La costruzione di un amore Fossati La costruzione di un amore spezza le vene delle mani mescola il sangue col sudore se te ne rimane La costruzione di un amore non ripaga del dolore è come un altare di sabbia in riva al mare La costruzione del mio amore mi piace guardarla salire come un grattacielo di cento piani o come un girasole ed io ci metto l'esperienza come su un albero di Natale come un regalo ad una sposa un qualcosa che sta lí e che non fa male E ad ogni piano c'è un sorriso per ogni inverno da passare ad ogni piano un Paradiso da consumare dietro una porta un po' d'amore per quando non ci sarà tempo di fare l'amore per quando vorrai buttare via la mia sola fotografia E intanto guardo questo amore che si fa più vicino al cielo come se dopo tanto amore bastasse ancora il cielo e sono qui e mi meraviglia tanto da mordermi le braccia, ma no, son proprio io lo specchio ha la mia faccia sono io che guardo questo amore che si fa più vicino al cielo come se dopo l'orizzonte ci fosse ancora cielo e tutto ciò mi meraviglia tanto che se finisse adesso lo so io chiederei che mi crollasse addosso E la fortuna di un amore come lo so che può cambiare dopo si dice l'ho fatto per fare ma era per non morire si dice che bello tornare alla vita che mi era sembrata finita che bello tornare a vedere e quel che è peggio è che è tutto vero perché La costruzione di un amore spezza le vene delle mani mescola il sangue col sudore se te ne rimane la costruzione di un amore non ripaga del dolore è come un altare di sabbia in riva al mare E intanto guardo questo amore che si fa più vicino al cielo come se dopo tanto amore bastasse ancora il cielo e sono qui e mi meraviglia tanto da mordermi le braccia, ma no, son proprio io lo specchio ha la mia faccia sono io che guardo questo amore che si fa grande come il cielo come se dopo l'orizzonte ci fosse ancora cielo e tutto ciò mi meraviglia tanto che se finisse adesso lo so io chiederei che mi crollasse addosso Sì. Siamo stati naviganti con l'acqua alla gola e in tutto questo bell'andare quello che ci consola è che siamo stati lontani e siamo stati anche bene e siamo stati vicini e siamo stati insieme. Siamo stati contadini noi due senza conoscere la terra e piccoli soldati senza amare la guerra, ci hanno mandati lontano senza spiegarci bene e siamo stati male, ma siamo ancora insieme. Grandi corridori di corse in salita che alzavano la testa dal manubrio per vedere se fosse finita, allenati alla corsa allenati alla gara e preparati a cadere e a tutto quello che s'impara, innamorati della sera innamorati della luna conoscitori della notte senza averne paura, innamorati di quel fiore che non vuole mai dire: ecco, è tutto finito e bisogna partire. Ma ora è il momento di mettersi a dormire lasciando scivolare il libro che ci ha aiutati a capire che basta un filo di vento per venirci a guidare perché siamo naviganti senza navigare mai. Vedrai vedrai Luigi Tenco L. Tenco (1965) Quando la sera tu ritorni a casa non ho neanche voglia di parlare tu non guardarmi con quella tenerezza come fossi un bambino che rimane deluso Si lo so che questa non è certo la vita che hai sognato un giorno per noi Vedrai vedrai vedrai che cambier forse non sarà domani ma un bel giorno cambier Vedrai vedrai che non sei finito sai non so dirti come e quando ma vedrai che cambier Preferirei sapere che piangi che mi rimproveri d'averti delusa e non vederti sempre così dolce accettare da me tutto quello che viene Mi fa disperare il pensiero di te e di me che non so darti di più Vedrai vedrai vedrai che cambier forse non sarà domani ma un bel giorno cambier Vedrai vedrai che non sei finito sai non so dirti come e quando ma vedrai che cambierà. Mi sono innamorato di te Luigi Tenco L. Tenco (1962) Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare il giorno volevo qualcuno da incontrare la notte volevo qualcuno da sognare Mi sono innamorato di te perché non potevo più