1 Capitolo m ĽAnonimo e il Gesuita Pane prima V) Lak£aipi ě un centone anatomico. Uno svolazzo di dovi zioso apparato. Uno sconcertato concerto. Divinitä grifagna e nefaria, tutto, tra cielo e terra, involge e svolge: ě una daria a scataroscio; un deliramento, ehe veritä e menzogna non divariajľosíla rappresenta Manzoni, per ben due volte: [•••] qucll.a-ckeha (mirabile a dirsi!) tanti ocehi quante penne, e taňte lingue quanti ocehi, e (ma questo pare piú naturale) taňte bocehe quante lingue, e finalmente taňte orecehie quanti ocehi lingue e hoc ehe (debb'essere una bella dea) quesťuitima sorella di Ceo e di Ence-lado, partorita dalla Terra in un momento di collera, veloce al passo e al volo, ehe cammina sul suolo e nasconde il capo tra le nuvole, ehe vola di notte per ľombra del cielo e delia terra, né mai vela gli ocehi al sonno; e di giorno siede sui comignoli dei tetti o su le torri, e spa-venta le cittä, portando attorno il finto e il vero incjifferentemente, costei aveva giä prima delia nötte diffusa nei paesi clrčoňvicinl la scoria delle avventure di quel giorno71. II targone avviva la ragionata visione delle strumenterie del classicismo mitologico: Per fare intendere al lettore questa particolaritä, abbiamo usurpa-to formole che a dir vero appartengono esclusivamente alla poesia, ma saremo seusati da coloro, i quali sanno ehe ad imprimerca^vamente una immagine nelle fantasie il mezzo piú efficace ě KaĽegorií* e singolar-mente quella giá nota e consecrata delle antiche favoleTpoicM quancio si vuol fare immaginar bene una cosa, bisogna rappresentarne un aitra. cosi fattö é ľingegno umano quando é coltivato con diligenza " a. manzoni, Fermo e Lucia cit., t. III, cap. m, p. il2< C»P w, p. t9i. Ĺ III, cap. m, p. 372. fr. inoltre ibid., t- H, La dea ě un mostro generato «a bel diletto» d 11 letteratura delia falsificazione: «la nátura e labdl sono due cose diverse*"; ehe fra loro confliggono'^ľb naturale bellezza del «vero storico» e del «vero morale» con la guasta e stohda «poesia>> di «una immaginazione falsa non fondata, o stravagante». E il nodo teorico dei Mateúali este tici (i8i6-i9)74e delia lettera al marchese Cesare d'Azeglio SulRomanticismo (1823): «questo diletto [...] é distrutto dalla cognizione del vero»" E ľantimitologismo di Manzoni ar-riva a sconciare, con un pensiero di omofilia, la neoclassica scéna «dipinta» di Amore e Psiche: depressa nel gesto di un oste ehe, alla luce di un «lucignolo», spia «furtivamente le forme» di quel «consorte sconosciuto», o «matto minchio-ne», ehe ě andato ad ubriacarsi e a mettersi nei guai nella sua bottega'6. «Se noi vogliamo cercare attentamente, e dire candida-mente il vero, non ě forse ľinteresse delle cose presenti ehe principalmente ci muove ad esaminare le passate?». Se lo chiede Manzoni nella Digressione sulla posteritá delia prima Colonna infame11. A ragion veduta. Dal momento ehe anda-va abbinando Ottocento neoclassico e «abbominazione» ba-rocca, in un'unica polemica contro il «mestiere guastato» delle lettere: «tengo per fermo ehe si parlerä dell'epoca mitolo-gica delia poesia moderna, come noi ora parliamo del gusto del Seicento, anzi con tanto piú di maraviglia, quanto 1 uso delia favola ě piú essenzialmente assurdo, ehe non 1 concet-tini, piú importantemente assurdo ehe non 1 bisticci>> . ľ 1 gradi di assurditä erano nelle sostanze delle «.dee»: neU <d none «Sulla posterita» (1985).in ID -]/ ** ,g la «Colonna Infame», Firenre 199°. PP. 91 .', 7» . - m____ K. manzoni, Sul Romanticismo at., P- 1 40 La tabacchiera di don Lisander del Seicento, che «fu un secolo in Italia grossolano e barba ro in molte cose importantissime: politica, commercio, polj. zia, giurisprudenza e lettere, ecc. ecc.»7'. La polemica anti-sccentesca deiniluminismo lombardo veniva convocata a so-stegno dei manifesti romantici; a ribadire un'ereditá e a contribuire alla sperimeňtázione di un romanzo, ambienta-to nella Lombardia degli anni 1628-30 (da un autunno all'al tro: da un primo a un ultimo novembre), che si presentava con il cipiglio saggistico (inidillico e antieroico; cristiana-mente tragico e realisticamente antiteatrale) di una battaglia contro il «bel vivere» e contro 1'artefatto geometrismo del-la falsitá morale del romanzesco: Bisogna confessare che nei rotnanzi e nellc opere teatrali, gene ralmcnte parlando, c un piú bel vivere cha a questo mondo: ben č ve ro che vi s'incontrano i birboni piú feroci, piú diabolici, piú colossa-li, vi si scorgono scelleratezze piú raffinatc, piú ingegnose, piú rccon dite, piú ardite che nel corso reále degli avvenimenti; ma vi ha pure dei grandi vantaggi, ed uno che bašta a compensare molti mali, uno dei piú invidiabili si c, che gli oncsti, quelli che difcndono la causa giusta, per quanto sicno inferiori di íorze, e bactuti dalla fortuna, han-no sempře in faccia delTempio ancor che trionfante una sicurezza, una risoluzione, una superiorita ďanimo e di linguaggio chc dá loro la buo-na coscienza, e chc la buona coscienza non dá sempře agli uomini real-mente vivcnti. Questi, quando abbiano dalla parte loro la giustizia senza la íorza, e vogliano pure ottenere qualche cosa difficile in fa-vorc della giustizia sono obbligati a pensare ai mezzi per giungere a questo loro fine, c i mezzi sono tanto scarsi, c per porli in opera senza guastare la ítccendk ti incomrano t an ti ostacoli, fa bisogno di tan-(i riguardi, chc da tutte queste considerazioni si trovano posti neces-sariamentc in uno stato di esitazione, di cautcla c di studio, che gli fa soventc scomparire, in faccia ai loro avvcrsarj risoluti ed incoraggiati dalla for/a c dalla abitudine di vincere e spesse volte, convien dirlo, dal favorc o scíikyo. o perverso degli spettatori. fuomo retto sente, ,i dii vero con certezza e con ardore la giustizia della sua ragione, ma qm-stu Mia kKm c un risiiltato, una conseguenza ďuna serie di ragio-namenti e di sentimenti, per la qualc é trascorso il suo animo; se egli •11. . IWilla alt. H del Cok„ 1 nic Ncckri dr Saimurc (Paris \81.0 i, hi, II, Milano 1885, pmj ttrruti, in id., C itfur, nella iraduzionc di le a rare, a eura di R Bon Parte prima la cspnme fa ridere 1'awersario, il quale _ giunto e si ě posto in un risultato opposto e " di idee * casi, 1'uomo che non ha che sé per testimonio ^ tr°PP°'toIti íJcuni vede negli altri contraddizioni e scherno perdeT appr°va,0re'e cl* quasi quasi é disposto a dubitare- o almmn ,; acl mente "ducia, e c^ntrasto chc fa comparire 1W iSS^^^* ,e volte chc un ribaldo mostra in tutti i suoi ^ S^ ^^^^^^^ j ICienza se fosse p.u placida e piú composta, e che luomoonesto e nel' la espressione estenore, e neiranimo interno mostra e prova talvolta f UM specie dl angustia e di vergogna che si crederebbe rimorsi dimo docehé a poco a poco finisec per essere soperchiato non solo nei íatti ma anche nel discorso, e nel contegno, e sta come un supplkhevole e quasi come un rco dinanzi a colui che lo ě veramente" S'io avessi ad inventáře una storia, e per deserivere 1'aspettoďuna K cittá in un'occasione importante, mi ťosse venuto a taglio una volta il partito di farvi arrivare, e girar per entro un personaggio, mi guarde-rei bene dal ripetere inettamente lo stesso partito per deserivere la stessa cittá in un'altra occasionc: che sarebbc un meritarsi 1'accusadi sterilita ďinvenzione, una dellc piú terribili che abbian luogo nella re-pubblica dellc lettere, la qualc, come ognuno sa, si distingue fra tutte per la saviezza delle sue leggi. Ma, come il lettore ě avvertito, io traserivo una storia quale é accaduta: e gli avvenimenti reali non si astríňgoňo allc nořme artiťiciali preseritte allinvenzione, procedono Vcortut"t'altre loro regole, senza darsi pensiero di soddisfare alle per-sone di gran gusto. Sc fosse possibile assoggettarli alTandamento vo-luto dallc poetichc, il mondo ne diverrebbe íorse ancor piu ameno chc non sia; ma non ě cosa da potersi sperare II programma ě di «peindre une époque par lenivěn ndYlvanhoe; e come, contemporaneamente, táce Tommaso Grossi nel poema ^^'feSsXe Ma senza i "colori" e le svogliatezze ^dF>urieI dci 2, seozzese. Ne dá conto Manzoni nciieien ,a por. gennaio 1821 e del 29 maggio 1822 . e -u,„Fcn»ořLi,amp* itllti,»<"" definitiva dei .Promění sposi», in «Ae-'cL 9Jl,i,PP- "7-94 Uno .98,:MA2ZOCCA- QfkMtwm? Vvende figurattve dei Promesst sposi. M»- / Parte prima 43 visceralmente miljuiese, disciplinata dall'uso letterario to-scano, premuta dal modello francese, e attestatasi in un es^ressiyo mistiKnguismo; alia rase toscano-milanese delle equivalénze ecoincidenze fra locuzioni lombarde e modi to-scani, attinte con 1'ausilio dei vocabolari; all'abbassamento di letterarietä (con una sintassi che predilige l'indicativo al congiuntivo, e con 1'attenzione a evitare latinismi eccessiva-mente scoperti)"'; alia «risciacquatura» del lessico e delia sua dizione nell'effettivo uso civile del fiorentino, grazie aJJ'aiu-to dei "correttori" Gaetano Cioni e Gian Battista Niccolini e alia consulenza della giovane istitutrice fiorentina Emilia Luti. II Fermo e Lucia non ě l'abbozzo che prepara Ipromessi sposi. E giä il punto di arrivo, in sé autonomo, di spostamenti e aggiustamenti delle unitä narrative". II primo romanzo ě tradizionalmente e convenzionalmente diviso in tomi (in tut-to quattro) e capitoli. Sulla linea di sviluppo della vicenda predominano le masse ad ampie unita costruttive, che i grandi quadri di saggismo storiografico sulla guerra e sulla peste (e sulle responsabilitä culturali e politiche che su queste pia-ghe bibliche pesavano) distolgono dal "romanzo" degli sposi promessi. E il "romanzo" ě a sua volta pluribiografico, or-ganizzato incicli: alia maniera delle "carriere" di I logarth e ch^anffromanzYdel Settecento. Laddove [promessi sposi (che non a caso lasciano cadere la partizione a blocchi dei tomi) alia statica di storie e di storia sostituiscono la dinamica del- " Cfr. s. papetti, Varianti di indtcattvo e congtuntno utile edizioni dei 'Promessi sposi* (1823-27:1840), in «Critica letteraria», III (1975). 6, pp. 55;9°- rtt i latinismi, valga quest esempio: «[...] di tutto si formava una mdigesta, immane congerie di pubblica forsennatezza. (edizione '27); «<"' "»10 51 formava una mas st enorme e confusa di pubblica follia. (edizione 40), cfr a. manzo.m 1I romesst sposi cit., cap. xxxn, p. 749. La correzione elimina il ricordo di Ovidio: «1...J Uiaos. rudis indigestaque moles. (Metamorphoseon libri, I, 7; cfr. ovidio, Metamorfóz a cura di F. Bernini, Bologna 1981, vol. I, p. i)- _ " Cfr. l. toscm, Si die un padre a Lucia Studio sugti ^'0^i'"an'0"^r dova .983; e m., Perconitestuali del.Fermo c Lucia: in aa.vv.. g>°™"*s™° 06 maggio ,98,) nelll centenano delia naseta di Alessandro ^ PP. 61-84. Di diverse avviso. (ilologicamente immotivato, e e. n. gäardi, j™ " epersonaggi dei .Promessi sposi*. Miláno 1994- La tabacchiera di don Lisander 44 le linee misurate dalla scansione in giorni e mesi (e, in Un so, dall'onda lunga di un anno: quello della guerra per i] Jja sesso del ducato di Mantova e del Monferrato; degli eff ' della carestia; dei lanzichenecchi che passano e dei «telcri^ della peste) e che si separano e da lontano si corrispondon(, e che toccano la storia, e con essa si intrecciano, tutto cori relando. II "ciclo" e unitario. E la "camera" e tutta del pr„. tagonista maschile (dijRenzoj_non piu di quel Fermo Spoli. no del primo romanzo, sempre fermo alia sua condizionc di operaio e buon «massaio»), che alia fine delle sue prove con il mondo viene promosso dagli eventi a comproprietario, in-sieme al cugino Bortolo, di una piccola industria tessile nel-la libera terra di Bergamo: come l'operoso Goodchild della quarta tavola del "ciclo" Operositä e pigrizia di Hogarth, pas- Pane prima 45 sato dal telaio alla comproprietä delJ'azienda; mentre due guanti, che si dänno di "mano" sullo scrittoio, stringono l'in-tesa tra i due soci (cfr. fig. 6). La stretta di mano ha una tra-dizione nella letteratura delle immagini sulla Concordia (che «moltiplica l'abondanza delle cose»: cfr. fig. 7)"; e viene ri-proposta inunavigrietta dei Promessi sposi (cfr. fig. 8). Di nuoCo HogaribvNel Fermo e Lucia, la moglie dell'ari-stotelico don Ferrante ha una «governatrice». Si chiama Margherita. La padrona la chiama Signora Ghitina. Gli al-tri servitori l'hanno perö ribattezzata Signora Chitarra: «Pre-tendevano costoro che il suo collo lungo, la sua testa in fuo- "Cfr v CA^M.ImagmidelliDeiJeglanlichi, Venezia 1647; rist»mpa«na-statica a cura di W. Koschatzsky, Graz 1963, P -69- Figura 6. William Hogarth, Operositä e pigrizia: lex apprendista diventa socio di un'a zienda tessile, 1746. *ZL C-ari, Mr, Concordia, in W M äe ,M Venezia 1647 (i'edizione I556>- La rabacchiera di don Lisander ri, le sue spalle schiacciate, la vita serrata daJ busto, e |c che aJJargate Ja facessero somigliare aJJa forma di quelJo stril an- mento: e che la sua voce acuta, scordata, e saltellante 1; tasse appunto il suono, che esso da quando e strimpellato da mano inesperta»". La figura a colJo slungato, che include |a "preformazione" intellettuale