LLfO Lingua italiana ďo E - 2005 BULZONI EDITORE la grammatica e ľuso Matteo Motolese Appunti sul sessismo linguistico1 1. Aprendo un suo intervento a Piazza Duomo a Milano, in piena campa-gna elettorale, Pietro Nenni apostrofava la folia con: cittadini di Milano, lavo-ratríci e lavoratori, compagni! Era il 14 marzo 1948. Per la seconda volta, nella storia d'ltalia, le donne erano chiamate alle urne. Coloro che quel giorno erano a Piazza Duomo dovevano aver percepito quel saluto alle lavoratrici prima che ai lavoratori come un segno di attenzione non del tutto ovvio. Per noi che lo guar-diamo da qui, uno di quei dettagli che - sommati ad altri - mostrano una societa in movimento. Oggi la coppia femminile-maschile ě del tutto normále nei discorsi di qualsiasi leader politico; eppure essa sembra essersi depositata nelle abitudini istituzionali in modo abbastanza lento. Lo si puó vedere passando in rassegna i modi nei quali i vari Presidenti della Repubblica hanno aperto i loro discorsi di fine anno neH'ultimo cinquantennio. Quando, la sera del 31 dicembre del 1949, Luigi Einaudi inauguró questa consuetudine, salutó con un collettivo italiani!; lo * La presente rubrica, a partire da questo numero, si arricchisce della collaborazione con l'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, che ha messo gentilmente a disposizione della reda-zione di «Licr'O», perché possano essere selezionate (ed eventualmente pubblicate) le piü interessanti e meritevoli di una qualche risposta o chiarimento, le e-mail di argomento grammaticale, o in grado di investire in un modo o nell'altro la lingua italiana, spedite dai suoi lettori. Ringrazio perciö Massimo Bray, direttore editoriale dell'istituto (e ora anche membro del nostro comitato scientifico), Luigi Romani, redattore-capo del vocabolario // Treccani, e Silverio Novelli, collaboratore al sito Internet dell'istituto e giornalista freelance, che ha contribuito a questo numero rispondendo diffu-samente all'e-mail prescelta. ' Come indicate nei primo numero di «Lirf'O», il terna trattato di volta in volta nella rubrica ě suggerito dai lettori. Negli ultimi mesi sono arrivate in redazione alcune lettere che ruotavano at-torno al cosiddetto sessismo linguistico. L'articolo che segue é un'ideale risposta ad esse. 101 stesso fecero i Presidenti che seguironö, da Gronchi a Leone. Con Pertini si ha la prima variante significativa: il suo terzo discorso alla nazione si apre infatti con un italiane e italiani, cari amici. Ě il 1980. Nei tre anni successivi la doppia allocu-zione rimarrä stabile, un paio di volte integrata da un miei compatrioti (1982) o miei connazionali (1983). Sono gli anni in cui l'onda del movimento femminista degli anni '70 comincia ad infiltrarsi al di sotto di abitudini linguistiche consolidate lamentando l'eccessivo maschilismo delle varie lingue occidentali. E perö an-cora troppo presto, mi pare, per poter collegare i due fenomeni. Anche perché negli anni seguenti riscontriamo, nel microdettaglio dei saluti presidenziali, un atteggiamento altalenante: nel 1984, ultimo anno del suo settennato, Pertini apre semplicemente con miei cari compatrioti; Cossiga adotterä il doppio saluto solo una volta {care cittadine, cari cittadini, 1991); Scalfaro preferirä di solito un ge-nerico Buon Anno a tutti. Con Ciampi la doppia allocuzione d'apertura diventa stabile: dal 1999 ad oggi ogni suo discorso augurale si apre con (care) italiane, (cari) italiani'. 