Pareva (lir < rrcassr il modo per far dive n i re il romaiizo una sorta (li duplice speccliio dove i personag^i crario visi i ncl s(nic c ncl loro passalo. lVía per far qucsto eglí non segue Peseinpio di al-iri capolavori. Non aecetta nessuna delle Im/ioni narrative impiegale, ad esem-j)io, nel Don CMsciotte o nella Manon Les raut, in eui un incontro del tutto occasio-nale induce il personaggio a narrarc i ca-si della propria vita. La Monaca di Mon-/.i non racconta in prima persona la pro-pria storia. E per prcpararc.il let tore jíl raceonto del suo passato Man/oni non i íijuncia a deseriverne stupendaniente 1'aspctto, « d\ma ^cllezza sbaltuta. síiori-i.i alcjuanlo, e direi (|uasi un po' contur-bata, ma si n go 1 are » e di uneta chc « po-teva mostrare venticinque anni», e, sotto la benda di lino, la parte della carne die di lei si vedeva non era meno bianca della benda e senibrava «un candido avo-rio posato in un nitido loglio di carta ». E 85 nemmeno fa raccontare bjnr,, storia Conte del Sagrato o a EMí^Cnstofô,", Tutto cio avrebbe^oni^messc) oKnj spe_ssore psicologif.o.del person^,, al. ľinterno delia vicenda. EgHjisa la ui/a persona, ma, quando interviene inm-i-niapersona, come gli accade spesso. e percTúTsa che ľantore a differen/a di quel ehe penserä Flaubert, non q^eve estere assente dal quadro. N e abbiamo giá Tccennato. Scrittore impegnato, anche nel tentativo di « populariser la pensée », egli deve dire la sua, deve condannare quand'e il ca-so, deve giungere a esprimere ľorrore, pur se riesce ad attenuarlo con l'incerta distanza che gli suggerisce l'uso delľiro-nia. Nel capitolo primo del tomo quarto della prima redazione del romanzo, quando la storia pubblica, dice ironica-mente, é piena di successi, egli corregge-« Quei successi varii e moltiplici si ridu-cono a tre principáli : fame, guerra, e pe-ste», e lo dichiara subito perché quei let-„L\ 1a™ano le cose allegre possano mafnľ hh:°- L'autore insomma, senza rnzTc^eun' d°VeVa trattarC U — mod^dWrľr genCre mist° OVC aVeVa struzione ItZj" P°' di tUtt°' p^^^^^^^me felice_dei. H ---^ľ^^EŠíva che il racconto ~86-- Lmentan, a ri- sultati ch ncercrv ^tnsiasta leltore. Vol-a jiStTdi neercne ---aa^rritare un suo entusiasta lettore, Vol-fango Goethe, mentre il casto Lamarti-ne, come vedremo, si disse non tanto ír-ritato dal quadro storico che riguardava la peste e gli untori, quanto dal torbido e troppo lungo racconto dei fatti di Gertrude. In molti passi il romanzo dava luogo a una discussione sul romanzo. La figura del lettore giudice prendeva sempře piú consistenza agli occhi del Man--& . zoni, fino a guidarlo nei feroci tagli, nel-'^u*x^' le potature cui í u sottoposto il testo nella sua seconda redazione, in cui le conside-razioni storiche e morali si avvicendava-no alle parti liriche. Questa mobilita e varieta dei punti di vista, questi spostamenti continui, non era-no dunque né Cervantes né Prévost a suggerirli, ma i maestri che avevano ar-trontato la forma narrativa nei modi piú inconsueti ed estrosi. Erano anche saggi-sti e moralisti. Erano coloro che, compo-nendo i loro libri, avevano deciso di di-s*ruggere ogni unitá artificiale e prefe-rjyano affrontare il disordine piuttosto che chiudersi in una concettuale rigidez-za. Non era approdata a nessun romanzo la fantasia di Mf^taiinTe, ma ^ suo libro mostrava un^Stäe^aísprezzo per la 87 disposizione ordinata delle parti. E, se-guendo soprattutto il primo Manzoni nelle sue tortuose deviazioni ehe non si sa dove lo menino, si pensa a certe ironi-che preghiere d'assoluzione invocate da Montaigne: « Laisse, lecteur, courir encore ce coup d'essay ». E in quale scritto-re francese Manzoni, nutrito fino alle midolla di cultura d'oltr'alpe, avrebbe potuto leggere una piu tumultuosa iden-tificazione tra ľexcursus e ľopera stessa