INTERNET E LA RIVOLUZIONE DIGITALE 1) Quale ruolo hanno Internet e le nuove tecnologie nell’ambito del tuo apprendimento? 2) Scrivi una o più parole associate per te a Internet. 3) Quali vantaggi e/o svantaggi ritieni che le nuove tecnologie abbiano portato alla società e, più in particolare, ai processi di apprendimento? 4) Pensi che la conservazione della memoria dell’umanità, ovvero dei dati e delle informazioni, sia favorita o meno dalle nuove tecnologie? 5) Sai a quale epoca risale il documento cartaceo più antico della storia dell’umanità? (VEDI ALLA FINE DEL DOCUMENTO, Ψ) Le innovazioni informatiche rendono obsoleti i supporti dei dati e gli strumenti per leggerli. La conservazione delle conoscenze per lunghi periodi si rivela ardua. E la rivoluzione tecnologica sembra non essere in grado di salvaguardare il patrimonio della civiltà. Al contrario della carta Memoria. Se nell'era digitale si scava una voragine Le foto di un reportage, tre anni fa in Alaska, sono andate perdute per la rottura dell'hard disk del mio computer. Quelle delle vacanze di due anni fa non le trovo più: finite in una memory card in fondo a qualche cassetto. Le immagini di dieci anni fa so perfettamente dove sono: in un vecchio floppy disk. Che i miei computer attuali non sono in grado di leggere. Le foto della mia prima vacanza - altopiano del Renon, 1957 - sono invece sempre lì: cartoncini appena ingialliti, tenuti insieme con un elastico in una scatola da scarpe. La carta, rigida e costosa, viene sempre più spesso sostituita dalle tecnologie digitali: flessibili, economiche, a basso impatto ambientale e ingombro zero. È la storia che ci è passata sotto gli occhi, quella del ventennio dell' era dei computer, della crescita esponenziale delle informazioni disponibili (testi, immagini, video) e della possibilità di fruirle su uno schermo. Un'accelerazione che non potrà che crescere con la diffusione di strumenti come i telefonini «intelligenti» e, ora, gli ebook e l' iPad, appena messo in vendita dalla Apple negli Stati Uniti: la consacrazione della nuova epoca del supporto mobile ultrasottile e leggero, un po' computer, un po' giornale, un po' tv e anche scaffale della libreria. La rivoluzione delle meraviglie digitali ha, però, anche cominciato a scavare una grossa voragine nella memoria dell' uomo. E non solo perché le nuove tecnologie cambiano i meccanismi dell' apprendimento e spingono verso percorsi di lettura più superficiali, continuamente interrotti dal ricorso ai link: coi nuovi supporti magnetici o elettronici, la conservazione delle informazioni per lunghi periodi di tempo si è rivelata un'impresa sorprendentemente ardua. Non si tratta solo della perdita di dati o immagini, magari non essenziali, delle nostre vite private. Ormai, tra l' altro, le foto si possono archiviare anche in rete, se non ci si preoccupa troppo della privacy e della durata del servizio. «Tra l'altro» nota Nicholas Carr, studioso dell'impatto della Internet culture sulle società contemporanee, «la crescente tendenza a trasferire i propri dati nelle cosiddette "nuvole digitali" senza più archiviarli in supporti di memoria personali crea una nuova vulnerabilità. Nella "cloud", infatti, tutto passa da un sistema di elaborazione di dati centralizzato. Che può essere sicuro e fruibile per un gran numero di anni. Oppure vulnerabile, esposto a incidenti tecnici, concepito con un orizzonte temporale limitato. Noi non lo sappiamo: siamo completamente nelle mani di chi gestisce il servizio». Ma il problema della conservazione del patrimonio collettivo delle civiltà è ben più serio di quello dei nostri dati privati. Qui la desertificazione della memoria dilaga ovunque: i risultati dei censimenti Usa del periodo 1960-1980 sono andati in gran parte perduti, mentre il Pentagono non riesce più a recuperare i dati sull'uso di defolianti - l'agente «orange» - durante la guerra del Vietnam. Informazioni preziose per la ricerca e l'aggiornamento di alcune terapie mediche. La Nasa, poi, oltre a non avere più un programma spaziale degno di questo nome, sta diventando un cimitero di informazioni sepolte: i nastri sui quali sono stati registrati i dati dei voli spaziali