di uno strumento, e manieri-stica'2. La donna-chitarra £ nello stile manieristicamente espressionistico dell'Hogarth della dama-teiera o del vesco-vo-arpa (cfr. fig. 9). La sagoma grottesca della «governatri-ce» viene sacrificata nei Promessi sposi. Dai quali invece emerge la donna-pentolaccia: «[...] sconcia era la figura del- " a. MANZONi, Femo e Lucia cit., t. Ill, cap. ix, p. 501. Cfr. R. LONGHT, Cinquecento classico e Cinquecento manieristico (1931-1970), Firenze 1976, pp. 93-94. Paolo Riccardi, Renzo e ilcugino Bortolo, I promessi sposi 1841, cap. xxxvn. Parte prima 47 la donna: un pancione smisurato, che pareva tenuto a fatica da due braccia piegate: come una pentolaccia a due mani-chi[...]»" (cfr. fig- 10). I promessi sposi "caricano" il corri-spondente passo del Fermo e Lucia, dove la sconcezza del cor-po e dovuta semplicemente a un'apparenza di tutta-pancia: «[,..] da lontano sarebbe sembrato una pancia immensa»*. La donna-pentokcciajiasce si da un recupero di Hogarth, ma riconquistato all'avventura delle parole: alle sottotracce " A. MANZONi, /promessi sposi cit., cap. xi, p. 276 "id., Fermo e Lucia cit., t. Ill, cap. v, pp. 41718 Figura 9. William Hogarth, Monarcbia, Episcopato eLegge, .7^4 48 La tabacchicra di don Lisandcr sinuosc che, dentro 1c lince della narrazione, serpeggiano a rilcvarc, a raccogliere e a coordinarc particolari altrinunti muti e dispersi. Nel Vermo e Lucia il pancione si lascia siu^ aire l'arguzia di ammiccařě al guazzabuglio del «corpa> del popolo (o «pentola» che «aveva cominciato a ribollire»)" durante l'insurrezionc urbana per iJ pane. Al contrario, nci Prumesú sprjsi, la «pentolaccia» punta a correlare le dissen-natezze della rivolta frumentaria del 1628 (una cuccagna di dispendio, che l'abbondanza di cibo pretende di far nascere Uticisticamente dalla distruzione delle madie dei forni e dal-la seminagione di farina e pani per le strade della cittá) e l'in- ^^bid 1 can vín n .u r >• ta dcU'cdizionc .g,,' defe^TŤ é c°"t™poranc dove ífimrv___u. -i cl LJ»cono suralcuni j.h dove d'Euro ■ - del Dncono suTakul^PĽľT^ attiva in una "l1 c- «1- J boíhva m una pane D' Bencd«to. Torino r984, MK*ZO™> 'Longobardi i» Italia. F'gura 10. Francesco Gonin ..r~ l84«. cap. x. ' Comc Una P^tolacc 18 « due manichi*. I promessi spos; ' Parte prima 49 sensato gioco politico delle corti europee (nelJe quali la sto-ria «bolle in pentola»r e della contesa del 1629 tra Spagna e Francia (che «bolliva» nella guerra per la successione nel ducato di Mantova)'7. Inoltre: nel Fermo e Lucia la donna-chitarra ě un divertimento letterario; nei Promessi sposi la d^m^-pentolaccia e un paradigma che colJabora alia spieja-. ta fěnomenologia manzoniana del comportamento delle folie durante la carestia e la peste. La - pentoíaccia» ě un argó-mento morale^l^donna-folla. E convive, nel romanzo, con due frammentioTncubo: con ľuomo-folla, o «vecchio mal vissuto, che, spalancando due ocehi affossati e infocati, con-traendo le grinze a un sogghigno di compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una canizie vituperosa, agitava in aria un martello, una corda, quattro grandi chiodi, con che diceva di volere attaccare il vicario a un battente delia sua porta, ammazzato che fosse»M; e con ľaltra donna-folla, che invita al dägli all'untore nella Miláno appestata («la quale, con un viso ch'esprimeva terrore, odio, impazienza e mali-zia, con cerťocehi stravolti che volevano guardar lui, e guar-dar lontano, spalancando la bocca come in atto di gridare a piú non posso, ma rattenendo anche il respiro, alzando due braccia scarne, allungando e ritirando due mani grinzose e piegate a guisa ďartigli, come se cercasse d'acchiappar qual-cosa, si vedeva che voleva chiamar gente, in modo che qual-cheduno se n'accorgesse*)". Lajjentolaccia. il nialvissuto e ľarpia sono i geni anonimi e saturnini della forza collettiva, Sono la_cifra carnevalesca (nel caso delia pentolaccia) c dia^ bolica degíi ixřesporisaBíirpoten di suggestione, convinzio- ** n>., Ipromessi sposi cit., cap. v, p. 114 "Ibid., cap. xxvn, p. 613. " Ibid., cap. xra, pp. 302-3. , . „, . ■ "Ibid cap xxxiv p 803 La bocca delJa roegera, che s. apre aJJ urlo ptetnfi-cato. e un. a.^r^Pdi%. squalto baroce. Sull, se vaggi. máo. nella pi.tur. del Seicemo. cfr. m vfjaCan^Wo (,974). « 1*. J{jM^ dei sensi Stud, sulmamensmo c ilbaroc'o, Miimo .975. PP. ^the ArT ^ •"cor™ & letteratur. e «Ua musica) g. lccoat. The Rhetor* of the Arts. ,„o '(•jo, Frankfurt am Main 1975. PP 73l89 5° La rabacchiera di don Lisandcr ne c concuJcazione esercitati dalle masse suJIa societa: sugJi amministratori e suUa magistratura. Lafobia di Manzoni é "postrivoJuzionaria". Paventa Jo spettro dei sancuJoi t i pi^ňéJJ'urCTeDa' íolJa, nel suo «muggito», riascolta i] «toj. le, tolle, cnicifige eum» (Ioannes, 19, 15) deJ massimo dclitto giudiziario delia storia. U «primo uomo» dei Promessi sposi «1'awioaJJa coda delJ'esercito tumuJtuoso»"". Dimostrando cosi che non c e differenza morale tra una "coda" di popolo c la "coda" di un "eroe" deJJa demagógia e delia cfissimulazione (e la sua «vecchiezza» ě dissimulatamente «decorosa», pint-tosto£&eHkidtuperosa») qual ě il gran canceliiere spagnolo An-torúĹFjmihi- [..J Chiudete ora: no; eh! eh! la toga! la toga! -. Sarebbe in fatti rimasta presa tra i battenti, se Ferrer ^ - non n'avesse ritirato con molta disinvoltura lo strascico, che disparve come la coda d'una šerpe ehe si rimbuca inseguita»'""'. E Ja proiezione ferina ě, in questo caso, I'equivaJente del grot-tesco effetto d'ombra predüetto da Hogarth. II Fermo e Lucia ě superficialmente hogarthiano / messt sposi sono profondamente e intimamente hogarthiani. Parte prima ----— ť.v.v,11viuiiiv.jii\. b 111 Li. DaU'uno aU'altro romanzo, Manzoni ě passato dalla moralita dei deli alia moralita delia linea serpentina delia belkä, zít dall'appJicazione deile stampe, alľutilizzazione accorta delľ Analysis of Beauty (tradotta in italiano nel 1761 e di-scussa da Visconti nell'appendice ai capitoli nem delia prima parte delia redazione 1819-24 delle Kiflessioni sul'bello) Sta di fatto ehe Manzoni (tanto nel primo ehe nel secondo romanzo) si diverte a rivelare la linea di Hogarth, sorniona-mente nascondendola nell'affrescaccio di una cappclletta vo-tiva di campagna:~~ " Imuri interní delle due viottole, in vece di riunirsi ad angelo, termmavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe ŕig"rf "ÍMmkZ (^^T^Antiíľ^T^ M 'COHPMKXO storno" e älcune •98i. pp. tJ.