Capitolo terzo Una voce milanese europea Ha scritto una volta Hugo von Hofmannsthal, in pagine terse e ancora intense, che per quanto «impregnato di reli-gíosita, di cristianita cattolica, postridentina, come nessun altro libro della letteratura mondiale», i Promessi Sposi sono per intima costituzione «un libro laico come il Tom Jones e il Wilhelm Meister». Ě in fondo la laicitä singulare che aveva giä pereepito un secolo prima Carlo Cattaneo, milanese di una "Europa vivente", allorché, in rapporto alla terra lom-barda e ai suoi "paesani", osservava: «Sono il tipo da cui quello scrittore la cui originalita senza affettazioni serve di modello e di pretesto a tante affettazioni senza originalita, trasse quelle sue veraci e schiette figure di Renzo e Lucia, e Agnese e Perpetua». Di qui nasce, si puö subito soggiunge-rc» la rappresentazione di un'epoca come un .paesaggip Lümann» geogratia di luoghi e costumi in cui si proietta un sistema di valori e di credenze, un groviglio di passioni e di desideri, una real t a materiále ^oleáta dai conflitti del potere anche nella commedia quotidiana della vitalita aneddotica tra/ agente mcccaniche, e di piceol affare»:^proprio come IttfTOO annuncia la voce diretta delľanonímo ňélTTnšerto barocco «t-'Ila Jntroduzione alla riserittura moderna della sua storia secentesca. Negli anni lampeggianti e inquieti del romanticismo Post-napoleonico, ehe a Milano sono anche quelli cupi dei Processi contro i liberáli del£fJ a^a sua móda europea consačřafa fc j. anfe* "a stonci e intcllěttuali di avanguardia, in"funzione , i,,'"' ":l**smo storiografico e letterario piü complesso, per-n(° ana,|tlCO c drammatitn, di quello setteeentesco. Perció ^^''•"l'i.'e se lodissea di Renzo e Lucia si modella, di a in prova, sulla dinamica contrappositiva delľarcl^eü- 31 Vnovocemilaneseeuropea poscotnano^secondo un intreccio dove ľgroe calunni,, p^rše^uííatodevc tuggire dal proprio pacsc in RKvJ tempesta di un conflitto sociale mentrc la sua hum,, J. pagna viene rapita da unjniguoipotgnje, e le loro ture hanno termine soltanto con ľintervento di un (Uot. legge o di un altro personaggio di alto rango. Quanto all'«, niverso temporale e geografico in cui prende corpo e figur* ľesperimento manzoniano, esso ě per 1'appunto, di nuo, per citare il saggio di Hofmannsthal, «una storia spesso Gloriosa, spesso cupa, un popolo ben definito, attivo e savio un dialetto stimolante, in cui si lascia esprimere ogni úmore, un meraviglioso territorio che partecipa delia pianura c -. spinge fino alle grandi catene di montagne». Ma ciö che nello Scott resta alia fine una rievocazione del passato in forme melodrammatiche e pittoresche, diviene ora un n-torno alle origini deipragrio spazio antropologico pi tare, attraverso la(4abul^^'pěrš5naggi, un nodo co della sua memoria čoflettiva. Cosi la fantasia nurv.: sostanzia dl un acre spirito critico e all'intransigenza e e ľintelletto investigante unisce la sottigliezza del moralists introspettivo dentro i labirinti del cuore umano. Ijj>'1- ■a"'. quanto piů si ridiscende dalla superficie degli eventi a U gioni ignore degli affetti c delle emozioni degli uonuni, hanno prodotti o subiti, puô benissimo nascondere a una parabola del presentc: insieme con un'ipotesi apPa näta mä vTgílFšul mistero Hella temporalitä e dell esisl^ |v Di fatto, riprendendo la struttüra' e la tematica de manzo storico nella sua realizzazione piu moderna. ' getto composito dei Promessi Sposi le trasforma dali inteneri Sotto l'apparenza di una mimesi fedele ai canon' del ge ? letterario vi immette il rovello di una coscienza st0l|°f^ ca per la quale il nesso dialetdco tra íinzione e vcritai TÖstituisce soltanto un pnncipio regolativo da approWn & Sifr8Sala accertabile del reale ma anche una matn ^ oubbio^bna, riserva o impazienza^osfiologica ijlíí^V, ■ l^uümitadella parola di penetrare nel silenzio opaco a cheeaccadutocon laforza fabulatrice del suo immag%r, che implica sempře un'inven7Í^~ J ' proprio che »■>— che im i- u ĽOn a for?