degli Anni 70 sono inservibili da più di un decennio. Alcuni erano stati tradotti in formato digitale prima del loro decadimento, altri no. Ma anche gli apparecchi per la lettura dei nuovi formati, nel frattempo, sono divenuti obsoleti per la rapida evoluzione delle tecnologie elettroniche. Il libro non ha bisogno di strumenti speciali per essere letto e, se la carta non contiene acidi, dura secoli: senza risalire alle incisioni su pietra e ai papiri dell' antico Egitto o alla Mesopotamia delle tavolette d'argilla vecchie di tremila anni che contengono il poema epico Gilgamesh, il volume di carta più antico, rinvenuto un secolo fa in una caverna della Cina, risale all'868 dopo Cristo. Sono numeri che fanno impallidire archivisti ed esperti della conservazione dei materiali che, alle prese con le tecnologie elettroniche, devono fronteggiare due ordini di problemi. Il primo riguarda il rapido deterioramento dei materiali: nastri magnetici di registratori audio e video, pellicole, floppy disk morbidi, hanno vita breve, dai cinque anni ai vent' anni. Cd e dvd si ritiene che possano durare, a seconda della qualità dei materiali usati, da venti a cento anni, ma nessuno ha idee chiare in proposito. La rottura dell' hard disk di un computer significa morte istantanea per tutte le informazioni che vi erano state immagazzinate. Il secondo nodo è quello della difficoltà di mantenere in efficienza strumenti elettronici ormai superati ma che sono gli unici in grado di leggere supporti (nastri, dischi, schede di memoria) non compatibili coi computer delle ultime generazioni. Siamo ancora nell' infanzia dell'era digitale, ma le storie sono già molte: la manutenzione di centinaia di testate nucleari degli Anni 70 è costata al Pentagono 62 milioni di dollari più del previsto perché, per poter leggere manuali non disponibili su carta, è stato necessario ricostruire da zero apparecchiature analogiche che risalgono a due generazioni fa. Ci si è riusciti soltanto grazie alla disponibilità di qualche esperto di tecnologie ormai perdute, che ha accettato di interrompere la vita da pensionato per tornare al lavoro. La Nasa, racconta la rivista «New Scientist», ha vissuto una vicenda simile: aveva bisogno di recuperare i dati trasmessi negli Anni 60 dalle sonde Lunar Orbiter, ma non aveva più i lettori di nastri del tempo. Alla fine ne ha trovato uno nella cantina di un suo ex dipendente: era diventato la tana di una lucertola. Restaurarlo e imparare di nuovo a usarlo è stata un'impresa. Problemi che riguardano la scienza, ma anche la conservazione di tutti gli altri aspetti della nostra civiltà, dalla letteratura alla storia. L'Archivio nazionale di Washington ha investito una cifra enorme per evitare che 11 mila ore di registrazioni di testimonianze di criminali nazisti al processo di Norimberga - a partire dal racconto del dottor Mengele dei suoi esperimenti su cavie umane - andassero perdute. Anche qui è stato necessario ricostruire un Recordgraph, strumento col quale, negli Anni 40, venivano letti rudimentali nastri di plastica. Anche la letteratura comincia ad avere i suoi problemi. Salman Rushdie sta esponendo alla Emory University di Atlanta il suo materiale d'archivio: libri, manoscritti, giornali e quattro computer Apple. Un «giacimento» digitale di 18 gigabyte, la cui esplorazione, però, già presenta grossi problemi tecnici. E sì che Rushdie ha cominciato a usare la scrittura elettronica solo 21 anni fa, quando la fatwa dell' ayatollah Khomeini lo costrinse a vivere nascosto. Quello dello scrittore anglo-indiano è solo il primo di una serie di casi destinati a diventare l'incubo di bibliotecari e archivisti di tutto il mondo: tre settimane fa l'Harry Ransom Center della Texas University ha annunciato di aver acquistato gli archivi digitali di David Foster Wallace, lo scrittore morto suicida nel 2008. A sua volta la Houghton Library di Harvard sta cercando di capire come utilizzare i 50 vecchi floppy disk ricevuti da John Updike poco prima della sua scomparsa. Leslie Morris, curatore della Houghton, ha spiegato al «New York Times» che la biblioteca non dispone della metodologia né delle risorse per «processare» questi