ACCATTONE SECONDO PASOLINI Accattone è nato in un momento di sconforto, cioé durante l´estate del governo Tambroni, e perciò in un certo senso Accattone è una regressione rispetto a Una vita violenta. Una vita violen-ta era nata negli anni '50 prima della crisi stalinista, cioé quando ancora la speranza, così come si era configurata prospetticamen-te con la Resistenza e nell'immediato dopoguerra, era ancora viva, era un fatto reale, che rendeva parimenti viva e reale la pro-spettiva di Una vita violenta, cioé il passaggio di Tommaso Puz-zilli attraverso fasi contraddittorie, dal puro teppismo-fascismo, alla tentazione della vita per bene democratica, finalmente al comunismo. Questo in Accattone non c'è; ed effettivamente da un punto di vista strettamente, diciamo così, di precettistica co-munista, Accattone torna indietro ed è un po' un'involuzione rispetto a Una vita violenta. Nel libro avevo fornito, oltre a una denuncia sociale, descri-vendo un certo ambiente, anche esplicitamente una soluzione dei problemi di questo mondo, facendo sì che il mio personag-gio facesse una scelta dichiarata, scegliesse cioé il partito comu- nista, benché confusamente. Invece in Accattone, un po' come in Ragazzi di vita, il problema sociale si limita a essere una denuncia, un dato di fatto, che assume maggiore importanza in quanto Ragazzi di vita era ancora una denuncia che avveniva nel tramonto del dopoguerra, era una cosa un po' ovvia; mentre Accattone si presenta nel tempo del benessere capitalistico, quindi la stessa denuncia è più cruda, ovvero viene a dire che metà Italia, da Roma in giù, non è 1'Italia del benessere capitalistico. Ma non c'è il problema affrontato esplicitamente, e il problema politico rimane incarnato, incorporato, impastato nella vicenda stessa di Accattone^2. In realtà la «crisi» di Accattone e una crisi totalmente individuale: si compie non solo nell'ambito della sua irriflessa e inconscia personalità, ma nell'ambito della sua irriflessa e inconscia condizione sociale. [...] Mi sono affacciato a guardare quello che succedeva dentro l´anima di un sottoproletario della periferia ro-mana (insisto a dire che non si tratta di una eccezione ma di un caso tipico di almeno metà Italia) e vi ho riconosciuto tutti gli an-tichi mali (e tutto 1'antico, innocente bene della pura vita). Non potevo non constatare: la sua miseria materiale e morale, la sua feroce e inutile ironia, la sua ansia sbandata e ossessa, la sua pi-grizia sprezzante, la sua sessualità senza ideali, e, insieme a tutto questo, il suo atavico, superstizioso cattolicesimo di pagano. Perciò egli sogna di morire e di andare in Paradiso. Perciò soltan-to la morte può «fissare» un suo pallido e confuso atto di reden-zione. Non c'è altra soluzione intorno a lui, come intorno a un enorme numero di persone simili a lui. È molto, ma molto più ra-ro, un caso come quello di Tommasino che un caso come quello di Accattone. Con Tommasino ho dato un dramma, con Accattone una tragedia: una tragedia senza speranza, perché mi auguro che pochi saranno gli spettatori che vedranno un significato di speranza nel segno della croce con cui il film si conclude^3. II sottoproletariato [...] è solo apparentemente contemporaneo alla nostra storia, le caratteristiche del sottoproletariato sono preistoriche, addirittura precristiane, il mondo morale di un sottoproletario non conosce cristianesimo. I miei personaggi, per esempio, non sanno cos'è 1'amore in senso cristiano, la loro morale è la morale tipica di tutto il meridione d'ltalia, che è fondata sull'onore. La filosofia di questi personaggi, benché ridotta a brandelli, ai minimi termini, è una filosofia precristiana di tipo storico epicureo, soprawissuta al mondo romano e passata indenne attraverso le dominazioni bizantine, papaline e borboniche. Praticamente il mondo psicologico del sottoproletariato è preistorico, mentre il mondo borghese è evidentemente il mondo della storia. [...] La mia visione del mondo è sempre nel suo fondo di tipo epico-religioso; quindi