38 nota al těsto trascrittori per rendere il particolare suono del c toscano; che ho preferito le forme facciänlo, laverénlo, vogliäiúdo, ecc., piuttosto che facciamlo, lavcremlo, vogliamtelo; e che non ho esitato per alcuni vocaboli ad uniformare la grafia (per es. piagnere, dipignere, sepellire, rispose, pose, ecc), tenendo conto delľasws scribendi del Boccaccio, quale risulta dalľautografo del Teseida. Dal Branca ho accolto anche, per la comoditä delle citazioni, la nu-merazione dei paragrafi, ma ho riveduto dappertutto la pun-teggiatura. COMINCIA IL LIBRO CHIAMATO DECAMERON1, COGNOMINATO PRENCIPE GALEOTTO 2, NEL QUALE SI CONTENGONO CENTO NOVELLE, IN DIECE Dl DETTE DA SETTE DONNE E DA TRE GIOVANI OOMINI PROEMIO 3 Umana cosa e l'aver compassione agli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a colore e massimamente richesto, li quali gia hanno di conforto avuto mestiere e hannol trovato in altrui; fra' quali, se alcuno mai n'ebbe bisogno o gli fu caro o gia ne ricevette piacere, io son uno 3 di quegli. Per cid che dalla mia prima giovanezza infino a questo tempo oltre modo essendo stato acceso d'altissimo e nobile amore, forse piii assai che alia mia bassa condizione non parrebbe, narrandolo3, si richiedesse; quantunque appo colore che discreti4 erano, e alia cui notizia pervenne, io 1. Decameron: delle dieci giornate. II titolo é ricalcato su quello di Hexameron, che e di parecchi trattati medievali e patristici sulla crea-zione del mondo, e che veniva interpretato • sex dierumt (tab hexa. quod est sex, et meros, quod est dies >): cfr. P. Kajna, in c Romania >, XXXI, 1902, pp. 80-81. ^^^m 2. Galeotto: araico di Lancellotto e intennediario dell'amore di lui presso la regina Ginevra, nel Lancelot du Lac. Nel senso di intennediario d'amore mostra di intendere il some anche il Boccaccio (Co-mento, ed. Guerri, II, 145), nella chiosa a Dante, Inf., V, 137; qui, pin largamente, puô valere: confidente, amico che consiglia, conforta e distrae nelle penc d'amore (cír. M. Barbi, La nuova filológia, Firenze. 1 1938. p. 7*)- 3. narrandolo: narrandolo io, essendo io stesso a narrarlo. Era abba-stanza comune I'uso del gerundio riferito a parola non espressa e diversa dal soggetto delia proposizione (cfr. Dante, Purg., XIII, 3). 4. discreti: dotati di discemimento, savi. I piň intelligenti lo loda-vano per il suo ambizioso amore, in ossequio alia norma, che era cor-rente e che il Boccaccio riíerirá pin avanti, che « negli uomini é gran senno il cercare d'amore sempre donna di pin alto legnaggio che egli non é « Wee, I. v, 4; e cfr. Ill, n). 40 proemio ne fossi lodato e da molto piů reputato, nondirneno «Ii di erandissima fatica a sofferire. certo nnn ™, D!1_iu proemio 41 egli di grandissima fatica a sofferire, certo non per crud 1 della donna amata, ma per soperchio fuoco nella concetto5 da poco regolato appetito; il quale, percích6 a niuno convenevol termine mi lasciava con'tento st " noia« che bisogno non m'era spesse volte JO!' renevol termine mi lasciava contento stare, piü di noia« che bisogno non m'era spesse volte sentir mi facea. Nella qual noia tanto rifrigerio giä mi porsero i piacevoli ragionamenti d'alcuno amico e le sue laudevoli consolazioni, che io porto fermissima oppinione per quello' essere awenuto che io non sia morto. Ma, sl come a Colui piacque, il quäle, essendo egli infinito, diede per legge in-commutabile a tutte le cose mondäne aver fine, il mio amore, oltre ad ogni altro fervente, e il quäle niuna forza di propo-nimento 0 di consiglio 0 di vergogna evidente o pericolo che seguir ne potesse aveva potuto n6 rompere ne" piegare, per