supporti digitali: «Per ora ci limitiamo a conservarli in un ambiente con temperatura e umidità controllate». E Anne Van Camp, direttrice degli archivi della Smithsonian Institution, confessa allo stesso quotidiano di non dormirci la notte: tocca a lei, insieme ad altri esperti incaricati dalla National Science Foundation, cercare una risposta tecnicamente ed economicamente praticabile al dilemma della «digital preservation». Mentre le riviste scientifiche di mezzo mondo immaginano scenari apocalittici - il mondo semidistrutto da guerre o cataclismi naturali con i superstiti che non riescono a ricostruire le conoscenze della nostra civiltà perché privi degli strumenti di lettura di ciò che resta degli archivi elettronici - commissioni governative, National Archives (che hanno investito 308 milioni di dollari nell' impresa) e fondazioni private cercano risposte per uno dei dilemmi più sorprendenti e sottostimati del nostro tempo. Le questioni sono tecniche ma anche economiche: la carta rimane l'unico standard certamente capace di durare nel tempo, mentre le rivoluzioni tecnologiche rendono rapidamente obsolete tutte le nuove macchine che arrivano sul mercato. E quando uno standard di lettura non è più considerato efficiente viene spazzato via: ingegneri e «softwaristi» hanno il culto dell'efficienza. La loro attenzione è tutta concentrata sull'immediato, sull'equazione «più veloce, meno costoso». «Quello dell'eternità» - sintetizza il «New Scientist» - «non è considerato un mercato interessante». Il timore, diffuso tra gli intellettuali, di perdere la memoria per effetto dell'avvento di una nuova era delle macchine che rivoluziona i meccanismi del-l'apprendimento e anche quelli dell'archiviazione fisica ha ispirato lo scrittore di fantascienza Neal Stephenson che in Anathem, il suo ultimo romanzo, racconta la storia di una comunità di scienziati trapiantata sul pianeta Arbre. Uomini che, per sfuggire a una civiltà elettronica che atrofizza le capacità mnemoniche e spinge a ragionare con una logica di breve periodo, decidono di rinchiudersi in una specie di convento privo di computer dove tutti i calcoli vengono fatti a mano, su fogli di una carta capace di durare millenni. Un luogo nel quale si lavora solo su progetti privi di scadenza e nel quale l'unico motore di ricerca è la capacità di archiviazione della propria mente, quotidianamente allenata ad ampliare i confini del sapere immagazzinato. Un romanzo visionario, metafora di una contemporaneità contrassegnata dalla diffusione dell'attention deficit disorder (la difficoltà che molti, soprattutto i giovani, incontrano nel concentrarsi). Più di uno spunto, Stephenson lo ha trovato in una curiosa iniziativa, quella della Long Now Foundation (Fondazione del lungo presente): un'associazione filantropica di intellettuali - dal musicista Brian Eno al «computer scientist» Danny Hillis - che credono nel valore della tecnologia, ma vogliono anche contrastare il diffondersi della logica dello short term, del risultato immediato, da loro vista come una sorta di «sottocultura digitale». L'iniziativa più nota della fondazione, il cui obiettivo è seminare iniziative culturali che «guardano lontano», è il piano per la costruzione di un orologio meccanico capace di funzionare per diecimila anni quasi senza interventi umani, alimentato da pochissima energia, robusto e basato su componenti di basso valore in modo da ridurre il rischio di furti o di distruzione in qualche calamità naturale o provocata dall'uomo. Un piccolo prototipo è stato realizzato una decina d'anni fa ed è attualmente in funzione in un museo inglese. L'orologio millenario vero e proprio, una specie di cattedrale della meccanica, verrà, invece, costruito nei prossimi anni in unA localit del Nevada. A progettarlo è stato lo stesso Hillis, scienziato informatico che ha speso la sua vita nello sviluppo di quella che il massmediologo Derrick De Kerckhove chiama la «fase cognitiva dell' era elettrica». Ma che è anche consapevole della fragilità delle tecnologie digitali e della necessit di assicurarsi contro il rischio di blackout o di improvvise ondate «controrivoluzionarie». La Long Now, comunque, ha in cantiere anche programmi dal valore più pratico come «Rosetta Project»: la realizzazione di dischi di nickel capaci di durare centinaia, forse migliaia di anni, ognuno dei quali, attraverso una tecnica di microincisioni, può contenere fino a 30 mila pagine di testo. È questa la via giusta per garantire che l'umanità, trasformando i suoi archivi cartacei in una sterminata biblioteca digitale come quella sognata dai fondatori di Google, non rischi di passare repentinamente da «tutta la conoscenza dell' universo a portata di click» all'improvvisa oscurit di un mondo che smarrisce la memoria? Difficile individuare una soluzione tecnica affidabile, rinunciare a ogni back up su carta. Di certo tutte le soluzioni allo studio hanno costi elevati e pongono il problema di quale sia, nella babele degli scritti e delle immagini, la conoscenza del mondo che merita di essere salvata. Meglio, comunque, questi dilemmi che addentrarsi a cuor leggero, con l'ottimismo del tecno-utopista, in un mondo nel quale - come spiega Michael Olson, project manager degli archivi digitali dell'università di Stanford - gli unici a sapersi orientare tra dischetti, flash card, cd, dvd, vecchi e nuovi computer, sono i reparti specializzati della polizia investigativa. Dall'ottimismo di chi spera nella diffusione di una conoscenza universale e democratica ai saperi affidati a un «apriscatole» giudiziario. Gaggi Massimo (4 aprile 2010) - Corriere della Sera Massimo Gaggi, editorialista e inviato del «Corriere», ha dedicato le sue analisi recenti all' evoluzione dei sistemi socio-economici e alle conseguenze politiche della globalizzazione. Tra i suoi ultimi libri La valanga. Dalla crisi americana alla recessione globale (Laterza) e, scritto con Marco Bardazzi: L' ultima notizia. Dalla crisi degli imperi di carta al paradosso dell' era di vetro (Rizzoli) Profeti, visionari e bestie nere Il primo grido d' allarme era apparso su «New Scientist» il 9 giugno del 2005: da allora la rivista scientifica americana ha continuato a occuparsi del problema dei dati da salvare. A porselo concretamente è la Long Now Foundation, il cui sito internet è: www.longnow.org. Come spesso avviene, la fantascienza previene la scienza, è il caso di Anathem di Neal Stephenson che è uscito negli Stati Uniti nel 2008, edito da William Morrow. L' ultimo romanzo di Neal Stephenson tradotto in italiano (da Paola Bertante) è Snow Crash (Bur, pp. 551, 11,60). Nicholas Carr, la bestia nera dei fan della rete, nel suo ultimo libro, che risale al 2008, punta il dito su altre debolezze dell' era digitale: è il saggio tradotto in italiano da Mario Vegetti Il lato oscuro della rete. Libertà, sicurezza, privacy (Etas edizioni, pp. 304, 20). Il nuovo libro di Carr deve ancora uscire, ma già sta facendo discutere gli americani (il «Corriere» ne ha scritto il 27 marzo scorso): si tratta di The Shallows ovvero «Superficialità. Quello che Internet sta facendo alla nostra mente». Esercizio 1 Collega i seguenti termini con le definizioni corrispondenti: a) obsoleto, b)vulnerabile, c) voragine, d)dilagare, e)ingombro, f)arduo, g)impallidire, h)fronteggiare, i)deterioramento, l)manutenzione, m) tana, n)rudimentale, o)avere in cantiere 1) profondo baratro 2) difficile 3) Antiquato, disusato 4) guastarsi, ridursi in cattivo stato 5) buca profonda, covo che serve da riparo agli animali selvatici 6) si dice di parte dei corpo che può essere ferita, di tutto ciò che può essere attaccato e danneggiato, di persona che si può facilmente far soffrire 7) insieme di operazioni eseguite allo scopo di mantenere in efficienza impianti e simili 8) stare preparando 9) diffondersi largamente 10) appena abbozzato, informe 11) diventare pallidi (non reggere il confronto) 12) detto di cosa che porta via spazio 13) far fronte, opporsi Esercizio 2 Verifica se le seguenti affermazioni sono vere o false: 1) La conservazione delle informazioni nelle “nuvole digitali” è precaria ed esposta a rischi anche perché gestita a livello centralizzato 2) I supporti su cui sono archiviate le informazioni hanno un bassissimo indice di deteriorabilit 3) Recuperare dei lettori ormai superati per leggere supporti non compatibili