l'umorismo avi Trebbe non piü l'umorismo vero e proprio, ma Fironia, fr\ che deriva - come abbiamo veduto - da una contradizio-ne soltanto verbale, da un infingimento retorico, affatto ;0ne contrario alia natura dello schietto umorismo. Qgni sentimento, ^m_pensiero, ogni moto che sorga nell'umonsta si sHoppia subit^_iieJ^suo^ntrario: ogni si in un no, che viene in fine ad assumere lo stesso valore del si. Magari puö fingere talvolta l'umorista di tenere soltanto da una parte: dentro intanto gli parla l'altro senti-mento che pare non abbia il coraggio di rivelarsi in prima; gli parla e comincia a muovere ora una timida scusa, ora un'attenuante, che smorzano il calore del primo sentimen-to, ora un'arguta riflessione che ne smonta la serietä e induce a ridere. 0Cosi avviene che noi dovremmo tutti provar disprezzo e indignazione per don Abbondio, per esempio, e stimar ridicolissimo e spesso un matto da legare Don Quijote; ep-- pure siamo indotti al compatimento, finanche alia simpa-r ^ia per quello, e ad ammirare con infinita tenerezza le ri- n salva > > dicolaggini di questo, nobilitate da un ideale cosi alto e ?:alche g puro. »vere, c Dove sta il sentimento del poeta? Nel disprezzo o nel jlle mar compatimento per don Abbondio? II Manzoni ha un idea- iar quest le astratto, nobilissimo della missione del sacerdote su la trgoena1 terra, e incarna questo ideale in Federigo Borromeo. Ma tsueue, ecco la riflessione, frutto~ctělla dispošlzione umoristica, -angelo suggerire al poeta che questo ideale astratto soltanto per una rarissima eccezione puö incarnarsi e che le debolezze ias chj\ umane sono pur tante. Se il Manzoni avesse ascoltato so- -n^f lamente la voce di quell'ideate áštfaťto, avrebbe rappre- ^ .01-J sentäto don Abbondio'in modo chělutti avrebbero dovu- w*. tojgoyar perTuTodio eTisprezzöTlriä^egiT'ascolta entro di .11 vo sé anche la voce delle debolezze umane. Per la naturale " ^onc disposizione dello spirito, per l'esperienza della vita, che Uon A gliel'ha determinata, il Manzoni non puo non sdopjáatÉ * bas: ;rdo- a tra in gcrme la concezione di quell'idealita religiosa, sacerdo- tra qv tale: e tra le due tiamme accese di Fra Cristoforo e del Cardinal Federigo vede, terra terra, guardinga e mogia, alll,noat*c* ___. J? 1 At* T-i • ___S^^o «a 11(1 lungarsi l'ombra di don Abbondio. E si compiace a un 192 detto ogni os parte seconda • iv j; DOrre a fronte, in contrasto, il sentimento certo punw' ° ťg la riflessione negativa; la fiaccola accesa íttivo, P0SU1;' ľacqua diaccia delia riflessione; la predi-^"K, astratta, delľaltruismo, per veder come si :0 n le ragioni pedestri e concrete delí egoismo. 'TLňzo Borromeo domanda a don Abbondio: - «E Ĺ vi siete presentato alla Chiesa per addossarvi co-ŕ^tcro'v'h. essa fatto sicurtä delia vita? V'ha ehe i doveri annessi al ministero tossero liben da stacolo, immuni da ogni pericolo? O v'ha detto forsche dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dove-tc? 0 non v'ha espressamente detto il contrario? Non v'ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi? Non sapevate voi che c'er an de' violenti, a cui potrebbe dispiacere ciö che a voi sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e ľesempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitarne ľufizio, mise forse per condizione ďa-ver salva la vita? E per salvarla, per conservarla, dico, qualche gjorno di piu sulla terra, a spese delia caritä e del dôvere, c'era bisogno delľunzione šanta, delia imposizion kile mani, delia grazia del sacerdozio? Bašta il mondo a ar questa virtü, a insegnar questa dottrina. Che dico? oh leergogna! il mondo stesso la rifiuta: il mondo fa anch'esso ue leggi che preserivono il male come il bene; ha il suo jeio anch esso un vangelo di superbia e ďodio; e non trasererľ;S1 e ľamore della vita sia una ragione per Enníu:1_rPer.1,comandamenti. Non lo vuole ed é ubbidito! c noi' nni c r-------~««^«". nun lu vuoic ea e uDDiaito: ^ la Chi C ar!nunziatori deUa promessa! Che sareb-i vosľri f r ,f.