* c l ,,JCJ suenzio opaco 32 --'--lľcnttura romanze-sca aM1'-1 r Una voce milanesc europea similata alla macehina combir prime battute delľíntroduzione coJui ehe racconta si sdop-pia nella figura ambiguamente parodica delľanonimo, fin-( céňdo di traserivere" in uňa «rettorica disereta, fine, di buon " gusto» un vecehio e «graffiato» manoseritto barocco, personaggio egli stesso delia propria scr^ttj^ in^aij*^«^ Alle spalle di Scott c giä entrata in gioeoia convenzione roman-zesca dell'antiromanzo di Cervantese di Sterne, dal Don Chisciotte al Jristram Shandy, cioe ['irónia speculare di unj^w^Ut) dialoflo cootinu»con il-kttý ď fronte a una reaita rap- 3"***i4, presentata, senza mai cancellare la traccia deJJ'operazione ehe la verbalizžTín un testo. E tut tavia questa polarita tra oggetto e soggetto deiľeniinciazione narrativa confluisce nel ritmo del racconto, nel grande quadro sociale del Sei-cento ehe si associa alle avventure dei eine protagonisti co-stretti dalla minaccia della violenza ad abbandonare il proprio paese e che si ordina a sequenze alterne tra contado e cittä, da una parte nella >lera delle classi dominanti, dall'al-tra in quella cfei ceti popolu i. SuiTasse dtacronico di Lucia s'incontrano cost Gertrude, l'innominato, il cardinale Federigo, donna Prassede e don Ferrante; sul vettore di Renzo sfilano invece, a parte il vecchio Ferrer tra la folia in tumulto, gli uomini comuni della strada e della piazza, osti, avvocati, vagabondi, frati, mercanti, poliziotti, soldáti, artigiani, contadini in miseria, monatti. Aljracciato lemminile corrisponde, ove si ragioni secondo le categorie cjelle forme letterarie, unajorta di rac-CQPto neroj da quello maschile scaturisce un romanzo pica-rgüco, con i tratti di una biografia, di-uaa coscienza puoblT ca in formazione. Non per nulla^Rertzp viene chiamato, quando la storia sta ormai per finire, ilnostro viaggiato-•5^*11 suo destino di personaggio ě quello di camminare, di vedere dentro e soprattutto fuori di sé, secondo I'ottica cir-coscntta di un ingenuo reso esperto a sue spese dai casi siortunati che lo conducono senza colpa sino alle soglie della Prigione. Mentre iJ viaggio del filatore attraverso 1'immaginc 33 Una voce Milanese eumpea stratificata della societa Iombarda porta alio sc meccanismi assurdi di un sistema di potere v di p,'-^ che legittima solo ľanarchia dei violenti, la doppia narrativa dell'anonimo e del suo interprete modcrij compagna I'azione drammatica con un commento tantopj contenuto o paradossale. quanto piii laccrantc e severa vi deposita la consapevolezza del male, del peccato, Jn smi delle passionfTdei pregiudizi cristallizzati nel costumee nel linguaggio allorché la maschera del ruolo pubblico pren-de il sopravvento sul volto nudo e attonito della coscienza Paradigmatico a questo riguardo risulta 1'intervento nu-:, narrativo, nella scéna indiavolata delľincursione notturna f1 casa Ji don Abbondio, al culminé del parapiglia: «In mezzo a questo serra serra, non possíam laseiar di k un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitavadi notte in casa altrui, che vi s'era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutu ľapparenza ďun oppressore; eppure, alia fin de' fatti. era l'oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spa ventato, mentre attendeva tranquillamente a' fatti >uoi. ;parrebbe la vittima; eppure, in realtä, era lui che faceva un >sopruso. Cosi va spesso il mondo... voglio dire, cosi anda\-.nel secolo decimo settimo». ris0 A prima vista sembra che tutto si