ALESSANDRO MANZONI FERMO E LUCIA Saggio introduttivo, revisione del těsto critico e commcnto a eura di Salvátore Silvano Nigro Collaborazione di Ermanno Paeeagnini per la «Appendicc Storica su la Colonna Inr'ame» Amoldo Mondadori Editore Virtno 11 ii< ta /, vil 145 s UK ontravano, e colloquj brevi c I list i sulla scarscxxa Je] ricolto c sullc svcnture cli qudľanno tristissimo. I rattanto, si udiva il tocco misurato e solenne delia squUla che annunziava La line delia giornata. ()uand() ľ'ernio vide che i dne indisereti serano n- 4<> tirati, continuo la sna strada ha le tenebre ereseenti, ľipelendo a bassa voce ai Iľatelli gli avvertimenti sul modo di condurre a buon termine ľirnpresa. Quando giunsero alia casetta di I /učia, era notte fatta, ľra il primo concetto di una iinpresa terribile e so ľadempimento, ha detto tin barbaro che non era pri-vo ďingcgno, ľintervallo ě un sogno pieno di fanta-smi, e di paure. I ,a povera I aicia era da molte ore nel-le angosce di questo sogno: Agnese, la stessa Agnese cosi risoluta, e disposia alľoperare, era sopra pensic-ľo, e trovava a stento le parole per rincorare la pove-i'etta. Ma al momento in cui ľazione comincia, e ľa-nimo ehe lino allora tollerava i pensieri ehe gli passavano sopra, cacciandosi a vicenda e tornando, ě costretto a comandarc una risolu/ione e a dirigere le azioní del corpo, allora egli si trova tutto traslormato: ;>l terrore e al coraggio ehe lo agitavano succede un altro terrore, e un altro coraggio: ľirnpresa si attaccia alia tnente come una appari/ione nuova, inaspettata, s> BCOprono me//i e ostacoli non pensati: ciô ehe sem-braVfl piü difficile si trova talvolta fattO quasi da se, I imniaginazione si lénna spaventata, le nieinbra nie 8M1Q il loio uficio ad un passo ehe era sembrato il pi í i a^cvole: il cuore inanea alle proinesse che aveva fatte ron pin sicurezza. I in matrimonio clandestine era per ',,u"ia /arella quelle ehe ľuccisione di un dittatore Marco Bruto. Quando s'intese bussare sommes ""'^•nte alia porta, Lucia In presa da tanto terrore, ( u> risolvette in quel momento di soffrire ogni cosa, 4806 Ezio Raimondi La dissimulazione romanzesca Antropologia manzoniana lil - il Mulino Saggi Capitolo settimo Mangiare e parlare Tra gli «sfaccendati» in cerca di «notizie» che Renzo, fuggito da Milano, ascolta avidamente «senza che paresse suo fatto» all'osteria di Gorgonzola mentre mangia «con grand'appetito», ce n'e uno che dopo aver aperto la discus-sione in forma positiva ma prudente («questa volta par pro-prio che i milanesi abbian voluto far davvero. Basta; doma-ni al piú tardi si saprá qualcosa») soggiunge, forte della sua esperienza contadina: «Quel che vorrei sapere ě se que'si-gnori di Milano penseranno anche alia povera gente di campagna, o se faranno far la legge buona solamente per lore Sapete come sono eh? Cittadini superbi, tutto per loro; gli altri, come se non ci fossero». Gli si affianca subito «un altro», anche lui senza nome e senza volto, ma la sua «frase» si ferma a metá. In compenso, e non a caso, una didascalia narrativa ne descrive la «voce tanto piii modesta, quanto pin la proposizione era avanzata». Ed ecco, appunto, cio che egli comincia a dire prima di ^utp^n^urarsi_con la dop-pia figura della reticenza e della ellissh «La^occa l'abbiamo anche noi, sia per mangiare, sia per eur la nostra ragione, e quando la cosa sia incamminata...>>. Uccorre íntanto notare che nella scena corrispondente del Pernio e Lucia non compare ancora l'afprisma sul duplice uso della bocca, cosi come manca la replica di un nuovo in-terlocutore dall'«aria cupa e maliziosa», che suona quasi simile a una minaccia («del grano nascosto non ce n'e solamente in Milano»), mentre il dialogo a quattro voci viene interrotto dall'arrivo del «mercante» sul proposito tutto ipotetico del «se vai domani, vengo anch'io». Quest'ultima battuta, che poi compone un duetto, risulta invece spostata nella nuova stesura dei Promessi Sposi al centro dei commend dei «parlatori», tra la sentenza sui «cittadini superbi» e l'intervento iniziale intorno al «far davvero», abbreviato, 121 Mangiarr e parlare per altro, rispetto all'archetipo ddFermo e Lucia e 9i, orchestrazione pittoresca, irresistibilmente idiorrJj Sua basta poi trascrivere la versione piü antica per E conto che Ia parte soppressa contiene Ja celJuJa eener • Jella