PIERPAOLO PASOLINI: ACCATTONE Considerazioni introduttive Accattone (1961) nasce dalla suggestione della grande stagione neorealistica (scenari della periferia, volti popolari di attori non professionisti, uso del dialetto, denuncia sociale, mancanza di qualsiasi intento evasivo e spettacolare, rifiuto dello studio e predilezione per gli ambienti naturali), ma sviluppa un progetto stilistico originale che dal neorealismo si discosta notevolmente. Pasolini stesso in vari scritti sottolinea le differenze tra il suo modo di fare cinema e il neorealismo: (pag.33) Inoltre Pasolini non segue l’altro mito neorealista, quello dell’abolizione della sceneggiatura sostituita dall’improvvisazione: dichiara anzi di essersi attenuto rigidamente alla sceneggiatura stessa. Tra i suoi modelli estetici non c’è Rossellini, ma ci sono Dreyer e la pittura (Giotto, Masaccio). Lo spazio rappresentato in Accattone è quello della borgata romana di periferia, dove il poeta elitario e il ragazzo di vita si trovano uniti sullo stesso fronte della diversità, che è sessuale ed estetica per il primo, sociale ed esistenziale per il secondo. Ma in entrambi i casi la distanza dai modelli piccolo-borghesi di integrazione e dai valori correnti è radicale. Nella borgata ritroviamo i reietti, gli emarginati, forme di vita selvagge non integrate nel tessuto urbano, prodotte e insieme cancellate dai processi di civilizzazione. Le sue caratteristiche sono quelle dell’isola, che stabilisce con la città dei rapporti di tipo mercenario, il furto o la prostituzione. Ma questo spazio arcaico, pre-storico, è lo spazio di una resistenza ai processi degenerativi di modernizzazione, ed assume un carattere sacro e mitico. Il sottoproletariato escluso dai processi di integrazione sociale si abbandona alle pulsioni elementari dell’esistenza, è pura energia vitale, fisicità allo stato primordiale e animale, delinquenza piena di innocenza. La sua figura, come quella del paesaggio in cui si immerge, assume una connotazione metafisica e simbolica, così come il linguaggio dialettale, trasfigurato poeticamente; il fondo religioso è quello pagano, contaminato da un cattolicesimo esteriore e pervaso da una forte tensione verso la morte. La borgata ha un aspetto africano e arabo: conserva i tratti di un’era preindustriale ei suoi violenti contrasti sono gli stessi che successivamente Pasolini troverà nel Terzo Mondo. I sottoproletari non hanno il senso del peccato, la loro purezza è tutta affidata all’incoscienza, al loro essere fuori della storia, impegnati nella soddisfazione di bisogni elementari. Così appare a Pasolini la borgata nel 1961, come un universo incontaminato, immerso in una temporalit mitica, ma di lì a pochi anni sarà costretto a registrare la progressiva perdita di questa aura sacrale, sotto la pressione dei modelli di vita provenienti dalla nuova civiltà del benessere e dal consumismo. Accattone è legato indiscutibilmente alla narrativa e alla poesia pasoliniana degli anni ’50; lo stesso autore afferma che Accattone riprende Una vita violenta perché segue il percorso individuale di un personaggio, e Ragazzi di vita perché privo di speranza. Il cinema, oltre che un nuovo mezzo espressivo che impone una riscrittura alle tematiche a lui più care in quegli anni, appare una forma di reazione ad una società letteraria in cui non si riconosce più; rappresenta un linguaggio transnazionale e transclassista, permette inoltre di cogliere la realtà fisica ed esistenziale con maggior pregnanza, è una forma d’arte più vicina alla poesia, alla lirica, che al racconto, come afferma lo stesso autore. Il lavoro di regia Come lavora Pasolini sul set? 1) Si affida ad attori non professionisti e riprende luoghi autentici: questo esprime la volontà di usare il set come luogo di contatto con le forme viventi, di regresso in uno spazio religioso. Agli attori si chiede di recitare se stessi con il linguaggio dei loro gesti e comportamenti. Accattone non è interpretato da Franco Citti, ma è Franco Citti, un ragazzo della Marranella, conosciuto nel ’51, fratello di Sergio a cui Pasolini attribuisce la funzione essenziale di un vero e proprio dizionario vivente. Franco è preda della stessa “incertezza d’esistenza”, dell’angoscia di Accattone, e come lui reagisce ad essa con la “propria violenza e prestanza fisica”, con scatti violenti. Accanto a Franco troviamo una schiera di giovani borgatari, reclutati fra i quartieri romani di Torpignattara e del Pigneto. 2) Filmando i corpi reali dei sottoproletari, non insegue nessun mito dell’improvvisazione e della spontaneità: i suoi doppiatori pronunciano le stesse battute del copione. Pasolini lavora sulla disintegrazione dell’unità della persona, separando il visivo dall’uditivo, e attribuendo al personaggio in tal modo una dimensione non naturalistica ma trasfigurante. 3) A Pasolini non interessano gli attori, ma i corpi: i segni antropologici ed esistenziali iscritti nelle loro fisionomie. L’attore è prima di tutto un materiale plastico, che è animato dallo sguardo del regista, il quale costruisce la sua figura come un pittore, attraverso il punto di vista e la luce. Più che colto sul vivo, l’attore viene dunque estratto dalla realtà e sottoposto ad un processo di manipolazione stilistica. 4) Più volte Pasolini sottolinea la matrice pittorica del suo gusto cinematografico (pagg.115-117): l’inquadratura è concepita come un quadro, e perciò a lui interessa la grana dell’immagine con gli effetti materici di superficie, come accadrebbe ad un pittore. Privilegia le inquadrature frontali, le mezze figure e i primi piani (anche i campi medi e lunghi), e preferisce la staticità al dinamismo (movimenti di macchina più semplici, panoramica, panoramica a stazioni, carrello quando Accattone cammina per strada). A tal proposito Pasolini parla di “sacralità tecnica” di Accattone, intendendo con questo termine i mezzi stilistico-espressivi usati (panoramiche, frontalità=sacralità, modo di trattare lo schermo come una tela, sottrazione di naturalit all’immagine, insistenza sugli effetti della luce, del chiaroscuro etc), in cui risiede l’intima religiosità del film: in questo modo egli trasforma l’infimo in sublime, trasformando i miserabili personaggi del film in figure di pale d’altare. 5) Anche la musica, tratta dalla Passione secondo Matteo di Bach, contribuisce ad accentuare l’aspetto non realistico ma simbolico ed allegorico del film: secondo Pasolini la musica fornisce una sorta di profondità alle immagini bidimensionali dello schermo, inoltre ponendosi in contrasto con la triviale materia trattata, ci fa capire che per gli emarginati e i malvagi, se esiste la sofferenza e la “passione”, può esistere anche la redenzione. 6) La citazione dantesca dal canto V del Purgatorio, posta ad inizio film, è un altro elemento che ci consente di interpretare il film come una parabola sacra. Bibliografia S.Parigi, Pierpaolo Pasolini/Accattone, Lindau, 2008 G.Brunetta, Cent’anni di cinema italiano, Laterza, 1998 AA.VV. Il filo rosso, Laterza, 2006