con i computer di ultima generazione può rivelarsi un’impresa ardua e in più costosa 4) La cosiddetta “sottocultura digitale” è caratterizzata dalla logica del risultato immediato, dalla mancanza di progetti ad ampio respiro 5) La rivoluzione tecnologica ha reso più fragile e vulnerabile la memoria collettiva 6) Il giornalista ritiene che il problema possa essere risolto archiviando le informazioni su dei dischi di nichel molto resistenti e longevi Ψ ) Il Sūtra del Diamante in cinese, il testo a stampa più antico del mondo, stampato nel 868 d.C., ritrovato nelle Grotte di Mogao in Cina e conservato presso la British Library. 3) Esercizi scritti a) Commenta il contenuto dell’articolo seguente “Attenti a Internet, ci fa perdere la concentrazione e la memoria”, esprimendo le tue riflessioni sulla questione. b) Il caso Cattelan: esponi le tue considerazioni sul personaggio e su quella che, a tuo avviso, dovrebbe essere la funzione dell’arte nella società attuale Denuncia il «collettivismo tecnologico» e i rischi legati alle alterazioni del cervello Attenti a Internet, ci fa perdere la concentrazione e la memoria L’allarme di Nicholas Carr contro la dittatura della Rete. Il suo saggio divide l'America Le ambiguità di Internet nel disegno di Dave Cutler (Corbis) Le ambiguità di Internet nel disegno di Dave Cutler (Corbis) «Basta prendere Internet e le tecnologie digitali a scatola chiusa. Offrono opportunit straordinarie di accesso a nuove informazioni, ma hanno un costo sociale e culturale troppo alto: insieme alla lettura, trasformano il nostro modo di analizzare le cose, i meccanismi dell’apprendimento. Passando dalla pagina di carta allo schermo perdiamo la capacità di concentrazione, sviluppiamo un modo di ragionare più superficiale, diventiamo dei pancake people, come dice il commediografo Richard Foreman: larghi e sottili come una frittella perché, saltando continuamente da un pezzo d’informazione all’altra grazie ai link, arriviamo ovunque vogliamo, ma al tempo stesso perdiamo spessore perché non abbiamo più tempo per riflettere, contemplare. Soffermarsi a sviluppare un’analisi profonda sta diventando una cosa innaturale». Nicholas Carr è la bestia nera dei fan della Rete «senza se e senza ma» e dell’industria delle tecnologie digitali. Due anni fa un suo saggio, pubblicato dalla rivista «The Atlantic» col provocatorio titolo «Google ci sta rendendo stupidi?», fu il primo sasso gettato nello stagno della Internet culture. Carr, uno studioso che ha lavorato nella consulenza aziendale e ha diretto a lungo la «Harvard Business Review», fu bollato dal popolo del web come un nemico della tecnologia. «In realtà — racconta oggi dalla sua casa in Colorado dove si è ritirato a scrivere libri—fin dagli anni Ottanta sono sempre stato un consumatore febbrile delle tecnologie digitali a cominciare dal Mac Plus, il mio primo personal computer. Sono sempre stato un tecnofilo, non un tecnofobo. Ma il mio entusiasmo si è man mano attenuato con la scoperta che, oltre ai vantaggi che sono sotto gli occhi di tutti, la Rete ci porta anche svantaggi assai meno evidenti e proprio per questo più pericolosi. Anche perché gli effetti saranno profondi e permanenti ». Jaron Lanier, il genio dell’intelligenza artificiale che in un recente libro- manifesto ha messo in guardia dal «collettivismo» di Internet che uccide la creatività individuale, in Rete è stato bollato come un traditore. Sarà più difficile trattare nello stesso modo The Shallows («Superficialità: Quello che internet sta facendo alla nostra mente») il suo nuovo libro che già fa discutere quando mancano ancora più di due mesi alla pubblicazione negli Usa. Il perché lo spiega lo stesso Carr: «Quello sull’"Atlantic" era un saggio scritto sulla base della mia esperienza personale, una riflessione su come la cultura digitale ha cambiato il mio comportamento. Negli ultimi due anni mi sono sforzato di andare oltre il personale, esaminando le evidenze scientifiche e sociali di come Internet—e anche rivoluzioni precedenti come quella dell’alfabeto — hanno cambiato la storia intellettuale dell’umanità. E di come le nuove tecnologie influenzano la struttura del nostro cervello