diciiiarazfone sospesa, affidata ad un aUrlT^r^ coro hnalTHell'osteria: «Eh! eh! i miJanesi non Son & • uomini di stoppa: e non la finiranno prima che sia Joro ragione davvero». Ma quando il «dir Ja nostra ragione/1 tra neJJ'enunciato deJ moraiista anonimo, dentro Ja rriacch na ingegnosa deJ montaggio romanzesco, Ja formuJa si p0T! dietro un campo semantico vivo e polemkarnent^ anim^3 che irrompe sin daJ primo capitoJo neJ diverbio di Perpetua con don Abbondio («E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti e farsi stimare, gJi si porta rispetto; e, ap-punto perche Jei non vuoJ mai dir Ja sua ragione rj. dotti a segno che tutti vengono, con Jicenza, a ...») e poi si sviJuppa soprattutto neJ parlato di Renzof da IIa Variante, neJ cpIJoquio con il dottor Azzeccagarbugli, «vengo da Iei per sapere come ho da fare per ottener giustizia» aJJa ripre-sa, in casa di Lucia, di «in ogni caso, saprö farmi ragione, o farmeia fare» e infine ai sintagmi fiduciosi deJJ'aJJocuzione a MiJano, con Ja serie «sentir Je ragioni, mi facesse render giustizia, ci metterä un buon rimedio, un buon processo addosso, ci saremo anche noi a dare una mano, ordinäre a dottori che stiano a sentire i poveri e parJino in difesa della ragione». In uJtima anaJisi, quasi a ricapitoJare un tema profondo deJJa storia di Renzo, anche J'ignoto paesano di GorgonzoJa parJa deJJa ginstjzj[a affermando iJ prineipiodi un diritto comune a tutti gli uomini come I'altro quotidiano del «mangiare». E Ie sue parole vanno cosi pereepite attra-verso Ja siera acu&tica_e .emotiva di Renzo, avvaJorate ma insieme messe in dubbio daUe sue disavventureJx^^1' tuomo inerme. Se si deve anzi stare aJ gioco deJJe simmetrie o deUe corrispondenze di cui i Promessi Sposi söno COa\ sttdiosf mente tertili, iJ binomio «mangiare e parlare" dire le pro£g5 ragioni», invocato daJJ'avventore dellosteria, riproduce in tondo iJ «pan.e,e, pjftyJTJfl» con cui iJ suo ascoJtatore aggiu" to era nuscitö a UberVrsVdal «notaio» e dai «birri» («figilU°' 122 |)( ,„, fifťtintttt in prij/ion* , yt'\,''- i'-ri ho y(i'\'dV>: pane e .n,nt'f/,i» »h" ^,M" nulla,,,*), e vienc come a §fiepäiöf a '(I(m-jm^'' ' v,,/ fondawnto antropologito f/elemento kív" 'livi'fi'' of a la 'jbf/itaA. villa fakaríga di »in para-dl gn*to tnuti'11'o haro'' o do;, addirittura dÍMjn //t/íí-H/ ff// rMJo «vpartUo manzoniano di un rornanzo che k« mv"mMo, I» "fcHotica», *í »a, é »etnpfe in agguato. ř ettnc * fw in fe*to fomanzeíco e tutto barocco come íl J / ,,/„ /í// 'li l',al» a<;ar (itM tím : w,",-.'-:-a proprio rv:l "div or, o J ri.,n<,/, ď-ÍÍí» ' "p;"»' j'firri'a//, Bow si vuole dare 'dajxjorale / -luafornfa d'-iriíorno//, un para^rafo íntomo allžř^noccT^ in vS<£<*f ,jnanto '<>M\ÚMf, del ''tnatiflurc» c del «panfäc». ŇořTfesta í itarn'* 1 rUratfo, unla vr,íone ítalíana uscíta a Vene-zía ř»í'ULZá2i-/'0'«*llo cb'fo non fínísco ďíntendere, disse Arclfhío, '• a qua) fine 1« i a natura 'im entro una ste-^a ,,ffi< ina il mangíare c íl parlarc; che ha che fare un esercizio //Jl'ailro, una o" upazione víle comune anche aí brutí, Palná ,iií;lířř»'' e propria <• v/la degjj nomim? anzí che quíndi ittvtty/ttut hu onvníent.i norabíli, íl přímo che la lingua parli ji přopoťrfom del »apore che gusta, ora dolce, ora amaro, ;im' o pír < »rite, r ,oda uniforme alia materia del cibo, ora lodi, ora bía»ma, ora íntoppa, ora equívoca, ora volgare ed Ofl prolila, non řora mcglío ch'essa fosse sola Poracolo 'Mio spirito? I, í urío',a la diffir oha, rjj--.se Critilo, e quasi mi 'lj»í or/a>.iorie di far v/pra di ' io qualche ponderazione. Ma " ^ genza organica del corpo, in un tempoTŠTBad^ dl c*1-Q & in cui la «fame», secondo ľannuncio calato nel Paesä^ini a miseria del capitolo IV, «aveva insegnato» agji u° ^ $ «vivere» con «qualche erba» strappata al pasco o S ria c una bestia «stecchita». II paradosso barocco delia ^ dello spirito, la «simmetria» a cui allude Grf!? ^tur* dunque capovolto, rimodellato sul metroJisico^e_^^ m quanto lo investe ľidea illuministica c,eJ,ar^Hc^í jjgj^TCiTirera forse scritto DidéTôTcné<> Centrat nismo travestito in un codice bivocale las**^ ^ Un poi al lettore di completarne 1'appelJo e di^T ^o^0' prio orizzonte moderno, che la parola quanta^ !*C all esigenza della giustizia del «rendere rapj^n P SI uniSce rimanda al contesto yiventcf di una g^rtf>rni jjj >>? tanto piu finita di un corpo e al suo rapporto, sempre d^*^2* con Puniverso chiusó,^elfa «forza» I] paracii» ramril-tic?, viene alia fine razíonaíizzato. ritradotto nella ^aroc^ sorabile del vero. orica ine- Ma a proposito di linguaggio e di metamorfosi d II materia verbale conviene far ritorno un'altra volta a C cián. Tra le allegorie e i grotteschi satirici del Critkón nd viaggio che compiono verso I'isola della Immortalitá, i'due eroi pellegrini, Andrenio e Critilo, debbono anche affron-tare, come narra e dichiara il «discorso settimo» della «parte prima», il «fonte deH'Inganni» con i suoi «mostri» e le sue «botteghe». Qui, attraverso la «strada dell'Ipocrisia, del-1'Ostentazione e deH'Artifizio», essi giungono a una grande piazza e sono spettatori di strani giochi di prestigio in una fiera rumorosa e affollata. Ció che li colpisce soprattuttoe un saltimbanco, un maestro dell'illusione, che alia fine si scopre avere il volto e Pidentitá del Machiavelli. Per la ve-rifica testuale si puó seguire di nuovo la versione itaJia"a^j ^Settecento: «Era divenuta la piazza un grande c°nú^-m i'volgo, sciame di mosche nel posarsi ed a!sentarS1£"^eiico . J mondizia de' costumi, ingrassando nel fracidume e a ^ ****\\ nell'infistolire le piaghe morali; ad un si vile quali in alto uno di sembiante piu sfacciato che aut|°re „tissin10 sogliono essere i salimbanchi; era questi un e oqi c^milKio ingannatore, quale dopo un meditato preambo o,^ .^c^. a-far prestigi notabili e mirabili sottigliezze, ten n0td. tata quell'innumerabile moltitudine. Tra I aitr ^ ^ ^ bili facevagli aprir la bocca, assicurandogh c^endol« posto cose dolci ed inzuccherate, ed essi n ^ QlTi ^ ceagli indi buttar fuori di esse cose schifosiss^ ^ ^ immondezze, con loro grandissima nausea ^^giass* stanti. Lo stesso ciarlatano sembrava che 126 Mangiare e parlare quantitä di bombace bianchissimo e fino, e ad un tratto aprendo la bocca, esalava da essa un denso fummo ed indi fuoco, accrescendone sempre le vampe, in modo tale ch« rief«* atterriva i circostanti. Mangiava una volta carta, e poscia- £ -^#áx> oittava dalla bocca nastri Junghi di seta ed altri con oro", jľ,0 tutto era destrezza ed apparenza, conforme suol fare simiT ' £ gente. Gusto assai Andrenio di quello vedeva, e cominciö ad encomiarlo. Basta, dire Critilo, che tu ľappaghi anche delle burle, non distinguendo il f also dal vero. Che pensi tu j^ac&& sia quel solenne ingannatore? Questo ě un falso politico no-mato il Macchiavelli, che pretende dar a credere agli idioti i suoi falsi aforismi, non vedi com'essi se gli inghiottono, pa-rendogli assai plausibili e veritieri, ehe ben ponderati non sono altro ehe una confettata immondizia di vizi, di peceati, di ragione piü di stalla che di Stato? pare ehe tenga la can-didezza ne' labbri, la puritä nella lingua, e vomita fuoco infernale che abbrucia i costumi, incendia le repubbliche. Quelle che sembrano einte di seta sono i politici dogmi co' quali lega le mani alia Virtü e le discioglie al Vizio; la carta ch'ei mastica ě il libro che pubblica, tutto falsitä ed apparenza, con cui tanti eredendo addottrinarsi restano ignoranti ed ingannati. Credimi ehe qui tutto ě inganno ..^fej Puó darsi benissimo ehe sia un caso, ma anche nei Pro- ^ messt Sposi, con un supplemento figurativo rispetto al Fermo , e Lucia y f a la sua apparizione un «gipeator di bussolotti», un imbroglione insomma come il «gtugador de busserott» del milänese, e nello sguardo stujntô di Renzo, nella sua memoria di montanaro uso alle fiere di paese, egli s'identifica cqn Azzeccagarbu^li mentre il «dottore» predka, piü ehe mai «malizioso e cinico», che «a saper ben maneggiare le gr^? ngssuno e reo, e nessuno e innocente». L'occhio del narratore norTsi"distingue piü da quello del personaggio: «... Renzo lo stava guardando con un'attenzione estatica, come un materialone sta sulla piazza guardando al giocator di bussolotti, che, dopo essersi cacciata in bocca stoppa e stoppa e stoppa, ne cava nastro e nastro e nastro, che non frnisce mai». Poi, quando il postulante s'aecorge delľequi-voco del notaio e interrompe la sua esibizione legale per av-vertirlo che ě «tutto al rovescio», il piano delľimmaginario 127 Mangiare e parlare si fonde con quello della fattualitá oeeetf comparazione, per dirla in termini tecni *' 11 VeicoIo a , proprio tenore. «Quand'ebbe pero caPito h J riv«* m tore volesse dire, e quale equivoco avesse or" > il d ľ nastro in bocca ...». Con un grottesco depno^^^o I uno scorcio velocissimo, quasi da prestigiato^°^ in řalsa si materializza, si reifica nella sua cifr a- par°la negative Nello stesso tempo la funzione alleeor Cmblenia < profondo del reále, si trasferisqean^ j1 Senso di torza, al codice invisibiie delle ferj^nie e deľ* ciali^alla duplicita del vero coinyolto nella dialenica d^l°" yo e padrone. "~ ' SUer- quésto punto diviene quasi inutile chiedersi se ' debba aggregare il Cúticón al «dossier» delle letture strati-ficate segretamente nel těsto plurimo dei ProtnemfpôšľTn un romanzo costruito sulľipotesi del palinsesto e della «rct-torica discreta,^TIne; di buon gusto»J la serittura metre in-/ sieme materiali autentici e materiali fittizi, inventando i propri modelli, costruendo, se occorre, nuove iperstilizza-9 zioni ďordine ipotestuale, sino alle anamorfosijjejlaj)^ • dia. Ma il confronto con la prosa splendida e cupa di Gra-daň dimostra una volta di piú la genialita manzoniana nel rifarsi ai fantasmi della rnltnra baroce^ neJllntegraxn^ forza ďinvenzione e di mimesi polifonica gh JP1^1 potenziali, néTcontinuare la sua esplorazipne del par.-^ edJlabirintodel Iinguaggio entro il teatro ^otf^rse, storia,. do ve si affrontano, con maschere semP cc0 non f^rc e ľapparire, h yrriín " Ifl mW20***** \^mS^ del serve cosi a una archeológia regressiva, ad u ^ Scott, passato come accade negli affreschi verbali a efAoff ma diviene una metonimia del moderno, un .£0jjj$> blemähco dello sqúffibric) tra lagarola e la c » del dia del sospetto su^ trlspTenza pe^uta o enigm ^.{ logoTrTiTTuomini, quando la carne viene ^ giuSy rio rimosso o deviato. E tuttavia la mis ^ non meno che del vero, resta il dolore ^ u ^ goscia, la muta protesta di cio che vii ;fl qUe io traddizioni della societa si specchiano a ^{^0 c& la retorica. Allo stesso modo, per trar 128 Mangiare e parlare Jalla proposizione delJo sconosciuto sólista di Gorgonzola si puô scommettere ehe nelľossimoro del suo parlato il nar-ratore registra anche per attestato diretto la voce, ľintona-zione paradossalmente «modesta» del romanzo: che poi ě la sjola cllink-a dclľironiá. Ma il lettore ě avvertito, sempře cl^vogljäJäŠČ§rtare. Anche quando sembra scoprirsi e am-miccare,(nronj^ come si ě visto, rimane una sfida, una ri-chiesta drtčITsIone interpretativa tra le ombre e gliimpulsi :,mbigui del linguaggio: perchešoln a giW^ paffota ncočaa puô davvero incamminarsi. NeJJo spazio fluido e serpentino della dissimujtaz^ docilitä deve insomma allearsicontamtraprendenza. 129 Loiteria de Ik rctorica posta per una sensibilita che ha bisogno di agganciar i-besco al quotidiano, alio stesso modo in cui ricon í singolaritä fantastica, la stravaganza analogica, la rCe 'a smagoria improvvisa alia misura fluttuante della vita 3" ne, al «bon potage» di una lingua dove ogni uonio \\^' voce al proprio destino. Tutto sta poi nel saperla ascol ^ magari tra i fumi e le traballanti conversazioni di u^T canda lucidamente barocca. a '°- Nel ragionare della cosiddetta «sottise» di Renzo sera preso in esame il motto di spirito del giocatore che veva provocata, e occorre adesso riempire la lacuna M prima di farlo vale la pena di spostare I'attenzione, ancora una volta, sul segmento narrativo del Fenno e \^^n cne corrisponde al pezzo della «faccenda di fink lc fra.si» e al-l'attacco del capitolo quindlcesimo, nella stesura finale, ' in- torno al «momento di lucido intervallo» (che poi ě anche w milanese «lucid intervall»), ma con una lunga similitudine, complementare a quella deU'«jUuminazione>>, che accomuna lo statu confuso di Fermo alle angustie stlHstiche di uno scrittore L'unica differenza dipende dal «fiasco», a dispo-sizione del primo: «... lo vuotö, alternando i sorsi con le parole, e ponendoselo a bocca ogni volta che l'idea la quale sera presentata splendida e risoluta alia sua mente si oscu-rava e fuggiva tutto ad un tratto, o la frase per vestirla non voleva lasciarsi trovare; a quel modo che uno scrittore, nelle Stesse angustie, ricorre alia scatola, piglia una pfčsTÍn furia, \x7 la porta al naso, chiude la scatola, e ricomincia lo stesso giuoco. Pure, siccome alio scrittore infervorato nelle sue idee, vengono talvolta nel maggior calore .della čomposizio-ne čerti lucidi intervalu, nei quali una voce interna dice a un tratto: — e se fossero minchionerie? — cosi anche il nostro Poveretto, in mezzo a quella baldanza di pensieri, in que * crescente esuberanza di forze, sentiva da tempo che a queue torze mancava un certo fondamento, e che appunto ne m?emode,lla Piü 8rande intenzione parevano pron«■» Jadere. qudpo> di senno che gl'era rimasto lo facevj ^ orgere che d piü Se n'era ito; a un di presso come ťult** Z Ta riT° acceso d°P° una 8rande 'uluminaZlOiuc0 mraVedere 8Ü altri spenti» Si puö leggere il Fertno e l#* 94 VT? L'osteria delta rétorice in tanti modi, cosi come si puó ammirarne il vigore disordi-t0) l'impeto aggregative la tendenza irresistibile e quasi ulimosa alia digression^ all'intervento e al discorso anali-tico del moralista. Resta tuttavia vero, in ogni caso, che nei suoi cartoni vengono ancora alio scoperto le intenzioni, gli „tifici. gli impuTsi, Tě špiňte originarie e qualche volta con- ' frSaáTTtorie di una fantasia narrativa per cosi dire in prova. i^rčTiiTrníno verso la propria identita, che puó signiíicare anche una autohknitazjone. E qualcosa di simile sembra ve-rificarsi per'rappunto ne! passo soppresso dello scrittore al-le prese con le parole, che, a parte 1'interrogativo ecceclente delle «minchionerie», proprio da «cervello balzano», isti-tuendo un rapporto comico Ira Renzo e un letterato implica a un tempcTm7legamé"piu profondo tra la duplice funzione del narratore e il suo personaggio, quasi che l'ironia dell'uno si proietti a piú livelli nella discorsivitá gnomica dell'altro, soprattutto quando si tratta dei dialoghi all'osteria, che so-no infatti il referente immediato della comparazione. Torna alla mente, nel repertorio del grande romanzo settecente-sco, la sfida del Diderot scatenato di Jacques le Vatalistc: «... je vous défie de lire une scene de comédie, de tragédie, un seul dialogue, quelque bien qu'il soit fait, sans surpren-dre le mot de l'auteur dans la bouche de son personnage». In un senso forse piú complesso, perché all'apparenza inno-cente, ció vale anche per colui che si esibisce nello stanzone della luna piena, «in attitudine di predicatore», con le sue hattute sul «poeta» e sui <<šignori» che vogliono metterej tutto per íscntťo, interámente nuove. e anche questo ě im-Portante, rispetto al copione del Venuo e Lucia. Ma veniamo al punto, cioě alia richiesta dell'oste lattaal s"o nuovo cliente di dixgli «nome, cognoi - ia» c alle Proteste del «bravo giovine», tra un ricordo e uno sberletlo ainanzi al «foglio di messale» della grida, contro la mama c laprepotenza di «quelli che regolano il mondo» di «tare en-Pei tutto carta, penna e calamaio», volendo di ogni co-a> come fa intendere il detto corrispondente in milanese, c°nto esatto, una certificazione ufficiale. Renzo ha ay-íinito la sua tirata di galantuomo all'indinzzo della <(Penna» e dei suoi utenti, che uno dei giocator. lo intcr- 3^HP' 95 Valeria Jelk ntorica rompe «ridendo» per esporgli quale sia la causa di Un fatt del genere, alia maniera di un epigramma spiritoso e vjv° cemente popolare. «La ragione ě questa,» egli dice, «cl , \ que' signoři sonn loro che maneian ľoche, e sijtro^gp f, /tame penne, taňte penne, che qualcosa bisogna C|K. ,^ ciano»." E mentre tuttT scoppiano a ridere, con lYuv/hr del compagno che sta perdendo, ecco cosi da parte dell'in. tcrlocutore principále il suo epifonema esclamativo e Concorde: che di fatto, una volta stabilita ľequazione di poeta e cervello bizzarro o singolare, s'identifica con un giudizio critico, anche se ďistinto, sulla felicitä delľargutezza e del-le figure interne alia struttura dinamica del motto frizzante, dal senso sdoppiato di penna alia metonimia del testo seritto e del suo produttore. Per dirla poi nel linguaggio tecnico delle retorica barocca ricorrendo alľesatto ma scintillante Tesauro, il ragionameato_«cmioso» che. piace-subito-a un ^ ^5nzoJg'a aHegro costituisce un entimema urbano, ossia una ' čävflläžig^ mateřía~civilc. scbenzevolmente persuasiva, senza intera rôrmá^ol^slllogísmo, fondata sopra una metafora. In termini piú generáli si tratta di una face-zia, di un'operazione delľintelletto che insegna aleuna cosa con maniera ingegnosa e in materia ridicola. Nessuno puô tuttavia immaginare che lo scherzo delia luna piena, cosi al-ľunisono con lo stile del concettismo, arrivi anche al «witz» eccentrico e gioioso delľanglosassoneSterne. Eppure chi si dia a sfogliare con un ocehio non sprovve-duto The Life and Opining nf Tňt*m ,Sfiatt4v, nplla versio' netrancese del 1803, che spesso ne ě un disinvolto adatta-"irV* ľvvwr Jc?minciare dai titoli interní), incontra al capitolo 3 LXXVI de torno II corrispondente al capitolo XII del volume IV ne testo inglese né piú né meno che lo stesso eioco eUitticodeJW Muta soltanto il beneficiario, chŕW* i e-gO-Givígánte^ael narratore, dinanzi al proprio libro e al moltiphcarsí ipotetico dei suoi volumi, due per ogni giorna-ad, racconto: «Cependant, mes amis, ne nous désespérons pas. l ourvu que le ciel soutienne les paperateries, je f contnbuerai pas peU ä leur consommation. Quant aux pluješ la nature est bonne dans ce climat, et grace ä la prov«-nCe' notre Pays ne manque pas ďoies» E dopo le pen* 96 L'oUeru delta rctunca to anche per un «plus l'air d'un caprice ou dune bi-c e P°S que d'une chose raisonnable», al capitolo XXI del ^^Vdie e il XIX deH'originale, stranamente analogo, he si faccia il confronto, a «piu dell'arguto e del sin-I C che del ragionevole». Ma il problema ora non e la ^° rC nte possibility genetica di una derivazione interte-L°nS|e anche se, come ha indicato con la sua sottile ed ele-SlUate sapienza letteraria Giovanni Macchia, la lettura di la Plus inconséquente, la Pant SUrdeIn"tile insistere in questo esercizio com-ficet J íant° piu quando sia chiaro che non equivale a una íacezi ít fonti- A maggioJ- ragione ciô che importa nella I'aff: 'a rv ^Poeta* della luna piena non ě la genealógia ma ' 'J\ Ař^tujle, la vena comune dello «humour», consta 97 ISUl; 'H ^n^Tiriila^ialitá sterniana e commis dalľaltro U suo cambio ch prospettiva, il suo nuovo c0e( ciente ďinquadratura. Poiche, mentre 1 entimema di 'r stramsi consuma nelľambito pnyatissimo dello sent*** delle sue peripezie stilistiche quelle del compagno d'osteria tematizza un fatto di vita pubblica, con la corrcla/,,, di' pni delia parola seritta al cibo e al potere delia cWdn minante e con U ríncalzo dl una sottolineatura che ne ill mina il movente ideologico ^spojaie, olr ,. u,"llt lucoioeico nono ar« i —ne i ľ, solo.S^dunquCí ma anch p^^Bongec.^ non vi e dubbío, ardito e eindi,i^r~T^n accPPP'^ent0. f-m i—> —« micuc ťorta: un accoppiat non vi é dubbio, ardito e giudizioso per le «Tischreden», per le bevute conviviali di una collaudata locanda milanese. Intanto, se si riprende il filo delľintreccio dialogico, la nuova replica di Renzo sostituisce al paradosso del giocatore quella che a suo parere é la «ragione giusta» sostenuta dalla stessa logica, dobbiamo credere, che durante il primo scambio con ľoste e ľesibizione della grida ľaveva condot-to a concludere, ďargomento in argomento, che «se le gride che parlan bene, in favore de' buoni cristiani, non contano; tanto meno devon contare quelle che parlan male». Ma u vino ci mette il suo «brio» e lo stile rimane piu che mai quello del paragone «balzano», anche nel momento in cui o sostanzia il vero bruciante dei ricordi personali. Čosi ^ ľimmagine dell'oste «con la penna in aria», attraverso selamativo di «sempre la penna per aria!», deriva un rag^ _ namento che somiglia a un emblema drammatico, o «signori» tengono in mano «la penna» non per Ic P ^ «parole», le quali infatti «volan via e spariscono>>, ^ ^ quelle di «un povero figliuolo», che subito .l^0faflO aria», appunto per mezzo della loro «penna», e< A*>w~ 7 Vaud' Per servirsene, a tempo e Iuogo». b come -dc, lo strumento dello scrivere s'identifica metom'"11;,;. • mente con un'arma acuminata di violenza e di raggno ( ■ • '1 senso bipartite dei milanesi «infilza» e «in^,'f . .vuou uipamto del milanesi «intilza» e «"* ai danni degli «illetterati», di coloro che non san'^o stc^° gere ne scrivere perch? non hanno «studiato»- . ne rn*' Renzo poi parla di «malizia» continuando I'^P^^ik*^ scherata della propria storia e passando all'*11*" 98 Voitena della retorica per lui ne é ľaltra faccia, di inserire «dentro il discorso qualche parqla in latino* per contendere e ingannare chi nnn capisce. Le ombre d. don Abbondio e di Azzeccagar-guglijacciono nel dispositivo prudente del sottinteso, visi-ftfleríšulta soltanto la mimica evocativa delia «puntá del-ľindice» contro la fronte e di un energico, piacevolissimo «taffete», dopo un «so io quel che voglio dire», che non per niente il Cherubini definisce espressione di un atto che si fa presto e con forza. Nessuna cautela invece, anzi un'osten-tazione di nuoyo oratória, quando suhentra finalmente la certezza díchíäŕata di un mutamento, di una riforma di «usanze» in modi legali, dopo quanto é accaduto per le stra-de «tutto in volgare, e senza carta, penna e calamaio». Renzo continua a illudersi perch é il peggio deve ancora venire e la «giustizia» gli riserva ľattenzione insidiosa e rapace della «sconosciuta guida» su cui solo ľoste ha le idee chiare. Ma in questa dialettica rovesciata la sua antitesi finale non si limita a riproporre la tradizione di un Maggi delľ«imbroiä el volghaer cont i latin» o quella proverbiale del «dill in bon Meneghin». Essa pone anche in gioco il rapporto fra oralitä e scrittura, schiettezza e calcolo, libertä e alienazione, nome e cosa, discorso e potere, lingua parlata e lingua autoritaria che «mette in carta» il povero diavolo indifeso come in una, -sorta di prigione. Nell'ombra della parola s'intravede il no- / do profondo della malízia e della vioIenzá,Tordine ambiguo dčr«caŕta nenna e calamaio». na 1 ľ")? SU 'e sPesc ne' piecolo teatro della luna pie-«pŕed * dellC interazioni immediate, é naturalmente il delľ 1Cat0re>> .^enzo, il quale, cireuito dai ragionamenti raff aStUf° P°^ziotto, dai suoi «una meta onesta», «ruffa e cator ' <<''l ra?lon delle bocche» di autentico agente provo-pure C' M c*a estorcere il nome e tutto Ľ resto senza nep-«p accorgersi, come riferisce la voce narrante, che il Calar^eft0>> acui aderiva «era tutto fondato su carta, penna e diffidai0>>' CÍ°^ SU ^ue^° crie 1° aveva visto poco prima čosi cne {1,ente' ^°Po tutto non ci si puô aspettare altro da uno tiene bPerS° ^ COnto biechieri e che grida, si sbraccia, piC fat3nco nor»ostante le frasi, a poco a poco, gli riescano ,C0Se e sconnesse. Uscito di scéna «ľamico», il bevi- 99 tore superstite con la sua «gran voglia di parlare» «occhietti brillanti» non ha di meglio ehe apostrof aiVi.SUoi «in mezzo al chiasso della brigata», ancora a prop0Jj |ľ dunque «mandano avanti la bottega», mentre i <.si,CX' delle gride» non si vedono mai «a bere un bicchierin0»°E subito si riaccende il motteggio dell'uditorio. Uno «vicinoa Renzo» mormora che ě «tutta gente che beve acqua», un al tro soggiunge, piü esplicito, che «vogliono stare in sc per poter dir bugie a dovere», e Renzo inline torna a ripetere che chi ha parlato cosi ě per forza il «poeta», il cervcllo biz-zarro, l'ingegno libero e giocoso della buffoneria, che per :*3pNeiSCl'appunto ribalta in «concetto arguto» il vecchio aforisma_di iwft «in vino verkäs». Ancora una volta il «Witz» va nel proton-Qfipa* do, di lä cľalla congiuntura e dalľintenzione del personag-gio. Non fa dunque meraviglia che in un museo della topica letteraria si possa allineare accanto alľiscrizione emblema-tica dell'Alciato «prudentes vino abstinent», al binomio dello Sterne «une fois ivres et une fois ä jeun; ä jeun, pour que leurs conseils ne manquassent pas de prudence; ivres, pour qu'ils ne manquassent pas de vigueur», all'inno di Rabelais alia «dive Boutelille» («toute verité enclose... lordose toute mensonge et toute tromperie...»), al pensiero de^ 1'AcceUoche « il vino ě molto contrario alla clissimula/i^V peren^quanto questa s'impiega a coprire tanto 4UC. ^ tende a scoprire». Ma nella «koutade» sui beyj.ton li.K|| j Täccento baue sulla menzogna, sulla falsifkazion^1' ^ f^.l^^Š^éS^^sulľethos di chi non req 1 ostena ma il palazzo, il luogo del benessere e eleu ^ zione. La parola chiama in causa una forma di vita e, ^ ^ fattispecie, l'antitesi dialettica del romanzo linguistic ^ esistenziale di Renzo. Occorre soltanto ricordare, me ^ Ro. al suo posto padre Cristoforo, la sala da pranzo di $ drigo, il «gran frastono confuso di forchette, di colte > tKi bicchieri, di piatti», i «due convitati oscuri, che no ^ ^ vano, altro che mangiare, chinare il capo, sorridere ^ j 9- ■ provare ogni cosa che dicesse un commensale, e a cu 100 non contraddicesse», e poi il «brindisi al conte duca» e ľ°logio del dottor Azzeccagarbugli, «piü rubicondo del so-•e » all'indirizzo del «liquore» e del suo proprietario, in hrba a ogni «carestia». La sensazione alia fine, e ľorecchio Jel frate vi aveva certo la sua parte, era quella di una «fiera» di una «compagnia