Finito il terso libro di Flavio Vegetio homo illustre. Comincia il quarto. Et p(r)ima li capituli. [.j^o.] Che le citadi si denno fortificare per natura o per opera manuale. .ij^o. Che non si denno fare le mure dirite ma angulose. .iij^o. Come si giunge insieme lo muro (e) la terra cavata. .iiij^o. De le porte (e) de le saracinesche, ché il focho non le guasti. .v^o. De li fossi come si denno fare. .vj^o. Come le saete de li inimici non guastino li homini in su le mura. .vij^o. Come si dè provedere che li obsidiati no(n) incorrino in ne la fame. .viij^o. Che cose si denno aparechiare p(er) diffesa de le mure. .viiij^o. Che si dè fare se mancano le corde di nervo. .x^o. Che si dè fare aciò che non si porti disagio di aqua. .xj^o. Se il sale ti mancha che si dè fare. .xij^o. Che si dè fare quando si dà la batagla prima a le mure. .xiij. [La enumeratione de li instrumenti da combatere.] [.xiiij.] De lo ariete, de la falce (e) de la testudine. [.xv.] De le vinee, overo gatti, de li plutei (e) de li terragi. [.xvj.] De li musculi. [.xvij.] De le torri ambulatorie. [.xviij.] Come si ponno brugiare queste torri. [.xviiij.] Come si agiunge altessa a le mure. [.xx.] Come si cava la terra acciò che non ti noci la torre. [.xxj.] De le schale, sambuca, exostra (e) tolenone. [.xxij.] De le balestra, onagri, scorpioni (e) arcibalestre. [.xxiij.] Contra li arieti giova le coltrici, li laci, li lupi (e) le colonne gravi. [.xxiiij.] De li cuniculi per li quali si fanno cadere le mura o che si pasa de(n)tro. [.xxv.] Che denno fare li terrieri se li inimici sono entrati. [.xxvj.] Che si dè fare aciò che il muro non si pigli per furto. [.xxvij.] Quando si fanno le insidie a li terrieri. [.xxviij.] Come si denno guardare li obsidenti da le insidie de li terrieri. [.xxviiij.] Con che mainere di diffesa si defende la cità. [.xxx.] Come si pigla la misura per fare scale o torri di legno. [.xxxj.] Li amaestrame(n)ti de la guerra navale. [.xxxij.] Lo nome de li iudici ch’erano sopra lo navilio. [.xxxiij.] Donde si chiamano liburne. [.xxxiiij.] Con quale diligentia si denno fabricare le liburne, overo galee. [.xxxv.] Che si dè observare volendo taglare lo legname. [.xxxvj.] Di qual mese si denno taglare li travi. [.xxxvij.] Del modo, overo grandeza, de le liburne. [.xxxviij.] Li nomi de’ venti (e) il numero. [.xxxviiij.] Di quali mesi si naviga più seguramente. Finiti li capituli. Comincia il tractato. [.xl.] Come si denno observare (e) guardare li segni ch(e) significano te(m)pesta. [.xlj.] De’ segni precedenti a cognoscere la tempesta futura. [.xlij.] De’ movimenti del mare che si chiamano reume. [.xliij.] Come si dè havere noticia de’ logi da navigare, (e) de la virtù de’ naviga(n)ti. [.xliiij.] De li inst(r)u(menti) da combatere mirabili (e) victoriosi. [.xlv.] De l’aguati ch(e) si fanno in ne la guerra navale. [.xlvj.] Quello che si dè fare per havere victoria q(ua)n(do) la batagla si fa in alto mare. [prologo] ^1La constitutione de le citadi divise p(r)imamente da la comunità de li animali, overo da le fere, la vita de li homini, la quale fu in nel principio del mondo salvagia (e) male ornata. Et in queste citadi la comu(n)e utilità trovò il nome de la republica, cioè de la cosa del populo (e) g(e)n(er)ale utilità di ogni homo. ^2Et p(er)tanto a le nationi potentissime (e) a li principi consecrati non è paruta alcuna altra maior gl(or)ia come o fondare gittà di novo o, amplificando quelle ch(e) sono facte de altrui, transferire questa gl(or)ia in nel suo nome. ^3Et in questa tale opera obtiene la palma la clementia de la tua serenità, ché da li altri homini è facta una cità overo poghe, ma da la tua pietà ne sono facte innumerabili, in tal mainera che elle no(n) paiono facte per mani humane, ma paiono nate per segno (e) dispositione divina. ^4Tu avansi tuti li altri, imperadore vitorioso, di felicità, [di moderatione (e)] di exempli di honestade. ^5Noi vegiamo (e) tenemo lo bene del regno (e) de lo animo tuo, lo quale bene è tanto che la età pasata il vorrebe havere havuto (e) quella ch(e) è a venire desidera di averlo perpetuo. ^6Et p(er) le quali cose noi ci alegriamo essere dato a lo universo mondo tanto quanto àe posuto domandare la mente humana overamente quanto àe possuto conferire la gratia divina. ^7Ora, qua(n)to habia giovato la constructione de le mura Roma lo testimonia, la quale difese in p(r)ima la salute de li soi citadini per la forsa del Capitolio, poi àe possiduto lo imperio del mondo. ^8Et adunq(ue), a compleme(n)to de la opera comi(n)ciata per comandame(n)to de la tua maiestade, meterò in ordine le ragioni, tolte da diversi auctori, per le quali le citadi nostre sono da diffendere o da disfare quelle de li inimici, et non mi increscerà la faticha perché io facio cosa che dè giovare a og(n)i homo. [i] Che le citadi si debino fortificare o da la natura del luogho o per opera manuale. Capitulo primo. ^1Le citadi o le castella se fanno forti o per natura del logo o per opera manuale, overamenti per l’una cosa [et] p(er) l’altra: quelle ch(e) sono forti per natura sono forti per qualche logo levato o diviso da li altri, o circundato da mare o da palude o da fiume; quelle che sono forte di opera manuale sono forte di fosso (e) di muro. ^2In nel beneficio de la natura bizogna [... bizogna] la industria et la cautela di colui che edifica, ^3ché noi vegiamo cità antiquissime in campagne †spasate†, le quali ancora mancando lo adiutorio de·luogho sono per arte (e) per opera facte fortissime. [ii] Che le mure non si facino dirite ma angulose. Capitulo .ij^o. ^1Lo ambito, overo circuito, del muro li antiqui no(n) lo volseno fare dirito o disteso, aciò che li arieti non lo potesseno guastare; anco volseno che le soi cità fusseno serrate di mure sinuose, cioè con ritracte (e) pieghe, tal hora più fuori tal hora più dentro, facendo anguli in ne li quali erano torri spesse, ^2acciò che, se alcuno fusse andato al muro con schale o con altri instrumenti, ello potesse essere offeso non solame(n)te da la fronte ma anco da li lati (e) quasi da le spali, essendo serrato i(n) nel seno, overo ascoso in nel muro così facto. [iii] Come si agiungha insieme il muro (e) la terra cavata. Capitulo .iij^o. ^1Lo muro che non si posa mai guastare si fa con questa ragione, che si fanno due pareti, o facie, di muro tra le q(u)ali è lo spatio di vinti piedi di terreno, ^2(e) tra l’uno (e) l’alt(r)o muro si empie di quella terra che si cava de li fondamenti (e) fose de’ muri, et quella si calcha [con] masse. Lo muro di fora si fonda secondo la rata sua (e) fassi più grosso (e) magiore; quello di dentro è minore. Et cominciando dal piano de la cità giace poi sopra questa terra [con] alcuni gradi (e) schaloni per li quali si pò andare acconciame(n)te dal dicto piano di dentro infine a la difesa del muro di fuora. ^3Et il muro facto a questo modo non pò essere roto da li arieti, et se pure fusse roto, la terra calcata contrasta (e) sta forte in luogho di muro. [iiii] De le catherate, overo saracinesche, (e) porte ch(é) no(n) siano brugiate. Capitulo quarto. ^1Ora, si guarda ancora che le porti non siano guaste dal fuogho. Però sono da coprire di coio (e) di ferro, ma giova più quello che àe trovato la antiquità, che innansi a la porta si facia una difesa a la quale sia atachata con anelli di ferro una catherata, cioè una saracinescha, et questa stando sospesa con le corde si possa mandare giù (e) serrare dentro li inimici che fusseno intrati. ^2Et è ancora da ordinare così il muro, che di sopra sia forato (e) abia buchi, o beccatelli, (e) scorniciate per le quali si posa gitare aqua di sopra per amortare lo fogo (e) altre cose. [v] De li fossi come si denno fare. Capitulo quinto. ^1[L]e fosse de le terre sono da fare largissime (e) profundissime acciò che non possino essere piene da li inimici legiermente, et essendo piene di aqua non si possino fare li cuniculi, overo cave soto terra, ^2per la altessa de la fossa (e) così per l’aqua. [vi] Che no(n) siano guasti li ho(min)i in su lo muro da le saete. Cap(itul)o .vj^o. ^1Ora, si teme che la moltitudine de le saete non smarrischa li homini da la difesa, (e) facto questo sia occupato il muro con le schale. Et però denno essere de le coraze (e) de li schudi asai dentro de la cità per questo rispecto. ^2Et poi si tende sopra per le difeze panni dopi (e) cillicii li quali ricevano lo impeto, ov(er)o la furia, de le saete, ché li veretoni non passano legierme(n)te quella cosa la quale aconsente o ondegia. ^3Et ancora è trovato questo rimedio, cioè di fare cabbie di legno piene de pietre, (e) metensi tra l’uno merlo (e) l’altro concie con tale artificio, che se alcuno volesse montare sopra il muro con le schale, come erano toche queste cabie li caschava le pietre adosso. [vii] A che modo si dè provedere che li obsidiati non portino fame. Capitulo septimo. ^1Sono molte mainere di difeza (e) di combatere le q(u)ali diremo a li loghi soi. ^2Ma ora è da sapere ch(e) sono due mainere da obsidiare. L’una è quando lo adversario, ave(n)do presi li passi (e) forniti di gente li loghi oportuni, [...] ti vieta l’aqua o spera che tu ti debi rendere per fame, essendo serrato da ogni parte. ^3Et a questo modo, essendo lui solicito a la guardia, affatica lo inimico sensa affaticarsi lui. ^4Et però contra tali cazi denno subito li terrieri, come ànno ogni pocha di suspitione, ridurre dentro le mura tute le vituarie, acciò che a loro avansi la vitualia (e) a li inimici bisogni partirsi per fame. ^5Et non solamente li porci da pastura, ma ogni mainera di animali che non si posano tenere serrati denno però ridurre dentro, acciò che con lo adiutorio de la carne basti la copia del frumento; et li ugelli domestichi, come sono galline, oche (e) colombi, li q(u)ali si tegnano sensa spesa (e) sono necessarii per li infermi. ^6Dennosi ancora ridure li strami per li cavali (e) portarli dentro, et q(ue)lli che non si ponno portare si denno abrugiare; lo vino ancora (e) le altre fructa, come sono pome (e) altre cose, si denno ridurre (e) non lassiare alcuna cosa che possa mancare a li soi (e) giovare a li inimici. ^7Et così che di dentro si facia li orti, o in ne’ giardini o i(n) ne le corti de le case, ché questo il conforta la ragione de la utilità n(ost)ra (e) de lo dilecto. ^8Et ancora è da notare questo, che pogho giova havere ricolto asai se da principio tu non arai il modo, (e) spenderai la roba moderatamente, ponendo sopra questo hom(in)i co(n)venevoli, ^9ché mai non pericolorono di fame quelli che cominciàno a scharzegiare fin che aveano copia de le vituarie. ^10Et spese volte le persone disutili a guerra sono caciate di fora, acciò che non facino la fame (e) disagio a li utili. [viii] Che cose sono da aparechiare per difesa de le mure. Capitulo octavo. ^1Bitume, solphore, pece liquida, olio incendiario per brugiare li artificii de li inimici bisogna aparechiare. ^2Ferro di due tempere per fare armi, carboni ancora si de(n)no metere in munitione, legni da fare aste di veretoni (e) saete. ^3Et sono da essere racolti de’ sassi vivi de’ fiumi (e) rotondi, p(er)ò che sono più gravi (e) miglori da trare; ^4et di questi se ne dè empiere le torri (e) le mura; le pietre minori sono da trare con frombe (e) con cazafusti (e) trabuchi; ma le pietre grandissime si gittano giù da le difese in tal modo che non solamente li homini ma anco guastino li artificii proprii da combatere dove stanno coperti. ^5Anco si fa ruote gra(n)dissime di legne verde, o che si seghano a traverso arbori fortissimi nodorosi, (e) acciò che siano più volubili si appianano, et questi così mandati di sopra in giù rotolando smarisceno molto quelli che voleano montare. ^6Ancora bisogna avere aparechiati travi, asse, chiave di ferro (e) chiodi grandissimi, ^7ché spesse volte si contrasta a li instrumenti [con altri instrumenti], overo artificii, specialmenti q(ua)n(do) bisogna giungere altessa al muro o a le difese prestamente, acciò che [...] la altessa de la difesa (e) vinchino la cità. [viiii] Che si dè fare se manca nervi o corde p(er) saetare. Capitulo nono. ^1À di bizogno ancora cercare con sommo studio la copia de li nervi (e) corde, però che li onagri, cioè trabuchi, balestre (e) altri instrumenti non vaglano alcuna cosa se non tesi di corde nervine. ^2Et però le chiome de li cavalli si dice che sono bone per le balestre. Et è certo per lo experimento de la humana necessità ch(e) anco li capelli de le femine non ànno minore virtù, ^3ché in ne la obsidio(n)e del Capitolio, essendo guasti li instrumenti da trare per longa (e) continua fatigatione, et mancando la copia de li nervi, le femine offerseno alora li soi capelli a li mariti, et essendo reperati li instrume(n)ti con questi, si difeseno da lo asalto de li inimici. ^4Et volseno innanti le castissime femine vivere libere con li mariti havendo facto †zolio† il capo che servire con la loro belessa intera a li inimici. ^5Ancora è giovato tolgere (e) conciare le cuoya crude per coraze (e) altri instrumenti da fare difeza durando la obsidione. [x] Che si dè fare aciò che li obsediati non portino disagio di aqua. Capitulo .x^o. ^1Grande utile de la cità è quando dentro da le mura si serrano le fonti ch(e) non mancano mai. Et se la natura del logo non ti dà questo, tu doverai fare de’ pozi (e) tirare l’aqua con funi (e) corde. ^2Ma tal hora li loghi sono secchi ch(e) sono sopra monti o sopra saxi in ne li quali sono poste le castella; et in questi si trova tal hora apresso a la più bassa parte del muro la vena de l’aqua del monte, tanto che si può diffendere da la torre la via di andare a l’aqua. ^3Ma se l’aqua è così lungi che non si possa difendere alora bisog(n)a fare uno castello lo quale chiamino borgho tra la terra (e) lo fonte in luogho acconcio sopra la fontana, (e) fornirlo