se non in Diderot? Ma ľopera di Diderot ehe puô avere m-fluito sul Manzoni, La Religieuse, ě nella sua struttura ben lontana dai m°d"U narrativi in cui si svolge la vicenda delia Monaca di Monza. Ě romanzo ísolato, confessione e denuncia delia protagonista, serrato in tutte le parti come un opera filosofka, ove tutto era spinto irresisti-bilmente verso il finale. Manzoni, a di-fendere la sua storia ehe nasceva dalla storia, richiedeva altri intercessori. I suoi intercessori erano soprattutto M* glesi: Swift e Sterne. Per Swift i lett°rl sarebbero stati ridotti a un numero insi-gnifteante se un autore fosse stato co-stretto a serivere con ľobbligo funesto di trattare unicamente ciô ehe gli veni-va imposto dalľargomento principále. Manzoni si trovava nella stessa posizio- 88 ne L'excursus che, ad esempio, nel Tale of a Tub di Swift aveva tutti i requisiti per allontanare il terna principále dall'inte-resse del lettore, diventa in Manzoni una di quelle parti indispensabili che affer-mano, fino a esaltarla, l'architettura del tutto abnorme dell'opera. Come Manzoni avrebbe potuto rendere avvincente un romanzo dedicato allimpossibile matri-monio di due umili artigiani se non aves-se reso sempře piú complesso, quasi di-remmo monumental?,' il senso dellosta-colo? E allora egli poteva arrivare a una tale concezione del roman/o grazie a ció che gli avevano insegnato non Quintilia-no o Plinio, ma, appunto, aleuni roman-zieri inglesi del Seicento e del Settecento. Le opinioni dell'autore, le sue idee, il suo impegno, le sue battaglie, non dovevano essere offerte in zone che erano fuori del romanzo e che soltanto pochi avreb-°ero letto: le prefazioni, gli avvisi, le lun-ghe premesse. Dovevano far corpo col romanzo, dovevano entrare nel raccon-l9- E non sempře questa operazione gli riusci. Anche Sterne, in The Life and Opinions of Tristram Shandy (in cui ora par-lava il protagonista, ora l'autore), ave va fatto la stessa cosa. Le «opinioni» ad esempio che Manzoni aveva sulfamore dovevano far parte del corpo della nar- 89 razione. Si sa che nulla per Pascal era piü da temere che la «comedie», in quanto essa consisteva in una rappresentazione tanto delicata e naturale delle passioni, ch'essa le commoveva e le faceva nasce-re nel nostro cuore: soprattutto quando la passione d'amore la si rappresentava (come in Renzo e Lucia) molto casta e molto onesta. Ed e ciö che Manzoni ri-spettava. QueH'amore piü appare innocente alle anime innocenti piü esse sono pronte ad esserne prese. E la sua violenza piace al nostro amor proprio che forma in se il desiderio di provocare gli stessi effetti di quelli che vede cosi ben rappresentati. Ed allora quando Manzoni respinge le critiche di idee meschine, claustrali, ri-volte dal suo preteso antagonista, dopo aver detto « Pensate a ciö che succede-rebbe se questo libro venisse letto da una vergine, da un giovane prete», proprio allora egli comincia a imbarcarsi nella stona d'amore piü torbida che abbia mai raccontato. Lateni£re|f ri?le raPPresentare anime nonlaTon C deStano in c™ le guardi non la concupiscenza ma la Mi>n% ad-dirittura l'orrore tr \ paura e aa poeta d'amore, ed et.lt»" anna- RaCme sangui^o, OucUo^Ä^: 90 trio per quesZ vľa, ma Sjen* (del Tns- in sei volumi nell'edizione Bastien del 1803) Non ě difficile notarne le ditle-renze. La digressione era in Sterne un vero e proprio sistema di composizione. Gli studiosi lo hanno ben chiarito. II suo genio agile e mobilissimo gli assegnava funzioni multiple, nuove e complesse. Senza perdere la qualitä d'artificio lette-rario che dava a Tristram Shandy la sua unitä organica e il suo movimento, la macchina avanzava. Le « opinioni » pren-devano il posto delle azioni. Ma la molla che in Sterne spinge il libro »n ayanti, in Manzoni produce una sorta di ristagno nell'azione che improvvi-samente si ferma. La divagazione da a ľe arnri;Una f°rma ďallegria. Gli permet-Man ' caPricci' ghirigori stilistici. In moraZl°niKtUU° ě investito da un senso lavór v llposa sulla storia (anche nel gnde°K documenta/i()IH\ che siano le il D ' 1 bravi, ľapparizione delia peste o ne dľn^!