MINISTERO PERIBENIE EKASh^ LE ATT1VITÄ IL PICCOLO 06-MAG-2011 ^SEHP CULTURAL] da pag. 39 Vittorio Gregotti e la fine delle cittä uccise dai politici Ľerede di Rogers non risparmia critiche nel suo nuovo libro pubblicato da Einaudi I Renzo ; anosiamo " nici.Perô quandosi progettauna torre di 250 metri, come hafatto lui a Torino, diventaunproblemaper il paesaggio urbano unasfida all'architettura. Ma so-prattutto ě ancora una cittä o specialmente fuori dall'Eu-ropa non ha piii disegno urba- Pensoche occorra ricominciare dalle periferie. lo ho fatto aMilano la Bicocca.che perfortuna pur con tutti i suoi limiti ě stata costruita bene no e sta correndo verso quella periféria infinita che il sociolo-go Edward Soja nel 1999 chia-mo postmetropoli? L'ultimo erede di Rogers e delia linearita modernista, Vittorio Gregotti, 40 Lamodasiě Wm[ impadronita _________________........anche delParchitettura, facendoladiventare popolare. Ealimentando 1'ideache la provvisorietá siaPunicovalore 83 anni, architetto tra i piti cele-bri in Italia, affronta il terna in un libro pieno di stimoli, "Architettura e postmetropoli" (Einaudi), concludendo che si 1'architettura postmoderna ě in —I Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile MINISTERO PERIBENIE ESSS^ LE ATT1VITÄ IL PICCOLO 06-MAG-2011 i^^^V CULTURAL] da pag. 39 crisi nelľ orgamzzazione delia cittä e soffre anche di una grave malattia delia politica: la po-stdemocrazia. Professor Gregoítl, il suo allarme ě chiaro. Dawero dobbia-mo credere che la cittä stia per finlre? «Dobbiamo temerlo m a speru non sia vero. Lo scopo del libro ě stato proprio quello di mettere in chiaro quali sono le condizioni attuali perché la cul-tura, non solo architettonica ehe ha un potere molto relativo sul destino delle cittä, ma anche la cul tura politica possa pensare ehe la cittä ha un'iden-titä, una storia, un problema di permanenza, non legato sem-plicemente alle mode passegge -re o al marketing urbano». Lo stato dell'archltettura ě attualmente deplorevole? «Lo ě per una ragione che io riduco a una risposta unitaria. II problema ě che si possono avert- due atteggiamenti nei con-fronti delia realtä prima di tutto perché con essa bisogna fare i conti, ed ě un'illusione che ľ artista (considerando tale ľarchi-tetto) sia piti libera perché pensa solo di essere espressione di se stesso. Occorre, invece, ave-re un rapporto eritico con la realtä, non rappresentarla sola-mente in modo positivo ma im-maginare sempře un'alternativa, e non fare piü quello che fa-cevano gl i architetti sovietici amici di Stalin che rappresenta-vano lo stato delle cose». Ě quello che lei rimprovera alle cosiddette archistar, a Renzo Piano, a Fuxas? «Certo, sono protagonisti e, in un certo senso, vittime invo-lontarie perché il problema delia comunieazione di massa é di-ventato quello di aver dato una grande popolaritä (finta) all'ar-chitettura. Compare nelle riviste di moda e in tivii con la con-seguenza che tutto ciö omoge-neizza, digerisce e ritrasmette i risultati anziehe i problemi». Lei contesta a Renzo Piano la tendenza alFindividualismo e di recente l'aitezza delia Torre di Torino. Piano si difende dicendo «non faccio oggetti imitili». Con Fuxas non ha an-coraparlato? «E non credo che lo farö perché siamo nemici da tutta la vita. Con Renzo ho una grande amieizia, é stato anche mio stu- dente, ed e un bravissimo archi-tetto. Naturalmente nel caso di Torino, lui ha un po' ecceduto. Quando si progetta una torre da 250 metri, questa diventa un problema per il resto del pae-saggio urbano». Qual ě il futuro del disegno urbano? «Penso che oecorra ricomin-ciare dalle periferie. Io ho fatto a Miláno la