2. Una simile carrellata di formule di saluto puö apparire a prima vista prevedibile e poco indicativa. Lo ě meno quando si consideri ciö che avviene contemporaneamente nei piani piú bassi della comunicazione istituzionale, a partire dai secondi anni '80. Come molti ricorderanno, nel 1986 - all'interno dei lavori della Commis-sione Nazionale per la Realizzazione della Parita tra Uomo e Donna istituita dal governo Craxi - venne pubblicato un opuscolo di una trentina di pagine dal ti-tolo Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana a eura di Alma Sabatini3. Si trattava del primo intervento istituzionale sulla questione che - come esplicitato dal titolo - intendeva fornire indieazioni puntuali per contra-stare l'orientamento in senso maschile della lingua italiana. II sottotitolo sele-zionava il destinatario primario di quello strumento: per la scuola e per l'editoria scolastica. L'idea era quella di «sollevare il problema del sessismo in-sito nella lingua italiana (come nelle altre lingue), e di mettere in luce i presup-posti culturali e i pregiudizi radicati nella nostra societa nei confronti delle donne» (Introduzione, p. 11), sensibilizzando «a una costante sorveglianza cri-tica» del linguaggio nei confronti degli «stereotipi sessisti» (Luisa La Malfa, Prefazione, p. 9). Non si trattava di generiche indieazioni ma di un vero e proprio vademecum pratico; si suggeriva l'uso dei tipi femminili amministratrice, la presidente, magistrata, sindaca; la preferenza di la studente per evitare il suf-fisso -essa di studentessa (pp. 22-23) e cosi via. Oltre all'indicazione dei nomi 2 I discorsi pronunciati dai Presidenti della Repubblica si possono leggere nel sito del Quiri-nale (alFindirizzo Internet: www.quirinale.it). 3 Cfr. Sabatini (1986). Del fascicolo ě poi uscita anche una versione aggiornata (Sabatini 1993). 102 professional! femminili la Sabatini si spingeva anche in ambiti piu circoscritti come la microsintassi (suggerendo, ad esempio, di «evitare di accordare il participio pas-sato al maschile, quando i nomi sono in prevalenza femminili: per es. Carla, Maria, Francesca, Giacomo sono arrivate stamattina, p. 19) oppure l'uso dei nomi collet-tivi. Per questi Ultimi, in particolare, consigliava di «evitare di usare sempře e uni-camente il maschile neutro parlando di popoli, categorie, gruppi, ecc»; dunque: non i bambini ma le bambine e i bambini; non i cittadini ma le cittadine e i cittadini. II documento usciva sotto l'egida della Presidenza del Consiglio dei Ministři. Nello stesso anno il presidente Cossiga apriva il suo discorso del 31 dicembre con un ge-nerico buonasera a tutá i cittadini che mi ascoltano. 3. Pur con proposte quasi tutte poco condivisibili4 e, come mostra giä l'esem-pio di Cossiga, generalmente poco recepite, il volumetto dalla Sabatini dava voce a una esigenza di equiparazione tra i sessi che si andava diffondendo nella societa italiana. Quando, pochi anni dopo, si mise mano a una semplificazione del linguaggio della pubblica amministrazione questa esigenza non era dimi-nuita. E cosi nel Codice di Stile del 1993 si trovano indicazioni, seppure meno rigide e limitate ad ambiti specifici, riguardo all'uso di nomi professionali diffe-renziati (architettolarchitetta; funzionariolfunzionaria), sdoppiamenti (l'abbo-nato e l'abbonata), nomi collettivi (personale funzionario in vece che funzio-nari), etc. Anche il Manuale di Stile (1997), che proseguiva sulla stessa linea, ribadiva in un paio di pagine «suggerimenti per l'uso non discriminatorio della lingua» (pp. 37-38). Scorriamoli: usare «il piü possibile sostantivi non marcati o nomi collettivi che includano persone di ambo i generi (persone anziehe uomini; lavoratori e lavoratrici anziehe lavoratori; lettori e lettrici anziehe lettori» (p. 37); adottare formule plurali (per es. sottoscritto/-d)\ evitare dissimmetrie linguisti-che (professione del padre/condizione della madre); evitare il titolo signora quando una donna possiede un titolo professionale; speeificare, nei bandi e nelle Offerte di lavoro, entrambi i generi grammaticali (tipo: programmatore/pro-grammatrice); infine, «quando si usano per le donne nomi comuni, validi cioě sia per il maschile sia per il femminile, usare articoli e concordanze al femminile (la giomalista, la vigile, una analista)». A differenza delle raecomandazioni della Sabatini e anche di alcuni suggerimenti presenti nel Codice di Stile, si puö dire che le indicazioni presenti nel Manuale siano tutto sommato condivisibili. Ma quante di esse sono effettivamente entrate in circolazione? 