di balestreri o di sagitarii che difendano l’aqua da li inimici. ^4Oltra questo, in tuti li hedificii di homini privati si denno fare diligentissimamente de le cisterne che siano receptaculo de le aque che piovano (e) che cagiano da’ teti. ^5Et certo rare volte sono vinti per [sete] quelli li quali benché avesseno pogha aqua non usavano di quella se no(n) p(er) bevere. [xi] Se il sale ti mancha. Capitulo .xj^o. ^1Se la citade è marina (e) il sale ti mancase, la aqua del mare si spande per alcuni leti, o are, (e) p(er) vasi larghi, et per lo calore del sole con molta opera [in] sale si indurisce. ^2Ma se lo inimico ti vieta lo uzare de l’aqua, alora si pigla le arene le quali àe già bagnato il mare essendo turbato, (e) lavanle asai con aque dolci, le quali secate poi dal sole si convertisce pure in sale. [xii] Che si dè fare q(ua)n(do) si viene p(r)imamente a le mure. Cap(itul)o .xij^o. ^1Quando si aparechia el dare batagla per vincere una cità o uno castello per forsa, ella si fa con grande pericolo de l’una parte (e) di l’altra, ma più con sangue di quelli di fora. ^2Ora, questi tali ch(e) vanno per prendere le mura vanno co(n) [un] aparato terribile, mostrando le soi genti (e) mostrando no(n) volersi tôrre a pacti, et adopiano la paura col sono (e) strepito di trombe (e) di homini mescholati insieme. ^3Et così, smariti li terrieri in lo primo asalto se non ànno mai più veduto così facte cose, dirizano le schale (e) piglano la terra. ^4Ma se di de(n)tro si atrova alcuni homini fidenti o usi a soldo (e) che sostegna la prima batagla, alora subito cresce lo animo a li terrieri, (e) alora bisogna che siano vinti non per paura ma con arte (e) co(n) forsa. [xiii] La enumeratione de li instrumenti da combatere. Cap(itu)lo .xiij^o. ^1Al combatere de le terre si adoperano questi instrume(n)ti (e) artificii: testudine, arieti, falce, vinee, plutei, musculi, torre, de li quali tuti diremo come si fanno (e) a che modo si uzano (e) a che modo si pò contrastare a questi. [xiiii] De lo ariete (e) testudine. Capitulo .xiiij^or. ^1La testudine si fa di legname (e) di asse grosse, cioè panche, et acciò che non sia brugiata si copre di cuoie, di cellicii o di lensuole bagnate. ^2Questa àe dentro uno trave il quale àe in cima uno ferro piegato che si chiama falce, perché dè tirare le pietre fuori de le mure, overamente che a questo trave se arma il capo di ferro, ^3(e) è apellato ariete però che àe la fronte durissima la quale fa ruinare le mure, overamente perché ello si tira indirieto a modo de li arieti, overo montoni, per ferire con maiore furia. ^4[La] testudine è chiamata da la simiglansa de la vera testudine, cioè biscia schudelaria, ché, come questa hora gitta fuora ora ritira dentro lo capo soto la coperta, così questo instrume(n)to tal hora tira entro tal hora gitta fuora il trave, aciò che ferischa più forte. [xv] De le vinee (e) de li plutei. Capitolo .xv^o. ^1Le vinee chiamano li antiqui quelle che adesso a la pratica militare (e) barbarica si chiamano caucie, overo gati. Et fassi uno instrumento largo octo piedi (e) lungho sedeci. ^2Et la coperta di questo è dopia, cioè di asse (e) di grate. ^3Da li lati è serrato di vimine, acciò che non sia pasato da’ sassi o dardi. ^4Et di fuora, aciò che non sia brugiato, è coperto di cuoie crude (e) fresche o di lensuole. Ora, quando sono facti alquanti di questi, si meteno in ordine apresso a le mure, et soto vi sta securamente homini a cavare (e) rompere le mure. ^5Li plutei si diceno quelli che ànno simiglansa de abside, cioè uno instrume(n)to longo (e) aguzo in cima, (e) dìcessi lucida in latino, et tessensi di vimine (e) cuoprensi di cilicie o di cuoio, (e) con tre ruote non grandi, de le quali l’una si mete in mezo (e) le altre due da li capi, si voltano dove vòi a modo de lo carro ritondo; ^6et li homini ch(e) stanno soto caciano q(ue)sti plutei a le mura (e), [stando] loro coperti, con le frombe, con saete (e) con dardi caciano li citadini da le difeze del muro, acciò che più lieveme(n)ti si possa dirizare le schale. ^7Lo terragio si fa di terra (e) di legne levato contra lo muro (e) di [là] li si trahe ancora co(n)tra li terreri. [xvi] De li muscoli. Capitulo .xvj^o. ^1Musculi si diceno li instrume(n)ti, overo artificii, minori p(er) li quali essendo coperti li combatenti conciano la via a la torre ambulatoria con terra (e) con legne, (e) fannola forte (e) salda acciò che la dicta torre possa andare a le mura sensa inpacio, (e) questo si fa se lo fango te nocesse. ^2Et sono chiamati musculi da le bestie marine, ché, come quelle benché siano minori danno però subsidio (e) adiutorio a le balene, così questi artificii minori sono deputati a la torre grande per aparechiarli (e) fare forte la via. [xvii] De le torri ambulatorie. Capitulo .xvij^o. ^1Le torri ambulatorie sono a simiglansa de li hedificii f(a)c(t)i di trave (e) di asse, et acciò che questa tanta opera no(n) sia brugiata, ella è coperta diligentissimame(n)ti di cuoia crude (e) di lensuoli. Et fassi tanta larga quanta vole la ragione de la altessa sua, ^2ché tal hora è larga .xxx. piedi p(er) quadro, tal hora quaranta o cinquanta piedi. ^3La altessa vole essere ta(n)ta che non solamente superchi le mura ma le torri del muro. Et sotto questa con maestrevile arte sono sottoposte alqua(n)te rote per le quali si mova (e) facia andare questo tanto artificio. ^4Ora, un grande pericolo è de la cità se la torre fose spinta presso al muro, ché molta gente con schale (e) in altra mainera si sforsano entrare dentro. ^5Et questa torre àe di soto lo ariete che guasta le mura. Circa la meza parte ha uno ponte facto di due travi (e) armato di vimine, et questo subito si gitta fora (e) sopra vi passa li homini combatenti che escano de la torre et piglano le mura (e) entrano in ne la cità. ^6In la p(ar)te di sopra di questa torre stanno li sagittarii (e) homini con le lanse, li quali caciano da le difese li terrieri trahendo di alto con saete, con dardi (e) con pietre. ^7Et facto questo si prende subito la cità. Et certo che adiutorio o subsidio pò avere quelli ch(e) speravano, q(ua)n(do) vedeno sopra le altesse de le mure (e) sopra loro uno altro muro di inimici più alto? [xviii] Come si posa brugiare la torre ambulatoria. Capitulo .xviij^o. ^1A questo pericolo così manifesto si occorre co(n) molti modi. Lo p(r)imo modo è che, se tu ài dentro homini virtuosi (e) fidenti, una bona squadra escha fuora, (e) straciando via le cuoie da lo legname lo abrugino poi. ^2Ma se li terrieri non osano uscire fuora, ellino trahino con balest(r)e grosse rocieti li quali andando abrugiat[i] (e) con grande forsa rompeno le cuoia (e) ardeno dent(r)o. ^3Questi rocieti sono come sagitte, et perché vanno ardendo brugiano dove si atachano. ^4La falarica, cioè una hasta inrocata, è magiore et con maiore ferro, (e) è concia tra la hasta (e) la canna del ferro con solphore, ragia, bitume (e) con stopa bagnata di olio che si chiama incendiario; ^5et questa tracta con una balestra grossissima rompendo la coperta de la torre si ficha ardendo, (e) spesse volte brugia la dicta torre. ^6Ancora, si cala giù de le mura tal hora homini co(n) lumi aschosi in le lanterne quando li inimici dormeno, et brugiano queste torre; poi sono tirati ancora in sul muro con quelle corde medesime colle quale erano collati giù. [xviiii] Come si agiunde altessa a le mure. Capitulo .xviiij^o. ^1Oltra questo, li terrieri fanno più alta – con pietre o terra affangata (e) finalmente con asse – quella parte del muro dove si sforsa di venire la dicta torre, acciò che non posa guastare li difensori de le mure, ^2ché è manifesto che questo artificio viene a essere ineffica[c]e (e) non valido se ello si trova più basso che lo muro o la altessa di dentro. Ma quelli di fuora soglano fare uno tale inganno, ^3che primamente ellino fanno una torre che mostra [essere più] bassa che la difesa de le mure de la terra; ^4poi fanno secretamente entro de la torr[e] una altra torreta di asse, et come la torre è apresso il muro, subito – con corde (e) con curti (e) tagle – si leva molto in alto quella torreta picola, de la quale uscendo fuori li homini armati, perché è più alta, prendeno [la] citade. [xx] A che m(od)o si cava la terra di soto acciò che la torre no(n) posa nocere. Cap(itul)o .xx. ^1Et tal hora li terrieri gitano fuora travi longissimi (e) ferrati (e) tegnano questa torre che non si possano approximare a le mure. ^2Ma combatendosi la cità di Rodi (e) apparegiandosi da li inimici una torre ambulatoria di magiore alteza che le mure (e) che tute le soi torri, fu trovato alora p(er) lo ingegno di uno artefice meccanico uno tale rimedio, ^3che elli cavò di nocte sotto li fondamenti del muro (e) cavò quello luogho p(er) lo quale dovea passare la torre lo dì seguente, portando via la terra et no essendo sentito da li inimici, ^4(e) come viene che la torre esse(n)do spinta con le suoi rote giunge a quello logo il quale era votato di soto, sostenendo lo suolo della terra tanto carico, subito calò giù in tal modo che la torre non si podé proximare a le mure, né anco più moversi. Et così fu liberata la cità (e) abandonata la torre. [xxi] De le scale, de la sambuca, exostra (e) telenone. Capitulo .xxj^o. ^1Essendo spinta la torre a le mure, li fronzatori, sagittarii, balestreri (e) iaculatori, con pietre, con dardi, con saete (e) con pallote di piombo caciano li terrieri da le mura. F(a)c(t)o questo, altri meteno le scale (e) prendeno la terra. ^2Ma quelli ch(e) montano per le scale stanno a gran pericolo come fu Capaneo, il quale si dice che trovò prima il combatere de le terre, et questo montando sopra per le scale fu morto con tanta forsa da li Thebani ch(e) fu dicto essere stato morto dal fulmine di Giove. ^3Et poi quelli di fuora montano in su le mura con la sambuca, [exostra et telenone. ^4Sambuca] si dice a simiglansa de la cithara, ché come in la cithara sono [le] corde, così in nel trave il quale si mete apresso la torre sono corde per le quali si tira con girelle (e) curli uno ponte da la parte di sopra del dicto trave in su la cima del muro, et subito escano fuori de la torre homini armati, li quali pasando per quello ponte piglano le mure de la citade. ^5Exostra si dice il ponte lo quale abiamo d(i)c(t)o di sopra ch(e) si cala subito da la torre propria a le mure. ^6Telenone si dice q(ua)n(do) si fica uno trave alto lo quale à in su la cima uno altro trave più longo a traverso, (e) questo sta in su uno polegio in sul mezo dirito, inastato (e) imbilanzato in tal forma che se tu tiri l’uno capo l’altro si leva. ^7Et in uno di questi capi si fa una cabia di grate, o vòi craticie, o di asse, in la quale si mete alquanti homini armati; et alora tirando giù l’uno capo questi homini sono elevati (e) posti sopra il muro. [xxii] De le balestre, onagri, scorpioni (e) arcubalestre. Capitulo .xxij^o. ^1Contra le predicte cose si soglano difendere quelli de la terra con balestre, onagri, scorpioni (e) arcubalestre. ^2Le balestre si tendeno con corde nervine (e) quanto àe più longhe le suoi braciole, cioè quanto è magiore, tanto trae più longi li veretoni; ^3et questa se è bene temperata secondo la arte mecanica (e) sia operata da homini pratichi di tale arte, ella passa tuto quello che trova. ^4Lo onagro, overo trabucho, [trahe] sassi, ma secondo la grossessa (e) la posansa de li nervi suoi si pesa la grandessa de’ sassi, cioè che quanto è magiore tanto trahe magiori sassi a simiglansa del fulmine. ^5Et non è alcuna mainera di instrumenti da trare più forte di questi due. ^6Scorpioni dicevano quelli li quali si chiamano adesso balestra da mano, (e) però erano così chiamati che con picoli veretoni danno morte ad altri. ^7Io penso che discrivere caciafusti, arcubalestre (e) frombe sia sup(er)fluo, però che la pratica p(rese)nte le cognosce. ^8Et sapi che da li sassi che trahe lo onagro, overo trabuco, non solame(n)te si guastano li homini (e) li cavali, ma anco si rompeno li instrumenti da combatere. [xxiii] Come contra li arieti giova le coltrici, li laci, li lupi (e) le colo(n)ne gravissime. Capitulo .xxiij^o. ^1Contra li arieti sono più rimedii. Alcuni legano alqua(n)ti lensuoli (e) coltrici con corde, (e) calano (e) meteno inna(n)si a quello luogho lo quale fere lo ariete, (e) non lasa guastare il muro, perché questa materia più mole rompe la furia de lo ariete. ^2Altri ànno già preso con laci lo ariete, (e) poi tira(n)dolo dal muro in traverso con moltitudine di homini lo voltano sottosopra con la testudine, cioè la sua coperta insieme. ^3Alcuni legano con corde uno ferro dentato (e) concio in forma di forbici lo quale si chiama lupo, (e) con quello prendeno lo ariete et poi o lo voltano sottosopra, overamente lo tengano sospeso (e) levato tanto che non àe forsa di ferire. ^4Tal hora si trahe giù de le mure saxi grossissimi (e) colonne di marmo, le quali venendo con furia rompeno li arieti. ^5Ma se pure fusse tanta forsa che lo muro forato da li arieti caschase, una spera(n)sa vi è di salute, che guastando le case si facia uno altro muro di dentro, ché se li inimici vorranno entrare dentro si possino serrare (e) amazare tra due mure. [xxiiii] De li cunicul[i], overo cave, per le quali si fa caschare le mure o che si entra in ne la cità. Cap(itul)o .xxiiij^or. ^1Una altra mainera di combatere si è subterranea (e) secreta la quale si chiama cunicolo, cioè cava: è così dicta da i conigli che cavano soto terra (e) lì ascondeno. ^2Adunqua a simiglansa de li luoghi dove si cavano li metalli, dove la industria de li homini circa le vene de l’oro (e) de lo argento, si dè cavare la terra con molta gente (e) con molta fatica, (e) cavando una spelonca cercare via di andare sotto per terra in destructione de la cità. ^3Et questo inganno si fa in due mainere di insidie, ché o che entrano la nocte non sentendo quelli de la cità (e) poi aprendo le porti menano dentro le brigate soi (e) amazano li citadini ignoranti in le case proprie; ^4o certo che come vegnono con queste cave a lo fondamento del muro, elli cavano una grande parte del dicto fondamento (e) portano soto alcuni legni sechissimi li quali tegnano sospeso lo muro che non chaschi; ^5ma apresso li dicti legni meteno sermenti (e) altre cose che ardino volentiera; et poi q(ua)n(do) ànno aparechiato de dare la batagla brugiano questi legni (e) asse che sosteneno il muro, (e), brugiati questi, cascha il muro et fa la via de entrare. [xxv] [Che] denno fare li citadini se li inimici sono entrati ne la cità. Capitulo .xxv^o. ^1Per exempli innumerabili si dichiara che spesse volte sono taglati a pesi tuti li inimici ch(e) erano intrati in la citade, che non è campato alcuno. ^2Et questo adviene se li terrieri si trovano tenere le torri (e) abiano presi li luoghi più alti, ^3ché alora generalmente li maschi (e) femine trahendo sassi [et] dardi di ogni mainera da le finestre (e) da’ teti guastano quelli ch(e) vegnano dentro; ^4et però soleva li inimici – per non stare a questo pericolo – aprire le porte de la terra, acciò che li terrieri vedendo la via di fugire non abino cagione di contrastare. ^5Ché la necessità di non potersene andare li fa virtuosi (e) combatere come homini desperati. ^6Ora, in questo cazo, uno subsidio (e) adiutorio è a li terrieri, se ellino tegnano le mure (e) le torri, (e) poi da le finestre (e) da li luoghi più alti guastino per le contrade (e) per le piace li inimici che combateno entro per la terra. [xxvi] Che si dè fare acciò che li inimici non piglino la terra per furto. Capit(ul)o .xxvj^o. ^1Spesse volte li inimici pensano lo inganno, (e) mostrando di abandonare la terra per desperatione vanno più lungi, ^2et poi che la cità è assecurata (e) non fa la guardia, questi, piglando il tempo, vegnano di nocte co(n) le schale (e) montano sopra le mure. ^3Per la qual cosa bisogna havere gran cautela q(ua)n(do) lo inimico si parte, et sono da fare in ne le torri sopra le mure alquanti caseloti in ne li quali posa stare le guardie essendo difese al tempo del verno da·fredo (e) da le piogie, (e) la state dal sole. ^4Ancora, hae trovato la pratica di pascere in ne le torri alcuni cani ferocissimi li quali odeno presto l[o] advenimento de li inimici (e) lo manifestano grida(n)do. ^5Et le oche ancora con tale solertia similme(n)te gridando manifestano li sopravenime(n)ti di nocte, ché essendo li Oltramontani entrati in nella rocha del Capitolio arenno destructo il nome Romano se non avesse contrastato Manlio, sveglato per lo grido de le oche. ^6Et certo uno ugello salvò con mirabile dilige(n)tia, overo con mirabile fortuna, quelli homini li quali doveano subiugare tuto il mondo. [xxvii] A che tempo si faciano le insidie a li terrieri. Capitulo .xxvij^o. ^1Non solamente in ne la obsidione, ma in ogni mainera di guerra è reputato utile sopra le altre cose spiare o investigare diligentemente. ^2Non si pò trovare la oportunità, cioè il tempo (e) lo logho apto a le insidie, se tu non sai a quale hora lo adversario si riposa, a qual hora sta manco advisato, ^3o da mezodì o da sera o di nocte, tal hora quando si mangia o quando l’una parte (e) l’altra si riposa. ^4(e) quando si cominciano a fare queste cose in la citade, alora li inimici si ritraheno da lo absedio (e) danno aconcio a la negligentia de li adversarii. ^5Et q(ua)n(do) è bene cresiuta questa negligentia, vedendo li terrieri che non è loro nociuta, alora li inimici meteno le schale (e) piglano la terra. ^6(e) fornisceno lo muro di asse (e) di altri instrumenti da trare, aciò che siano aparechiati contra quelli ch(e) venisseno per socorrere. [xxviii] Che denno fare quelli di fuora acciò che non portino danno da’ terrieri per aguato. Capitulo .xxviij. ^1Quando la negligentia interviene, anco stanno a pericolo di aguati quelli di fuora. ^2Ché essendo loro occupati o a mangiare o per somno o per otio o disparsi per qualche necessità, allora li terrieri subito eschano fuori (e) amasano q(ue)sti male avizati et brugiano li arieti (e) torri, et anco guastano li terragli (e) tute le opere che erano facte a sua destructione. ^3Et però quelli di fuora fanno una fossa tanto lungi da la cità quanto è il trato di uno dardo o più, et questa fanno forte no(n) solamente di palati (e) con pali aguzi, ma anco con torricele, acciò che possino contrastare a questi che eschano fuora, et q(ue)sta opera è chiamata loricula. ^4Et spesse volte quando si descrive uno assedio si trova in ystorie la cità essere circundata di loricula. [xxviiii] Con che mainere di instrumenti si difende la citade. Capitulo .xxviiij^o. ^1Ma da la cità si manda – da alto contra quelli di sotto – dardi, palote di piombo, lance, rote, veretoni, ^2saete trate con archi (e) sassi trati con mano o con frombe o con cazafusti; et queste cose quanto vegnano da più alto luogho tanto passano più (e) vanno più lungi. ^3Ora, le balestre, cioè spingarde, [et] li onagri, overo trabuchi, se sono temperati dilige(n)tissimamente da homini bene amaestrati pasano ogni cosa, et da questi non sono securi li combatenti né per virtù né per altro guarnimento, ^4perché soglano rompere (e) pasare ogni cosa che trovano come il fulgore. [xxx] Come si dè extimare la misura per fare scale (e) altri artificii. Capitulo .xxx^o. ^1A prendere [le] mure vaglano molto le schale (e) altri artificii se sono facte tanto grandi che avansano la altessa del muro. ^2Ora, la misura di questi tali artificii si pò tollere in due mainere. L’una è che si legha uno filo ad uno veretone (e) poi si trahe la saeta a la cima del muro, et da la longessa de lo spagho si comprehende la altessa del muro; ^3overo che quando il sole dà contra le mure o torri (e) gitta la ombra in terra, alora, non vedendo li adversarii, tu misuri lo spacio di quella ombra o di p(rese)nte o a tuo aconcio q(ua)n(do) tu la arai segnata, [et dèi] in quella hora propria ficare diricta una misura di quatro o sei bracia lungha (e) vedi quanto di ombra ti dà questa misura. ^4Et facto questo trovi lievementi la altessa de le mura computando (e) calculando per rata, però che tu sai quanta ombra in longo ti dà ciaschuno bracio di altessa, overo uno bracio di ombra quanta alteza ti darà. ^5Io penso avere exposto per la utilità comune quelle cose le quali ànno lasato inscripto per combatere o per difendere le terre li autori de’ facti di armi, et anco quelle che hae trovate la necessità de la nova pratica, avisando una (e) altra volta che si guardi diligentissimame(n)te che non ti vegna lo disagio del mangiare o del bere, ché a questi mali non si pò socorrere con alcuna arte; ^6et però si dè metere de(n)tro da le mure tanto più de le cose qua(n)to tu sai che il tempo de la obsidione è in posansa (e) dura infine che vole quelli ch(e) sta(n)no a lo assedio. [xxxi] Li amaestramenti de la guerra navale. Capitulo .xxxj^o. ^1Avendo finito, imperadore victorioso, per comandamento de la tua maiestà la ragione de la guerra terrestre, mi resta lo avanso a dire de la guerra navale; de la quale arte sono da dire manco cose, però che essendo già longamente pacificato il mare si fa guerra terrestre con le nationi barbare. ^2Ma il populo Romano, non per necessità di alcuno romore ma per belessa (e) per utilità de la sua grandessa, aparechiava sempre navilio fin che avea il tempo; et acciò che non avesse mai disagio di quello, sempre lo ebbe aparechiato innanti. ^3Et certo nesuno ardisce invitare a guerra o fare inuria a quello regno o a quello populo lo quale si cognosce essere aparechiato o prompto a contrastare (e) vendicarsi. ^4Adunqua una legione apresso a Miseno et una altra apresso a Ravenna stavano con li navilii, acciò che non fusseno tropo lungi da la guardia de la cità et q(ua)n(do) bizognasse potesseno li navilii, sensa dimora (e) sensa circuito, andare a tute le parti del mondo. ^5Ché lo navilio il quale stava a Miseno era proximo a la Galia, cioè tuto Oltramonte, (e) tute (e) due le Spagne, Mauritania, Affrica, Egipto, Sardinea (e) Cicilia. Lo navilio di Ravenna guarda verso Epyro, Macedonia, Achaia, Propontide, Ponto, Oriente, Cretha (e) Cypro. Et però tenevano questo aparechiamento perché in ne le guerre suole giovare più la prestessa che la virtue. [xxxii] Lo nome de li iudici che sono sopra lo navilio. Capitulo .xxxij^o. ^1Sopra le liburne, overo galee, le quale stavano in Campagna era il prefecto del navilio da Miseno, ma sopra quelle erano in nel mare Ionio vi era sopra il prefecto del navilio di Ravenna; (e) soto questi prefecti erano dieci tribuni, cioè uno sopra ciaschuna squadra. ^2Et ciascuna liburna, overo galea, avea uno nabarcho, cioè come nochieri, il quale, pratico di tuti li officii, avea la cura de li altri nochieri, de li governatori [et] de li marinari, di comandarli (e) exercità·li. [xxxiii] Donde sono chiamate le liburne. Capitulo .xxxiij^o. ^1In diversi tempi alcune provincie ànno possuto asai in mare, et però sono state diverse mainere di navi. ^2Ma combatendo Augusto con Antonio in nella batagla acciata (e) essendo vinto Antonio specialme(n)te per aiuto de li Liburni, alora fu manifesto per lo experimento di una tanta batagla che le navi de li Liburni erano più apte che le altre. ^3(e) adunqua a similitudine di queste (e) ancora usurpando il nome loro feceno le navi li principi Romani. ^4(e) Liburnia è una parte di Dalmatia la quale giace sopra la cità diatertina. Et a lo exemplo di queste si fanno adesso le navi da guerra (e) sono apellate liburne, cioè galee. [xxxiiii] Con che diligentia si fanno le liburne, cioè le galee. Capitulo .xxxiiij^or. ^1Ma così come si guarda, dovendo fare le case, la qualità de la arena (e) de le pietre, tanto più si dè guardare ogni cosa in ne la nave che [in ne] la casa. ^2Et però di cipresso, o di pino domestica o salvatica, o di abiete specialmente si fanno le liburne, et più è utile inchiodarle di chiodi di ramo che di chiodi di ferro ^3(e), benché la spesa sia magiore, nondimeno, però che dura più, ella si prova essere utile, ché la rubigine, [cioè la rugine, consuma] presto li chiodi de·ferro, ma quelli di ramo durano ancora essendo in lo mare. [xxxv] Con che rispecto si dè taglare lo legname. Cap(itul)o .xxxv^o. ^1Et è da notare che si debia taglare li arbori de li quali si de(n)no fare le liburne, overo ghalee, dal quintodecimo dì de la luna infine al vigesimosecondo, ^2ché solamente la materia taglata in questi octo dì si diffende da lo cairolo, overo tarlo, et la materia taglata in ne li altri dì incairolise, overo i(n)tarla, (e) essendo rosa da li vermi si convertisce in polvere. ^3Et questo mostra la arte disteza (e) la quottidiana pratica di tuti li maestri di legname, et questo ancora possiamo cognoscere per contemplatione de la religione propria, la quale è ordinata celebrarsi per la eternità solamente in questi dì. [xxxvi] Di quali mesi si denno taglare li travi. Capitulo .xxxvj^o. ^1Li travi si taglano utilmente dopo lo solstitio di estate, cioè dopo [luglio] (e) augusto, (e) per lo tempo de lo equinotio autu(m)pnale, cioè infine a [k]alende ianuario, ^2ché i(n) questi mesi, seccando la terra, le legne sono più seche (e) però sono più forti. ^3Et debbesi anco guardare che non si riseghino subito come sono gitate per terra, et così come sono risegate che subito non si metano in opera in ne le navi, ché li travi acciò che siano più sechi voglano dopia indugia: la p(r)ima quando sono i(n)tegri (e) l’altra quando sono divisi in asse. ^4Ché se sono posti in opera essendo ancora verdi, come ànno poi sudato fuori lo humore naturale, elli si stringeno (e) fanno le †schiapature† larghe, de la qual cosa non è nesuna più pericolosa come apri(r)si il taulato. [xxxvii] Del modo, overo grandessa, de le liburne. Capitulo .xxxvij°. ^1Circa la grandessa de le liburne, overo galee, è da sapere che le liburne minime ànno uno solo ordine, cioè una schiera di homini da remo, per ciaschuna ba(n)da; quelle che sono un pocho magiori ànno due ordini di homini, cioè homini a due a due; quelle ch(e) sono di misura iusta ànno tre o quatro ordini di homini, tal hora cinq(ue) ordini, overo gradi, di homini l’uno dirieto a l’altro in largho. ^2Et no(n) paia questo enorme o fuori di ragioni, ch(é) in ne la batagla acciata ve ne fuorono di tropo magiori, che si dice esservi corsi navilii di ordine a sei a sei (e) di più. ^3Et nondimeno si acompagna a le galee magiori alcune schafe da mandare a sopravedere, (e) ànno circa venti homini da remo da ciascuna banda, et queste sono chiamate da li Britani pitte overo pente. ^4(e) con q(ue)ste si fa li [sopravenimenti], (e) tal hora si prendeno de le navi di vituaria de li adversarii, (e) con queste si va a le spie (e) a le vedete per avisare la venuta (e) li consigli de li inimici. ^5Et acciò che queste navi siano da mandare a spiare non vedute da longha per la biancheza, si tingeno le vele (e) le corde (e) altre cose che paiano di colore veneto, il quale è simile a le onde marine. ^6Et così li marinarii (e) soldati vesteno una vestimenta veneta, cioè a modo di quella provincia che già si chiamava Venetia, et questo fanno acciò che non pur la nocte ma anco il dì stiano più legiermente ascosi. [xxxviii] Li nomi de’ venti (e) il numero. Capitulo [.xxxviij°.] ^1Ciascuno che porta exercito in navilio armato dè cognoscere in p(r)ima li segni de la turbatione del mare, ^2ch(é) spesse volte le galee sono disfacte più gravementi p(er) fortuna che p(er) forsa de’ inimici, per la qual cosa è da avervi la solertia de la [philosophya] naturale, ch(é) la natura de la tempesta, overo fortuna, si comprehende per ragione celeste. ^3Et così come lo bono avizame(n)to giova, così noce la