™ mlD • t neomoderatinella sinistra italiana, m. c«P xm, p. }lJ f w- P J96. Piit 51 "Ibtd. lunghe, serpeggianri, che finivan in punta, e ehe, neil'intenzion delľar-tista, e agli occhi degli abitanti del vicinato volevan dir fiamme; e, alternate con lc fiamme, cerťaltre figure da non potersi deserivere, ehe volevan dire anime de] purgatorio: anime e fiamme a color di matto-ne, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e lá10'. Manzoni dice «serpeggiand». Ed ě rilevante. Perché la fonte prima deJľimmagine é la «serpentinata» di cui discor-re il Trattato Jell'arte delia pi t tura, scoltura et architettura di Gian Paolo Lomazzo""; nella dizione pero di una citazione dell'Hogarth italianizzato, circa la figura «serpeggiante»: Si racconta dunque che Michel Angelo comunicô quesťosserva-zione a! Pittore Marco da Siena suo scolare, ch'eglidovessesemprefare um figura piramidale. serpeggiante, e moltiplicata per uno, due e tre: nel qual precetto (secondo me) tutto il mistero dell'arte consiste. Perché la maggior grazia, e vivacitä che una pittura aver possa, ě, che esprima il moto; il che i Pittori chiamano lo Spinto di una pittura. Ora non vi é forma, che sia piu aeconcia ad esprimere un tat motokhe quel-la della fiamma del fuoco, che secondo Aristotile, ed altri Filosofi ě un elemento pití attivo di tutti gli altri; perché la forma delJa fiamma di esso é piú atta per il moto; come che abbia un Cono, o punta acuta, con cui sembra divider l'aria per poter ascendere alia sua sfera. TaJ-mente che una pittura avendo questa forma sará bellissima"". II Seicento del Fermo e Lucia ha una forte rilevatura barbarka. Di tipo tragico. E ancora nella lettera del Dtscorsosur alcunipunti della storia longobardica in Italia (1822): «[...] sal-vare una moltitudine dalle ugne atroci delle fiere barbari-che»'04. Di «unghie» e «sozzi artigli», che graffiano l'aria, il *cfr ,c"p I,p"- ID-. Scritti c // P' LOMÁZZO> Trattato delľarte della pittura. scoltura et architettura, in Mrative g r,' RAjMONDI. Metafora: parola e tmmagine. in Letteratura italiana e arttfi-(Strčí- g . Pranceschetri, I, Firenze 1988, pp. 61-80. Sul trattato di Ho "ote. DalBmC AI(GAN' Ľ'dee artistiek* di William Hogarth (1950), in m.. Studie ť"th ,/ „ "l^""'!Canova, Roma 1970, pp. 405-22; e p. menná, William Ho- ... w Mb Mlezza*, Salerno 1988. '"'•alpa delikt*™' The Analysis of beauty, 1753 (trad. it. i analisi della hellezza, mu vizione Livorno r76i, a eura di M. N. Varga, Miláno 1989, p. 11). eaj>. y, p] J***120"1. Discorso sur alcum punti della stoná longohardtca m Italia cit., 52 La tabacchicra di don Lisand er romanzo ě stipato; come pure di varie «fiere»- tanto stessa Lucia ě «bella fera»107. La societa ě divisa inľfa^ rosi» e in «circospetti^w: bracchi ě pernici; in cacciator' voltaleggiadri) eíepri; in uccellacci e ucccllini; in diiľľi-carnati e in přede 1 utto íl romanzo e una caccia all'Uoni crudele e barbarka. Che in parte soprawive nei Pro si, ma nella superiore dimensione del «patire»: dclladd chiano «[...] far torto o patirlo [...]» (V, 7, 52); e di una fe. roce forza che «il mondo possiede» (V, 7, 52-53). La mora le della Chiesa <. '"id., Ipromeisi j/x>» cit., cap. xxvli, p. 620. Anche la storia deJ "' G. F. BiONDi, La donzella desterrada, V«««££ £trami,c 0 ricorsc,. Seicento viene ulteriormen.e approfond... ™?™™$ure „pc^delHamonu nuove fonti storiografiche: cfr. o. besomi e i. b° ■ 54 La tabacchiera di don Lisande 6sf ^ i routou delle Instabilita dell'ingegno (1635 e 1641) di Anton Giuli0 Brignole Sale: «Le lettere che hanno ad interpretare gli a[. fetti di chi le manda, hanno bene spesso bisogno di interpretate a colui che le manda. Pensate se si scri che si sente, quando si scrive quello che né meno s'intcn de»11*. E tocca a due disinvolti provinciali mimare rustical mente, nei Protnessi sposi, il dibattito secentesco (di grande pertinenza segretariale) sull'abuso dei titoli: eil nostro cardinale - Chi ě sua eminenza? - domandó Agneše. - Sua eminenza, - rispose don Abbondio, arcivescovo, che Dio conservi -. - Oh! in quanto a questo mi scusi, - replicó Agnese: - ché, seb-bene io sia una pověra ignorante, le posso accertare che non gli si di-ce cosi; perché, quando siamo statě la seconda volta per parlargli. co-me parlo a lei, uno di que' signoři preti mi tiró da parte, e minsegno come si doveva trattare con quel signore, e che gli doveva dire vossi gnoria illustrissima, e monsignore -. - E óra, se vi dovesse tornare a insegnare, vi direbbe che gli va dato dell'eminenza: avete inteso ? Perché il papa, che Dio lo conservi anche lui, ha prescritto, fin dal mese di giugno, che ai cardinali si dia questo titolo. E sápete perché sará venuto a questa risoluzione? Perché rillustrissimo, che era riservato a loro e a čerti principi, ora, vedete anche voi altri, cos'ě diventato, a quanti si dá: e come se lo suc-ciano volentieri! E cosa doveva fare, il papa? Levarlo a tutti? La-menti, ricorsi, dispiaceri, guai; e per di piú, continuar come prima Dunque ha trovato un bonissimo ripiego. A poco a poco poi, s' c0; mincerá a dar delTeminenza ai vescovi; poi lo vorranno gli abati, poi i proposti: perché gli uomini son fatti cosi; sempře voglion salire, sem pre salire; poi i canonici... -. - Poi i curati -, disse la vedova. - No no -, riprese don Abbondio: - i curati a tirar la ca"^tCf; non abbiate paura che gli avvezzin male, i curati: del reveren ^ no alla fine del mondo. Piuttosto, non mi maraviglierei punto i cavalieri, i quali sono avvezzi a sentirsi dar deH'illustrissimo, ser trattati come i cardinali, un giorno volesscro deH'eminenz^ ^ che loro. E se la vogliono, vedete, troveranno chi gliene dar in Di selva tn selva. Studi e testi offerti a Pio Fontána, a eura di P- Di Stef«"° Fontána, Bellinzona 1993, pp. 15-54. . (,,(«■*"' "* a. brjgnole šale, Le instabilita delVingegno, a eura di G. Formi" troduzionr di C. Mutini, Roma 1984, Giomata seconda, p. 52 Parte prima 55 lora, il papa che ci sara allora, trovera aualrh, 1. dinali [...] q chc altra cosa Per' car- «Nei titoli s'abbonda per cortesh» mm™,..,, w „ _ , ^ cunesia», commenta sarcasti- co Manzoni nella Colonna infame "*. II[Fermo e Lucia e precario nella designazione dei nomi dei personaggi. La serva del curato in prineipio e chiamata Vittona, poi Perpetua. II eugino del tiranno antagonista di Fermo (don Rodrigo) e indicato come conte Orazio, prima di diventare Conte Attilio. II cappuccino padre Galdino (e anche padre Guardiano) diventa padre Cristoforo, e il suo primo nome passerä a designare il frate questuante ex fra Canziano; la "maschera" della falsa scienza secentesca, don Valeriano, prenderä il nome di don Ferrante, e la moglie da donna Margherita diventerä donna Prassede; il causidico dot-tor Pettola diventerä dottor Duplica, prima di stabilizzarsi nel trasparentissimo Azzecca-garbugli dei Promessi sposi. Tanto movimento ha la sua regola nelTeffetto eyoc^wvo-dei^ nomi, assai attenuato nei Promessi sposi. Vittoria la vince Wmpr'e. Pettola b il nome di una maschera lombarda, cosid-detta dalla falda sudicia dell'abito; e allude anche al tirä-foeu-ra di petto/: al «cavar altrui d'intrigo». Duplica richiama la procedura processuale tendente a paralizzare la replica (to-scano-milanese, tra Machiavelli e Maggi, e il nome Azzecca-garbugli nei Promessi sposi)'". Con il promesso Fermo Spoli-no (Renzo Tramaglino, dajtrarna^lio^riel secondo roftian-io), Manzoni si concede la licenza di un b.jttc^s. d.verte personaggio che sta "fermo con il nome, alľossimoro di un •Fermo" che «si era prilla" con il cognome; e tira giii un "'A. manzoni, / promessi sposi cit., cap, xxxvin, pp 88687. ID., Storia della Colonna infame, prima redazione, in n>., Storia della Colon-»a tnfame, a eura di C. Riccaidi, Miláno 1984, p 145 Ch. d ISELLA, Porta e Manzoni, Porta in Manzoni, in id., / Lombard: in ň-"okĚ.Dt Carlo Maria Maggt a Carlo Fjnilin Gadda, Torino 1084. pp 179-2)0. e o. CASTELLANI POLUDORI, Teória e prasst tm le qumte del -Promessi sposi», in aa. w., Manzoni «L etemo lavoro». Atti del Congresso mtemazionale sui problem! della lingua e deldtaletto nelľ opera e negli studi del Manzoni (Miláno. 60 novembre ttfj), Müano 1987, pp. J73-402. 56 LatabacchieradidonLisander mosso*1" Importa ehe i personaggi del Fermo e Učia, piú coloristicamente e conf idenzialmente designati, hanno corne e unico contorno quello ehe a loro deriva dalla collocazione ' nello spazio del racconto. Sonovisti dal di fuori: pedine del. la stratégia narrativa. Nei Promessi sposi, Manzoni entra in. vece nel^usclo^cfel personaggi, e da questa specola intima / considera i contorni esterrú- ~ La prova piú evidente e inoppugnabile delia diversita dei romanzi di Manzoni é oííerta dall'Anonimo del Seicento. i\j o Che Via due profili mconciliabili; e presiede a due contra-stanti e ben caratterizzate finzioni narrative. ĽAnonimoé personaggio con due anagrafi; e con due personalita. II suo corpo e ďinchiostro, un pď dUavato. E disegnato dalle let-tere e dai paleografici searabocehi delia inedita cronaca. Quefla cronaca ďaltri témpi che Manzoni finge di aver tro-vato e di aver cominciato a traserivere. E con la quale dialo-ga nei suoi romanzi; dissente e si stizza. E che tuttavia é pre-ziosa. Perché gli permette di raccontare, nel corpo a corpo che lo impegna, i romanzi dei suoi romanzi: la genealógia delle sue opere, iíloro crescerTTcontrašto; la messa a giorno delle loro strutture e la dichiarazione delle scelte linguisti-che. L Anonimo consente il commentario che nei romanzi si inserive. E daľalibi delia distanza al traserittore, che ha vo-cazionejaggistica; e che si impegna a dar conto e ragionedel suojavorcx a comment are, veriíicare, correggere e integrare Eŕstona; e a raceogliere le parole dalla voce dei personaggi che nella storia incontra, e a saggiarle sulle sue cognizioni di ragione e di fede («[...] il padre soggiunse, con voce altera-ta: - il cuor mi dice che ci rivedremo presto -. Certo il coo-rc, chi gli dä retta, ha sempre qualche cosa da dire su quej0 che sara. Ma che s* il cuore ? Appena un di quello che e gia aceaduto»)-. Ľ Anonimo dä a Manzoni il piacere ä dar lezioru di gusto al secolo, al quale la cronaca sopráne- Parte prima 57 E a parlare del passato, perché il presente intenda («Cosí va spesso il mondo... voglio dire, cosí andava nel secolo decimo settimo»)1". L'Anonimojel Fermo e Lucia é estraneo ai per- ^ f- 11 ■ spnaggi delia sua cronaca. II suo manoseritto viene da un ar-rhivio. É ľopera di uq memorialista \)\ im narratore. Che nella prima Introduzione, contemporanea alla stesura dei pri-mi capitoli, si presenta come «fedele spettatore» e osserva-tore degli «accidenti»; e nella seconda, rifatta a romanzo ul-timato e ormai in procinto di riserittura, si corregge. «Nar-rando [...]», aveva prima seritto. Adesso rifä la dicitura: «Descrivendo questo racconto awenuto nelli tempi delia mia gioventú [...]». E non ě la stessa cosa. Non solo perché ľ Anonimo dichiara i suoi anni non piú verdi. Ma in quanto "nar-rare" e "deserivere" non sono sinonimi. Ľaveva spiegato Matteo Banclello, uTTšecolo prima; quando dichiarava di «de-scrivere» le sue novelle dalla voce di chi gliele aveva rac-contate. La divaricazione ě operativa nel Fermo e Lucia: «[...] se ella conoscesse per testimonianza degli ocehi suoi i casi di questa giovane, certo ch'io non istarei ora in dubbio: ma ella non h conosce che per relazione [...]»'". II primo Anonimo serive "per testimonianza degli ocehi". II secondo "per rela-zione^ E che le cose stiano cosí, lo confermano í promessi sposi. In essi, a serivere con maggior pertinenza di arcaica grafia e di stile segretariale, é il secondo Anonimo: «[...] descrivendo questo Racconto attóenuto ne' tempi di mia verde stagione [...]». E il romanzo, il secondo, 1 promessi sposjjíi-nalmente rivela il mistero. II narratore ougmaiiß-ß^enzp E stato lui a raccontare e a replicare oralmente al cronista le sue traveršle,>oi"ffčleicritt.e^ «[•••] lui medesimo [...] soleva raccontar la sua storia moko per minuto, lunghettamente an-zi che no (e tutto conduce a credere che il nostro Anommo l'avesse sentita da lui piú di una volta) [...1»124. Un altro par- A. Manzoni, Fermo e Lucia cit i ttt ™IWnp. 171. OTtAoj^ipv- id., Fermo e Lucia cit., t. II, cap. i. P- >59 U4 m., í promessi sposi cit sulla tecmcanamHvae sullo Stile nei'Promesst sposi: in « cap. «xvn. p. 86j. Cit. h. grosser, Osscwzioni '- ■- -Giornale storico delia let- La tabacchiera di don Lisander ticolare apprendiamo sull'Anonimo, dai Promessi sp0u "cronista^era amico di quel_«furbo matricolato» di no|ai chVarr«tol*enzo nell'osteria della Luna piena: «[... stro storico pare che fosse nel numero de' suoi amici»'» L'iniormazione dice piu di quanto non dichiari, con quel «pa. re» che e un ammicco. II notaio era un uomo di «finte>, t miseraljili per giunta. A Renzo avrebbe voluto far credere di essere suo «amico»; e lo arrestava. Insomma, un po' bugiar-do doveva esserlo, que^A^ionirno: anche lui. II primo cronista ha piu miti pretese. La sua cronaca vuo-le essere si una «ricordanza ai posteri», ma si accontenta di giungere e fermarsi