4 Al riguardo si vedano almeno le valutazioni di Simone (1987), Marcato (1988), Lepschy (1989a), Cardinaletti/Giusti (1991), Cortelazzo (1995). 103 4. Indagini in questo senso non sono mancate: in un paio di convegni tra il 2000 e il 2003, ad esempio, Serena Ricci ha illustrato gli esiti di alcune indagini per verificare il grado di sessismo della lingua della televisione. In attesa della pubblicazione dei risultati, attualmente in corso di stampa, fornisco qui alcuni assaggi da altri settori che mi paiono comunque indicativi della tendenza generale. Nella Sezione generale della Gazzetta Ufficiale del maggio 20055 relativa agli Ultimi 60 giorni non trovo, ad esempio, alcun caso di assessora (11 esempi maschili) o sindaca (29 maschili); nella Serie concorsi non mi risultano attesta-zioni di avvocata/-essa (di contro a 5 maschili) e cosi di magistrata (3 maschili); si hanno perö casi di sdoppiamento: trovo infatti per cinque volte il candidato e la candidata. Ma attenzione: l'andamento ě oscillante. In un bando concorsuale in cili viene esplicitamente garantita, come da legge, la «paritä e pari opportunitä tra uomini e donne per l'accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro», si ri-chiede ad esempio una commissione giudicatrice composta da «un magistrato amministrativo o da un avvocato dello Stato o da un dirigente di prima fascia o da un professore di prima fascia di universita pubbliche o private, con funzioni di Presidente e da due componenti esperti nelle materie del concorso scelti tra dirigenti delle amministrazioni pubbliche». D'altronde anche guardando nei siti delle istituzioni la situazione non cambia: mancano, ad esempio, attestazioni di ministra nel sito del Governo (www.governo.it) e su quello del Ministero per l'Universitä e la Ricerca, oggi retto da una donna (www.miur.it). E si potrebbe continuare. Se questa ě la situazione del lessico, notoriamente piü esposto al cambiamento, si capisce che un controllo sulla microsintassi o sui nomi collet-tivi non vale la pena nemmeno di farlo. Uscendo perö dall'ambito istituzionale la situazione appare piü in movi-mento: negli archivi on-line di due noti quotidiani italiani (il «Corriere della sera» e «la Repubblica») non solo si incontrano casi di ministra ma anche di ar-chitetta, avvocata o magistrata, alcune volte dovuti alla penna di noti editoriali-sti (cosi, ad esempio, Vittorio Zucconi della «Repubblica», che usa normalmente queste forme femminili). E ancora di piü navigando nella melassa verbale di Internet: in Google si contano, ad esempio, 7.690 presenze di architetta (contro 1.030.000 di architetto, parte delle quali certamente riferite a donne) e 14.100 di avvocata (1.110.000 di avvocato, anch'esse in parte da riferire a donne). Una simile discrepanza non stupisce. Un cambiamento negli usi istituzio-nali ě ben piü complesso di quanto appaia a prima vista. Come notava anni fa Luca Serianni riflettendo sul Codice di Stile del 1993: «i termini al maschile aventi significato generico comprendono de iure anche le donne, in quanto sog- 5 Ho compiuto il controllo attraverso il motore di ricerca del sito della Gazzetta Ufficiale (www.gazzettaufficiale.it); i controlli sono stati compiuti il 20 maggio del 2005, cosi come gli altri ehe seguono relativi a fonti ricavate da Internet. 104 getti e beneficiarie del diritto; ora applicando criteri non sessisti e introducendo sdoppiamenti, nomi collettivi e simili, c'e il rischio che, per distrazione o per difficoltä di sostituzione [...] accanto ai maschili veri e propri sopravviva un certo numero di maschili generici, compromettendo la certezza del diritto» (Serianni 1994: 153-154). Nel momento in cui passasse la linea giuridica che con cittadini ci si rivolge solo agli uomini il rischio di incoerenze, passibili di essere impugnate in giudizio, sarebbe larghissimo. Normale dunque che nel linguaggio giuridico non si siano recepite molte delle raccomandazioni dei vari manuali di stile. 