° y?Stro lin8uaggio fosse quello di ^^Solľ^ľ1^ D°Ve Sarebbe> se fosse comPa^a Don AKK c te dottrine?».1 Capo basso iuľ aSC0kaJ .ques,ta lun§a e ani™sa predica a 'a lfa queoli ' nZOni.dlce che lo sPirito di lui «si trova-8 ar8omenti, come un puleino negli artigli del *°>>n«e?»: verso u fine de, cap xxv ?mmnú ^ 193 l'umorismo ftlco che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta, in an'arii che non ha mai respirata». II paragone ě bello,' quantunque a qualcuno l'idea di rapaeitä e di fierezza che é nel talco sia sembrata poco conveniente al Cardinal Fe-derigo, L'errore, secondo me, non ě tanto nella maggiore o minor convenienza del paragone, quanto nel paragone stesso, per amore del quale il Manzoni, volendo rifar la hivoletta d'Esiodo,1 s'ě forse lasciato andare a dir quello che non doveva. Si trovava don Abbondio veramente sol levato in una regione sconosciuta tra quegli argomenti del Cardinal Borromeo? Ma il paragone dell'agnello tra i lupi si legge nel Vangelo di Luca,2 dove Cristo dice appunto Bgii apostoli: «Ecco, io mando voi come agnelli tra i lupi». E chi sa quante volte dunque don Abbondio lo aveva let-to; come in altri libri chi sa quante volte aveva letto quegli ammonimenti austeri; quelle considerazioni elevate. E diciamo di piů: forse lo stesso don Abbondio, in astratto, parlando, predicando della missione del sacerdote, avreb-be detto su per giú le Stesse cose. Tanto vero che, in astratto, egli le intende benissimo: - Monsignore illustrissimo, avró torto, - risponde in-fatti; ma s'affretta a soggiungere: - Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire. E allorché il Cardinale insiste: - E non sápete voi che il soffrire per la giustizia e il no-stro vincere? E se non sápete questo, che cosa predicate? di che siete maestro? qual ě la buona nuovo? che annunzia-te ai poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la torza? Certo non vi sarä domandato, un giorno, se flb-biate saputo fare stare a dovere i potenti; ché a questo non vi tu dato né missione, né modo. Ma vi sarä ben domandato se avrete adoprati i mezzi ch'erano in vostra ma- di cui ci si.no Slodo (VIII-Vn sec. a.C), il piů antico poeta greco ta»equeUadeľlo81Unte n°tizie storicamente attendibili. La «fayo« 2 nel Vangelo diLucVJxl * delľusi8noI° ^ °Pere e i* &omi> 202'l2\ mologiľgrcca%Ĺlangek> cosi definito seguendo il senso della sua parito heto annunzio della redenzione). .posta, ; Tor: 1 che :ittam< nssima do delle favole, accorressero a una a una tutte le h^0*' per la notizia che tra loro s'era sparsa di čerte controfl' vole che la volpe avesse in animo di comporre in risoo t a tutte quelle che da tempo immemorabile gli uomirü compongono, e da cui esse bestie han forse motivo di sentirsi calunniate. E tra le akre alla tana di Messer Re-nardo veniva il coniglio a protestare contro gli uominl che lo chiamano pauroso, e diceva: «Ma ben vi so dire .