ai «discendenti». La cronaca originaria e, quindi, nel genere dei Ricordi di famiglia. Un po? mira-bolante, e scolasticamente latineggiante, con le cose «mo-struose» che hanno toccato vette ormai irraggiungibili: «0n-de si vede esser vero quel detto che il mondo invecchiando peggiora, ma non credo che sara vero d'ora in poi, perche avendo il male ormai passato i termini della comparazione, ha toccato l'apice del superlativo, e il pessimo non e di peg-gioramento capace» II secondo Anonimo vuole invece par-lare alia posterita tutta, e dei discendenti neppure si cura. Ne gli importa il predicozzo sul mondo, che piu di tanto non puo peggiorare. Come il primo Anonimo, parla solo il conte Attilio; nel Fermo e Lucia: «[...] il mondo diventa pegg^ di giorno in giorno...»'". II «picciolo teatro» al quale si at-faccia l'autore di ricordanze, ha in cartellone «luttuose trjt gedie di calamita, e scene di malvagita grandiosa». Que 0 delTTstoriccTprevede, per gli spettatori di piu profondo sgu-'-do spettacoli ulteriori. Soprannaturali e metafisicarnente i terfenti: «intermezi di imprese virtuose, et bonta angeW SV^r'*' XCVIU (198». 503. PP. 409-40; e e. MEIEK-BRUGGEi.. «j£ ^YSSr*^^£«*H», Frankfurt "°M " m 1iZ5.'tH?*'»* cit- «*• **. P- 362. Parte prima 59 sive) 'P- 3 * cit> «. cap. vm, p. Z67 (anche per le citaziom che s oppongono all'operationi diaboliche». I due cronisti hanno personalita diverse. Non coincidono né per spessore culturale né per intenzioni letterarie. Sono personaggi per nulla sovrapponibili. Uno ě esterno al romanzo: l'autore di una cronaca ritrovata e trascritta. L'altro viěňě dall'interno del romanzo: ě iljrascnttQraraicritto, sospettato di essere un «turbo matricolato», degli scilinguagnoli di Renzo. II Fer-tnojLuciae 1pwmessispoii lavorano due diverse finzipnj r.o-maiyejche. E due modi diversi di costruire i personaggi. II primo Anonimo ě guardato dal di fuori. E ha lo spazio che la collocazione gli definisce. II secondo ě guardato da un pun-to interno al/ventre di balena del romanzo: il suo spazio ě quello dilatato e interagente delle relazioni, di situazione e di parola, che fra di loro intrattengono i personaggi della fin-zione. Per di piu, la cronaca dell'Anonimo ě un palinsesto. Prima di fissarsi nel testo esibito dai Promessi sposi, passa per i ripensamenti della prima Intoduzione al Fermo e Lucia e le varianti della seconda. n L'Anonimo dei Promessi sposi esordisce in trombazza: I **T*u «L'Híštoria si puô veramente deffínire una guerra ^ustre> contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl'anni suoi pri-gionieri, anzi giä fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera in battaglia»'". Dispensatrice d'im-mortalitä ě {'História, nella duplice accezione di indagine e di racconto. L'incertezza era per ľaggiunto: «illustre» o «me-ravigliosa»?lfsecondo dovette risultare troppo dichiarativo di poetka. La scelta definitiva cadde su «illustre», un de-verbale confortato dalla prosa del Fermo e Lucia: «io sento un rammarico di non possedere queUa virtú che puô tutto il-lustrare, di non poter dare uno splendore perpetuo di fama a queste parole [...]»'". II "Tempo" ě esito ultimo dopo una replicata "Morte". E si capisce: riporta infatti all oraziana «fuga temporum» áúCaminaX\\\, 30, v. 5). Lapredacita__ " ID., lntrodtuiont a H)., I promnu spon cit., p. 3-■"'m., Fermo t Lucia cit., t. M.c»P P »' 6o La tabacchiera di don Lisander delia Morte (una variante delia prima Introduzione pa | «preda») fa posto alia prigione del Tempo. V História t *C ziale, nel suo procedere: richiama alľappeílo delia \ ni «giä incadaveriti*, «fatti cadaveri»; e come manipolj ef langi li schiera, li passa in rassegna e li ordina alia battagli (li «appresenta» alia Morte, «ancora come nimici»: in u, variante delia prima Introduzione del Fermo e Lucia). Certo c'é barocca^trampalatezza in questa immagine degli arm} salrn^. Un sovrappiu di segretariale ghiribizzo, risp< ronteche I'Anonimo "descrive". Che non puô essere Ren-ZQ, privo com e di storiograiica scicnza. Siamo al prologo teorlcodel "romanzo" di Renzo. E per esso, I'Anonimo stral cia una pagina dalla sua biblioteca secentesca. La scelta eca-duusull'Introduzione delia Geografia trasportata al morale (1664} di Daniello Bartoli. Era stato lo scrittore gesuita a dire ehe «l'Historia, recatasi tutta sopra se stessa, non altri-menti ehe i Poeti fingerebbono una Maga, colľincantata ver-ga e il mormorio degli scongiuri», ci dispiega « scene e tea: tri»(«Teatro [...] e Scene», ripete a eco I'Anonimo, nei prosieguo della cronaca); owero «spettacoli di mirabile ap-parenza» («cose mostruose»): nei quali «di novello» nuovo», nella prima Introduzione) i morti eroi, tratti dal «fon-do» della terra o del mare («cemeteri alle ossa») si vedranno «ordinarsi a battaglia» («li ordina in battaglia», nella prim* Introduzione) e starci «a schiera innanzi» («li schiera», "e secondo Anonimo). «Hor questo appunto é il continuo W deU'Historia: ricavar di sotterra i tesori delle piu pretl°se memorie che il Tempo, vecchio decrepito, o vi perdé coin smemorato o vi seppellí come avaro», aveva sentenziato V* toh; e aveva aggiunto il detto deĽ'Anonimo e del conte ^ two: «le cose intristiscono tanto piú, quanto invecehiano*■ . Per "Anonimo manzoniann (Uno e bino e trino) ^J^^^ô^j^mSkimo delľingegno ifiUd^ ejdijeta, che ToTrHano un perpetunjj^rnn STKitio^ V° DBARTOU^^^--/^cl,.P,Ioei, ne mo- Parte prima 61 riose». Viene fuori cosí la disereta erudizione del cronista E evocato infatti il manto del vanitoso quanto avvenente De-metrio Poliorcete, con sopra ricamate Ie figure delia terra c dei corpí celesti. Ne paria Plutarco, nelle Vite parallele. E paria Bartoli: «[...] si com e d'altro merito, che ľuscire a n«. strarsi di quel fastoso Demetrio, soprannominato l'Espu gnatore delle cittä, con indosso il reale ammanto rappresen-tatovi sopra coll'ago in bei trapunto d'oro, tutto di perle e di care gemme fiorito, l'universal descrittione del mondo»u'. Frastornato dallo smusicar forte «de' bellicLOricalchi», quella sola moltitudine che é I'Anonimo, trova modo di pre-sentarsi come aristotelico (impuntato su «sostanza» e «acci-denti») e come tolemaico che la fisica del suo universo tra-sporta in politica; spagnoleggianclo con quell'«amparo», che si posa dentro il romanzo sulle labbra dei eugini filoispanici Rodrigo e Attilio: E veramente, considerando che questi nostri climi sijno ]'amparo del Re Cattolico nostro Signore, che é quel Sole che mai tramonta, e che sopra di essi, con riflesso Lume, qual