concluda in un sor rassicurante del senso comune, ma la sostanza ar-gornen va ddl'insieme ha la stessa asprezza dolente delJa pos " sulla «smania» di Renzo dopo lo scontro iniziale con u Y toco recalcitrante, evasivo: «1 provocatori, i sovcrchw tutu colore che, in quaJunque modo, fanno torto aim" "PTej, non solo del male che commettono, ma del pc. ^ LS55J¥8WLft5ui Portano gli animi degli offesi» ^ -írgUe Caphol° in capitolo, il dialogo del rrascrittjjrc c di «na n^gr^^^arro del autografe, si snoaa ^ devrrittr^ rr<--nte nella quale la certezza ,tlCi intor"o d 2™ Ín Prob,ema- in congettura diaJe ,oro *nv> ancora incompiuto. Il ŕatto e che 2j^*c£«tia c la pestedel 1630 si coSt£igg> Una voce Milanese europea sulla ten- sulla propria genesi e siilp£C_ líÔňčTŕa stoná e dlscorso, immagine e conoscenza, come non era ancora avvenuto nelle officine del romanzo curo-peo neppure Degli cspcrimenti sterniani di un Diderot, fermi sulla linea del Tristram Shandy a un umorismo dome-stico e privato. Il detto di Federico Schlegel, uno del profeti della poetica c dello humour romantici, secondo cui la.sce.na di un buon romanzo ě la lingua in cui viene scritto, trova nei Promesst Sposi una verifica tanto sorprendente quanto radi-cale. Postosi alia ricerca, tenace e ambiziosa, di una scrittu-ra narrativa che ľltalia non possedeva ancora, il Manzoni trasferisce genialmente nella prosa di una grande letteratura aristocratica la violenza affettiva del parlato, che per lui ě il dialetto milanese, quello franco e gioioso del Porta, tra-scritto in una lingua sperimentale di amalgáma toscana ma di fondo irriducibilmente lombardo, anche se la nuova in-tonazione unitaria non puô che velarne la schiettezza di motteggio, il quanto di energia. Senonché ciô che si perde nell'impasto della materia espressiva viene poi ricuperato e qualche volta raddoppiato dalla nuova spinta teatrale del personálu>. d.il!,i mu retorica di parYante che ně" Taiin fn-dividuo parteurel a"ún t^^poTdT uTi . momTco e dei supi miti elocutivi. La linfa segreta delľotali^idiomaj^cajntanto si ramifi-ca moltiplicandosi in unafoTla di Yig^ireedi voci quasi fos-sero frammenti di universi mcntali, microcosmi ideologici a confronto, magari in un gesto, in una semplice ma fulrni-nante battuta. Un processo continuo djjjialo^izzazione in-veste i registri narrativi, fa scattare al loro internola molla del grottesco, il senso comico dell'incongruo con le fanta-smagorie e Je invenzioni di una parola che si fa per se stessa teatro, solo che si presti orecchio alia malizia concertante della sua semantica a piu voci. Anche per questo il perso-naggio, prima ancora che un carattere, c una maichera ITn-Kuistica. T5asta ricordare la scena di Ken/., Azzeccagarbu- "jj. 15 doye di rronte aJ silenzio del comadino scambiato per ArrjV affWtiugi in una snazialná rhe ě il !ftntimfinfn^nm<'-srirf> HeH'annar-tenenza a unluogQ. Tra il sostrato milanese e il suo equiva-lente italiano, quasi sempře contorme ai lemmi del cherubíni, si genera un processo incessante di interazione o me-glio una bivocalitá omoloeaa queila che secondo il narratore regola il mutamento dagli «idiotismi lombardi» e dai «pe-riodi sgangherati» del vecehio manoseritto alla «dicitura» del těsto moderno. Viene quasi da concludere che nel «buon secentista» si oceulti ironicamente 1'alter ego milanese di un autore che deve pensare o provare in dialetto i suoi dialoghi romanzeschi per poter poi metterli in lingua con il calore nflesso di una veritá drammatica e tuttavia quotidiana. Dopo tutto, accade la stessa cosa anche al don Ahbondio del Fermo e Lucia, diviso, nel replicare al congedo evangelico 37 del Cardinale, fra un codice fisiognomico di convenient un irresistibile pensiero in dialetto: «Don Abbondio rispo ° con un sorriso