^per conto mio, Messer Renardo, che topi e lucertole e uccelli e grilli e tanťaltre bestiole ho sempře messo in fuga, le quali, se voi domandaste loro che concetto ab-biano di me, chi sa che cosa vi risponderebbero, non cer-to che io sia una bestia paurosa. O che forse pretende-rebbero gli uomini che al loro cospetto io mi rizzassi su due piedi e movessi loro incontro per farmi prendere e uccidere? Io credo veramente, Messer Renardo, che per gli uomini non debhfl fprrere almna differenza tra eroi-imn ř imherillithV 1 Ora, io non nego, don Abbondio ě un coniglio. iMa noi sappiamo che Don Rodrigo, se minacciava, non min^H va invano, sappiamo che pur di spuntare 1'impegno2 egjfi era veramente capace di tutto; sappiamo che tempi erár quel-li, e possiamo benissimo immaginare che a don Abboídio, se avesse sposato Renzo e Lucia, una schioppetta: non gliel'avrebbe di certo levata nessuno, e che forse Locia, sposa soltanto di nome, sarebbe stata rapita, uscen* dal-la chiesa, e Renzo anch'egli ucciso. A che giovano ^ťr* vento, il suggerimento di Fra Cristoforo? Non e ta Lucia dal monastero di Monza? C'ě la lega dei Lor* Ji' luno ? kraste [per suo L non' t>ta ncai .■ontare i jo non r. |ttc, dali é coraj *>be un •20. Noi 1 rcioé s ho- 1 «Maben... imbecillitäl»: il bráno riproduce, con qualche variante u passo dalla seconda delle Favole della volpe. Civ. nota 2, p. 43. . „ ITZTa rpeV? 1 promessi JP°"> úzio del cap. xvin relativo W partenza del conte Attilio. TO dei i «•tili che ^ se ne f 'k Sana ^zoni ( Kutilizj f^con jjnel 189- fndio d 'v0n sok Mi plstem v6 ASS ] L NN KOI cospcti Wesse: Rcnar bei PARTE SECONDA • IV dice Renzo. Per scioglier quella matassa ci vuol Li come ^n mQcj0 jire> ja mano rjJQ ta man^ente. Che poteva fare un pověro přete? pfopriamo gjssignori, don Abbondio; e il De Sanctis ha PaUr°alcune pagine meravigliose esamináhcTo "iT senti-eííat°della paura nel pověro curato;2 ma non ha tenuto conto ico, q di questo, perbacco: che il pauroso ě ridicolo, ě co uando si crea rischi e pericoli immaginarii:3 ma V, Vjv —---- . j, ndo un pauroso ha veramente ragione d aver paura, ando vediamo preso, impigliato in un contrasto terribi qua je un0 che per natura e per sistema vuole scansar tutti 1 contrasti, anche i piü lievi, e che in quel contrasto terribi-le per suo dôvere sacrosanto dovrebbe starci, questo pauroso non ě piů comico soltanto. Per quella situazione non basta neanche un eroe come Fra Cristoforo, che va ad af-frontare il nemico nel suo stesso palazzotto! Don Abbondio non ha il coraggio del proprio dovere; ma questo dôvere, dalla nequizia4 altrui, ě reso difficilissimo, e perö quel coraggio ě tutťaltro che facile; per compierlo ci vor-rebbe un eroe. Al pos_to d'un eroe Jroviamo don Abbondio. Noi non possiamo, se non astrattamente, sdegnard'di toi, cioě se in astratto consideriamo il ministero del sacer-dote. Avremmo certamente ammirato un sacerdote eroe che, al posto di don Abbondio, non avesse tenuto conto f*1 5« 49\ f f 'J ^owy°cuzione desunta da un passo del cap. xrv («il re, e non ^ n V°m„ ano> vorrebbero che i birboni fossero gastigati; ma 2D^fanulla>Per^éc'ěunalega»). ^2onTílR7?fť'Efto: ne^C ^ezioni de^a seconda scuola napoletana sul rari> utilizz t A d? ^uronojaccolte da^Croce negli Scritti varii inediti o iíTUřia conf1 Pirandello ahche in mento alia pbesia cavaileresca. k tanel 1892^3 horentina sujon Abbondio del 1873 ,jna ripubblica- bondio lm^Ut0-\immamariv. De Sanctis considerava infatti don Ab-e-non solo in?0 - men° unilateraImente di quanto Pirandello riferisce Cledi Musa dell1 nmento all'incontro coi bravi) dominato da «una spe-|Jesistenti- si pai)ra [che] a8ita Ia fantasia, la quale si raffigura cose 7*** varii • mescolano cosl pericoli reali con pericoli immaginarii* HUl^a: malvagitá. 