se medesimo in processo di tempo si dirninul in guisa che sol di se nella mente m'ha al presente lasciato quel piacere, che egli e usato di porgere a chi troppo non si mette ne' suoi piü cupi8 pelaghi navigando; per che, dove faticoso esser solea, ogni affanno toghendo via, dilettevole' il sento esser rimaso. Ma, quantunque cessata sia la pena, non per cid e la memoria fuggita de' benefici gia ricevuti, datimi da coloro a' quali, per benivolenza da loro a me portata, erano gravi le mie fatiche; ne passerä mai, si come io credo, se non per morte. E per ciö che la gratitudine, secondo che io credo, tra l'altre virtü e sommamente da commendare e il contrario da biasimare, per non parere ingrato, ho meco stesso proposto di volere in quel poco che per me si puö, in cambio i SÄST** Utinis™ <*■ Dante. /„/.. XXVI. 73). filtrato, a poco a pow u ^ delU passione gli anni banno contemplare. II Boccäcrin TT erezza dei "cordi e del disinteressato cui scaturisce rispirazione ten^ 0011 csattezza 1° stato d-animo da game fra essa e la precedentJ^°V* °pera> e mentre suggerisce ü le-tolinea anche in modo netti«im i Dza sentimentale e letteraria, sot-pia libera e distaccaU e o,^7°, ??ncluista di una nuova disposizione 4 max * differenza del tono poetico. di ció che io ricevetti, ora che libero dir mi posso (e se non a coloro che me atarono,0, alli quali per awentura, per lo lor senno o per la loro buona ventura, non abbisogna, a quegh" almeno a' quali fa luogo u) alcuno alleggiamento u 8 prestare. E quantunque il mio sostentamento, o conforto che vogliam dire, possa essere e sia a' bisognosi assai poco, nondimeno parmi quello doversi piů tosto porgere dove il bisogno apparisce maggiore, sl perché piů utilita vi fara e sl ancora perché piů vi fia caro avuto. 9 E chi negherá questo, quantunque egli si siau, non molto piů alle vaghe donne che agli uomini convenirsi od- jo nare? Esse dentro a' dilicati petti, temendo e vergognando, tengono 1'amorose fiamme nascose, le quali quanto piů di forza abbian che le palesi coloro il sanno che 1'hanno pro-vato e prováno; e oltre a ció, ristrette 14 da' voleri, da' pia-ceri, da' comandamenti de' padri, delle madri, de' fratelli e de' mariti, il piů del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e, quasi oziose sedendosi, vo-lendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgono diversi pensieri, li quali non ě possibile che sempře sieno allegri. E se per quegli alcuna malinconia mossa da focoso disio15 soprawiene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non é rimossa; senza che16 elle sono molto men fořti che gli uomini a sostenere II che degli innamorati uomini non av-viene, sl come noi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello"; per ció che a loro, volendo essi, non manca 1'andare attomo, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, 10. atarono: aiutarono. 11. fa luogo: abbisogna. 12. alleggiamento: sollievo. 13. quantunque egli si sia: per piccolo che sia. 14. ristrette: tenute a freno. 15. malinconia... disio: inquietudine, turbamento derivato da pas-Jlone d'amore. 16. sema che: senza dire che. 17. sostenere: sopportare. Usato intransitivamente (cfx. II, vu, 11). 18. quello: neutro, riferito a malinconia e gravetxa. 42 proemio je. De' quali modi aascuno ha forza S Zre o in tutto o in parte ľammo a sé e dd noioso n Lsiero rimuoverlo, almeno per alcuno spazio di tempo; appresso il quale, o in un modo o in uno altro, o consolazwn soprawiene o diventa la noia minore. 