forzato al quale voleva far dire: — certo* una gran consolazione —; ma in cuor suo fra sé e sé, rispoSc con una frase proverbiale lombarda: — meglio perderlo che trovarlo —». Per venire a un esempio, allorché aH'osteriq delja, |np, piena un avventore spiega laj forza inattaccabile della propria storia individuale, a mag-gior ragione la moralitä che invoca a suo fondanu n:« scendenza viene a calarsi nel campo di forze ^y,'inj^s}em-litico e sociale che la smentisee o la deforma, nella k"' enologia intricata dei rVporh"'umanl'T'delle loro molu'-Üci pulsioni travestite. Nonostante il fervore consapevolmente e istintivarnentc; apologetico dei personaggi, la «promissio inquieta» di cl" essi sono testimoni non rimuove, anzi aeuisee le tensiom. <-contraddizioni, le crisi della coscienza, soprattutto quain^ s^identificano retrospettivamente con quelle del narratorc e dell'autore che gli sta dietro: il quäle poi e un razionalis1'1 convertito di vibratile tempra agostiniana e pascaliana. co" lo stesso problema affrontato nella Morale cattolica dj ''' vendicare anche al cattolicesimo una parte positiva neU'el!j ca civile di un paese moderno proprio mentre ha iniz>° 1 processo postrivoluzionario della secolarizzazione. Seno'.Y ehe, nella sua intransigenza metafisica, Pascal aveva g|J ammonuo che la forza senza la giustizia e iniqua, la gh»'1-senza la torza e impotente. A questo punto diventa azz^r-data per i Promessi Sposi la formula cattivante di rotnanz" 40 t Ua voce milanese europea dclla Provvidenza, anche se Leibniz designava quasi negli stessi termini il mondo della storia, e sembra piu prudente parlare di romanzo della speranza e della ricerca della giustizia nella libertä paziente del cuore dentro il "turbine" della guerra, della carestia, della peste, in un universo di se-gni non meno enigmatici che sinistra. Di Iii Ja i lom oriz-zonti giustapposti quello che unisce il narratore e i suoi an-tieroi in cammino ě l'attesa di riconoscere nel segno una 4 traccia, l'epifania di un significato anteriore all'ambiguitä sopraiiatirlce dél mate. In'ultima analisi ľordine che la scrittura nanativa jvr-segue nel suo complicato strutturarsi, nel suo «qndjjMvieni» e nel suo ^g4^a^^bujjiiüÄ4due parole, queste^con t rati' hei lessico manzoniano), ě insieme ľordine precario, il senso ottativo ehe i due protagonisti analfabeti di un nuovo Bil-dungsroman domestico tentano di ritrovare nel corso delle loro avventure lungo le strade di Lombardia. E senza dub-bio questa Lojjibaxdia rappresenta anche una metafora del mondo, un "teatrq" dell'esistenzajjjajto appunto di «lut-tuose TraüaediecTlwrojjL e bceuc di malvaggita araiulios-.i. cóTTtnfeTmězži cPlmprese virtuose e buont-ä angeliche, op-pÔSté alle bperationi diaboliche>>,.dove la veritä e la satira, il passaťó''?TiTpTeserite7sicompongono in una figura dialettica insidiosamente interrogativa, sino ad adombrare, a fram-menti, l'autobiografia di un ego piu profondo, che pure vuole restare fuori dal testo. L'infanzia di Gertrude, s'in-tuisce, traspone al femminile gli affetti delusi di una storia gelosamente personale di fine Settecento, sugli stessi sen-tieri tortuosi di Rousseau o Alfieri. Ma la voce ehe filtra e controUa le voci del racconto usa in modo abilissimo l'arte difensiva della reticenza e della litote, dissimulando gli scatti fulminei, frenando l'ansia analitica, spezzando il re-spiro teso della frase, convertendo persino le antitesi e le nevrosi in sigle affabili della discrezione, in moduli signorili del cosiddetto "understatement". Chi si avvede, dinanzi a un «colui che saremo costretti a chiamare l'innominato», che il predicativo prodotto dal verbo nega proprio ľatto della nominazione e che l'ossimoro corrispondente ha una energia non inferiore a quella del «Nessuno» escogitato dal- 41 mt!