ľ degli untori)- Ľinvestigazio-lare ej j SLor»co e del moralista deve sve-qA *a delle incidenze dei ŕatti tutto dal le 1^>noranza o ľorrore per io scan-° tIene celato. E tu qucsto il coraggio 91 del Manzoni: la necessita dello standalo PerTla v!ta morak> Ma questa mission esplorativa dei rftföim e delle svolu- del-l'anima umana rivela un progresso nella sua natura di « storico delle anime » per penetrare - come faceva Sterne - le molie del piacere e dei dolori umani. La realta ě il disordine, il divino disoidi-» ne. Le interpolazioni, le intersezioni, le I interruzioni, i frammenti nell'universo \ della narrazione ne sono i sintomi e gli leffetti. Si puo salvare il romanzo, ren-1 derlo modernou distru ßflendoTöTMa men-ure, airisando Vocchio in queljdisordi-Ine, Manzoni scopriva ľint^iziqne_£egre-'ta della Provvidenza, Steine pensava a Plinio e ripeteva con lui: « Non enim excursus hie ejus, sed opus istud est». E quelľexcursus, come ha notato un acuto studioso, diveniva un docile strumento di cattura di un reale sfuggente, che, esplorando i dominii dello spazio e del tempo, della conoscenza e del mistero, ne riportava sempre qualche predá. E sottolineava cosi ľinterdipendenza universale che autorizzava a credere nell'ar-monia generale di un mondo la cui es-senza protonda sembrava dover essere l'incoerenza apparente Nermondo dei P^messi Sfiasi SOno scate-nate - sensse Mary McCarthy - forze 92 oni e rhe si com|2Qrtajlo^nnir ____ ^anTTirn^tura contiene in se un o-scura epopea e un idillio. Questo sanno bene Manzoni e Tohto}. « Ľinsensata ap-parizione di Napoleone in Russia in Guer-ra e pace ě molto simile all'apparizione dell'esercito imperiále nei Promessi Spo-si: "Passano i cavalli di Wallenstein, pas-sano i fanti di Merode, passano i cavalli di Anhalt..." ». Sembranoautomiofan-tasmi, che entrano nella pacifica provincia, milanese, con i suoi tessitori intenti nelle loro rustiche dimore al loro utile la-voro. Gli invasori saccheggiano e se ne vanno. « Tutto ě privo di senso. Con \oro t lľ "e ^a P%este» cne infuria e poi si placa.. L»iaeste_£jin simbolo_degli invasori, ed essi.sono un simbolo della peste. Nessu- Ma ^grandi uomini» hanno scarsa im-portanza iicgh_eyenti stonci le cm^aufg sonc^maccessibuTal nostrojmellettô". Co-S1 Pěnsavano Joseph de Maistre e Tol-stoj- Ma_4jex_Manzoni c\ue\Vmcocrenza ■ ^Hffi Pij jT. f J \\ d iU i r " i ľ \ 11 r t ■ - a un ordiiu U ta7'Quale ^yinoi 93 LADDIO AL LAGO E, tra le lettere che Rousseau scrisse ne-gli ultimi anni della sua vita, una del-le piu patetiche, datata 27 maggio 1775. Al principe Belozelskij, che sara poi am-basciatore di Caterina II alia corte di Torino. Ritornato a Parigi, Rousseau viveva in-sieme con sua moglie, che gli faceva an-che da domestica, in un appartamento della rue Platriere. Viveva quasi in ritiro. La lettura delle Confessions, in alcuni sa-lotti, si era risolta in un mezzo disastro: sembrava deciso a non scrivere piu. Fu in quel tempo e in quella casa, che ando a trovarlo il nostro Goldoni. E a Goldoni, che non trattenne un movimento di sde-gno, vedendo con i propri occhi cio che gia sapeva (che l'autore deWEmile viveva copiando musica), Rousseau rispose sem-plicemente: « Vous croyez que je ferois mieux de composer des livres pour des gens qui ne savent pas lire...? j'aime la musique de passion; je copie des origi- 176 naux excellens; cela me donne de quoi vivre, cela m'amuse, et en voila assez pour moil ». In quello stesso periodo, nel-la sua reggia di Ferney, protetto