3 Adunque, acciô che per me in parte s ammendi ú pec-cato della Fortuna, la quale dove meno era di forza, si come noi nelle dilicate donne veggiamo, qum piu avara fu di sostegno; in soccorso e rifugio di quelle che amano (per ció che alľaltre~é assai ľago e '1 fuso e ľarcolaio ») intendo di raccontare cento novelle o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo22, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani, nel pistilenzioso tempo della passata mortalita fatta23, e al-cune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. i Nelle quali novelle, piacevoli e aspri casi ďamore e altri fortunosi24 awenimenti si vedranno, cosl ne' moderni tempi awenuti come negli antichi; delle quali le giä dette donne, che quelle leggeranno, parimente diletto delle sol-lazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pighare in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare; le quali cose senza passamento*5 di noia non credo che possano intervenire. II che se awiene (che vogha Iddio che cosi sia) ad Amore ne rendano grazie, il quale, hberandomi da' suoi legami, m'ha conceduto il potere attendere a* loro piaceri. 19- giucare: giocare. 20. noioso: triste. d-amorfe^'ueile0^^ !? ä"**** 1« donne che hanno inteUetto saľo°Stícoq ^ dam°re e * gentilezza é di schietto sapore ľ^rľÄsrgenere> tMm e *fondo sto- 23- fatta: nunitasi. Da riferire a brigata 24. iortunosi: awenturosi namento. in uno stile sapiente e n"^° ^ 6 conSeSDato "P0" secolare tradizione rettoricamLT.meroso- "spotide alle norme di una autobiografiche e con la fine índaeinľ'd^ľ ■ n,cUamarsi ^ ^emorie la situazione nmanissima e moderaa «Ä pacoloPa 'einmmUe, illutmna bco del libro e la quaUtá del Dubhn^. finzf°°e e deUraita il tono poe-W Pnbbl«» a ou lo scrittore si rivolge. i COMINCIA LA PRIMA GIORNATA DEL DECAMERON, NELLA QUALE, DOPO LA DIMOSTRAZIONE FATTA DALĽAUTORE, PER CHE CAGIONE AWENISSE DI DOVERSI QUELLE PERSONE, CHE APPRESSO SI MOSTRANO, RAGUNARE A RAGIONARE INSIEME, SOTTO IL REGGIMENTO DI PAMPINEA SI RAGIONA DI QUELLO CHE PIU AGGRADA A CIASCHEDUNO [INTRODUZIONE] a Quantunque1 volte, graziosissime donne, meco pensando riguardo quanto voi naturalmente tutte pietose siate, tante conosco che la presente opera, al vostro iudicio, avrá grave e noioso principio, si come ě la dolorosa ricordazione della pestifera mortaUtá trapassata, universalmente a ciascuno, che quella vide o altramenti conobbe, dannosa e lagrime- 3 vole molto, la quale essa2 porta nella sua fronte. Ma non voglio per ciô che questo di piii avanti leggere vi spa-venti, quasi sempře tra' sospiri e tra le lagrime leggendo 4 dobbiate trapassare. Questo orrido cominciamento vi fia non altramenti che a' camminanti una montagna aspra ed erta, appresso alia quale un belLissimo piano e dilettevole sia riposto, il quale tanto piú viene loro piacevole quanto maggiore ě stata del salire e dello smontare la gravezza. 3 E si come la estremitá della allegrezza il dolore occupa3, cosl le miserie da soprawegnente letizia sono terminate. 6 A questa brieve noia (dico brieve, in quanto in poche lettere si contiene) seguirá prestamente la dolcezza e il piacere, il quale io v'ho davanti promesso e che forse da 1. Quantunque: quante mai (cfr. Dantb, Vita nova, XXXIII, 3; Inf., V. il). 2. la quale essa: la quale ricordazione essa opera ecc. 3. occupa: raggiunge (cfr. Prov., XIV, 13: t extrema gaudii luctus occupat 1; donde anche il Petrarca, Rime, LXXI: t convensi Che l'estremo del riso assaglia il pianto •). 