«nese europea / :'ato •Hicu t also, la real tá c-—, w iaiio e la sua "frangia", vale a dire la íabuIazionTňT manzesca delia chiacehiera, della fitta, minuta comunicí zione di ogni giorno. AI pari di «un nanettino a cui veniss la vita dallo staré abbracciato ad un gigante», secondo la stupefacente "c'aricatura" attribuita al Manzoni nei dialo-ghi filosofici delle Strestané, il linguaggio non puö mai uscirc dalla propria deformazione, gli si deve credere soli a:.; fidandone, con la consapevolezza del proprio orizz^n flftito . Cosi, mentre il romanzo verifica ľordine "BéHaTstoria" ehe i suoi protagonisti possono inten come il "filo" benefir^ -,-n ^.w&^m aei proprio orizzonu-v-osi, mentre il romanzo verifica ľordine Ji Bella storia'' ehe i suoi protagonisti possono interpretare come il "filo" benefico della Provvidenza o la «scopa» di Don Abbondio, colui che racconta non rivendica per sé un punto di vista assoluto, che esigerebbe, a voler ripeterc le parole stringenti della Morale cattolica, «la cognizione pro; etica di tutti gli effetti delle azioni, la cognizione di tut» > loro rapporti colľordine generale». Gli ě concessa invea un ipotesi prospettica, un movimento ermeneutico entro i"1 paesaggio umano a distanza variabile, alio stesso modo " cui 1 occhio narrativo percorre in piú sensi, a «prosp^1" successivi, il «luogo» fra «strade e stradette» della pn"ld \ inlausta passeggiata di don Abbondio. II racconto insomm-ha le sue stradě, i suoi orizzonti mobili ma circoseritti. , Bisogna poi aggiungere che in questa esploraziont* ^ molteplice il romanzo sperimenta su se stesso il parádo*. moderno e galileiano della serittura romanzesca, il suo f*r negandosi e decentrandosi in un contesto sempře inco"1 pluto. D altro canto, non puö essere certamente casuale cn I™ cl«sione" d ei Pronesši Sposi, dentro la cornice co'. vcnzionale sino alia banalita di un lieto fine borghese, V'1 42 Una voce milanese eurof/ea dal narratore ai due protagonisti e ai loro dialoghi nativa-mente socratici, soprattutto dalla parte di Lucia, intorno ai «guai» del vivere, ossia al senso della sofferenza e ai destine, I alia tehcita dell uomo. II «sugo cli tutta la storia» sconfigge il morahsmo catechistico e senza problemi di Renzo, dialo-gizza unvero ehe deve ancora svelarsi, una «h'ducia» ritro-vata nella comunione totale degli affetti ma sempře, per dirla con Gadda, in mandato provvisorio. Insieme con il benessere e ľintegrazione sociále dei nuovi proprietari in un «paese» straniero si riaffaccia l'idillio, ma per essere subito messo fuori gioco dalľironia relazionante della coscienza (quella che a carte scoperte, nel Fermo e Lucia, faceva in-tervenire «la fortuna — non osiamo dire la provvidenza — la fortuna che voleva favorirli in tutto, come uno serittore che voglia terminare lietamente una storia inventata per ozio»...). Intanto, sul proscenio ufficiale del congedo romanzesco, ormai fuori dalle quinte della fabula barocca, ecco farsi avanti il «secentista» e il suo trii serittore romantico (inaJ-mente a fiančo ľuno deíľaltro, a chiudere 1'invenzione «di tu lia la storia» con il «noi» duále di <«čhí ľ ha scriita-e di cbi lha raccomodata». Di fronte a loro, nelTo statuto scoperto delia b^ivocjUitájQ^rra|iva^ si pone dialogicamente il lettore che deve mettersi a sua volta a «dibattere», a «cercare»_e soprattutto ad ascoltare di nuovo íl racčlmto delk- «avven-tiire» di Renzo senza, se puó, annoiarsi. L'ironia socratica deťřómanzo, del resto, ave\-a «ia alťidato a don Ahhondio. in uno degli ultimi colloqui con 1'erede di don Rodrigo, l'e-logio delľoralitä narrativa, accreditandola agli stessi protagonisti della storia, e in primo luogo, si capisce, al suo piii diretto interessato: «Se vossignoria vuol prendersi il divertimento di sentir questa povera gente ragionar su alia carlo-na poträ fargli raccontar la storia a lui, e sentirä». E poiche don Abbondio ě un esperto della lingua parlata, .1 piu dia-lettale anzi di tutti i personaggi dei Promesst Spost alla stre-gua di un Sancio Panza o di un Falstaff, il suo g.udizio ha un valore precise se non addirittura programmatico, quasi da assioma di un manifesto mascherato. Forse allora il senso del romanzo consiste anche nel di- 43 VOCemi^eeuropea pimento di «°nffi ancora u™ Polifonia d a!