1 Nrt O . krr*nco ejeľ.a c*s* f ^ o vÍAn«ri. 0Mp*M|tt {Irtpitolo VI U cano viol Sole IVn Abbondio ha ocelli crici Sniml,i.«n ■ • v meo; «*rú**™* quell, del bravi. Fu Qistoioro ha .duo ocelli intwmmiilt*, chc sfolgonino repentini; *diavo!i docchi», tenutí a bada da un acquisiio autocontrollo cappuccinesco. II terragno don Abbondio c di gamha pesante; anche so al moment o opportune, per la paura. sa trastonnarsi 111 iclino armttato: wdiventcta losto come 1111 gatto, 0 scappera come il diavolo dalľacqua sauta«i;*. 1 'innominate ha I'apertura di gainbe di un wviaggiatore trottoloso*. Hon Rodrigo ha hiso-gno di darsi diotro mitologico vento Mcntre tra c'ristoioro e lui stesso ooliea 0 lovitata leggero:-::a: «1111 calpostio aťťret-tato di sandáli, e un runiore di tonaca sbattuta. somigliante * quelle die tanno in una vola alleniaia 1 sot t i ripetuti del vento. annun.-iatono il \\\dvc i/nstoloro-'-" Fra Cristoťoro (i eui connotati storiei souo stati in gran parte ispirati dalle relazioni cappuccino sulla peste milanese & l6lo e forse anche dalla biogratia di Alfonso III nolle AfUkbiti estensi di MuratorO e assurto dal sangue alia mis-SnereEgSsa. Prima di indossare il s.kvo. era state. al seco lo Lodovico: Teredo unieo di un ricco mercante. Gii neUa vitalaica vsnobbatoJallariscocrana inquanto -tantele.eontratteabitudinis^n^ to un onesto ma violonto „protettou ckgu f t mmty p, 137, 142 La tabacchiera di don Lisander vendicatore de' torti», e aveva impiegato le proprie sostan ze «in opere buone e in bravene»130. II «meccanico» Lod0 o-arro- AMli wj-- —--- ---4 vico aveva infine ucciso in duello un «gentiluomo», «aj gante e soverchiatore di professione», che avrebbe volute imporgli un feudale codice di precedenza pedonale: Tutt'e due camminavan rasente al muro, ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col lato destro; e ciö, secondo una consuetudine, gli dava il diritto (dove non va a ficcarsi il diritto!) di non istaccarsi dal detto muro, per dar passo a chi si fosse; cosa deUa quale aUora si fa-ceva gran caso. L'altro pretendeva, all'opposto, che quel diritto com-petesse a lui, come a nobile, e che a Lodovico toccasse d'andar nel mezzo; e ciö in forza d'un'altra consuetudine131. L'ironia e pascaliana, anche a proposito del disequili-brio delle forze di rappresentanza delle parti (due bravi e un «maestro di casa» per Lodovico, quattro bravi per l'altro): Que Ton a bien fait de distinguer les hommes par l'exterieur, plutöt que par les qualites interieures! Qui passera de nous deux ? qui cSdera la place ä 1'autre ? Le moins habile ? mai je suis aussi habile que lui, il faudra se battre sur cela. II a quatre laquais, et je n'en ai qu'un cela est visible; ü n'y a qu'ä compter; c'est ä moi ä ceder, et je suis un sot si je le conteste. Nous voilä en paix par ce moyen, ce qui est leplu* grand des biens1" L'antropologia, che prende di mira la «scienza cavallerc-sca>> (passt d'avanzamento, «[/.*.] sfide, [...] portatori, [■■■ bastonate>>) dottamente dibattuta tra i piatti e i bicchieri deJ IntT^u011 R°dri8° e coltivata da don Ferrante * £ na d ?' ' ^^»ente mÜanese, canzona l'India e la ^ na dl qua; nel Seicento: m|^_^iv,p. 8i. f ■ I26,^^^eTatTo l95i (trad- di V- E. Alfieri, Pensien, M^»0 * quaUtä interiori. Chi d,^ 1 dlstin8^re gli uomini dall'esteriore, an* Stat0' E8Üha^atVose°^LCapace sarä una questione da, bt sta co e. t0cca m° se2"on e 1Q non ne ho ecco una cosa v * ( *"»o mezzo eecoei in IzT S PaSSO> ed » sono uno scioeco se lo cont* V • C10 che * ü piü grande dei beni»)- PPosto iL. aaHTSit0del% >a dc"e Parti (duebravie CO, quattrobraviperl'jl. icr