44 prima giornata lo A fatto inizio non sarebbe, se non si dice^e aspettato. E ndvero, se io potuto avessi onestamente' per altra paie menarvi a quelle che io deadero che per cos aspro Intiero come fia questo, io l'avm volentier fatto; ma per ció che qual iosse la cagione per che le cose che appresso si leggeranno awenissero non si poteva senza questa ram-memorazion dimostrare, quasi da necessitá costretto a scriverla mi conducos. . , Dico adunque che gia erano gli anni della fruttifera ln-camazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di raffle trecento quaranfotto4, quando nella egregia citta di Fiorenza, oltre ad ogni altra italica nobilissima, pervenne la mortifera pestilenza, la quale o per operazione de' corpi superioři7 o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle ďinnumerabile quantitá di viventi avendo private, senza ristare, d'un luogo in uno altro continuandosi, verso l'oc-cidente miserabilmente s'era ampliata. E in quella* non valendo alcuno senno né um ano prov-vedimento, per lo quale fu da molte immondizie purgata la cittá da oficiali sopra ció ordinati9 e vietato l'entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conserva-zion della sanita; né ancora umili supplicazioni, non una volta ma molte e in processioni ordinate e in altre guise a Dio fatte dalle divote persone; quasi nel principio della primavera dell'anno predetto orribilmente cominció i suoi dolorosi effetti e in miracolosa10 maniera a dimostrare. E non come in oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva sangue del naso era manifesto segno ďinevitabile mořte; ma nascevano nel cominciamento ďessa a* maschi e alle 4. anestamtnte: acconciamente. 5. mi conduco: mi induce- (cfr. Dante Tnf vvvtt '« 6. Duo adunque ecc.: la data » £7" Í- xxxn- <>)• >facevacomiiiciarerannodaU^ni mdlcata wcondo l'uso fiorentino. 8. in au.Ua: contro quella pesbleuf degU Mtn- 9. sopra ció ordinati: orenrcK . miracolosa: straordin^ * qUe8to uffici°- introduzione che 10 ii 13 45 femine parimente, 0 nell'anguinaia 0 sotto le ditellau, certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune piů e alcune meno, le quali i volgari nominavan gavôccioliu. E dalle due parti predette del corpo infra brieve spazio cominció il giá detto gavôcciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire; ed appresso questo s'incominciô la qualitá della predetta infermitá a permu-tare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come li gavôcciolo primieramente era stato e ancora era certis-simo indizio di futura morte, cosi erano queste a ciascuno a cui venieno. A cura delle quali infermitá né consiglio di medico né virtii di medicína alcuna pareva che valesse o facesse profitto; anzi, o che la nátura del malore nol patisse o che la ignoranza de' medicanti (de' quali, oltre al numero degli scienziati, cosi di femine come ďuomini, senza avere alcuna dottrina di medicína avuta giá mai, era il numero di-venuto grandissimo) non conoscesse da che si movesse, e per conseguente debito argomento13 non vi prendesse, non solamente pochi ne guerivano, anzi quasi tutti infra '1 terzo giorno dalla apparizione de' sopraddetti segni, chi piä tosto e chi meno, e i piů senza alcuna febbre o altro accidente, moříváno. E fu questa pestilenza di maggior forza per ció che essa dagľinfermi di quella per lo comunicare insieme s'av-ventava a' sani, non altramenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto vi sono awicinate. E piu avanti ancora ebbe di male; ché non solamente il parlare e l'usare con gľinfermi dava a' sani infermitá o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i p anni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermitá nel toccator trasportare. 11. anguinaia: inguine; ditella: ascelle. 12. enfiature: bubboni, detti dalle persone del volgo gavôccioli. 