Bicocca, che per fortuna con tutti i suoi limiti é stata costruita bene, ěunluogoin cui c'e mescolanza funzionale, sociale ed anche servizi cosi im-portanti che il resto della cittä non puö ignorarli. Quindi ha tutte le caratteristiche per essere un centro storico della periféria. La stessa operazione abbia-mo cercato di farla a Roma per creare una nuova centr alitä poi i mutamenti politici hanno bloccato tutto, perö il prineipio rimane. Cioě trovare la maniera di fare della periféria non un'oc-casione di accampamento prov-visorio, ma radicarla nel posto tenendo conto della storia di quelluogo». Ě cosi in tutta Europa? «In Europa questo rispetto é complessivamente facile perché non ci sono postmetropoli. Solo Parigi e Londra hanno piü di dieci milioni di abitantimen-tre le postmetropoli n e hanno venti-trenta. Sono non-luoghi che hanno perso il controllo del proprio sviluppo e del rapporto con il paesaggio. Quando una cittä come Pechino, che pure ha conservato il suo centro storico abbastanza intatto, převede di sviluppare al suo interno un territorio grande come il Bel-gio, si capisce che si ha un senso delle dimensioni completa-mente nuovo. Non é detto che non si possa affrontare il problema ma non si puö rinuncia-re alla pianifieazione territoriale cioě alľipotesi di un futuro qualunque esso sia"» II processo di pianifieazione delle cittä ě un terna del passa-to? «Non c'e dubbio. Ľidea di pianifieazione giä adesso é in crisi non solamente per quanto riguarda ľarchitettura, ma anche per la politica. Perché la politica ha fretta, ma costruire un pezzo di cittä non ě u n fatto prowisorio e ci vuole molto tempo». Significa ehe ľarchitettura di oggi ě intesa ormai come or- namente e marketing* «Un po' si perché invece ehe il monumento architettonico é il monumento al mercato con la pretesa di essere altamente flessibile perché se cambia il mercante bisogna cambiare anche ľimmagine. E allora questa flessibilitä cambia il linguaggio architettonico in calligrafia». Perché questo non aceade? «Prendiamo lo Zen a Palermo. Me ne faccio una grande colpa perché ho sottovalutato il potere della mafia. I! mio errore é stato quello di non capire ehe la mafia comandava, infatti é riuscita a bloccarne lo sviluppo lasciando So Zen per venťanni senz'acqua, luce e fognature. Quel progetto ehe coinvolgeva u n alto numero di abitanti con-trastava con gli interessi specu-lativi della mafia. Ma questo ľarchitetto Gregotti non lo ave-vacapito». Cittä e cittadini non sembra-no in questi anni amarsi reci-procamente. «É vero, anche perché la cittä é diventata u n misto sociologi-camente molto complicato ehe comprende anche quelli ehe la usano ma non ci vivono. Quindi ha una popolazione molto ampia rispetto a quella reale». La globalizzazione é nemica delľarchitettura? «Potrebbe essere una gran-dissima amica ma lo é solo nel-la sua interpretazione neocolo-nialista. Quando la globalizzazione cerca di unificare culture diverse che hanno altre qualitä e possibilitä di contribuire al dialogo, poiché le interessano solo teenologia e mercato allora diventa nemica». Percha gli architetti invado-no i settimanali di moda? «Percha la moda, essendosi impadronita anche delľarchitettura che é diventata populäre, alimenta l'idea che la prowi-sorietä e l'assoluto presente sia-nol'unicovalore». II design genera il super-fluo? «Si perché occupandosi di ge-neri di consumo é stato il primo ad impadronirsi di questa nuova ideológia dell'arte, della va-riazione formale fatta in funzio -ne della vendita e bašta. Non é che si puö inventáre una sedia ugrii cinque minutí, forse ogni venti, invece» Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile