http://www.150anni.it/webi/index.php?s=36&wid=97 La vicenda delle capitali, Torino, Firenze e poi Roma (1871), permette di entrare direttamente nel laboratorio dell'identità nazionale negli anni del Risorgimento. Si è già fatto cenno al rapporto tra centralismo (piemontese) e autonomia (Toscana, Emilia, i filoni autonomistici della cultura meridionale). La questione della capitale si connetteva dunque in maniera diretta al problema della forma dello Stato. Ma ci sono aspetti più ampi in gioco, che riguardano le rappresentazioni culturali e l'idea stessa d'Italia. Firenze significava il Rinascimento e il ruolo che il Rinascimento toscano, attraverso anche i papi fiorentini del Cinquecento (oltre a Michelangelo e Raffaello) avevano avuto nella formazione dell'arte e della cultura italiana. Questo primato poneva un problema di ampia portata che si può sintetizzare così: Roma era una città di rovine; Firenze aveva reinventato l'antico. Roma, la città reale beninteso non il suo mito, con il suo disfacimento archeologico poteva essere considerata, dunque, meno rilevante rispetto a Firenze, sede di una rinascita dell'antico di importanza fondamentale per l'elaborazione della coscienza moderna italiana e europea e carica di implicazioni politiche. In questa prospettiva, infatti, all'origine del moderno c'era Firenze, come modello di città-Stato autonoma e indipendente, che aveva riattualizzato, eguagliandola e superandola, la memoria dell'antico, tanto sul piano della perfezione artistica che su quello delle forme politiche e civili (la polis e la forma repubblicana). La storia di Firenze era la storia delle autonomie italiane e dello spirito d'intrapresa dei ceti borghesi e mercantili della penisola, che nei mercanti fiorentini del XV secolo avevano i loro diretti antenati. Una storia che era culminata con la cacciata della famiglia dei Medici, con l'instaurazione della Repubblica alla fine del Quattrocento e con l'assunzione di Nicolò Machiavelli a segretario della seconda cancelleria (una sorta di ministro dell'interno e della guerra). Per questa via la città poteva assumere i tratti di un vero e proprio paradigma etico-politico come accadde nella storiografia di ispirazione liberale. Rappresentava una storia d'Italia policentrica, di matrice repubblicana, e fortemente sospettosa nei confronti dei contenuti ideologici autoritari espressi da Roma, che con i suoi tratti imperiali era l'emblema stesso di un dominio centralistico che si espandeva a spese della libertà della periferia. Firenze, insomma, costituiva il Rinascimento come matrice privilegiata dell'identità italiana contemporanea e al tempo stesso faceva della libertà comunale un tema carico di implicazioni attuali. La libertà fiorentina non era solo politica. Un elemento costitutivo della presenza culturale di Firenze nella definizione dell'identità dell'Italia post unitaria è legato anche alla sensibilità religiosa. Accanto a Machiavelli, infatti, l'altro campione della libertà fiorentina è Girolamo Savonarola, il frate domenicano che dal convento di San Marco aveva predicato contro la corruzione della Chiesa e per un nuovo regime politico a Firenze. Guardato più da vicino, allora, il ruolo di Firenze come modello della storia d'Italia non poteva apparire privo di ambiguità e di conflitti: Machiavelli e Savonarola, da un lato; i Medici e i papi fiorentini, dall'altro. Firenze divenne capitale del Regno nel 1865 fino al 1870. Pochi anni dopo la breccia di porta Pia, il vecchio liberale toscano ed erede di Cavour nella direzione politica della Destra, Ricasoli, scriveva al direttore del quotidiano fiorentino «La Nazione»: «Si è voluta Roma perché ci apparteneva; perché il non averla ci era nocivo più che averla, e se si è fatta Capitale egli è perché era indicato dalle nostre convenienze politiche interne, e non già perché Roma rappresenti alcuna cosa più che il centro del Governo di una Nazione che ripugna tutta concorde all'accentramento e dal farsi assorbire dalla sua Capitale». Documenti La capitale di ripiego Firenze fu una capitale di ripiego nell'attesa che l'Italia giungesse a Roma. Da questa posizione provvisoria, tuttavia, la Destra avviò la parte più importante del suo sforzo unitario tanto sul piano della legislazione, che su quello dell'amministrazione. Nelle pagine che seguono, il grande storico fiorentino Giovanni Spadolini racconta le scelte politiche, le resistenze, l'entusiasmo che accompagnarono la notizia della Convenzione di settembre e spiega il ruolo giocato nella costruzione dello Stato unitario della "Firenzina", la città bonaria e provinciale dalla quale la classe dirigente unitaria governò il nuovo Stato negli anni della sua drammatica e complessa edificazione. G. Spadolini, Firenze capitale. Gli anni di Ricasoli, Firenze, Le Monnier, 1979, pp. 283-292. Roma è un ambiente malsano All'inizio degli anni Sessanta, la necessità di trasferire la capitale del Regno d'Italia è avvertita da più parti. Non solo i moderati toscani, ma anche i meridionali segnalano la necessità di un nuovo centro politico dell'Italia unita. È interessante notare come da subito il problema della capitale incroci la questione di Roma e riveli l'esistenza di forti correnti antiromane che attraversano l'élite risorgimentale. M. d'Azeglio, Questioni urgenti, Firenze, Barbèra, 1861, pp. 40-42. Firenze e la libertà dei moderni Il trasferimento della capitale a Firenze nel 1865 apre una discussione più ampia sul policentrismo italiano. Firenze sta di fronte alla futura e definitiva capitale dell'Italia unita come il modello di una storia nazionale alternativa, gravitante intorno al nucleo dell'esperienza comunale e signorile del Centro-Nord. In questa vera e propria costruzione culturale dello spazio italiano e dei suoi poli di attrazione molto contarono gli autori stranieri, che all'Italia e alla sua storia affidarono una più vasta funzione nel ripensare le basi della civiltà occidentale nel corso del secolo diciannovesimo. Due erano i modelli storici che si contendevano l'interpretazione di Firenze. Da un lato, quello di Sismondi e della celebrazione delle repubbliche italiane del Medioevo; dall'altro, William Roscoe con la sua biografia di Lorenzo de' Medici, in cui libertà politica e sviluppo artistico stavano ancora insieme seppure in un rapporto di forte tensione. Alla fine di questo percorso intellettuale c'è La civiltà del Rinascimento di Jacob Burckhardt, per il quale la libertà e la lotta politica, la vivace vita mercantile sono al servizio della prepotente affermazione dell'individuo moderno, sciolto dai vincoli della religione e delle comuni misure etiche. J. C. L. Simonde de Sismondi, Soria delle Repubbliche italiane, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, pp. 199-205. J. Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, Firenze, Sansoni, 1961, pp. 61-71, 133-140. Firenze e Roma All'universalismo cattolico di Roma, Firenze oppone il percorso di una ricerca religiosa più severa, austera e intimamente sofferta, di cui la figura di Savonarola e la sua fortuna ottocentesca rappresentano un segno eloquente. Di questa fortuna è un testimone e un interprete Pasquale Villari, che al frate domenicano dedicò una biografia a cavallo dell'Unità d'Italia (1859-1861) e nella seconda metà dell'Ottocento ritornò più volte sulla sua figura e sulla sua vicenda politico-religiosa. In particolare, nel 1897 Villari tenne nel capoluogo toscano una conferenza dal titolo eloquente, Girolamo Savonarola e l'ora presente di cui pubblichiamo alcune pagine. P. Villari, Girolamo Savonarola e l'ora presente, in Id., Storia di Girolamo Savonarola e de'suoi tempi (1859-1861), Firenze, Felice Le Monnier, 1930, I, pp. LII-LXV.