13. argomento: rimedio (cfr. Danie, Purg., XXX, 36). 46 prima giornata introduzione 47 lb 17 „ ě ad udire quelle che 10 debbo dire; a che se dagli occhi di molti e da' miei non fosse state veduto, appena che io ardissi di crederlo, non che di scri-verb quantunque da fededegna" persona udito lavessi. Dico'che di tanta efficacia hi la qualita della pestilenza narrata nello appiccarsi da uno ad altro che non solamente l'uomo all'uomo, ma questo, che ě molto pih, assai volte visibilmente íece, cioé che la cosa dell'uomo infermo stato 0 morto di tale infermita, tocca da un altro animale fuori della spezie dell'uomo, non solamente della infermita il contaminasse, ma quello infra brevissimo spazio uccidesse. is Di che gli occhi miei (si come poco davanti ě detto) pre-" seto, tra Valtre volte un dl, cosi fatta esperienza che, es-sendo gh stracci ďun pověro uomo da tale infermita morto gittati nella via pubhea e abbattendosi ad essi due porci, e quegli secondo il lor costume prima molto col grifo e poi co' denti presigh e scossiglisi alle guance, in piccola ora appresso, dopo alcuno awolgimento come se veleno avesser preso, amenduni sopra gh mal tirati stracci16 morti caddero in terra. Dalle quali cose e da assai altre a queste simiglianti o maggiori nacquero diverse paure e immaginazioni in quegli che nmanevano vivi; e tutti quasi ad un fine tiravano » assax crudele. ció era di schifare » e di fuggire gl'infermi e le lor cose; e cosi faccendo, si credeva ciascuno a sé mede-simo salute acquistare. dJSjTT ^ U qUaH avvisavano che Q vivere mo- a cořStt? 6 ^TÍ™ da 0gni suPernuita avesse molto a cosl tatto accidente resistprpn-^ f^** 1 v • ^ ^ altro separati viveano' « 101 b"gata' da 0gm e m quelle case ricoghendosi e rin- e da viver meglio, 19 chiudendosi dove ^ qUeUe ^ dilicatissimi cibi - ™ .lnfermo f<*se e ottimi virů tPrmľ V ^Vet megll°' m temPeratissunamente usando 16. amenduni.. ,,°.ľrS,one- Wáuni... sirocco °T in raal punto. ' aml*due •7. tiravano: tendevano ^Pra gU stracci da essi afferrati o ... —vino "*«/«'•: schivare, „vj^ "asters a cosl fatto accident? 22 e ogni lussuria20 fuggendo, senza lasciarsi parlare ad alcuno o volere di fuori di morte o ďinfermi aleuna novella sentire, con suoni e con quelli piaceri che aver potevano si 11 dimoravano. Altri, in contraria oppinion tratti, afferma-vano il bere assai e il godere e ľandar cantando attomo e sollazzando e il soddisfare ďogni cosa allo appetito che si potesse e di ció che aweniva ridersi e beffarsi essere medi-cina certissima a tanto male; e cosl come il dicevano il mettevano in opera a lor potere, il giorno e la notte ora a quella taverna ora a quell'altra andando, bevendo senza modo e senza misura, e molto piú ciô per 1'altrui case faccendo, solamente che cose vi sentissero che loro venissero a grado o in piacere. E ció potevan fare di leggiere 2J, per ció che ciascun (quasi non piú viver dovesse) aveva, sl come sé, le sue cose messe in abbandono; di che 22 le piú delle case erano divenute comuni e cosi ľusava lo straniere, pure che ad esse s'avvenisse, come ľavrebbe il propio signore usate; e, con tutto questo proponimento 23 bestiale, yi—v sempře gľinfermi fuggivano a lor potere. 