stare sola il giorno volevo parlare dei miei sogni la notte parlare d'amore Ed ora che avrei mille cose da fare io sento i miei sogni svanire ma non so più pensare a nient'altro che a te Mi sono innamorato di te e adesso non so neppure io cosa fare il giorno mi pento d'averti incontrato la notte ti vengo a cercare. Genova per noi Paolo Conte (1998) Con quella faccia un po' così quell'espressione un po' così che abbiamo noi prima di andare a Genova che ben sicuri mai non siamo che quel posto dove andiamo non c'inghiotte e non torniamo più. Eppur parenti siamo un po' di quella gente che c'è lì che in fondo in fondo è come noi, selvatica, ma che paura ci fa quel mare scuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai. Genova per noi che stiamo in fondo alla campagna e abbiamo il sole in piazza rare volte e il resto è pioggia che ci bagna. Genova, dicevo, è un'idea come un'altra. Ah, la la la la la la Ma quella faccia un po' così quell'espressione un po' così che abbiamo noi mentre guardiamo Genova ed ogni volta l'annusiamo e circospetti ci muoviamo un po' randagi ci sentiamo noi. Macaia, scimmia di luce e di follia, foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia... e intanto, nell'ombra dei loro armadi tengono lini e vecchie lavande lasciaci tornare ai nostri temporali Genova ha i giorni tutti uguali. In un'immobile campagna con la pioggia che ci bagna e i gamberoni rossi sono un sogno e il sole è un lampo giallo al parabrise... Con quella faccia un po' così quell'espressione un po' così che abbiamo noi che abbiamo visto Genova che ben sicuri mai non siamo che quel posto dove andiamo non c'inghiotte e non torniamo più. « Crêuza è stato il miracolo di un incontro simultaneo fra un linguaggio musicale e una lingua letteraria entrambi inventati. Ho usato la lingua del mare, un esperanto dove le parole hanno il ritmo della voga, del marinaio che tira le reti e spinge sui remi. Mi piacerebbe che Crêuza fosse il veicolo per far penetrare agli occhi dei genovesi (e non solo nelle loro) suoni etnici che appartengono alla loro cultura. » (Fabrizio De André in un'intervista.) Crêuza de mä ▼ espandi Copertina alternativa Artista Fabrizio De André Featuring {{{featuring}}} Tipo album Studio Pubblicazione marzo 1984 Durata 33 min : 29 s Album di provenienza {{{album di provenienza}}} Dischi 1 Tracce 7 Genere World music Musica d'autore Pop Musica etnica Etichetta Ricordi Edizioni {{{edizioni}}} Produttore Mauro Pagani/Fabrizio De André Arrangiamenti Mauro Pagani Regista {{{regista}}} Registrazione Felipe Studio (MI), Stone Castle Studios (Carimate) Formati {{{formati}}} Note L'album e la canzone Crêuza de mä si aggiudicano la Targa Tenco. Premi Dischi d'oro Dischi di platino Dischi di diamante {{{numero dischi di diamante}}} Fabrizio De André - cronologia Album precedente Album dell'indiano (1981) Album successivo Le nuvole (1990) {{{seconda discografia}}} - cronologia Album precedente Album successivo {{{terza discografia}}} - cronologia Album precedente Album successivo Si invita a seguire lo schema del Progetto Musica Crêuza de mä (il cui nome originale è Creuza de mä, 1984) è l'undicesimo album registrato in studio di Fabrizio De André. Il disco è interamente cantato in lingua genovese, in quanto esso vuole rappresentare la realtà del Mediterraneo: in questo senso, il genovese, lingua della Repubblica di Genova e tutt'ora lingua viva, è stato per molti secoli (approssimativamente dal Basso Medioevo fino al XVIII secolo) una delle principali lingue per quanto riguarda la navigazione e gli scambi commerciali. Il disco è stato considerato da parte della critica una delle pietre miliari della musica degli anni ottanta e, in generale, della musica etnica tutta; David Byrne ha dichiarato alla rivista Rolling Stone che Creuza è uno dei dieci album più importanti della scena musicale internazionale degli anni ottanta ^[1], e la rivista "Musica & Dischi" lo ha eletto