a parte, se si vuole incontrare Italo Svevo in persona, benché sia in bronzo, basta andare a Piazza Hortis, dall'altro lato della città. Qui ogni mercoledì ci si trova in mezzo agli avventori di un gradevole mercatino dell'artigianato. Ed è qui, dentro Palazzo Biserini, che si trova la Biblioteca Civica Attilio Hortis, dove hanno sede i musei dedicati a James Joyce e Italo Svevo, o meglio Ettore Schmitz, come era il suo vero nome. Vi si possono ammirare i documenti originali, dalle epistole alle opere letterarie, scritti dagli stessi romanzieri che animarono la Trieste di inizio Novecento. Il Caffè San Marco Il 3 gennaio 1914, al pianterreno di un edificio di proprietà delle Assicurazioni Generali, edificato nel 1912, venne inaugurato il Caffè San Marco, allora di proprietà di Marco Lovrinovich, originario di Parenzo. Subito il locale divenne ritrovo di giovani studenti e intellettuali, ma non solo: il caffè, infatti, ospitava giovani irredentisti, e funzionava anche come laboratorio di produzione di passaporti falsi per permettere la fuga in Italia di patrioti antiaustriaci. Per questi motivi, il 23 maggio 1915, un gruppo di soldati dell'esercito austroungarico penetrò all'interno del locale, lo devastò e ne decretò la chiusura permanente. Negli anni seguenti, dalla fine della Prima Guerra Mondiale fino al termine della Seconda, il caffè San Marco giacque in uno stato di abbandono totale. La vera svolta arrivò nel secondo dopoguerra, quando, anche per iniziativa delle Assicurazioni Generali, il locale fu al centro di una serie di restauri integrali, sia sulla facciata che nell'interno. L'ultimo restauro del caffè San Marco risale 1997. Sia l'arredamento che le decorazioni estetiche del Caffè San Marco rispondono allo stile della Secessione Viennese, ancora in voga negli anni della fondazione. In particolare, le decorazioni sui soffitti e sulle pareti sono attribuite a vari artisti relativamente celebri, come il pittore secessionista Vito Timmel, anch'egli assiduo frequentatore del caffè. Queste decorazioni riprendono, in particolare, nudi maschili (metafore dei fiumi friulani), foglie di caffè e fiori. L'arredamento del locale è, perlopiù, in legno di mogano lavorato. In particolare, si possono notare i tavolini di marmo con sostegno in ghisa, particolari per le loro decorazioni a teste di leoni (simbolo di Venezia), che furono utilizzati dagli austriaci come prova della presenza nel locale di avventori irredentisti italiani.