23 E in tanta afflizione e miseria della nostra cittá era la reverenda autorita delle leggi, cosl divine come umane, quasi caduta e dissoluta tutta, per li ministri ed eseeutori di quelle, Ľ quali, sl come gli altri uomini, erano tutti o morti o infermi o sl di famigli rimasi stremi24 che uficio alcuno non potean fare; per la qual cosa era a ciascuno licito 24 quanto a grado gli era ďadoperare. Molti altri serváváno, tra questi due di sopra detti, una mezzana via, non stri-gnendosi nelle vivande quanto i primi, né nel bere e nel-1'altre dissoluzioni25 allargandosi quanto i secondi, ma a sofficienza secondo gli appetiti le cose usavano, e senza rinchiudersi andavano attorno, portando nelle mani chi 20. lussuria: stravizio. II Buti, nel commento al VII del Purgatorio, dice che c lussuria presa generalmente ě immoderato araore di diletto • « consiste c in ogni superchio uso delle cose naturali». 21. di leggiere: leggermente, faeilmente. 22. di che: per la qual cosa. 23. con tutto... proponimento: nonostante questo proponimento. 24. famigli: uomini, dipendenti; stremi: privi. 25. dissoluzioni: dissolutezze. 48 prima giornata fiori chi erbe odorifere e chi diverse maiuere di speziene, Se al naso ponendosi spesso, estunando essere ottuna cosa il cerebro con cotali odori confortare; con ció iosse cosa che l'aere tutto paresse dal puzzo de morü corpi e delle infermitá e delle medicine compreso* e puzzolente. 25 Alcuni erano di pih crudel sentimento (come che per awentura pih fosse sicuro), dicendo niun'altra mediana essere contro alle pestilenze migliore né cosi buona come il fuggire loro davanti; e da questo argomento mossi, non curando d'alcuna cosa se non di sé, assai e uomini e donne abbandonarono la propia citta, le propie case, i lor luoghi27 e i lor parenti e le lor cose e cercarono l'altrui o almeno il lor contado, quasi l'ira di Dio a punire la iniquita degh uomini con quella pestilenza non dove fossero procedesse28, ma solamente a coloro opprimere Ii quah dentro alle mura della lor cittä si trovassero commossa29 intendesse; o quasi awisando niuna persona in quella dover rimanere e la sua ultima ora esser venuta. 26 E come che questi cosi variamente oppinanti non mo-rissero tutti, non per do tutti campavano; anzi, inferman-done di ciascuna" molti e in ogni luogo, avendo essi stessi, quando sani erano, essemplo dato a coloro che sani rimane- 27 vano, quasi abbandonati per tutto languieno. E lasciamo stare che l'uno cittadino l'altro schifasse e quasi niuno vi-cino avesse deU'altro eura e i pařenu insieme řade volte o non mai si visitassero e di lontano »; era con si fatto spa-vento questa tribulazione entrata ne' petti degh uornini e delle donne che l'un frateUo l'altro abbandonava e il zio il mpote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo manto; e (che maggior cosa ě e quasi non credibile) b padn e le madri i figliuoli. quasi loro non fossero, di vi-sitare e di servire schiiavano. 26. compreso: impregnate, infetto 27. luoghi: poderi. 28. quasi... procedesse: come se l'lr. * tu . con quel morbo la malvaritt ■ non 51 v°lgesse a pumre 29. commossa: eccitatZ dovunque questi si recassero. 30. diciascuna: di cdascnna opinion*. 31. « di lontano: e stando alia larga. introduzione 49 j8 Per la qual cosa a coloro, de' quali era la moltitudiné inestimabile, e maschi e femine, che infermavano, niuno altro sussidio rimase che o la caritá degli amici (e di questi fur pochi) o l'avarizia32 de' serventi, li quali da grossi sa-lari e sconvenevoli33 tratti servieno, quantunque per tutto ció molti non fossero divenuti, e quelli cotanti54 erano uomini e femine di grosso ingegno e i piü di tali servigi non usati, li quah quasi di niuna altra cosa servieno che di porgere alcune cose dagl'infermi addomandate o di riguar-dare quando morieno3S; e, servendo in tal servigio, sé molte volte col guadagno perdevano36. 