Luna giamai calante, ri-splenda l'Heroe di nobil Prosapia che pro tempore ne tiene le sue parti, e gl'Amplissimi Senátori quali Stelle risse, e gl'altri Spettabili Ma-gistrati, qual'erranti Pianeti spandino la luce per ogni dove, venendo cosí a formare un nobilissimo CieJo, altra causale trouar non si puô nel vederlo tramutato in inferno d'atti tenebrosi, malvaggitä e sevitie che dagl'huomini temerarij si vanno moltiplicando, se non se arte e fattura diabolica, attesoché I'humana malitia per sé sola bastar non dourebbe a resistere a tanti Heroi, che con occhj d'Argo e braccj di Briareo, si vanno trafficando per li pubblici emolumenti . II Manzoni della cronacaeantigu^^ struteräromOTerAnon^^ I'Anonimo stesso pregia delle qmliti^3^S^tctole. maiche e aristoteliche deUo storico della Compagrua di Oe-sú; e della sua voeazione alle scénografie campali, entro e quali i démoni malefici si schierano come eserctti contro le pp 3-4 DU t : 62 La tabacchiera di don Lisander potenze del bene. Voile pero lombardizzare il secondo A nimo; e ulteriormente sgangherarlo: per dar colore di Ver storico alia "relazione" (interna al romanzo) del brianzolo Renzo e del suo ''segretaric/'. Solo a questo punto convert! la penlfaldeU'Anonirno ai furori fonetici e morfologici del medico e storico lombardo Alessandro Tadino, che soleVa scrivere «con le gomita»1,J. Alia religiositá antiprovvidenzialistica di Manzoni non poteva essere congeniale il Bartoli che aveva celebrato l'at-tivismo trionfalistico, armato di proselitismo planetario e gui-dato dal dito di Dio, del cattolicesimo legionario dei Gesui-ti. Ma alia sensibilita dell'artista non poteva essere indiiie-rente il talento letterario dello scrittore, per quanto in simpatia presso i classicisti. Qualche rimorso dovette pur averlo Manzoni, per avere anonimizzato e strapazzato il ba-rocco "fattucchiero" e "sognatore" di parole. Una ripara-zione si sente quindi di dovergliela. E proprio nella prima pagina del romanzo, successiva all'' Introduzione; a partire ázWIntroduttione storica alia "geografia morale". Bartoli aveva accennato a «jojfj_e_seni>> che nella terra si «adentrano»'M. Con questi «golfi» e conqu«ti«seni>>, che frastagliano il paesaggio, Manzoni (varian3oa eco e a spec-chio) apre e chiude il primo periodo del romanzo: Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due ca tene non interrotte di monti, tutto a sent e a golfi, a seconda dello spor^ gere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringe"1; prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un ^ pia costiera daU'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due ^ par che renda ancor piú sensibile all'occhio questa trasformazi°n • deuZ^J Fermo/Lu^ d*-, t. III, cap. v, p. 430. Cfr e. bonora, Su unaM* *P~< *oti». in m., Manzoni. Conclusion, e Prop**. £ - Diciture per rino ,,;rr TIT" Spos">' In ro-> Manzoni. Conclu dito dJlľernľni^'23' * f0"3" Cfr m- baju-NGHl, utaiu,* r~- . messispoZ mJZ U989,> m m- ^i'onare alia carlor, co S Z-T '"t PP- 1F» Guid° Pedrojetta propone dei riscontri padľe^Sco vín/0" ÚS^ríf° in »»rte di sin Carlo Borromeo (1626 d tne- ■Pro- Parte prima 63 segni U punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia, per ripigliar poi „ome d, lago dove le r.ve, allontanandosi di nuovo, lascian ľacqua dt stendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni'". II Fermo e Lucia dava «vanj seni e per cosi dire piccioli golfi d'ineguale grandezza». E parlava di «riva» e «riviera» anziehe di«costiera»'*, che é, quest'ultima, parola quant'al-tre mai dei Bartoli; la troviamo subito nella stessa Geografia trasportato al morale:«Alle ampie falde, alle fiorite costiere [...] voi v'aecorgete che siamo innanzi al Mongibello»1". E il nuovo riscontro da esempio minimo dell'impostazione sce-nografica delle pagine "geografiche" dei Bartoli, che si fa de-scrittore e spettatore insieme. Come il Manzoni, solo in prima istanza descrittore: passando dal deittico di apertura («Quel ramo»), al «primo vederlo» di un ipotetico spettatore1". L'intera apertura paesaggistica dei Promessi sposi (non cosi dei Fermo e Lucia) é un esereizio d'ammirazione appli-cato alla prosa dei Bartoli. Ľ aveva intuito Giuseppe Bona-viri, che perö si basava, meno persuasivamente, sulla lstoria della Compagnia di Gesú: «[...] la spiaggia rientra in se stessa e si rivolge in vari seni [...] non essendo costumati di ingolfarsi in mare aperto»1". , Anche Manzoni anonimeggiava. Discretamente. Scrive-va a Fauriel, e antieipava Ü suo progetto di romanzo storico; il 3 novembre dei 1821: . - r.n i o 0 (corsivi nostri). a. manzoni, l promessi spos, cit.. cap. LH' m n>., Fermo e Lucia cit., t. I, cap. 1, P >7 1*7 stro). toli. 486-532 m., Fermo e Lucia cit., t. I, cap. 1, P- "J , . n p. 2I (corsivo no-D. BAltrou, Lageopafia trasportata almorale cit, P ■ ŕ...-*- i- n»»i/>íln Bar- s'- MMUU, ťer la tecmca del Bartoli cfr. B. mortara, Un uso infinito in Daniello Bar-p> «Attl dell'Accademia Nazionale dei Lincei.. CCCUX (1962), 712, pp. tfT~V Q; bonavdu, Daniello bartoli una fonte per "Quel ramo del lago di Como* o RETT ' ^•^are,mr''J' Mifano 1984, pp. 165-82. Altre Ietture icWincipit: 0 G ^-t' "Quelramo dellago di Como », in «Paragone», n. 286 (1973), pp. 4766; ra d^p"*221' ^anzon'e ^purificazionedello sguardo, in Le regardet ľécmain, a cu ?. „ G. Conti, numero monografico di« Versanti*, XII (1987), pp. 95-111. Su-?',esordi" nel romanzo cfr. b. pAVERSETn e s. \NPREANi,JncjpitLe tecnicht S^yr*'' "^"""Tff ramp™, Van no 10Á8: e a. DEL LUNGQ. four Bin vueiimu "tlmcipit, in «Poétique», n. 94 (1993), pp. 131-52 6. La tabacchiera di don Lisander Pour vous indiquer briěvement mon idée principále sur les rorr,a historiques, et vous mettre ainsi sur la voie de la rectifier, je m^ rai que je le concois comme une representation ďun état donné dc'j societě par le moyen de faits et de caractěres si semblablcs a qu'on puisse les croire une histoire veritable qu'on viendrau de H couvrir . Una storia da far tornare alia luce, quindi; anche se qui Manzoni non calza la maschera barocca del rabdomante e luogotenente di cadaveri. II romanzo non ě una parata di ur-ne. Eppure Manzoni aveva prestato la sua voce alTAnoni-mo._Álmeno una volta. Quando l'aveva fatto distrarre dalle «Imprese de Prencipi e Potentati, e qualificati Personaggi», peTTairTo raccogliere sulle «gente meccaniche, e di piccol at-fare»; e «lasciarne memoria a Posteri, con far di tutto schiei-taegenuinamenteil Racconto». Questi due avverbi con una sola terminazione in -mente