G. Leopardi, Canti http://www.classicitaliani.it/leopardi/canti/leopardi_Canti_02.htm#XIV. XIV. ALLA LUNA Creazione: Composto a Recanati probabilmente nel 1819 e pubblicato per la prima volta nel numero di gennaio 1826 del «Nuovo Ricoglitore». Qualche anno dopo verrano aggiunti i versi 13-14. Metro: endecasillabi sciolti. O graziosa luna, io mi rammento Che, or volge l’anno, sovra questo colle Io venia pien d’angoscia a rimirarti: E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari. 5 Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci Il tuo volto apparia, che travagliosa Era mia vita: ed è, nè cangia stile, O mia diletta luna. E pur mi giova 10 La ricordanza, e il noverar l’etate Del mio dolore. Oh come grato occorre Nel tempo giovanil, quando ancor lungo La speme e breve ha la memoria il corso, Il rimembrar delle passate cose, 15 Ancor che triste, e che l’affanno duri! XII. L’INFINITO Creazione: È il primo degli idilli; composto forse nella primavera del 1819 e pubblicato per la prima volta nel «Nuovo Ricoglitore di Milano». Metro: endecasillabi sciolti. Sempre caro mi fu quest’ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani 5 Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce 10 Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare. 15 XXI. A SILVIA Creazione: Composta a Pisa il 19 e 20 aprile 1828 pochi giorni dopo Il risorgimento; alle due poesie Leopardi allude nella lettera alla sorella Paolina del 2 maggio dello stesso anno. Silvia è il nome della protagonista dell'Aminta del Tasso e nel suo nome spesso i critici hanno adombrato la presenza di teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta di tisi il 30 settembre 1818: ma l'accostamento è privo di fondamento. Metro: Canzone libera di sei strofe di endecasillabi e settenari, con rime alternate e baciate Silvia, rimembri ancora Quel tempo della tua vita mortale, Quando beltà splendea Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, E tu, lieta e pensosa, il limitare 5 Di gioventù salivi? Sonavan le quiete Stanze, e le vie dintorno, Al tuo perpetuo canto, Allor che all'opre femminili intenta 10 Sedevi, assai contenta Di quel vago avvenir che in mente avevi. Era il maggio odoroso: e tu solevi Così menare il giorno. Io gli studi leggiadri 15 Talor lasciando e le sudate carte, Ove il tempo mio primo E di me si spendea la miglior parte, D'in su i veroni del paterno ostello Porgea gli orecchi al suon della tua voce, 20 Ed alla man veloce Che percorrea la faticosa tela. Mirava il ciel sereno, Le vie dorate e gli orti, E quinci il mar da lungi, e quindi il monte. 25 Lingua mortal non dice Quel ch'io sentiva in seno. Che pensieri soavi, Che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia 30 La vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme, Un affetto mi preme Acerbo e sconsolato, E tornami a doler di mia sventura. 35 O natura, o natura, Perchè non rendi poi Quel che prometti allor? perchè di tanto Inganni i figli tuoi? Tu pria che l'erbe inaridisse il verno, 40 Da chiuso morbo combattuta e vinta, Perivi, o tenerella. E non vedevi Il fior degli anni tuoi; Non ti molceva il core La dolce lode or delle negre chiome, 45 Or degli sguardi innamorati e schivi; Nè teco le compagne ai dì festivi Ragionavan d'amore. Anche peria fra poco La speranza mia dolce: agli anni miei 50 Anche negaro i fati La giovanezza. Ahi come, Come passata sei, Cara compagna dell'età mia nova, Mia lacrimata speme! 55 Questo è quel mondo? questi I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi Onde cotanto ragionammo insieme? Questa la sorte dell'umane genti? All'apparir del vero 60 Tu, misera, cadesti: e con la mano La fredda morte ed una tomba ignuda Mostravi di lontano. XXII LE RICORDANZE Creazione: canto composto a Recanati dal 26 agosto al 12 settembre 1829, fu pubblicato per la prima volta in Firenze nel 1831. Metro: endecasillabi sciolti, divisi in stanze (o meglio «lasse narrative») di varia misura. Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea Tornare ancor per uso a contemplarvi Sul paterno giardino scintillanti, E ragionar con voi dalle finestre Di questo albergo ove abitai fanciullo, 5 E delle gioie mie vidi la fine. Quante immagini un tempo, e quante fole Creommi nel pensier l'aspetto vostro E delle luci a voi compagne! allora Che, tacito, seduto in verde zolla, 10 Delle sere io solea passar gran parte Mirando il cielo, ed ascoltando il canto Della rana rimota alla campagna! E la lucciola errava appo le siepi E in su l'aiuole, susurrando al vento 15 I viali odorati, ed i cipressi Là nella selva; e sotto al patrio tetto Sonavan voci alterne, e le tranquille Opre de' servi. E che pensieri immensi, Che dolci sogni mi spirò la vista 20 Di quel lontano mar, quei monti azzurri, Che di qua scopro, e che varcare un giorno Io mi pensava, arcani mondi, arcana Felicità fingendo al viver mio! Ignaro del mio fato, e quante volte 25 Questa mia vita dolorosa e nuda Volentier con la morte avrei cangiato. Nè mi diceva il cor che l'età verde Sarei dannato a consumare in questo Natio borgo selvaggio, intra una gente 30 Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso Argomento di riso e di trastullo, Son dottrina e saper; che m'odia e fugge, Per invidia non già, che non mi tiene Maggior di se, ma perchè tale estima 35 Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori A persona giammai non ne fo segno. Qui passo gli