197 l'umorismo della minaccia e del pericolo e avesse ad • delsuc> ministero. Ma non possiamo noXí° ÍJ dov' Abbondio, che non ě I'eroe che ci sarebh m,patire posto, che non solo non ha il grandissimo coZf a[ voleva; ma non ne ha né punto né poco- e ) gg 0 cile non se lo pud darel1 P ' e ll Coram Á Un osservatore superficiale terra conto del riso rU sce dalla comicitä esteriore degli atti, dei gesti, deíeY reticenti ecc. dl don Abbondio, e lo chiamerá ridicobl z altro, o una figura semplicemente comica. Ma chi non contenta di queste superficialitä e sa veder piü a fon sente che il riso qui scaturisce da ben altro, e non é s tanto quello della comicitä. Don Abbondio ě quel che si trova in luogo di qua che ci sarebbe voluto. Ma ii poeta non si sčiegnaTfí quesj realtä che trova, perché, pur avendo, come abbiamo di to, un ideale altissimo della missione del sacerdote su terra, ha pure in sé la riflessione che gli suggerisce quesťideale non si incarna se non per rarissima eccezioi e pefolo obbCga a límitare quell'io*ěalěT~čome osserva De Sanctis.2 Ma questa limitazione delHdeaie che cos e, l'effetto appunto della 'rířTéšlíone che, esercitandosi quesťideale, ha suggerito al poeta il sentimento deJ ca trario. E don Abbondio ě appunto questo sentimento ' contrario oggettivato e vivente; e perö non ě comico tänto, ma schiettamente e protoücTamente umor^n^o. j Bonarietä? Simpatica indulgenza? Andiamo adag ^ « sciamo star codeste considerazioni, che sono in stranee e superficiali, e che, a volerle approfondire^ ^ rischio che ci facciano anche qui scopnre il conrr qU, gliamo vederlo? Si, ha compatimento il Manz°"Jiment( sto pover'uomo di don Abbondio; ma ě un comr fleceSz signoři miei, che nello stesso tempo ne fa strazio, G qui 1 /'/ coraggio... dare: sono parole di don Abbi nal Federigo giá citato da Pirandello. 2 lo obbliga... De Sanctis: cfr. la lezione x, «La "Promcssi sposi"», Scritti varii, cit., pp. 149-54. 198 ondioneldialogocol^i 'Morale cat tola* PARTE SECONDA • IV fjamente. In fatti, solo a patto di riderne e di far rider di ;ji. egli puö compatirlo e farlo compatire, commiserarJo e :arlo commiserare. Ma, ridendo di lui e compatendoJo nello stesso tempo, il poeta viene anche a ridere amara-Dscnte di questa povera natura umana inferma di tante de-bolezze; e quanto piü Je considerazioni pietose si stringo« no a proteggere il povero curato, tanto piü attorno a lui s'allarga il discredito del valore umano. II poeta, in som-.. ci induce ad aver compatimento del povero curato, racendoci riconoscere che e pur umano, di tutti noi, quel che costui sente e prova, a passarci bene Ja mano su la co-scienza. E che ne segue? Ne segue che se, per sua stessa virtü, questo particolare divien generale, se questo senti-rento misto di riso o di pianto, quanto piü si stringe e determina in don Abbondio, tanto piü si allarga e quasi vapora in una tristezza infinita, ne segue, dicevamo, che a voler considerare da questo lato la rappresentazione del curato manzoniano, noi non sappiamo piü riderne. Quella pietä, in fondo, e spietata: la simpatica indulgenza non e cosi bonaria come sembra a tutta prima. Gran cosa come si vede, avere un ideale - religioso, co-< me il Manzoni; cavalleresco, come il Cervantes - per ve-^? derselo poi ridurre dalla riflessione in don Abbondio e in / Don Quijote! II Manzoni se ne consola, creando accanto al curato di villaggio Fra Cristoforo e il Cardinal Borromeo; ma e pur vero che, essendo egli sopra tutto umori sta, la creatura sua piü Viva e queH'altra, quella cioe in cui ü sentimentö del contianQ^incamatQ. II Cervantes non puö consolarsi in alcun modo perche, nella^sSl^ell^ Mancha, con Don Quijote - come egli stesso dice ~ ZI T2LquaIcu^ch^glt5omißlta^ ^ 8ene-