Vincenzo Consolo, Retablo Il titolo del romanzo, pubblicato nel 1987, è formato da un termine catalano, retablo, che indica un insieme di figure che rappresentano i diversi momenti di una storia, una narrazione pittorica costruita su tavole collegate tra loro. Il titolo allude alla struttura complessa del libro, basata su in intreccio di piani narrativi, di rapporti tra scrittura e immagine. Il romanzo, ambientato in pieno Settecento racconta le vicende di due personaggi. Il primo è un pittore milanese, imbevuto di cultura illuminista e amante dell'antichità classica, che viaggia per la Sicilia tenendo un diario destinato alla donna amata, Teresa Blasco (la quale però -egli lo apprende durante il viaggio- sposerà Cesare Beccaria, l'autore del famoso Dei delitti e delle pene). Il pittore si chiama Fabrizio Clerici, lo stesso nome di un importante pittore e scenografo del XX secolo, amico di Consolo, del quale sono inseriti nel libro cinque disegni. Il secondo personaggio è il frate siciliano Isidoro, tormentato dall'amore sconvolgente per una donna di nome Rosalia, che durante il viaggio farà da aiutante e cicerone al pittore. L'amore lontano e impossibile, tanto più profondo quanto irrealizzabile, è per i due personaggi la guida che conduce alla conoscenza della realtà, della Sicilia che essi percorrono, barocca, seducente, dai colori e profumi eccessivi, dove si scontrano e si fondono risonanze di mondi lontani e diversi. Retablo - Incipit Rosalia. Rosa e lia. Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che ha sventato, rosa che ha ròso, il mio cervello s'è mangiato. Rosa che non è rosa, rosa che è datura, gelsomino, bàlico e viola; rosa che è pomelia, magnolia, zàgara e cardenia. Poi il tramonto, al vespero, quando nel cielo appare la sfera opalina, e l'aere sfervora, cala misericordia di frescura e la brezza del mare valica il cancello del giardino, scorre fra colonnette e palme del chiostro in clausura, coglie coinvolge, spande odorosi fiati, olezzi distillati, balsami grommosi. Rosa che punto m'ha, con la sua spina velenosa in su nel cuore. Lia che m'ha liato la vita come il cedro o la lumìa il dente, liana di tormento, catena di bagno sempiterno, libame oppioso, licore affatturato, letale pozione, lilio dell'inferno che credei divino, lima che sordamente mi corrose l'ossa, limaccia che m'invischiò nelle sue spire, lingua che m'attassò come angue che guizza dal pietrame, lioparda imperiosa, lippo dell'alma mia, liquame nero, pece dov'affogai, per mia dannazione. Corona di delizia e di tormento, serpe che addenta la sua coda, serto senza inizio e senza fine, rosario d'estasi, replica viziosa, bujo precipizio, pozzo di sonnolenza, cieco vagolare, vacua notte senza lume, Rosalia, sangue mio, mia nimica, dove sei? T'ho cercata per vanelle e per cortigli, dal Capo al Borgo, dai Colli a la Marina, per piazze per chiese per mercati, sono salito fino al Monte, sono entrato nella Grotta: lo sai, uguale a la Santuzza, sei marmore finissimo, luce alabastrina, ambra, perla scaramazza, màndola e vaniglia, pasta martorana fatta carne. Mi buttai ginocchioni avanti all'urna, piansi a singulti, a scossoni della cascia, e pellegrini intorno , a confortare. Ignoravano il mio piangere blasfemo, il mio sacrilego impulso a sfondare la lastra di cristallo per toccarti, sentire quel piede nudo dentro il sandalo che sbuca dall'orlo della tunica dorata, quella mano che s'adagia e sfiora il culmo del pieno, le rose carnacine di quel seno...E il collo tondo e il mento e le labbruzze schiuse e gli occhi rivoltati in verso il Cielo...Rosalia...