negligentia. ^4Adunque la arte del navicare dè guardare in p(r)ima lo numero (e) li vocabuli de’ venti. ^5Li antiqui pensòno già che non fusseno se non quatro venti, secondo le quatro parti principali del cielo, ma la età che venne dirieto cognove che erano dodici; ^6et di questi io òe posti li vocabuli così greci come latini per toglere via la dubitansa; et a questo modo si dichiarerà li venti principali, [con li venti] coniunti da mano dirita (e) da mano sinistra. ^7Adunqua cominceremo dal solstitio di p(r)imavera, cioè da la parte orientale, da la quale nasce lo vento aiaiotec, cioè subsolano; ^8questo àe da mano dirita cecias, overo altramenti dicto choio; da la sinistra vulcerino. Da mezodì è notho; ^9questo àe da mano dirita acorlcona, cioè albonotho; da la sinistra libonotho, cioè coro. ^10Da lo occidente è zephiro, cioè subvespertino; ^11da mano dirita lips, overo phrigio; da la sinistra iapix, overo favonio. ^12Or, da monte li è ap(er)tio, cioè septentrione; questo àe da mano dirita trachias, over circio; da la sinistra boreas, overo aliquone. ^13Questi – tal hora uno solo, tal hora dui (e) tre insieme – muoveno lo mare, ^14lo q(u)ale di sua natura è tranquilo, (e) fanno grandi fortune ^15et fa(n)no dello aire sereno nubile (e) de lo nubile sereno. ^16Et quando la nave àe uno di questi prosperi, cioè in popa, ela va dove vole; q(ua)n(do) lo àe contrario bizogna stare o tornare indirieto. ^17Et però per colui che à veduto diligentemente la ragione de li venti non è lieveme(n)ti pericolato. [xxxviiii] Di quali mesi si navica più seguramente. Capitulo [.xxxviiij^o.] ^1Ora segue il tractato de’ mesi (e) de li dì, ché la acerbità del mare non soferisce che si navighi tuto l’anno integro, ma alcuni mesi sono aptissimi a navigare, alcuni dubii, et lo avanso sono intractabili a li navilii, cioè che no(n) si può navigare per legie (e) ordine di natura. ^2Prima si tiene (e) crede che da .xxvij. dì del mese di magio infine a .xiiij. dì del mese di septembre sia seguro il navigare, però che per lo b(e)n(e)ficio de la estate la acerbità (e) dureza de’ venti è mitigata. ^3Doppo questo tempo per infine a .xi. dì del mese di nove(m)bre è dubia (e) incerta la navigatione, più tosto pericolosa che non, ^4aperché dopo .xiiij. dì del mese di septembre signoregia una stella, Arcturo, significante (e) movente tempesta. ^6Da poi da .xj. dì di novembre per infine a .xv. dì di marso li mari sono intractabili (e) prohibiti al navichare ^4bperò che lo equinotio i(n)duce acerbità (e) tempesta ^5(e), signoregiando, le stelle virgilie danno (e) produceno grandi turbationi al mare. ^7Et così [quando] da poi il giorno è minore [et] la nocte longa, la densità de le nuvile, la oscurità de lo aere, venti (e) piove terribili duplicano la te(m)pesta i(n) mare, sì che non solamente le armate navali (e) le clase sono vietate dal navigare, ma etia(n)dio quelle navi (e) navigii che si exercitano in mercantia. ^8Dopo questo tempo ^9per i(n)fine a .xv. dì di magio è dubio il navicare (e) con pericolo per segni (e) stelle che in questo tempo signoregiano, (e) per ragione de la i(n)stabilità (e) varietà del tempo; ^10non è però che la industria de’ mercadanti (e) de·loro navicare manchi, ma – ragionando noi di guerre (e) armate navali, in ne le quali (e) loro exerciti più cautella bizogna – questo tempo è pericoloso però che più diligentia si richiede in ne le liburne (e) in ne le armate che in nello exercitio mercantile. [xl] Come si denno observare (e) guardare li segni che significano tempesta. Capitulo [.xl^o.] ^1In nel tempo del nascimento o occaso di alcuni segni o stelle si moveno grandissime tempeste, et benché p(er) dicto (e) auctorità di molti auctori siano tali giorni dichiariti (e) segnati, ^2nientedimeno per casi (e) accidenti alcuna volta riceveno mutame(n)to, et anco perché la humana cognitione non pò bene a pieno cognoscere (e) intendere le cagioni celestiali; ^3et pertanto li navigatori bene amaestrati guardano (e) observano uno giorno precedente il dì del segno, il giorno proprio del segno (e) uno giorno dopo il segno, però che molte volte è trovato essere variata la tempesta innanti (e) po’. Et quelle tempeste ch(e) precedeno il dì del segno si chiamano in greco p(ro)gi(m)nalon, quelle del dì del segno ginnalon, et quelle ch(e) segueno il dì apresso methachimalon. ^4Et longo sarè no(m)i[na]tame(n)ti chiarire (e) dire, perché molti auctori non solamente de’ mesi ma de’ giorni proprii ànno expresso [la ragione]. ^5Li corsi de le stelle chiamate planeti, (e) certi loro transiti con alcuni corsi di giorni a loro seguenti (e) ap(ro)p(r)iati, secondo lo arbitrio dato per lo dio de la natura, molte volte induceno tempesta (e) di tempo sereno il fanno turbato. ^6Apresso, chiarame(n)te si cognosce non solamente per ragione de li homini p[er]iti (e) intendenti, ma da li homini vulgari (e) plebei, per uso, si vede in ne le coniunctioni (e) renovationi di lune essere giorni pieni di tempesta, li quali se denno schifare (e) essere [temuti] da’ naviga(n)ti per lo danno (e) pericolo che induceno. [xli] De’ segni precedenti a cognoscere la tempesta futura. Capitulo [.lxj^o.] ^1Per molti segni si cognosce la tempesta fut(ur)a del mare (e) la variatione de tranquilità in te(m)pesta, come in nel corpo de la luna, il quale come speculo fa dimostransa, ^2ché essendo di roso colore significa vento, di colore ceruleo (e) turbido significa piova, (e) quando è mescholato di rosso (e) ceruleo significa grande tempesta (e) piova. ^3[...] ^4Anco è da considerare nel corpo del sole che o q(ua)n(do) si leva da oriente o quando va ad occaso sia in ne’ suoi razi chiaro sensa alcuna opositione di nuvila (e) se è di uzato suo splendore chiaro, però che per venti che sopraface(sse)no diventerebe igneo rosso, overo palido, et essendo maculoso significa piogia. ^5Lo aire ancora (e) anco le i(n)undatione (e) movimenti di mare (e) la densità (e) colori de le nuvile dimostra a li intendenti navigatori il tempo fut(ur)o. ^6Alcuna volta per ugelli, alcuna volta si dimostra da’ pesci, de le quali cose Virgilio mantuano con mirabile suo ingegno in nella Georgica ne dice, et Varone ne li suoi libri De le cose navali diligentemente àe dicto, ^7le quali cose (e) segni più tosto per usansa che altra doctrina li naviganti (e) governatori de le navi bene intendeno. [xlii] De’ movimenti del mare che si chiamano reume. Capitulo [.xlij^o.] ^1È da sapere che, essendo il mare elemento (e) tersa parte di mo(n)do, sensa alcuno vento è mobile ^2(e) a certe hore di dì (e) di nocte si move p(er) fluxo (e) refluxo, il quale movimento si chiama reuma, (e) a m(od)o di fiumi viene (e) muovesi verso la terra (e) alcuna volt[a] refluisce ve(r)so il suo profondo, ^3il quale fluxo (e) refluxo giova (e) noce a li navilii secondo che ànno il camino loro. ^4Et però con gra(n)de cautella è da essere tale reuma schifato, ^5perché non è in