Dal 1947 ai governi di centro-sinistra Il primo governo di centro, costituito da De Gasperi nel maggio 1947 (dopo l'estromissione delle sinistre), procedette alla svalutazione della lira e ad una restrizione del credito per frenare l'inflazione. Tale linea fu complessivamente efficace, tuttavia ebbe anche un effetto deprimente sull'economia, provocando nuova disoccupazione. Il governo, oltre ad attuare una limitata riforma agraria e un piano di edilizia popolare, realizzò alcune iniziative al fine di allentare le tensioni sociali, favorire l'occupazione e correggere gli squilibri, cercando di potenziare l’intervento dello stato: 1) La creazione della Cassa per il Mezzogiorno, a sostegno del sud 2) La fondazione dell’Istituto per la Ricostruzione industriale (IRI), destinato al potenziamento dell’industria statale 3) La formazione, nel 1953, dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), che sotto la guida di Enrico Mattei condusse una vittoriosa battaglia contro le compagnie petrolifere statunitensi e inglesi 4) La creazione dell’INA-CASA, che prevedeva il rilancio dell’edilizia popolare A ciò si aggiunse la riforma fiscale Vanoni volta a combattere il fenomeno dell’evasione fiscale. Per dare maggiore stabilità al governo venne varata nel 1953, tra accese polemiche, scioperi e manifestazioni di piazza, la cosiddetta legge-truffa, che prevedeva un premio di maggioranza, cioè l’assegnazione del 65% dei seggi, al partito o alla coalizione che avessero ottenuto la maggioranza assoluta delle preferenze e che pertanto avrebbero avuto la possibilità di governare senza alcun condizionamento da parte dell’opposizione. I risultati delle elezioni del 1953 videro la coalizione governativa conquistare solo il 49,85% dei voti, impedendo così il conseguimento del premio di maggioranza; le sinistre guadagnarono complessivamente poco più del 4% dei voti, e aumentarono le destre (monarchici e missini). Le elezioni del 1953 segnarono la fine dell’egemonia politica di De Gasperi, che morì nel 1954, e aprirono una fase di notevole instabilità politica. Nella seconda legislatura repubblicana (1953-1958) si succedettero infatti ben sei governi, tutti con una maggioranza parlamentare esigua, che nonostante le difficoltà riuscirono a varare diversi provvedimenti importanti: la soluzione del problema di Trieste, l’istituzione della Corte Costituzionale, del Ministero delle Partecipazioni Statali, del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), il controllo statale delle compagnie telefoniche, l’entrata dell’Italia nella Cee (Comunità Economica Europea). I rapporti di forza tra gli schieramenti di centro e di sinistra si mantennero anche nel corso della terza legislatura (elezioni 1958), durante la quale si attenuò però il rigore delle rispettive posizioni. La Democrazia cristiana, sotto la guida di Fanfani e Moro, si avvicinò gradualmente al Partito Socialista, al duplice scopo di isolare i comunisti ed accogliere le esigenze delle masse popolari con un moderato programma di riforme. Dal canto loro i socialisti, soprattutto dopo i fatti d’Ungheria condannati come un’aggressione al Paese, maturavano il distacco dal Pci prendendo una strada autonoma. Ma nel 1960, quando ormai si parlava di apertura a sinistra, fu formato il governo Tambroni con i voti dei neofascisti del Msi. Ciò suscitò un’ondata di protesta e scontri violenti, che costrinsero Tambroni a dimettersi e consentirono a Fanfani di governare con l’appoggio esterno dei socialisti (1962-1963), mentre il Pci era isolato nella sua azione di opposizione. I punti su cui socialisti e democristiani fondarono l’intesa furono: la nazionalizzazione dell’energia elettrica (nascita dell’Enel), l’istituzione della scuola media dell’obbligo, la creazione delle regioni a statuto ordinario (con forte decentramento), gli aiuti all’agricoltura. Questo programma innovativo venne attuato ad eccezione della riforma regionale, sulla cui realizzazione pesava la paura di dover abbandonare al Pci alcune regioni notoriamente “rosse”, con conseguente perdita di prestigio per la Dc. Anche se l’elettorato di destra, spaventato dall’apertura a sinistra, si allontanò dalla Dc, questa decise di continuare comunque su questa strada, con la partecipazione effettiva dei socialisti al governo (governo Moro, 1963).I governi Moro risultarono caratterizzati dal rallentamento del programma riformistico allo scopo di non radicalizzare il malcontento dell’elettorato di destra. La difficile ricerca di equilibri nell’attività politica