da se-gretari e da medici, il «vecchio mala-to » Voltaire (come amava hrmarsi) non stava meglio di lui. La musica, la botanica: su queste due oc-cupazioni, tra le piu lontane dagli uomi-ni, scorre la vita di Rousseau ai suoi ultimi anni, non senza dolcezze. II duca d'Alba gli spedisce da Madrid dei semi da giardino; altri pacchi di semi gli ven-gono inviati dalllnghilterra. Egli racco-glie esemplari di piante pregiate, com-pra scatole, cartoni per proteggerle e classificarle, con il piacere e anche con gl'intimi crucci di ogni collezionista, che pensa piu a quel che gli manca che a quel che possiede. La immcnsa natura, ch'egli ha amato e ha inscgnato agli altri ad amare, ridotta a un erbario; e chiusa in un gabinetto di storia naturale. Ma, per un buon settecentista, anche cio che na-sce come svago e passione deve divemre scienza. E le sue lettere sempre piu ra-de, a Malesherbes, a M de La Tourrette a Madame Delessert (la destmatana delle Lettres sur la botany) non trattano che di muschi e di hchem, del Carduus crvfius o della Saxifrage* granulata. A chi 177 accenna aXYEmile, Rousseau risponde di ricordarne appena il contenuto. L'unica sua opera che avrebbe voglia di rileggere ě VHélo'ise. E intanto comincia a compor-re in musica una pastorale in quattro at-ti: Daphnis et Chloé, di cui ci restano alcu-ni frammenti. Ma ě una vita tranquilla solo in apparen-za: ché lampi improvvisi sconvolgono quella quiete quasi borghese e illumina-no abissi di disperazione. « Les ouvriers de téněbres sont arrives jusqu'ä vous» annuncia quasi fuori di sé alia marchesa di Créquy, alludendo ai suoi persecutori. Ed allora ě tutťaltro che strano che da un tempo cos\ riservato e silenzioso sia nato uno dei suoi libri piú accesi: i Dialogues, documento di una straziante me-schinitä, che potrebbe portare come e-pigrafe - ě stato ben detto - l'appello di Nietzsche: « Accordatemi la follia, po-tenze divine! la follia perch'io finisca col credere in me stesso ». La lettera a Belozelskij é di altro tenore. Belozelskij gli scriveva dalla cittä ch'era la sua patria. Gli parlava delia cara Gine-vra e, insieme, dei compatrioti responsa-bili di non averlo difeso quando i loro ministri « assassinavano, per čosi dire, la 178 sua anima ». E sarä stato leggendo quelh lettera che egli, « povero, infermo, pro-scritto», come disse Manzon'i, fu ripreso da sentimenti confusi di rimpianto, di amarezza, di solitudine e di orgoglio, di amore e di odio. Nessuno puö chiedere al cittadino di Ginevra di dimenticare le ragioni, ad esempio, per cui scrisse le Lettres ecrites de la montagne; ma nessuno pensi che le persecuzioni e i paümenti avrebbero cancellato dal cuore la sua cit-ta, dall'aspetto tranquillo, dove la vita domestica scorreva « agreable et douce», con le antiche consuetudini di libertä e saggezza, che aveva descritto ne\\a Nou-velle Heloise. Nel ricordo di un lontano tempo trascorso, nella solitudine presen-te, sa di essere lui lo sconfitto. E cosi ne scrive al principe Belozelskij: «ils [mes anciens compatriotes] ont perdu, dites-vous, un citoyen qui faisoit leur gloire; rnais qu'est-ce que la perte de ce brillant fantome, en comparaison de celle qu'ih m'ont force de faire? Je pleure quandje Pense que je n'ai plus ni parens ni amis, ni patrie libre et üorissante ». E, non ba-dando piü alla persona cui scnve, ma al luogo ove giungcrä la sua lettera, non a^fuominigma! sc e alla propra mfan-7E aHa natura e alle cose fedeli, invia^ nueltrZ di terra Vestremo saluto: « 5\ 179 lac sur les bords duquel j'ai passé les douces heures de mon enfance; char-mants paysages ou j'ai vu pour la premiere fois le majestueux et touchant lever du soleil, oil j'ai senti les premieres emotions du cceur, les premiers elans ďun génie devenu depuis trop impé-rieux et trop célěbre; hélas! je