les hommcs parlcitcriec. Uflutis, et jenen* Pf ^ jS2 Parte seconda I43 La dignitosa franchezza deßl'infimi - • ■ ,. non usano cedere il passe J^^^T * FÜadeIfia>* effetto della comune prosperitä che turberebbero lordinata civüe co^^ÄIK ste pnvüeglate queUa franche22a sembrerebbe superbia incomp0r -bile; indizio deUa nproyazione de' popoli non illuminati da Visnü Ed un cerimonioso cinese la stimerebbe rozzezza villana133. L'omicidio "cavalleresco", da riscattare nel perdono dei parenti della vittima, oltre che nel proprio rimorso, era familiäre a Manzoni. Che l'aveva meditato, sin dai banchi di seuo-la, sulla nqvella Teresa Balducci del padre Francesco Soave: Non lungi di qui uno a me sconosciuto m'incontra; e nel passar-mi d'appresso mi urta villanamente. Io mi lagno del suo modo inur-bano; egli alla scortesia aggiunge gl'insulti e gli strapazzi: io mi risen-to; egli aecresee le villanie, e osa pur anco minacciarmi arrogante-mente. Insofferente di questa estrema insolenza io trassi la spada, egli fece lo stesso, e ferito d'un colpo e caduto a terra. Sa il cielo s'io so-no dolente di questo involontario delitto. Ma voi signora, abbiate pietä d'uno sciagurato. Confuso e fuor di me io mi sono dato immantinen-te allafuga [...]1}4. Lodovico ha ammazzato. La folla aecorsa consegna il gio-vane omicida ferito ai cappuccini di un vicino convento, per sottrarlo alla giustizia e soprattutto alla Vendetta della potente famiglia dell'ueciso. In questo asilo, Lodovico matura la sua conversione: prende il saeco cappuccino, assume con umiltä ü nome di un suo servitore morto nello scontro con il prepotente «gentiluomo» e si reca nella casa del fratd o delTucciso per chiedere pubblicamente, perdonc, e po ter sernpre nell! sporta il pane ^^TZZ^l del perdono ottenuto e che gli era stato to d'argento»; a evidenziarne ^ vate i ^ co1". Cristoforo ejatore di Cristo, eppero a y . TV caD n, 4, in n>., Saggi sulhello, »» e. Visconti, Riflessioni sul hello, parte IV, cap. sulla poesia e sullo Stile cit., p. 13°; Novelle morali, parte I, vi, Palermo i«59. 1m f. soave, Teresa Balducci, m id., Nov * c(Ip. nj^llsuio dellajona ™%>^^ G. Ciho e romänztK Bofögna 1991 > PP- 45 ' BARRICELU, StrUC- i44 La tabacchiera di don Lisander darä in consegna a Renzo e Luciaj_alla fine della sua missio-ne; per loro e per i loro figli: «Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a' superbi e a' provocatori: dite loro che perdonino sempře, sempře! tutto, tutto! e che pre-ghino, anche loro, per il pověro frate! »1}6. Passato dallo scandalo alla riparazione, fra Cristoforo non dismette né gli originari «spiriti guerreschi» né la primitiva vocazione di protettore dei deboli; solo che questi «restic-cioli» di Lodovico, sotto le «ispirazioni superioři» della mis-sione religiosa e nella perpetua condizione di riscatto dalla tremenda «caduta» nella colpa omicida («una vita intera di meriti non bašta a coprire una violenza»)137, subiscono di-versioni verso un'idea di giustizia edificata a contrasto con la violenza passata. Lodovico sopravvive in fra Cristoforo, accomodato: come «queUe parole troppo espressive nella loro forma naturale, che alcuni, anche hen educati, pronun-ziano, quando la passione trabocca, smozzicate, con qualche lettera mutata; parole che, in quel traviamento, fanno pero ricordare della loro energia primitiva*"8. Non sempře Cristoforo si ě quindi chiamato cosi. Prima del nuovo battesi-mo dei voti, indossava come una divisa guerriera il nome Lodovico: che ľetimologia germanica, e di tradizione mero-vingia, imponeva in figura di «combattente glorioso». «Prima del battesimo mi chiamavo Reprobo, ora invece mi chiamo Cristoforo»: aveva sicuramente letto, nel suo «Leg-gendario de' Santi», il sarto del villaggio; che ospita Lucia subito dopo la liberazione dal «castellaccio». La sua cultura devota era a prova di miracoli1". Zw.rbi°olÍnManZOnÍ'5 "IP^essiSPosr, in «Italian Quarterly», XVII (l973). 