non rispondeva solo a logiche elettorali, ma era anche l’inevitabile espressione della profonda trasformazione economica e sociale del Paese (il miracolo economico). Il "miracolo economico" Dal 1950 al 1963 si verificò un periodo di lunga crescita e di competitività crescente a livello internazionale, il cosiddetto "miracolo economico" italiano, che avvenne fra il 1958 e il 1963, quando la crescita del prodotto nazionale e industriale raggiunse i massimi storici. Alcuni dati, a indicazione dello sviluppo che portò l’Italia a trasformarsi da paese agricolo a potenza industriale: nel 1952 l’agricoltura occupava il 42,40% della popolazione attiva, l’industria il 31,69% e i servizi il 25,90%. Nel 1962 il 40,38% degli italiani era occupato nell’industria, il 32,17% nei servizi e il 27,44% nell’agricoltura. Dal 1951 al 1963 il Pil, ovvero il prodotto interno lordo in Italia crebbe del 97%: in altre parole, la ricchezza degli italiani quasi raddoppiò. Fattori dell'elevatissimo sviluppo economico furono: il sostegno finanziario americano; la forte domanda estera, in seguito alla liberalizzazione progressiva del commercio nel Mercato comune europeo, e interna, dovuta agli investimenti nell'edilizia, nelle opere pubbliche, nell'industria che si modernizzava e si espandeva; l’abbondanza di manodopera; il basso costo del lavoro, fornito dalle migrazioni interne dalle campagne e dal meridione d'Italia; la disponibilità di nuove fonti più economiche di energia, in sostituzione del carbone, e per l'azione dell'Eni (Ente nazionale idrocarburi), guidata da Enrico Mattei, che portò alla scoperta del metano in Val padana e all'importazione di petrolio a basso costo; infine l'aumento dei consumi interni, soprattutto al nord, reso possibile dall'aumento dei salari alla fine del periodo. Alla crescita dell'economia italiana l'industria pubblica contribuì con i giganteschi investimenti dell'Iri (Istituto per la ricostruzione industriale), soprattutto nel settore siderurgico. Anche nel nostro paese, con qualche ritardo, si realizzò una versione povera del modello fordista-consumista: produzione in serie automatizzata di beni e consumi diffusi (tra l'altro fecero la loro comparsa nelle famiglie italiane gli elettrodomestici, i televisori, i ciclomotori e le automobili di piccola cilindrata, con i modelli Fiat 600 e 500 o, per quanto riguarda i ciclomotori, la Vespa e la Lambretta). L’automobile e la televisione ebbero effetti notevoli sulla mentalità e sui costumi degli italiani, minando la fruizione collettiva del tempo libero, accentuando l’individualismo e il consumismo, promuovendo nuovi stili di vita. Tuttavia l'economia italiana si sviluppò secondo un modello dualistico, caratterizzato dalla presenza contemporanea di settori altamente dinamici contrapposti ad altri arretrati e stagnanti. Lo sviluppo fu dualistico anche sul piano territoriale: ne uscì consolidato e aggravato il tradizionale ritardo del sud con la concentrazione dei settori avanzati al nord. Già durante gli anni del "miracolo economico" lo sviluppo dell'industria si allargò molto al di l del vecchio "triangolo industriale" (Torino-Milano-Genova), coinvolgendo l'Italia centrale (Toscana, Emilia) e successivamente il nord-est (Veneto, Friuli), città di provincia e campagne circostanti. Il modello di sviluppo del nord-est, detto "terza Italia", che si estese nei decenni seguenti, era basato sull'industrializzazione diffusa in cui prevalevano le imprese medie e piccole, flessibili e orientate all'esportazione, che prosperavano in settori tradizionali (abbigliamento, calzature, pellami, mobilio) e anche moderni (macchine utensili e componentistica). Gli aspetti negativi dello sviluppo e la recessione -il rapido spopolamento delle campagne -l’inurbamento massiccio -un eccezionale flusso migratorio di manodopera dal sud al nord (speculazione edilizia, degrado urbano etc.) -l’approfondirsi del divario tra nord e sud del Paese e tra vari settori produttivi Lo spopolamento delle campagne fece crollare i prezzi dei terreni agricoli, rendendo inoperanti gli interventi previsti dal governo: ne derivò uno scarso sviluppo dell’agricoltura, l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e quindi il massiccio ricorso alle importazioni dall’estero, con conseguenze negative per la bilancia dei pagamenti. Alla fine del 1963 l’Italia venne a trovarsi in una fase di recessione economica per alcuni anni, ma già nel 1966 lo sviluppo riprendeva in modo soddisfacente, anche se il “miracolo” risultava ormai finito.