ne vous verrai plus. Ces clochers qui s'élevent au milieu des chénes et des sapins, ces trou-peaux bélants, ces ateliers, ces fabriques, bizarrement épars sur des torrents, dans des precipices, au haut des rochers; ces arbres vénérables, ces sources, ces prairies, ces montagnes qui m'ont vu naitre, elles ne me verront plus ». Qui ľaddio bruscamente s'interrompe. E, come de-statosi di soprassalto e trascinato nei suoi incubi, Rousseau scongiura il corrispon-dente di bruciare la letter a: « on pour-roit encore mal interpreter mes sentiments ». E un « bravo » da parte nostra al gentile principe ehe non accolse ľinvito. Passati aleuni anni dalla morte di Rousseau, la lettera fu pubblicata. « Addio, monti sorgenti dalľacque ... »• Quanti poeti e musicisti romantici si so-no cimentati nel grande e pericoloso terna delľaddio? Ma un addio, ai tempi del 180 Manzoni, fu piú famoso degli altri; queJ-lo di Giovanni ďArco ai campi paterni e al suo gregge, ch'iamata dallo Spirito a guidare altro gregge, nella tragedia omonima di Schiller. Un riferimento a quella pagina per VÄddio manzoniano fu giä avanzato da alcuni studiosi (Percopo, Zingarelli); un miglior riferimento propose il De Césare, cioě alia traduzione che in De VAllemagne di Madame de Staěl s'incontra di quel passo. Ma nessuno pen-sö di aggiungere a quei testi 1addio al Jagg di Ginevra di Rousseau. Un po* della VttVazione casta di quella musica dai rin-tocchi dolorosi (« ces clochers ... ces trou-peaux ... ces ateliers ... ces arbres ... >). generando tutťaltra série ďimmagi-ni, forse passö nella pagina ťamosa del Manzoni. Se nella prosa^Jananzoniana c^-da^una parte Voltaire1_daW3hr^cě Rousseau, di cui don Lisander nei collo-qui col Tommaseo diceva di ammirare lo «stile elaborate ». E ü la«P .S?1 .P1"^?' immobile alle prime lud dellalba di-venuto il süenL lunare* una strug- riva. nVr\Vadd\o prendeva In Fermo e^^^j7flöndo autoBiö-piu notato («eime < afico 181 Pra di voi i primi s?oi sÄhc *ss6 s- f™ voi»). hum^^19 ****** t ^rf^ («mW si a una Hi ,1gg, 6 ahban(^>nando-^1T^ -dl quelle digression! liricheg-gianti e morah tipiche dei romanzi cpi- ^^^^^^^^ dalla Nouvelle Heloise a\Y Adolphe. Non rispar-miava un'esaltazione dellajjtTseliiplice nella natura, sui momTIamuiäri:^ tro alia cittä, con gli « edifidche il citta-dino chiama elcvati perche gli ha fatti egli ponendo a fatica pietra sopra pie-tra ... », e «l'afa immobile ... », con il mon-tanaro «divenuto timido e delicato» quanto il cittadino e che « passa le ore in-tere nell'ozio malinconico ». QyjjincQia si_pensa a Rousseau, aL^ucuaHIÜ^sto^i-vjl'ta-natur^, alle sue diatribe contro la corrotta vita cittadina, alia sua definizio-ne di Parigi, cittä di rumori, di fumo e di fan go. Nella redazione definitiva del romanzo quanto v'era di sovrabbondante e di po-lemico e romantico sfogo - con 1 orec-chio del Manzoni educato alia grange tradizione oratoria francese, al bossuc 182 sopra tutti - venne attenuate Tra auto-re e personaggio, tra Manzoni rhe parla e Lucia che pensa, vi e come sospesa u-navoluta iiulec isione^un incertczza, che non ě trale minori suggestion! di quef-ja pagina tanto celebrata. II senso intimo del paesaggioche s allontana lentamen-OJI b"in pTpventa piu~rócěnte agJi oc-chi del ricordo, un paesaggio non piu visto ma « pensato » e sotterto, aveva avu-to nel Rousseau, dalla Nouvelle Heloise al-le Reveries, il suo grande interprete. JVÍa Manzoni graduó in queila scena gli svi-luppi7~preparó sapientemejiteJLpa^ag-gio dal pianto («jp plpnrp»J « pianse se-gretamente») alia serena invocazione (« O lac ... », « Addio... »), segnatoneidue testi dalla lunga pausa deJI'a capo, c 1'« Addio, monti sorgenti... » sembra i'at-tacco di una grande aria mozartiana, che s'inizi sommessamente dopo un recitati-vo a mezza voce. [1961] 183