136 ^ -i» m MANZ0NI'1 t>romes» Vos: cit., cap xxxvi d veštite (i985), in ID , „ ' ca,p- ™> P- 96. Cfr. e. raimondi, Le imprecaziont tra-lognai99o, pp. „i'jT^Ä^^ ITOc^^^Jh^^ «az2e, S. CristofoTo^LT/J Sposi cit- cap. xxiv, p. 549) e iacopo da va-nno i995l p. 546 m- U^da aurea, a eura di A. e L. Vitaíe Brovarone, To- tati^0rH *6 ^opravviveintriCs-)Ie troppoesprasmi Parte seconda Fra Cristoforo si pone in mezzo, tra vessatori e vittime: i primi esorta, riprende e cerca di correggere con drastiche restrizioni morali; agli altri insegna a non «affrontare», a non «provocare» e a farsi «guidare» da lui. II carattere del irate, e di qualita ignea. II cappuccino ha «indole focosa». II suo volto e «infocato». Le parole dell'abuso gli fanno «venir le fiamme sul viso». E lo mandano in combustione: «Tutti que' Figura 25. Francesco Gonin, «11 sole non era ancora tutto apparso all'orizzonte, quando il padre Cristoforo usci dal suo convento», I promessi sposi 1841, capolettera del cap. iv. 146 La tabacchiera di don Lisander bei proponimenti di prudenza e di pazienza andarono i f mo»140. Fra Cristoforo spunta insieme al sole:« II sole non ^ ancor tutto apparso sull'orizzonte, quando iJ padre q*? stoforo usci dal suo convento di Pescarenico [...] »"1 £ j gue nel suo corso: «alzö gli occhi verso J'occidente vide il sole inclinato, che giä toccava la cima del monte e rJnoX l u á 1 • 142 t penso che nmaneva ben poco del giorno»142. Le Vignette del romanzo assecondano e ribadiscono quest'inclinazione solare (cfr figg. 25-26). Trionfatore della «passione» (che é «cavallo» bizzoso, nella notte ďangoscia delľinnominato)143, é un con- A. MANZONi, I promessi sposi, cap. vi, p. 121. Ibid., cap. iv, p. 76. Ibid., cap. vi, p. 126. Ibid., cap. xxi, p. 486. Figura 26. de í solľiSr11/ *a Cnstoforo «s'avviö [...] tutto infocato in volto, [...] vi-í Piú ü nľ^n n U C feľÓ Che rimaneva ben P°co del giorno [.. ] studio Parte seconda 147 duttore; un imbrigliatore del (platonici) cavalli deU'anima: i suoiocchi «talvolta sfolgoravano [...] come due cavalli biz-zarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza, che non si puo vincerla, pure fanno, di tempo in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buo-na tirata di morso»144. Non e Fetonte: l'auriga temerario, il sostituto e il mistificatore di Febo, su cui l'ebbe vinta lo «sgambetto» dei destrieri. E Febo: il Sole. Oltrechejatpre di Cristo, il cappuccino e figura Dei. Su di se^aslmnTCristo e il Calvario. Fino a porsi in croce, morituro tra i due ladro-ni, nel santino evocato davanti all'agonizzante don Rodrigo. Dopo essere riemerso da quel «paese lontano lontano» (Palermo, nel Vermo e Lucia; Rimini, nei Promessisposi), nel quale era stato relegato dalla doppia diplomazia (complice e sor-niona) del conte zio e del padre provinciale dei cappuccini («in arbitrio del quale era l'andare e lo stare di quello», boc-caccianamente)145. L'incandescenza del frate si oppone aU'in-combustibilita di don Abbondio. E la sua vicenda solare di risalita nella missione, inscrive una seconda scena di quella Grazia che al sole della Malanotte ha dato l'onore della ca-duta a terra. 144 145 ! Ibid> caP- ™> P- 78- r un iA a cura di V Branca, Torino 1987', Cfr. g. Boccaccio, Decameron, I, vn, 26, a cura ai , P'Io8' ' b£L y kAarf^a J