perfino a livello cellulare». Nel dibattito promosso dalla «Edge Foundation» su questi temi, lei ha citato il caso della «Cushing Academy », una scuola d’elite che forma le classi dirigenti del Massachusetts fin dai tempi della Guerra di Secessione, dalla cui biblioteca sono improvvisamente scomparsi tutti i libri: sostituiti da computer per fare ricerche. Che ruolo sta giocando la scuola in questa rivoluzione? «La scuola dovrebbe insegnare a usare con saggezza le nuove tecnologie. In realtà, però, gli educatori e perfino i bibliotecari si stanno abituando all’idea che tutta l’informazione e il materiale di studio possano essere distribuiti agli studenti in forma digitale. Dal punto di vista economico ha certamente senso: costa meno. Ma limitarsi a riempire le stanze di sistemi elettronici è miope. Come ci insegna McLuhan, il mezzo conta, e parecchio. Senza libri non solo è più difficile concentrarsi, ma si è spinti a cercare di volta in volta su Internet le nozioni fin qui apprese e archiviate nella nostra memoria profonda. La perdita della memoria di lungo periodo è il rischio più grosso: è un argomento al quale ho dedicato un intero capitolo». Il cofondatore di «Wikipedia», Larry Sanger, ammette i rischi di distrazione ma l’accusa di essere troppo pessimista, di non avere fiducia nella capacità dell’uomo di gestire con raziocinio le nuove possibilità offerte da tecnologie che rappresentano, comunque, un grande progresso per l’umanità. L’esercizio della libertà, dice Sanger, richiede responsabilità, capacità di mettere a fuoco i problemi e di risolverli. Anche nell’universo digitale «I fautori della libertà totale di acquistare e portare armi ragionano nello stesso modo quando dicono: le armi non uccidono gli uomini, sono gli uomini che uccidono altri uomini. Non voglio fare polemiche e vorrei che Larry avesse ragione: io non sono un determinista tecnologico. Purtroppo l’esperienza ci dice che la sua è una visione un po’ naïve: quando una nuova tecnologia diventa di uso comune, tende a cambiare le nostre abitudini, il modo in cui lavoriamo, il modo in cui socializziamo ed educhiamo i nostri figli. E ciò avviene lungo percorsi che in gran parte sfuggono al nostro controllo. È successo in passato con l’alfabeto o l’introduzione della stampa. Succede, a maggior ragione, oggi con Internet. La gente tende a non esercitare le possibilità di controllo, magari perché le interruzioni, le distrazioni che trova in rete, le portano pezzi di informazione interessante, o anche solo divertente» Oggi, poi, non c’è solo l’uomo più o meno capace di plasmare il suo futuro: pesano anche gli interessi delle grandi corporation delle tecnologie digitali. Riecco Google... «A far fare soldi alle società della Rete è il nostro moto perpetuo da un sito all’altro, da una pagina web all’altra. Sono i nostri clic compulsivi a far crescere gli incassi pubblicitari. L’ultima cosa che può desiderare una società come Google è che diventiamo più riflessivi, che ci soffermiamo di più su una singola fonte d’informazione ». Curioso. A sostenere la tesi della libertà assoluta della Rete, senza regole né percorsi educativi, sono soprattutto i progressisti. Con argomenti che, almeno negli Stati Uniti, a volte ricordano quelli usati dai libertari conservatori sulle armi, contro i vincoli in campo ambientale o le regole di educazione alimentare che avrebbero potuto evitare le epidemie di obesità e diabete. Nemmeno Google suscita, per ora, grandi diffidenze. Perché? «Perché la controcultura della sinistra Usa, contrarissima ai grandi calcolatori Ibm fino ai roghi di schede perforate degli anni ’60, ha poi scoperto nel personal computer — uno strumento individuale sottratto al controllo delle corporation e dei governi— uno strumento di libertà. Ed effettivamente era così, è stato così a lungo. Ma negli ultimi anni molto è cambiato: dal crowdsourcing che significa lavoro e idee gratuite per molte società che operano in Rete, alle reti sociali come Facebook che si comportano come latifondisti dell’Ottocento: affittano gratuitamente pezzetti di terra per poi guadagnare sulla sua coltivazione. È ora di cominciare a riflettere». Massimo Gaggi 27 marzo 2010