5. Ma anche agli altri livelli b difficile attribuire ai vari manuali di stile una reale influenza sulle abitudini linguistiche degli italiani: le Stesse attestazioni di ministra, avvocata che si incontrano - ad esempio - negli articoli di Zucconi o nella rete non credo si possano considerare un effetto delle raccomandazioni di questo o quel manualetto. Si tratterä, piuttosto, di un ovvio adeguamento lingui-stico dovuto alia redistribuzione delle professioni all'interno della nostra societä, che sfrutta i mezzi morfologici normalmente a disposizione dei parlanti. Tan to e vero che trent'anni di lamentele sull'uso del prefisso -essa (in cui giä la Sabatini avvertiva una connotazione negativa e su cui si sofferma anche una delle lettere arrivate alia redazione di «LkPO») non hanno di fatto prodotto un significativo abbandono della forma6. Sarebbe errato dire perö che trent'anni di interventi in senso antisessista non abbiano depositato nulla nella nostra cultura. Oltre ad aver promosso la dif-fusione di minimi segni di equiparazione linguistica - come ad esempio la dop-pia indicazione maschile/femminile nella modulistica - le discussioni di questi anni hanno soprattutto contribuito ad attivare una nuova sensibilitä che ha reso progressivamente inaccettabili asimmetrie come ad esempio professione dell'uo-molcondizione della donna e altri rigidi segni di demarcazione sociale. Che poi la lingua possa aver mantenuto, nel suo assetto grammaticale, una qualche dis-simmetria mi pare un problema marginale, e destinato a divenirlo sempre di piü. Non bisogna dimenticare che la lingua b soprattutto storia e che il deposito di secoli di tradizione non puö certo essere cambiato in modo artificiale ne sarebbe augurabile che lo fosse: non credo sia auspicabile una lingua completamente asessuata ed equilibrata, ossessionata dal politically correct e attenta a non incli-nare da una parte o dall'altra. Tanto piü che, e bene ricordarlo, non sempre l'equi-parazione linguistica corrisponde a una equiparazione anche nella realtä. Basti pensare che, durante il fascismo, in un'Italia il cui il ruolo della donna non si puö dire fosse paritario a quello dell'uomo, Mussolini infarciva spesso i saluti dei suoi discorsi con un equilibrato italiani e italiane. Anche se, rigorosamente, in quest'ordine. 6 Su questo aspetto si vedano le considerazioni di Cortelazzo (1995). 105 Bibliografia Cardinaletti Anna/Giusti Giuliana, 1991, // sessismo nella lingua italiana. Riflessioni sui lavori diAlma Sabatini, in «Rassegna italiana di linguistica applicata», 23: 169-189. Cortelazzo Manlio, 1995, Perche non si vuole lapresidentessa?, in Marcato: 49-52. D'Antoni Francesca, 1992, // sessismo linguistico nel linguaggio pubblicitario, in «Rassegna italiana di linguistica applicata », 24: 129-162. Holtus Gunter/Metzeltin Michele/Schmitt Christian, 1988, (Hrsg.), Lexicon der Romanistischen Linguistik (LRL), vol. IV, Italienisch, Korsisch, Sardisch, Tübingen, Niemeyer. Lepschy Giulio C, 1989a, Lingua e sessismo, in Lepschy (1989b): 61-84. Lepschy Giulio C, 1989b, Nuovi saggi di linguistica italiana, Bologna, il Mulino. Marcato Gianna, 1988, Italienisch: Sprache und Geschlechter, Lingua e sesso, in Hol-tus/Metzeltin/Schmitt: 237-246. Marcato Gianna, 1995, (a cura di), Donna e linguaggio, Padova, CLEUP. Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dipartimento per la Funzione Pubblica, 1993, Codice di Stile delle cömunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di studio, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dipartimento per la Funzione Pubblica, 1997, Manuale di Stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di studio, a cura di Alfredo Fioritto, Bologna, il Mulino. Sabatini Alma, 1986, Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sabatini Alma, 1993, // sessismo nella lingua italiana, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri. Serianni Luca, 1994, rec. a Presidenza del Consiglio dei Ministri 1993, in «Studi lingui-stici italiani», 20: 151-154. Simone Raffaele, 1987, Le donne tra desinenze e discorsi, in «Italiano e Oltre», 2: 99-100. 106