posansa di remi da quello potersi aiutare, né etiamdio per vento si può fugire. ^6Et perché si trovano molte regioni che secondo il mancame(n)to (e) il crescime[n]to di luna li mari in quelle parti si variano, pertanto colui che àe condure (e) fare guerra navale, inna(n)ti che si meta a batagla [è] bene cognoscere (e) avere noticia di tali mari, aciò che non riceva [dampno]. [xliii] Come si dè avere noticia de’ luoghi da navicare (e) de la virtù de’ navicanti. Capitulo [.xliij^o.] ^1Grande diligentia (e) solicitudine denno havere li navigatori (e) governatori di navi di sapere li luoghi in nelli quali si naviga (e) di bene cognoscere li porti (e) li reduti, sì che navigando si guardino di non capitare in logo molesto, guardarsi da li schogli occulti [et] fugire li vadi sechi, però che tanto è più seguro (e) sensa pericolo il navigare quanto più in alto mare si navicha. ^2Denno aver(e) li nochieri diligentia, li governatori doctrina (e) p(er)itia, li marinari virtù di forsa et di ghaglardia, però che facendo guerra navale tuto il più si fa in tranquilo mare ^3(e) non co(n) venti ma, essendo liburne, con forsa di remi (e) con i(m)peto si p(er)cuote (e) resiste, in ne [la] quale batagla la forsa de’ marinari in remare (e) la arte del conductore (e) governatore sono quelle ch(e) danno victoria (e) fanno vincere contra lo inimico. [xliiii] De li instrumenti da combatere mirabili (e) virtuosi. C(apitul)o [.xliiij^o.] ^1È necessario in guerra (e) batagla t(er)restre avere molte mainere di armi così da difendere [come] per avere victoria; ma molto più sono nece(ssar)ie (e) averne in guerra di mare (e) i(n) magiore quantità come se si avesse a combatere in muri fortissimi (e) torri, ^2però che nesuna guerra è più crudele ch(e) la navale, in ne la quale li homini perissino (e) per aqua (e) per foco. ^3Et è necessario avere bene armata (e) cop(er)ta la p(r)ima di buone pansiere, elmi (e) con ogni altra forte g(e)n(er)atione di armi. ^4Né no(n) si dè alcuno scusare per carico perché non bisogna in quella guerra molto andare ma stare fermo a la batagla. Scudi forti (e) grandi sono necessarii per li colpi de le pietre. ^5Falci, arpagoni (e) altre mainere di armi, dardi, sagipte, frombe, pallote di piombo, scorpioni (e) altro saetame in tal guerra si adopera, et anco si trovano molti di tanto animo che di loro forsa e virtù tanto presumeno ch(e), incathenate (e) agiunte insieme le liburne (e) gitati li ponti, si transferisceno in su le navi inimiche, (e) quine insieme (e) da mano a mano con coltelli stando da presso combateno. ^6Trovasi anco ne le liburne magiori fare castelli (e) torri di legname per le quali come da uno muro ferisceno sopra avansando il nimico con sassi (e) altri offensioni. ^7Anco con olio incendiario, stopa, solphoro (e) bitume si fanno saete; in quelle apresse (e) a(r)denti di focho si gittano in ne le fuste (e) liburne inimiche, (e) quelle ardeno perché li corpi de le navi sono di pece (e) rasina (e) altre materie apte a fuoco a subito aprendersi, ^8sì che molti sono li pericoli (e) offese in guerra navale, ché chi per ferro, chi per sassi (e) chi stando in aqua ardeno. ^9Et tanto grave è il cazo de la navale guerra che vivi (e) sensa sepultura li corpi di quelli che mancano in nella batagla sono da’ pesci devorati rimanendo insepulti. [xlv] De li aguati che si fanno ne le guerre navali. Capitulo [.xlv^o.] ^1Sì come ne le batagle terrestri si fanno insidie (e) asa[l]ti, così anco in quelle di mare, maximamente q(ua)n(do) sono inprovisi (e) ignoranti li inimici de lo advenime(n)to tuo o quando li aguati et insidie si pongano tra le angustie (e) strete, (e) unde si dè fare transito per lo inimico. ^2Et questo sì [faciano] acciò che, quando non sono proveduti, di legieri si vinceno (e) sono sup(er)ati li inimici, ché essendo per longo camino li marinari afaticati, niente dubitando si dormeno, et anco trova(n)dosi in logo ch(e) fugire non possino, ^3vedendo [di potere] combatere con prospera fortuna, alora è da fare la impresa de la guerra (e) agiungere la forsa a la fortuna. ^4Et se adviene che di tali asalti si vegna a batagla ordinata, alora si denno le liburne in tal modo ordinare che no(n) stiano i(n) squadre dirite come si fa in ne’ campi terrestri ma piegate (e) lunate in tal modo che le corne de la classe siano distese, ch(e) il mezo sia sinuato, però che se li adversarii volesseno asaltare la armata, ch(e) siano dalle [corne] circondati (e) inclusi, (e) così saranno vinti (e) superati, ^5metendo sempre p(er) sp(eti)ale amaestrame(n)to in ne le [corne] de [la] armata le più forti liburne (e) li più valenti combatenti, ché di quine procede ogni victoria. [xlvi] Quello che si dè fare per havere victoria q(ua)n(do) la batagla si fa in alto mare. C(apitul)o [.xlvj^o.] ^1Quando adviene doversi cometere la batagla aperta (e) publica in nel mare, alora con ogni industria ti dèi operare che la tua armata sia verso lo alto mare caciando (e) includendo li inimici a la riva, ché essendo così caciati (e) inclusi verso la riva perdeno gran forsa. ^2Et intra li altri instrumenti da combatere per li quali si seguita victoria, tre nominatame(n)ti giovano. ^3Il primo è di avere uno trave longo (e) sotile a similitudine de la ante(n)na che pende a lo arboro, (e) questo trave vole essere bene ferrato da l’una testa (e) da la altra, (e) legato a lo arboro per mezo penda. ^4Et acostandosi a le liburne (e) navi inimiche, o da mano diricta o sinistra che sia, in modo de lo ariete è da mandarlo (e) fare impeto (e) percosa in ne li corpi de le fuste inimiche, (e) di questo asalto (e) impeto seguita grande damno a lo inimico, p(r)ima ne le p(erson)e de’ combatenti (e) naviganti, apresso ne’ corpi de le fuste che in tuto si disfanno. Et questo instr(ument)o si chiama assere. ^5Lo secondo instr(ument)o utile (e) neccessario [è] di avere falci acute (e) bene taglenti curvate in modo di luna, (e) con queste, mise in legni (e) pratiche grandi, taglare le corde (e) frene de li inimici con le quali la ante(n)na de le vele è legata a lo arboro; (e) quelle taglate de li inimici cascano, et no(n) potendo avere vento sono più pigre (e) inutili a la batagla. ^6Per terso instrume(n)to è nece(ssar)io havere segure, overo accete, ch(e) ànno ferri acuti (e) larghi, tagla(n)ti (e) foranti, da l’una parte (e) l’altra, ^7però che con quelli quando la batagla è da presso si fa grande damno a lo inimico, (e) sono apti a fare utili (e) spesse ofise. ^8[Et queste .iij.] guardie di mure sono molto [uzate etiamdio] per li marinari bene provati. ^9Et perch(é) la usansa de la a[r]te del combatere àe trovato (e) trova più (e) varii instrumenti da batagla che la antiqua dotrina dica e posa trovare [et] mostrare, però farò fine in no(n) dire di più generatio(n)i di armature, raportandomi a lo uzo (e) peritia de’ valenti co(m)batenti. Deo gratias. Amen. Finito è il quarto libro. Amen.