Italiani - Corriere delia Sera - Domenica 13 Marzo 2011 - 9 II conto economico rOUATTR^^ STORICI ^LBELPAE^ Se consideriamo anche le altre grandi ce-lebrazioni, ilcinquantenario nel 1911 eil centenario nel 1961, dobbiamo ammette-re che questo centocinquantesimo coincide con il periodo di maggiorc messa in discussione dell'Unitä. Complici due vi-sioni antagoniste ehe si nascondono sot-to i nomi di qucstione meridionale e questione setten-trionale e che, persa ogni istanza nazionale, hanno con-servato soltanto un'accezione rivendicativa. Come se le ragioni del Sud fossero sempře in contrapposizioni a quelle del Nord. E viceversa. In una gara a chi sia conve-nuta meno l'Unitä d'ltalia, alimentata da una letteratu-ra storiografica spesso basata su dad falsi, che dipinge ora un Regno delle due Sicilie come una delle aree piii prospere d'ltalia ora un Nord che ha dovuto rallentare la sua corsa verso l'Europa a causa delta palla al piedc del Sud arretrato. Chi ha dawero ragione in questa con-tesa? Ě possibile onestamente rispondere alia doman-da a chi sia dawero convenuta l'Unitä d'ltalia? «Stando alle statistíche piü recenti, il quadro č meno scontato di quanto si possa pensare — rispondc Piero Bevilacqua, docente di storia contemporanea alla Sa-pienza di Roma e fondatore dell'Istituto meridionale di scienze sociali —. Nel 1861 i contadini del Sud e quelli del Nord erano ugualmente poverí ma quel che e piü interessante b che al momento dell'Unitä il saggio reale dei salari negli Statí italiani era diminuito rispetto al livedo del 1700. Una statistica sui lavoratori edili parla di una diminuzione dei salari vicina al 40 per cento. Nel 1871 il reddito pro capite nell'industria del Nord era del 15 per cento superiore a quello delle industre nel Sud, mentrc nel 1891, il reddito pro capitc tra i contadini del Sud era del dieci per cento superiore a quello del Nord. Una situazione-equilibrata, nella quale van-no considerate le differenze delle varie regioni all'inter-no della grandi macro aree: la ricca Lombardia ha una storia diversa dall'arretrato Veneto, cosi come la Campania 0 la Sicilia erano piü sviluppate rispetto alle pove-rissime Basilicata e Calabria. U vero divario da conside-rare resta comunque quello dell'Italia intera con il re-sto dell'Europa sviluppata, i cosiddetti Paesi first comers che avevano oscurato U primato raggiunto dagli italiani nel Cinquecento grazie all'edificazione degli Stati nazionali». II du'alismo italiano, secondo Bevilacqua, comincia a manifestarsi ncgli anni Ottanta dell'800, con la creazio-ne del triangolo industriale e si accentua a mano a ma-no sino a raggiungere il picco nel 1951, quando, hanno scritto Paolo Malanima e Vittorio Daniele in un articolo per la «Rivista di politica economica» del 2007, il Mezzo-giomo contribuiva soltanto al 22 per cento della produ-zione aggregata nazionale, sebbene in esso vivesse il 37 per cento degli italiani. II divario, diminuito dopo il 1973, si č aggravato negli anni Novanta del Novecento: «II prodotto pro capite del Sud rispetto al Nord passa dal 66 per cento del 1973 al 56 del 1995-97, per poi rccu-perare modestamente e attestarsi al 59 per cento nel 2004» scrivono Malanima e Daniele. Secondo Bevilacqua, «le statistíche e una riccrca stori-ca non orientata da ideologie recriminatorie» possono farci affermarc che «l'Unitä ě convenuta soprattutto alle grandi industrie del Nord che hanno trovato nel Sud un tranquillo mercato per il consumo dei beni. Senza contare il contributo offerto dalle rimesse degli emigranti grazie alle quali la lira faceva aggio sull'oro». Per Bevilacqua, dunque, non si puö dire che il Sud sia «sta-to la palla al piede» del Paese, anche considerando con-tributi non misurabili come le opere di grandi scrittori e pensatori, da De Sanctis e Verga a Croce e Pirandello. Giulio Sapclli, ordinario di storia economica all'Univer-sitä statalc di Milano, giä direttore di ricerche all'Ecole des hautes etudes en sciences sociales di Parigi, ha una visione diversa: «L'Unitä d'ltalia — dice — ě certo convenuta al Sud quanto al Nord anche se la costruzione di uno Stato non ha significato la creazione di una na-zione che é comunitä di destine I grandi Stati europei hanno edificato prima le fondamenta e le mura, poi il tetto. Noi abbiamo cominciato dal tetto con una lingua di ceto che non ě mai diventata cultura del popolo e quindi economia, secondo l'equazione di Adolph Ber- Nord senza mercato e Sud pověro Ecco a chi giovö dawero l'Unitä Nel 1861 le differenze interne erano minori rispetto a quelle con VEuropa avamata di Dino Messina .___ \' Ii Foto di gruppo Una squadra di operai durante la costruzione del transatlantico Rex negli anni 30 presso i cantieri navali di Sestri Ponente (foto archivio Ansaldo) Cm i Borbme sipogavano menotmsermpochidi questi denári venivano spesi per il bene pubblico Ľ dualism italiano emerge intorno al 1880; cm kcrmmedeltňangob industriale al Nord le. Un Paese cosl non poteva che avere un'economia divisa, dove a guadagnarci di piü ě stato il Sud. E mi riferisco non solo all'inserimento del Mezzogiomo in un contesto nazionale moderno ma anche, banalmen-te, alle risorse drenate dal Nord al Sud. Ci si ě mai chie-sti perché il divario tra Nord e Sud si ě allargato proprio quando é aumentata la spesa sociale a favore di quesťultimo? Forse avevano ragione i fisioeratici, quando distinguevano tra regioni parassitarie e regioni produttive». Per Giuseppe Berta, professore di storia contemporanea alla Bocconi e autore nel 2008 di una saggio intitola-to «La qucstione settentrionale» (Feltrinelli), Sud e Nord avrebbero avuto un destíno ben piü misero senza l'Unitä: «Comc avrebbe reagito il Regno borbonico alla crisi di fine Ottocento quando cominciarono le grandi migrazioni e si fece sentire la concorrenza delle derrate agricole provenienti dalla Russia e dall'America? Del re-sto, il Nord non avrebbe potuto agganciarsi alla grande espansione intemazionale come fece l'Italia in etä gio-littiana né parteeipare da protagonista al miracolo economico del secondo dopoguerra». U fatto é, osserva Berta, che Milano ha sempre avuto il vezzo di maledire il contesto unitario, come dimostra il «Viaggio in Italia» di Guido Piovene (Mondadori, 1957). Un fatto retorico che non ha impedito di coglierne i vantaggi. Autore di una «Breve storia dell'Italia settentrionale» (Donzelli, 1996), e del recente «Gli Stati italiani prima dell'Unitä» (il Mulino), Marco Meriggi, professore alla Federico II di Napoli, oltre a considerare i dati quantitativ! (nel 1860 il reddito medio pro capite in Italia era il 70 per cento rispetto a quello francese e il 45 per cento di quello inglese, la siderurgia del Settentrione rap-presentava lo 0,46 della produzione britannica mentre II divario in cifre Dal 1891 al 1913 il prodotto pro capite del Sud passa dal 93 all'80% di quello del Nord. Dal 1929 al 1939 il divario tra Nord e Sud passa dal 20 al 32 per cento. Nel 1951 il prodotto del Sud ě il 47% di quello del Nord. II prodotto pro capite del Sud ě, nel 1973, pari al 66% di quello del Nord. Nel trentennio 1974-2004 il divario si aggrava di nuovo: dal 66 al 54% (fonte V. Daniele - P. Malanima) quella del Mezzogiomo era dello 0,04) si ě chiesto da cosa sia nato nel Sud quel sentimento anti-settentrio-nale che é speculare all'anti-meridionalismo del Nord. «11 Risorgimento — osserva Meriggi — I'hanno fatto soprattutto i settentrionali, e i grandi eventi dell'Unitä so-no awenuti al Nord». Ciô non ha impedito che molti vantaggi fossero raccolti al Sud, dove nel 1861 l'85 per cento della popolazione adulta era analfabeta, mentre in Piemonte il 50 per cento sapeva leggere c scrivere. Ě vero che con i Borbone si pagavano meno tasse (nel 1859, 16,11 di lire per abitante contro le 24,45 del regno sabaudo), ma ě anche da considerare quanto poco si spendesse per il bene pubblico: nel Regno delle due Sicilie 0,23 lire pro capite per I'istruzione contro le 0,60 del Regno di Sardegna. Senza considerare la rete stra-dale: 126 chilometri ogni mille chilometri quad rat i nel-le regioni del Centra Nord contra i 108 chilometri per chilometra quadrato nel Mezzogiomo e nelle isole. II Nord all'inizio drenô soldi al Sud perché piú indebita-to anche a causa dello sforzo bellico: il primo bilancio del regno unificato era di 2.402,3 milioni di lire, di cui 1.321 era il debito del Regno sabaudo, 657,8 quello del Regno delle due Sicilie, 219,3 della Toscana, 151,5 quello della lombardia. Ma senza l'Unitä, il Sud non avrebbe avuto stradě e ferrovie, non sarebbe stato integrato in un contesto moderno, non avrebbe avuto contributi c assistenza, E del resto, il Nord industriale sarebbe stato privo di un mercato e della manodopera che costitui la linfa dello sviluppo. «Questione meridionale e questione settentrionale sono espressioni che sottintendo-no una penalizzazione — conclude Meriggi — e forse andrebbero superate a vantaggio di un'assunzione co-rale delle debolezze e delle responsabilitä». OfVKXXJZONE RSCRVATA Docente Plero Bevilacqua Favorite le aziende settentrionali che -hanno trovato un vasto mercato al Sud Storico Giuseppe Berta II Nord non avrebbe potuto agganciarsi altrimenti alia grande espansione internazionale Ricercatore Giulio Sapelli Perché la distanza tra le due zone ě cresciuta quando ě cresciuta la spesa per il Sud? Autore Marco Meriggi Questione meridionale e settentrionale sono espressioni che andrebbero superate