migliore album degli anni ottanta^[2]. Tutte le canzoni sono in lingua genovese, idioma millenario ricco di influenze mediterranee. Si tratta di una scelta che andava, nel 1984, contro tutte le regole del mercato discografico e che - contro ogni aspettativa - ha segnato invece il successo di critica e di pubblico dell'album, il quale ha infatti segnato una svolta nella storia della musica italiana ed etnica in generale. In realtà, il disco doveva essere, originariamente, in una lingua mista, composta da idiomi diversi, propri di un marinaio che, navigando ormai da lunghi anni, si sente sia genovese, sia barcelloneta, sia arabo, e così via. Fabrizio ha poi deciso di utilizzare la lingua genovese poiché riteneva che rappresentasse già un misto di parole derivanti da lingue diverse, facendo perno sull'enorme "malleabilità" ed eterogeneità della lingua genovese, che, in secoli di commerci, scambi e viaggi si è arricchita di numerosissime parole provenienti da lingue quali il greco, l'arabo, lo spagnolo, il francese, l'inglese ed altri^[3]. Al centro dei testi vi sono i temi del mare e del viaggio, le passioni, anche forti, e la sofferenza altrettanto forte; questi temi vengono espressi anche sul piano musicale attraverso il ricorso a suoni e strumenti tipici dell'area mediterranea, nonché all'aggiunta di contributi audio registrati in ambienti portuali o marinareschi, come quello raccolto al mercato del pesce di Piazza Cavour a Genova^[4]. Il titolo dell'album e della canzone principale fa riferimento alla crêuza, termine che in genovese indica una stradina (simile ai celebri caroggi), spesso sterrata, delimitata da mura, che porta in piccoli borghi, sia marinareschi che dell'entroterra. In questo caso la crêuza di mare è però riferibile in maniera allegorica su un preciso fenomeno meteorologico del mare, altrimenti calmo, che, sottoposto a refoli e vortici di vento assume striature contorte argentate o scure, simili a fantastiche strade proposte da percorrere. Infatti prendere per "i viottoli del mare" è sinonimo della possibilità, o della necessità, di scegliere la via, intraprendere il viaggio, reale o ideale. [LINK] [LINK] Una crêuza de mä a Sant'Ilario L'album è stato reinterpretato nel 2004 da Mauro Pagani, che ne ha rinnovato l'arrangiamento aggiungendo quel tocco di esotismo che caratterizza la sua musica: oltre alle tracce già presenti nel disco originale, in 2004 Creuza de mä sono contenute Al Fair, introduzione vocalizzata nello stile dei canti sacri della Turchia, Quantas Sabedes, Mégu Megùn, contenuta nel disco di De André Le nuvole e Nuette, opere mai pubblicate a nome "De André". Crêuza de mä [modifica] “ Ómbre de môri / môri de mainæ / dónde ne vegnî, / dôve l'é ch'anæ? ” —F.De André-M.-Pagani, da Creuza de mä ^[5] È la canzone d'apertura e dà il titolo all'album. La locuzione crêuza de mä nel genovesato definisce un viottolo o mulattiera, talvolta a scalinata, sorta di strada collinare che abitualmente delimita i confini di proprietà e porta (come tutte le strade a Genova) verso il mare. La traduzione è quindi "viottolo di mare" o, utilizzando un ligurismo, "crosa di mare". I marinai, tornati dal mare, un posto "dove la luna si mostra nuda", quindi non guarnita da colline, foglie o case, vanno alla taverna dell'Andrea in un tentativo di riscoperta delle loro origini. Il pezzo, considerato tra le più alte espressioni artistiche di Fabrizio De André, è interamente in lingua genovese (come del resto l'intero album). Il testo è incentrato sulla figura dei marinai, e sulle loro vite da eterni viaggiatori, e racconta il ritorno dei marinai a riva, quasi come estranei. De André parla magistralmente delle loro sensazioni, la loro narrazione delle esperienze provate sulla propria pelle, la crudezza d'essere in balìa reale degli elementi; poi affiora una ostentata scherzosa diffidenza che si nota nell'assortimento dei cibi immaginati, accettabili e normali,(quasi, per un marinaio), contrapposti ad altri, come le cervella di agnello, o il pasticcio di "lepre di tegole" (ossia il gatto, spacciato per coniglio), decisamente e volutamente meno accettabili, e citati evidentemente per fare ironia sulla affidabilità e saldezza dell'Andrea e, forse, di tutto un mondo a cui sanno di non appartenere. Alla fine il "padrone della corda", probabilmente la necessità o la loro scelta di vita, li riporterà al mare. CRÊUZA DE MÂ Ónbre de môri môri de mainæ dónde ne vegnî, dôve l'é ch'anæ? Da 'n scîto dôve a lùnn-a se móstra nûa e a néutte a n'à pontòu o cotéllo a-a gôa e a montâ l'âze o gh'é restòu Dîo e o Diâo-o l'é 'n çê e o se gh'é fæto o nîo. Ne sciortìmmo da-o mâ pe sciugâ e òsse da-o Drîa a-a fontànn-a di cónbi 'nta cà de prîa. E 'nta cà de prîa chi ghe saiâ inta cà do Drîa ch'o no l'é 'n mainâ génte de Lugàn, fàcce de mandilâ [in genovese fàcce da mandilâ] quéi [in genovese quélli non si elide mai] che do loàsso preferìscian l'â fìgge de famìggia, ödô de bón che ti peu amiâle sénsa o gondón E a ste pànse vêue cös'o ghe daiâ? Cöse da béive, cöse da mangiâ? Fritûa de pigneu, giànco de Pòrtofìn [De André dice, sbagliando: Portofìn, la prima o detta [u] ] çervélle de bæ 'nto mæximo vìn lazàgne da fidiâ a-i quàttro tócchi paciûgo in agrodôçe de lêvre de cóppi E 'n sciâ bàrca do vìn ghe naveghiêmo 'n scî schéuggi emigrànti do rîe co-i ciòi 'nti éuggi finchò-u matìn (o) cresciâ da poéilo rechéugge fræ di ganéufeni [in genovese ganéufani] e de fìgge bacàn da còrda, màrsa d'ægoa e de sâ ch'a ne lîga e a ne pòrta 'nte 'na crêuza de mâ. MULATTIERA DI MARE Ombre di facce facce di marinai da dove venite dov'è che andate da un posto dove la luna si mostra nuda e la notte ci ha puntato il coltello alla gola e a montare l'asino c'è rimasto Dio il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido usciamo dal mare per asciugare le ossa dell'Andrea alla fontana dei colombi nella casa di pietra E nella casa di pietra chi ci sar nella casa dell'Andrea che non è marinaio gente di Lugano facce da tagliaborse quelli che della spigola preferiscono l'ala ragazze di famiglia, odore di buono che puoi guardarle senza preservativo E a queste pance vuote cosa gli dar cose da bere, cose da mangiare frittura di pesciolini, bianco di Portofino cervelli di agnello nello stesso vino lasagne da tagliare ai quattro sughi pasticcio in agrodolce di lepre di tegole E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli emigranti della risata con i chiodi negli occhi finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere fratello dei garofani e delle ragazze padrone della corda marcia d'acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare bACCINI Se questi muri sapessero parlare anche le strade potrebbero arrossire se questa gente avesse la pianura chiusa, Genova Io questa notte ho voglia di cantare dalla finestra ti sento anche arrossire tanto nessuno ci può ascoltare sorda, Genova Non mi basta un blues non mi basta un blues per averti un pò di più Genoa, you are red and blue Non mi basta un blues non mi basta un blues per averti un pò di più Genoa, you are red and blue Tra questa gente che osserva e si lamenta pure Colombo è stato uno fra cento e adesso in mare veleggia la rumenta strana, Genova Io questa notte ti vorrei parlare e invece parto per mandarti a dire che tu sei bella, si, ma da ricordare bella più che mai Non mi basta un blues non mi basta un blues per averti un pò di più Genoa, you are red and blue Non ci basta un blues non ci basta un blues per averti un pò di più Genoa, you are red and blue Paolo Conte Con quella faccia un po’così quell’ espressione un po’così che abbiamo noi prima andare a Genova che ben sicuri mai non siamo che quel posto dove andiamo non c’inghiotte e non torniamo più. Eppur parenti siamo in po’ di quella gente che c’è lì che in fondo in fondo è come noi selvatica ma che paura che ci fa quel mare scuro e non sta fermo