anni, abbandonato, occulto, Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza Tra lo stuol de' malevoli divengo: 40 Qui di pietà mi spoglio e di virtudi, E sprezzator degli uomini mi rendo, Per la greggia ch'ho appresso: e intanto vola Il caro tempo giovanil; più caro Che la fama e l'allor, più che la pura 45 Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo Senza un diletto, inutilmente, in questo Soggiorno disumano, intra gli affanni, O dell'arida vita unico fiore. Viene il vento recando il suon dell'ora 50 Dalla torre del borgo. Era conforto Questo suon, mi rimembra, alle mie notti, Quando fanciullo, nella buia stanza, Per assidui terrori io vigilava, Sospirando il mattin. Qui non è cosa 55 Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro Non torni, e un dolce rimembrar non sorga. Dolce per se; ma con dolor sottentra Il pensier del presente, un van desio Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui. 60 Quella loggia colà, volta agli estremi Raggi del dì; queste dipinte mura, Quei figurati armenti, e il Sol che nasce Su romita campagna, agli ozi miei Porser mille diletti allor che al fianco 65 M'era, parlando, il mio possente errore Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche, Al chiaror delle nevi, intorno a queste Ampie finestre sibilando il vento, Rimbombaro i sollazzi e le festose 70 Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno Mistero delle cose a noi si mostra Pien di dolcezza; indelibata, intera Il garzoncel, come inesperto amante, La sua vita ingannevole vagheggia, 75 E celeste beltà fingendo ammira. O speranze, speranze; ameni inganni Della mia prima età! sempre, parlando, Ritorno a voi; che per andar di tempo, Per variar d'affetti e di pensieri, 80 Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo, Son la gloria e l'onor; diletti e beni Mero desio; non ha la vita un frutto, Inutile miseria. E sebben vóti Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro 85 Il mio stato mortal, poco mi toglie La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta A voi ripenso, o mie speranze antiche, Ed a quel caro immaginar mio primo; Indi riguardo il viver mio sì vile 90 E sì dolente, e che la morte è quello Che di cotanta speme oggi m'avanza; Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto Consolarmi non so del mio destino. E quando pur questa invocata morte 95 Sarammi allato, e sarà giunto il fine Della sventura mia; quando la terra Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo Fuggirà l'avvenir; di voi per certo Risovverrammi; e quell'imago ancora 100 Sospirar mi farà, farammi acerbo L'esser vissuto indarno, e la dolcezza Del dì fatal tempererà d'affanno. E già nel primo giovanil tumulto Di contenti, d'angosce e di desio, 105 Morte chiamai più volte, e lungamente Mi sedetti colà su la fontana Pensoso di cessar dentro quell'acque La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco Malor, condotto della vita in forse, 110 Piansi la bella giovanezza, e il fiore De' miei poveri dì, che sì per tempo Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso Sul conscio letto, dolorosamente Alla fioca lucerna poetando, 115 Lamentai co' silenzi e con la notte Il fuggitivo spirto, ed a me stesso In sul languir cantai funereo canto. Chi rimembrar vi può senza sospiri, O primo entrar di giovinezza, o giorni 120 Vezzosi, inenarrabili, allor quando Al rapito mortal primieramente Sorridon le donzelle; a gara intorno Ogni cosa sorride; invidia tace, Non desta ancora ovver benigna; e quasi 125 (Inusitata maraviglia!) il mondo La destra soccorrevole gli porge, Scusa gli errori suoi, festeggia il novo Suo venir nella vita, ed inchinando Mostra che per signor l'accolga e chiami? 130 Fugaci giorni! a somigliar d'un lampo Son dileguati. E qual mortale ignaro Di sventura esser può, se a lui già scorsa Quella vaga stagion, se il suo buon tempo, Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta? 135 O Nerina! e di te forse non odo Questi luoghi parlar? caduta forse Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, Che qui sola di te la ricordanza Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede 140 Questa Terra natal: quella finestra, Ond'eri usata favellarmi, ed onde Mesto riluce delle stelle il raggio, È deserta. Ove sei, che più non odo La tua voce sonar, siccome un giorno, 145 Quando soleva ogni lontano accento Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri Il passar per la terra oggi è sortito, 150 E l'abitar questi odorati colli. Ma rapida passasti; e come un sogno Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte La gioia ti splendea, splendea negli occhi Quel confidente immaginar, quel lume 155 Di gioventù, quando spegneali il fato, E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna L'antico amor. Se a feste anco talvolta, Se a radunanze io movo, infra me stesso Dico: o Nerina, a radunanze, a feste 160 Tu non ti acconci più, tu più non movi. Se torna maggio, e ramoscelli e suoni Van gli amanti recando alle fanciulle, Dico: Nerina mia, per te non torna Primavera giammai, non torna amore. 165 Ogni giorno sereno, ogni fiorita Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento, Dico: Nerina or più non gode; i campi, L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno Sospiro mio: passasti: e fia compagna 170 D'ogni mio vago immaginar, di tutti I miei teneri sensi, i tristi e cari Moti del cor, la rimembranza acerba.