29 E da questo essere abbandonati gl'infermi da' vicini, da' parenti e dagh amici e avere scarsitá di serventi, di-scorse un uso37 quasi davanti mai non udito, che niuna quantunque leggiadra o bella o gentil donna fosse, infer-mando, non curava d'avere a' suoi servigi uomo, qual che egli si fosse o giovane o altro, e a lui senza alcuna vergogna ogni parte del suo corpo aprire non altrimenti che ad una femina avrebbe fatto, solo che la necessitá della sua infermitá il richiedesse; il che, in quelle che ne guarirono, fu forse di minore onestä, nel tempo che succedette, cagione. jo E oltre a questo ne segulo la morte di molti che per awentura, se stati fossero atati x, campati sarieno; di che, tra per lo difetto degh opportuni servigi h quah grinfermi aver non poteano e per la forza della pestilenza, era tanta nella cittá la moltitudine di quelh che di di e di notte morieno, che uno sturx>re era ad udir dire, non che a riguar- 31 darlo. Per che, quaiť^di necessitá, cose assai contrarie a' primi costumi de' oittadini nacquero tra coloro li quah rimanean vi vi. N> -^l€/)MÄ $¥oCHCU/TftCÚÍ4& 32 Era usanza (si come ancora oggi veggiamo usare) che le donne parenti e vicine nella casa del morto si raguna- 32. caritä: affetto; avariiia: cupidigia. 33. sconvenevoli: sproporzionati. 34. molti... divenuti: non fossero numerosi; quelli cotanti: qnei pochi, 35. riguardare... morieno: assistere alia loro morte. 36. perdevano: manda vano in rovina. 37. discorse un uso: si diffuse un'usanza. 38. atati: aiutati, soccorsi. 50 prima gi0rnata 33 vano e quivi con quelle che piu gh appartenevaüo» pia. Lvano e d'altra parte dinanzi alia casa del morto co' suoi prossimi40 si ragunavano i suoi vicim e altn cittadini assai, e secondo la qualitä del morto vi veniva il chericato, ed egli sopra gli oraeri de' suoi pari con funeral pompa di cera e di canti alia chiesa da lui prima eletta anzi la morte41 n'era portato. Le quali cose, poiche a montar cominciö la ferocitä della pistolenza, o in tutto o in maggior parte quasi cessarono e altre nuove in loro luogo ne soprawen-34 nero. Per ciö che, non solamente senza aver molte donne da tomo morivan le genti, ma assai n'erano di quelli che di questa vita senza testimonio trapassavano; e pochissimi erano colore- a' quali i pietosi pianti e l'amare lagrime de' suoi congiunti fossero concedute; anzi in luogo di quelle s'usavano per Ii piü risa e motti e festeggiar compagne-vole42; la quale usanza le donne, in gran parte posposta la donnesca pietä per la salute di loro, avevano ottima- mente appresa. Ed erano radi coloro, i corpi de' quali fosser piü che da un diece o dodici de' suoi vicini aUa chiesa accompagnati; h quali non gli orrevoli e cari « citta-i sopra gU omeri portavano, ma una maniera di becca- beah^T™*1* di minuta gente-che chiamar si facevan travano'aU Prezzolata faceva' sotten" chiesa rh»1 6 qUeUa 0011 frettolosi passi, non a quella vicina I^oZ7™[ h m°rte diSp0St°' ma ^ cherici con J P°rtavano dietro a quattro o a sei con 1'aiutodHe tT" ' ™ &ata Senza acaao' 11 quaB "ficio o solenne ■ , ^ senza faticarsi in troppo lungo Piü tosto' ü meu"101116 ^P01^ disoccupata trova- 39- con quelle introduzione 51 35 Mo,!!' iari} on^.^»ta.m0nre- coUettivo ha lume in Dakte, j6 Delia minuta gente e forse in gran parte della mezzana era il ragguardamento45 di molto maggior miseria pieno; per ciö che essi, il piü o da speranza o da povertä ritenuti nelle lor case, nelle lor vicinanze46 standosi, a migliaia per giorno infermavano; e non essendo ne* serviti ne atati d'alcuna cosa, quasi senza alcuna redenzione 47 tutti mori- 37 vano. E assai n'erano che nella strada publica o di di o di notte finivano; e molti, ancora che nelle case finissero, prima col puzzo de' lor corpi corrotti che altramenti fa-cevano a' vicini sentire s6 esser morti; e di questi e degli altri che per tutto morivano, tutto pieno48. 