di cantambanchi, quando, tra una sonata e ľaltra, ognuno accorda il suo stromento, facendolo stridere quanto piü puö, affine di sentirlo distintamente, in mezzo al rumore degli altri». Niente di tutto questo, per contro, nella cucina della luna piena, dove, bene o male, circola solo «quel guastamestieri del volgo» e l'unico «buf-tone» appare Renzo, purché lo si guardi attraverso gli «occhietti» dell'oste, che lo condannano nello stesso tempo al marchio definitivo di «pezzo d'asino», prima e dopo lo stravizio del^inosiacero». Quantô sunarratoré/lá sua registrazione dei latti si al-terna alle proteste di obiettivitä, alle note di un moralismo bonario e comprensivo, magari con il ricorso al buon secen-tista («Su questo il nostro anonimo fa una osservazione, che noi ripeteremo: e conti quel che puö contare...»), proprio per avere via libera nel seguire e nel rappresentarc la discesa del suo personaggio nella regione incerta di una allegria biologica, di un riso che invade tutto il corpo e lo possiede, srno all'«ultimo moecolo» della coscienza. E vengono cosi a tlro, con un esito che non ě solo comico, la «pronunzia lenta e solenne» di una sillabazione barcollante, l'«arsione» acuta a «uria certa alterazione d'animo», lo sforzo sempre piii a kíľ- ^ *^inir ^e ^rasi>> e di dare <> a un PellsÍĽ1'° ^nebbiato che svanisce nel vuoto, il «vaneggiamento» del ^enso» tra il guazzabuglio dei suoni. Questo ě poi lo stato dall CnZ° allorcílé' sentendosi confortato nelle sue «ragioni» spar3 S0}ni\a del «Poeta» ripiglia la sua füippica conľoste e ;tT>K^ Úoá 8 U lmi razzi di una memoria in ebolJizióne che deve p*T«. jnsieme coprirsi, sottoporsi al saccbegyio tkl la mullnello. c< poli incrociati. E il pezzo for » i i ji*1 ^ a ij^^miajň(^, tutto antitesi sottintese, con fc<5L CH p.. CO! * sussul'i1"30131^^^. d°mande * ?10 ďimmíÄ ac (quasi all' aS amazi°ni, reticenze, ossessioni, simmetrie a Matte Blanco), in un parlato di sostanzioso e é&jiÝ^ 101 schietto impasto dialettale. Non resta che verif se si deve rinunziare alla velocitä dei nessi e d aľl°' ^ Tutto comincia in un'aria di familiaritä popol 61 PassaŠgi parizione negata di un galantuomo come Ferre^ C°n ^' bríňHIši, e a spendere un becco d un quattrino» é Con f ^ cazione imprecante e anonima del suo contrario, «quc] ev°' assassino di don ...». Segue ora un atto fatico di rastie zione («sto zitto, perché sono in cervello anche troppo^ cui si lega immediatamente, ritornando al terna del galän tuomo, ľabbinamento di Ferrer e padre Crr... (e qui l'in. terruzione del significante onomastico da origine a una ma-schera acustica) mentre vi si aceoda anche la postilla rifles-siva che «ce n'ě pochi de galantuomini», rinfofzaťa e'preci-satá dal paradosso gnomico. Bašta questo, intanto. perché * riemerga di colpo il ricordo tumultuoso della piazza in fer-' mento e della folia vociante, dapprima nell'< latino Ji dpn Abbôndiô, neľprimo colloquio in Cavers0 il D'altro canto IWmaginazione del parlante, at r medio linguistico di «giustizia» e «pane», in una ij-aVven-lantuomini», si é giä "spostatada Ferrer al přete e maledetl0 tura nouuma del matrimonio mancato, a «que {ra'e ton ton ton, e poi ancora ton ton ton» che m°mp, pt>> e «f cadenze dialettali di «scappô fuori», «vé», «te"er & io a chi penso!», il quadruplice «ton, ton, ton, ton ^ tum nella versione originaria e diretta del «se Vrp jaP Pásáno. Ma per renders'ne contol necessario ti 102 Ľosteria delia retorica ■ del personaggio, dal melodramma del suo «accora-memoria_A svenevole, čosi sguaiato», alla memoria della mento cosi virtuosa irónia architettonica. Esiste an- íttura e alla sua U in fondo, nn'ellfcsi narratiya. S*" si retrocecíe á'lVinto in cui ha inizio la diseussione ľoste su chi gli «manda avanti la bottega», non si puô C°n tenere conto delľavviso, da parte del «noi» narrativo di "r°iferiremo», che delia «sciagurata sera» di Renzo vengono riprodotte «soltanto aleune delle moltissime parole» uscite j^sTia hocca, «tralasciando» tutte quelle che «disdireb-bero troppo», a volerle man tenere, per il fatto che esse «non \ ehe abolisce ogni barriera gerarchica, la 1 ■1 „' "ra ni«te in diseussione, dietro i fantasmi che inventa, 'j'0 st'nso e il proprio vero, il diritto a «mano.netterc ■ sapendo che la ľinzione non liquida né accantona e' ~osi delľuditorio di Renzo, alľosteria, f a P^te -£>