/ -a carlona» dei proj voci, di figure sintattico-mi;;. calde di pathos quotidrano e di r immatica, vive sino al grottesco. Spartendo il \y due amichevolmente, come voleva il Tristram Shandy, su poi al lettore di costruire su quello del narratore c J,, partita romanzesca il divertimento promesso da e1, bondio. Occorre solo la spregiudicatezza, la -bale del vecchio, inarrivabile Darr^ lia sua "lie P^ocoman2o;vttivit: Capitolo quarto Ironia polifonica Come sapevano bene i moralisti del Seicento, al pari delia d^ssjpyjlazimTe 1'jronia. ě piena di intoppi, e in qualche caso di trappoienascoste. In uno studio recente sull'ironia, di gusto paradossale e festosamente arrembante, si cita piu volte un luogo del capitolo primo dei Promessi Sposi, al centro del paesaggio d'a-pertura, per offrire un campione, ě detto, di ironia tirata a lucido, con tutte le carte in regola, senza nessun margine di equivoco: un'ironia di primo grado, concepita per un pub-blico mentalmente pigro a cui bisogna presentare modelli ironici di tipo elementare, nella forma accessibile dell'anti-frasi. Non resta altro allora che ritornare al romanzo, all'e-videhza del suo frammento descrittivo, giä gremito di figure umane: «Ai tempi in cui accaddero i fatti cheprendiamo a MKontare^quel borgo, giä considerable, era ahch^Mjn ca-stello, e aveva perció I'onore d'alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigion/ di soldáti spagnoli, rhg_in Viyrííncato. Quello delia frase S'» e D sťesso Vřgrfifícato. Qt che aU'AImansi sembra di scarso mordente riproduce, non vi é dubbio, l'orizzonte ideoJogico del soggetto, cioé della cjasse dominante, usa a travestire i gesti della violenza nel decoro isTTt uz Ion a liz/a t c > delľeutemismd, dell 'ironia íiduí- f] Kva a proprio discaricö. In senso generale, insegnava il Du-marsais dei Tropes, un testo canonico non solo per la Francia, «l'euphemisme est une figúre par Jaquclle on déguise des idées désagréables, odieuses, ou tristes, sous des noms qui ne sont point les noms propres de ces idées: ils leur ser-vent comme de voile, et ils en experiment en aparence de plus agréables, de moins choquantes, ou de plus honétes Selon le besoin...». Nella retorica applicata dei ProwessiSposi, . allorché Renzo viene condotto in prigione dal notaio, dopo <'*P-la notte ali'osteria, nel capitolo XV. l'«eufemismo» per cui gli «ordigni» per «martirizzare un ricalcitrante» divengono «manichini» é invece una «figura ipoerita». Ii la prospettiva dell'oppresso, condivisa di fatto anche dal narratore, da ri- 47 Irónia polifonica }|evo per ľappunto, nello scontro tr I ceuprivifegiatl alľi.ncrno deľ ^.1° * ľ '■""V „jx.a auuirlttura quello dei n ceti pnvilegiati all'interno del romanzo, risulu, mano a mane che si displega la partitura dialo i !' trama narrativa. Don Rodrigo all'ingresso di fra (,: 21 > nella sala del convito, al capitolo V, esclama fra il «riso»i presenti: «non sarä mai vero che un cappuccino vadaviad questa casa, senza aver gustato del mio vino, ne un crei tore insolente, senza aver assaggiate le legna de' mieirc-schi», e nel congedarlo, dopo l'alterco del capitolo VI. -di nuovo, ma con tutt'altra voce: «...ringrazia il saiock. copre codeste spalle di mascalzone e ti salva dalle