denunciavano lo stilejolenne, burocratico e spagnoleggiante dell'Anonimo141. Ma il propo-sito era genunamente manzoniano. Anzi, laJchiusura del si-Pário sul gran teatro delle «Attiotioni gloriose» (anche se motívata da una prudenza tutta secentesca) e 1'apertura deü'«angusto» e non meno tragico teatro dei «mcccanici», riscriveva una pagina di Voltaire: «En effet, l'histoire n'est que le Tableau des crimes et des malheurs. La foule des hom-mes innocents et paisibles disparait toujours sur ces vastes theatresE la «foule des hommes innocents et paisibles» ě diventata «moltitudine vagabonda» nel romanzoj_sull'esero' "* a. manzoni, Lettera a Claude Fauriel del 3 novembre 1821, in b>-. Itttert cit., 1.1, pp. 244-45 («P« d»rvi un'idea sommaria di come io princip ^ te guardi ai romanzi storici, e mettervi cosi nella condizione di correggerrni, . che concepisco il romanzo come la rappresentazione di un certo stato della s ^ -\ per raezzo di fatti e caratteri talmente simili alia realtä, che si possa pensar* storia vera che si fosse appena rinvenuta»). ^ 141 Cfr. b. miguorini, Coppie atwerbiaü con un sob -mente (i95J'> m W" UnguisHci, Firenze 1957, pp. 148-55. . 4, 1,1 Voltaire, L 'Ingenu, in m., Romans etcontes, a eura di R. Groos, cap. x, p. 269 («Di fatto la storia non ě che quadro di crimini e calamiti-^^. di innocenu e paciüci costantemente sconpare in cosi vasti teatri U!n",i ..-nese, llluminismo e romanticismo in Alessandro Manzoni (1979), in ID • maFogazzaro StudisuU'Ottocentoitalianonarrativo, Palermo 1983,PP- '5'"' Parte prima 65 pio di Thierry e di Scott; e nello spirito del DwßBoa,,^ m^dettaagmlms^rdica in Italia e del «concetto dram-matico» dei desideri, dolori e patimenti «dell'immenso numero d'uomini che non ebbero parte attiva negli avveni-menti, ma che ne provarono gli effetti»14'. Per questa umanitä tradita dalla storia, Manzoni si ě fatto storico di «se-conda mano»: «[...] noi valendoci del privilegio che hanno gli storici di seconda mano, di inventáre qualche cosa di ve-risimile per rendere compiuta la storia, e supplire alle mW canže dei primi, affermiamo [...]»'". Ha cioé scritto un romanzo (duale) che collabora con gli storici, senza subordi-nare la letteratura alla storiografia; e piuttosto dando legittimitä all'"invenzione", che alla veritä morale per via di «poesia», aveva detto nella Lettre á Mr. Chauvet) recupe-ra quanto gli storici hanno trascurato e taciuto. A questo pro-getto dovette conquistare una lingua di comunieazione; ardua-mente, dovendo partire (nella seconda Intmduzione al Femto e Lucia) dal concetto di "analógia" elaborato dalla linguistica il-luminista: A bene scrivere bisogna sapere scegliere quelle parole e quelle f rasi, che per convenzione generale di tutti gli scrittori, e di tutti i fa-vellatori (moralmente parlando) hanno quel tale significato: parole e írasi che o nate nel popolo, o inventate dagli scrittori, o deriváte da un'altra lingua, quando ehe sia, comunque, sono gcneralmente nce-vute e usate. Parole e frasi ehe sono passate dal discorso negji scritti senza parervi basse, dagli seritti nel discorso senza parerv. affettate; e sono generalmente e indifferentemente adoperate all uno e all altro uso sta il si «Qui giace la lepre», dice il Fermo e Lucia. «Qui sta punto», diconolpromessisposi. E, tra «lepre» e «punto», e consumato il passaggio dall'espressivismo (eclettico) al to-scano e fiorentino. Ma, nei Promessi sposi, provvede il Gri-so a recuperare il «qui giace la lepre» (cap. viii); e dimostra **a. manzoni, Discorso surtlcunipuntiieüt Stork longpbardicacit., p. 46. "V, FermoeLucut cit., t. III, cap vn, p. 455 '" n>., [Seconda]htroiuvonc. ibid., pp- i4->5 66 La tabacchiera di don Lisander ad evidenza che l'espressivismo non era finito Del Manzoni non rinnegö del tutto la prosa del Fermo e IT* che, almeno in parte, sentf esportabile: recuperabile "Jr' vellodelle cognizioni europee", nonostante il "composto digesto di frasi un po' lombarde, un po' toscane, un po' fra cesi, un po' anche latine»1"; e quindi traducibile: addirittu-ra piu di quanto non lo fosse, per alcuni tratti, la "dicitura" dei Promessi sposi del '27. Ne da conferma inopinata una let-tera del 9 dicembre 1828. A Parigi era appena uscita la se-conda traduzione del romanzo: Les fiances. II traduttore, Pierre-Joseph Gosselin, chiese a Manzoni di saggiare e veri-ficare la tenuta e l'efficacia della traduzione. Manzoni si presto. Rispose al traduttore. E propose un elenco abbastanza lungo di traduzioni d'autore147. Con un po' di pazienza si pos-sono individuare nell'elenco le versioni che scavalcano il te-sto dei Promessi sposi, per recuperare la lezione del Fermo e Lucia. Nella prima colonna viene riportato il brano dei Promessi sposi segnalato da Manzoni; nella seconda viene tra-scritta la traduzione d'autore; nella terza si da il frammento corrispondente del Fermo e Lucia. Le parentesi quadre chiu-dono le varianti introdotte dall'uitima revisione del romanzo. II risultato del confronto e sorprendente: la riverisce caramente una povera tosa [ragazza] non voglia ripor [mettcr] la sua gloria vous fait ses compliments une pauvre fille ne mettez pas votre gloire Iefaisuoicomplimcnn una povera figli»'" nonmettalasuaglori»'' 4) Tutto il mondo e paese on vit partout "'Ibid., p. 13. glitte m a. manzoni, Lettera a P.-J. Gosselin dei 9 dicembre 1828, in n>- ^//kWCit.,1, PP. 5ii-32. ty '"u>., Ipromessi sposi cit., cap. i, p. 20; id., Fermo e Lucia at., i> ^ "'id., / promessi sposi cit., cap. in, p. 72; id., Fermo e Lucia cit-, 1. 5,^ ^ ^ l5# n>., /promessi sposi cit., cap. vi, p. 120; id., Fermo e Lucia cit-, > ' [0, '" id.. 1 promessi sposi dt., cap. vi, p. 127; id., Fermo e Lucia cit., 1, ' possiamo vivere via di qui anchc Parte prima 67 «) Al picchiarc sommesso di Renzo (,) »vevano avvantaggiato roolto in passato [s'erano awantaggiati molto e poi molto nel passato] 7) ecco quei [quelül delle novitä 8) assettö [si lisciö] la barba Fermoj^ jrancese. lorsque Renzo frappa Quando s'intese bussare doucemcnt a la porte somroessamente alia porta'" avaicnt cu dc grands avcvano guadagnato benefices par le passe assai assai in passato1" voici les gens aux ecco quelli delle nouvelles notizie'" caressa, etc. si accarezzo la barba" _e_ra piü disponibile a una ripronuncia 433 486 487. ipromessispovc* cap va p. .61.^ m> y p. °> id., Jpromessi sposi cit., cap. xn, p. 284, n>- «™ . fan yvt d w id., Vemo e Lucia cit., HI, 8, p. 04 id., I promessi sposi at., cap xvi, p. 379. ■ id., I promessi sposi cit., cap. xvi, p. 380, n>-. «"