mai. Genova per noi che stiamo in fondo alla campagna e abbiamo il sole in piazza rare volte e il resto è pioggia che ci bagna. Genova, dicevo, è un’idea come un’altra Ah… la la la la Ma quella faccia un po’così quell’ espressione un po’così che abbiamo noi mentre guardiamo Genova ed ogni volta l’annusiamo e circospetti ci muoviamo un po’ randagi ci sentiamo noi. Macaia, scimmia di luce e di follia, foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia. E intanto nell’ombra dei loro armadi tengono lini e vecchie lavande lasciaci tornare ai nostri temporali Genova ha i giorni tutti uguali. In un’ immobile campagna con la pioggia che ci bagna e i gamberoni rossi sono un sogno e il sole è un lampo giallo al parabrise. Con quella faccia un po’così quell’ espressione un po’così che abbiamo noi che abbiamo visto Genova http://www.luigitenco60s.it/ I Buio Pesto sono un complesso musicale dialettale italiano proveniente da Genova. Il nome del gruppo, che ha il proprio "quartier generale" a Bogliasco (GE), fa leva su un gioco di parole derivato dalla lingua ligure, dove il termine pesto può essere riferito egualmente tanto all'aggettivo scuro o profondo, quanto al tipico condimento ligure, il pesto appunto. Il logo del gruppo, caratterizzato da un intenso colore verde, richiama la forma della fogliolina di basilico, che del pesto è il principale ingrediente. Lo stile musicale del gruppo varia dal rock, al rap, al reggae, fino alla musica popolare. Caratteristica predominante dei brani dei Buio Pesto è la forte ironia e la comicità che conferisce alla musica una particolare vis giocosa e goliardica al tempo stesso. Nel 2005 il Comune di Genova ha consegnato ai Buio Pesto il disco d'oro alla carriera per aver superato le 50.000 copie di dischi venduti. Allo stato attuale le vendite ufficiali ammontano a 67.000 copie, che diventano 142.000 se conteggiate anche le compilation. Chi guarda Genova (I.Fossati) Chi guarda Genova sappia che Genova si vede solo dal mare quindi non stia lì ad aspettare di vedere qualcosa di meglio, qualcosa di più di quei gerani che la gioventù fa ancora crescere nelle strade un porto di guerra senza nessun soldato senza che il conflitto sia mai stato dichiarato un luogo di avvocati con i loro mobili da collezione e di commesse che gli avvocati la sera accompagnano alla stazione commesse senza parola e senza restituzione e giù alberghi della posta e ritorni senza eleganza e senza sosta restiamo volentieri ad aspettare che la nostra casa stessa riprenda il mare e non dovremmo sbagliare non ci dovremmo sbagliare senza un amore grande che debba ritornare uno di quelli che si aspettano per poi rinunciare bella signora che mi lusinghi citando a memoria le mie canzoni il tuo divano è troppo stretto perché io mi faccia delle illusioni abbiamo tutti un cuore arido ed un orecchio al traffico restiamo volentieri ad aspettare che la nostra casa stessa riprenda il mare non ci possiamo sbagliare non ci possiamo sbagliare sono gerani e non parole d'amore questo lo so. GENOVA BLUES (F.Baccini - F.DeAndré) Se questi muri sapessero parlare anche le strade potrebbero arrossire se questa gente avesse la pianura chiusa, Genova Io questa notte ho voglia di cantare dalla finestra ti sento anche arrossire tanto nessuno ci può ascoltare sorda, Genova Non mi basta un blues non mi basta un blues per averti un pò di più Genoa, you are red and blue Non mi basta un blues non mi basta un blues per averti un pò di più Genoa, you are red and blue Tra questa gente che osserva e si lamenta pure Colombo è stato uno fra cento e adesso in mare veleggia la rumenta strana, Genova Io questa notte ti vorrei parlare e invece parto per mandarti a dire che tu sei bella, si, ma da ricordare bella più che mai Non mi basta un blues non mi basta un blues per averti un pò di più Genoa, you are red and blue Non ci basta un blues non ci basta un blues per averti un pò di più Genoa, you are red and blue