anche e soprattutto in personaggi miserabili, personaggi che sono al di fuori di una coscienza storica, e nella fattispecie, di una coscienza borghese, questi elementi epico-religiosi giocano un ruolo molto importante. La miseria è sempre, per sua intima caratteristica, epica, e gli elementi che giocano nella psicologia di un miserabile, di un povero, di un sottoproletario, sono sempre in certo qual modo puri perché privi di coscienza e quindi essenziali. La musica, diciamo, è l'elemento di punta, l'elemento clamoroso, la veste quasi esteriore di un fatto linguistico più interno. [...] Non è che la veste, ripeto, di un modo di girare, di vedere le cose, di sentire i personaggi, modo che si realizza nella fissità, in un certo senso ieratica, delle mie inquadrature [...], fissità - che io scherzosamente chiamo romanica - dei personaggi, nella frontalità delle inquadrature, nella semplicità quasi austera, quasi solenne delle panoramiche^4. In tanti hanno parlato dell'intima religione di Accattone, della fatalità della sua psicologia [...]. Solo attraverso i procedimenti tecnici e gli stilismi è riconoscibile il valore reale di quella religiosità: che si fa approssimativa e «giornalistica» in chi la identifichi nei contenuti, espliciti o impliciti. In definitiva, la religiosità non era tanto nel supremo bisogno di salvezza perso-nale del personaggio (da sfruttatore a ladro!). O, dall'esterno, nella fatalità che tutto determina e conclude, di un segno di cro-ce finale, ma era «nel modo di vedere il mondo»: nella sacralità tecnica del vederlo^5. In Accattone mancano moltissimi degli accorgimenti tecnici che vengono generalmente usati: in Accattone non c'è mai un'in-quadratura, in primo piano o no, in cui si veda una persona di spalle o di quinta; non c'è mai un personaggio che entri in cam-po e poi esca di campo; non c'è mai 1'uso del dolly, con i suoi movimenti sinuosi, «impressionistici», rarissimamente vi sono dei primi piani di profilo o, se ci sono, sono in movimento. [...] Per me tutte queste caratteristiche che ho qui elencato fret-tolosamente, sono dovute al fatto che il mio gusto cinematogra-fico non è di origine cinematografica, ma figurativa. Quello che io ho in testa come visione, come campo visivo, sono gli affre-schi di Masaccio, di Giotto - che sono i pittori che amo di più, assieme a certi manieristi (per esempio il Pontormo). E non rie-sco a concepire immagini, paesaggi, composizioni di figure al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica, che ha 1'uomo come centro di ogni prospettiva. Quindi, quando le mie immagini sono in movimento, sono in movimento un po' come se 1'obiettivo si muovesse su loro sopra un quadro; concepisco sempre il fondo come il fondo di un quadro, come uno scenario, e per questo lo aggredisco sempre frontalmente. E le figure si muovono su questo fondo sempre in maniera simmetrica, per quanto è possibile: primo piano contro primo piano, pano-ramica di andata contro panoramica di ritorno, ritmi regolari (possibilmente ternari) di campi, ecc. ecc. Non c'è quasi mai un accavallarsi di primi piani e di campi lunghi. Le figure in campo lungo sono sfondo e le figure in primo piano si muovono in questo sfondo, seguite da panoramiche, ripeto, quasi sempre simmetriche, come se io in un quadro - dove, appunto, le figure non possono essere che ferme - girassi lo sguardo per vedere meglio i particolari. Sicché la mia macchina da presa si muove su fondi e figure sentiti sostanzialmente come immobili e profondamente chiaroscurati^6. ^1 Una visione del mondo epico-religiosa, colloquio con gli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia, «Bianco e Nero», n. 6, giugno 1964. ^ ^2 Le opinioni di Pasolini su..., «Sirena», supplemento, dicembre 1961. ^3 Accattone e Tommasino, «Vie Nuove», 1° luglio 1961. ^4 Una visione del mondo epico-religiosa cit. 5 Confessioni tecniche, in P.P.P., Uccellacci e uccellini, Garzanti, Milano 1966. ^ ^6 Diario al registratore, in P.P.P., Mamma Roma, Rizzoli, Milano 1962.^