carezze che si fanno a' tuoi pari per insegnar loro a parlare». Alle stesso modo, licenziando-UGriso alia vigilia dell'incursior.: notturna, nel capitoldQ/IIoil suo padrone gli raccoi quasi confidenziale: «... se per caso, quel tanghero temera-rio vi desse nell'unghie questa sera, non sarä male che sia dato anticipatamente un buon ricordo sulle spalle». Nor. e da meno, anche se con una vena piu beffarda, il >-'0,w Attilio, il cugino di cittä, il quale da una parte, prenies*1 che «bisogna saper raddoppiare a tempo le gentilezze a to il corpo, e allora si pub impunemente dare un carico ^ bastonate a un membro», ripete nel capitolo XI, tra nia 1 • e senso d'onore: «Lo prendo io sotto la mia protezio"«--voglio aver la consolazione d'insegnargli come si P^V.j. pari nostri», e dall'altra, nel colloquio col conte zio de -pitolo XVIII, dichiara con la mano al petto, minimizzai^ «... che don Rodrigo possa aver fatto qualche scher'-1 quella creatura, incontrandola per la strada, non sarei ^ tano dal crederlo: e giovine, e finalmente non e capp1"-^ ma queste son bazzecole...». Come si vede bene, nel ^ segmento narrativo del capitolo I risuonano gia l^Ei5,1^ ] ypci di alcuni personaggi per cosi dire «potenti». che i ratori t rast en see nello -p.i/.io del proprio JUmMXS» Ver 1 plicame I'intcnzioiie scmaiuica e il punto di vista, il n1'' ideologico che vi corrisponde. La sua ironia sta propr>° ^ irascrivere in un hüövo regjisjtra, quello pluriprospeUi^£_, Ion-cino; •eve 0 48 , 4 o -> .v- Ironm poltfonica „To oßgcttivato dal la WSSUWí»a^^ in Ta mimesi in una controvoce cht ' ,Vľ,ľ"Í é budiča .e ,tc>;a attravcrsoll soggetto cnato ata/ione Uic u „arratore esplicito dl S, puo "Hon dne u n H - nhah, COI1 ,| suo Si puo allora dire con Bacntin enc u n...., «insegnavan la modestia» presentatosi alia ribalta con il suo «prendiamo a raecontare», si serve di parole giä abitate da intenzIonTaltrui e le costringe a servire alle proprle, in rap- , porto al sisterha di forze 9ella nuova struttura romanzesca. '] Cosi anche la sua parola diventa quella che Bachtin chiama^ un'enunciazione/tMvoca) un processo dialogico interno a up concertato pluridlscorsivo e alle sue tigure ibride o sovrap^ poste. Vero e che nei Promessi Sposi anche i personaggi, non meno del narratore quando si da un volto sintattico, speri-mentano in proprio i fenomeni della dialogicitä e consape-voli della propria parte, nella «scala del mondo», sono i re-gisti, mentre parlano, di una retorica polifonica, capace di estri e invenzioni all'interno del loro stesso orizzonte Iin-guistico. La voce narrativa poi ne registra e ne orchestra il movimento drammatico. Per convincersene subito, convie-ne ricorrere di nuovo a don Rodrigo e ai suoi colloqui con il Griso tra i capitoli VII e XT. Present a to come «il capo de' bravi», «il fidatissimo del padrone, l'uomo tutto suo, per gratitudine e per interesse», in un'ottica, dunque, che ri-produce quella dell'interlocutore, fino a quando non la smentisce la distanza giudicante di «que due fastidiosi ri-baldi», il Griso, alia fine del «Parlamentäre», risponde agli ordini che riceve «inchinandosi, con un atto d'ossequio e di millanteria»: «Lasci fare a me». Poi piü avanti, a spedizione ormai in corso lo si vede travestirsi, mettere «in testa un cappellaccio, sulle spalle un sanrocchino di tela incerata, sparso di conchiglie» e prendere «un bordone da pellegri-no». Al ritorno dall'«invasione» andata a vuoto nella casa di Lucia, i due momenti si ripetono, ma con un ordine capo-volto e girando la parola a don Rodrigo, fermo «in cima alia scala», quasi a rendere visibile lo spazio verticale del potere. Da una parte si ha cosi la svestizione silenziosa del Griso («posö in un angolo d'una stanza terrena il suo bordone, 49 at. "|,U ,1?ni,,,nl«.ncll„s„,l,II,,|r . V-i.,,,,,, J unprcsc nucsanc su, addm.tuia quell,, ,K , '"<; ccti priyilcgiati .ill interno del roman/,., i isnli., ľ,„,; man.. .1 manu che si displcga la p.utiim.i Jul,,,,,' ( : trama narrativa. Don Rodrigo, all'ingresso di ŕra Gisu.h učila sala delconvito, al capitolo V, eselama Íra il «riso»ľk-i ptesenti: «11011 saríi mai vero ehe un cappuccino v.ul.i questa casa, senza aver gustato del mio vino, né un cieli lore insolente, senza aver assaggiate le legna de' mici ho-sein-, e nel congcdarlo. dopo I'alterco del capitolo VI, grida di QUOVO, ma con tutt'altra voce: «...ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di mascalzone e ti salva dalle carezze che si fanno tuoi pari per insegnar loro a parlare». Alio stesso modo, licenziando-iLGriso alla vigilia dell'incursione notturna. nel eapitolc(VlI^l suo padrone gli raecomanda. quasi eonfidenziale: «... se per caso, quel tanghero temera-rio vi desse nell'unghie questa sera, non sarä male che gn sia dato anticipatamente un buon ricordo sulle spalle». Non ě da meno, anche se con una vena piü beffarda, d contc Attilio, il cugino di cittä, il quale da una parte, premesso che «bisogna saper raddoppiare a tempo le gentilezze a tu^ to il corpo, e allora si puö impunemente dare un ca^zij bastonate a un membro», ripete nel capitolo XI, ""a j" , e senso d'onore: «cLo prendo io sotto la mia Protez*°k ',0 voglio aver la consolazione d'insegnargli come si pa*^ ^ pari nostri», e dalľaltra, nel colloquio col contezl? jo: pitolo XVIII, dichiara con la mano al petto, m'nim'f\n0 a «... che don Rodrigo possa aver fatto qualche s ^ quella creatura, incontrandola per la strada, non -no; tano dal crederlo: é giovine, e finalmente non e capp^ ^e ma queste son bazzecole...». Come si vede bene, , segmcnto narrativo del capitolo I risuonano gia trffl^tf- *gg*og»co che vi corrisponde. La sua irónia sta P'^ de\ tr*amteu '--yiitm. QueUo_^rlPrg!g---^' l"»iu pobfrmict loiii.inzo, riioiii.i aiiiilraiti glO Oggl-IIIVillo ( irasformando la 1 ci t azionTTfiyffiT? dale. SI puo allora dire eon Bachtin ehe " «in^-un-iv-it, lo nwL.»: "~" narratore esplicito cli «msegnavan la modest.a» presentatosi alla ribalta con il suo gíä äíItäTe-a*ä/ cpncerTälo plu.idis«^c alJe sucTiguWWol^J^ Vero ě che nei Promessi Sposi anche i personaggi, non meno del narratore quando si dá un volto sintattico, speri-mentano in proprio i fenoméni della dialogická e consape-voli della propria parte, nelJa «scala del mondo», sono i re-gisti, mentre parlano, di una retorica polifonica, capace di estri e invenzioni all'interno del loro stesso orizzonte lin-guistico. La voce narrativa poi ne registra e ne orchestra il movimento drammatico. Per convincersene subito, convie-ne ricorrere di nuovo a don Rodrigo e ai suoi colloqui con il j> - ' Griso tra i capitoli VII e XI. ľresentato eome «il capo de' bravi», «il fidatissimo del padrone, ľuomo lutto suo, per — gratitudine e per interesse», in un'ottica, dunque, che ri-produce quella delľinterlocutore, fino a quando non la smentisce la distanza giudicante di «que due řastidiosi ri-baldi», il Griso, alia fine del «Parlamentäre», risponde agli ordini che riceve «inchinandosi, con un atto ďossequio e di millanteria»: «Lasci fare a me». Poi piii avanti, a spedizione ormai in corso lo si vede travestirsi, mettere «in testa un cappellaccio, sulle spalle un sanrocchino di tela incerata. sparso di conchiglie» e prendere «un bordone da pellegn-no». Al ritorno dall'«invasione» andata a vuoto nella casa d. Lucia, i due momenti si ripetono, ma con un ordine capo-volto e girando la parola a don Rodrigo, fermo «m ama alla scala», quasi a rendere visibile lo spazio verticale del potere. Da una parte si ha cosi la svestizione s.lenz.osa del Griso / > • i J\,n