38 Era il piü da' vicini una medesima maniera servata, mossi non meno da tema che la corruzione de' morti non gli offendesse, che da caritä la quale avessero a' trapassati. 39 Essi, e per se medesimi e con lo aiuto d'alcuni portatori, quando aver ne potevano, traevano delle lor case li corpi de' giä passati, e quegli davanti agh loro usci ponevano, dove, la mattina spezialmente, n'avrebbe potuti vedere senza numero chi fosse attorno andato; e quindi fatto venir bare (e tali furono, che, per difetto di quelle, sopra alcuna tavola) ne portavano49. Ne fu una bara sola quella che due o tre ne portö insiememente, ne awenne pure una volta, ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che la moglie e '1 marito, gh due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o 4° cosl fattamente ne contenieno. E infinite volte awenne che, andando due preti con una croce per alcuno, si misero tre o quattro bare da' portatori portate di dietro a quella; e, dove un morto credevano avere i preti a sepellire, n'aveano 41 sei o otto e tal fiata piü. Ne erano per ciö questi da alcuna lagrima o lume o compagnia onorati: anzi era la cosa per-venuta a tanto che non altramenti si curava degli uomini che morivano che ora si curerebbe di capre; per che assai 45. il ragguardamento: la vista, lo spettacolo. 46. vicinanze: rioni. 47. redenzione: scampo. 48. tutto pieno: una gran moltitudine (Petronio). 49. quindi... portavano: intendi: poi, si facevano venir le bare, e li portavano via; e vi furono alcuni, che, per mancanza di bare, furono trasportati sopra una tavola (Barbi). p-uma giornata 42 52 tnanifestamente apparve che quello che il natural corso deUe cose non aveva potuto con piccoli e radi danni a' savi mostrare doversi con pazienza passare, la grandezza de' mali eziandio i semplici far di ci6 scorti e non curanti Alia gran moltitudine de' corpi mostrata51, che ad ogni chiesa ogni di e quasi ogni ora concorreva portata, non ba-stando la terra sacra alle sepolture, e massimamente vo-lendo dare a ciascun luogo propio52 secondo l'antico costume, si facevano per gli cimiteri delle chiese, poiche ogni parte era piena, fosse grandissime, nelle quali a centinaia si met-tevano i sopravvegnenti; e in quelle stivati, come si mettono le mercatantie nelle navi a suolo a suolo, con poca terra si ricoprieno infino a tanto che della fossa al sommo si pervenia. 43 E acci6 che dietro ad ogni particularita le nostre passate miserie per la citta awenute pih ricercando non vada, dico che, cosl inimico tempo correndo per quella, non per ci6 meno d'alcuna cosa risparmi6 il circustante contado, nel quale (lasciando star le castella53, che simili erano neUa loro piccolezza alia citta) per le sparte ville54 e per gli campi i lavoratori55 miseri e poveri e le loro famiglie, senza alcuna fatica di medico 0 aiuto di servidore, per le vie e per li loro c61ti* e per le case di dl e di notte indifferentemente 44 non come uomini, ma quasi come bestie morieno. Per la qual cosa essi, cosi nelli loro costumi come i cittadini dive-nuti lascivi" di niuna lor cosa o faccenda curavano; anzi turn, quasi quel giorno nel quale si vedevano esser venuti LZT* !fP!Uassero> no* d'aiutare i futuri frutti delle bestie e delle terre e delle loro passate fatiche, ma di consu- so. *»• 1ntroduzionb mare quegli che si trovavano presenti si sforzavano con 45 ogni ingegno. Per che addivenne i buoi, gli asini, le pecore, le capre, i porci, i poili e i cani medesimi fedelissimi agli uomini, fuori delle propie case cacciati, per gli campi (dove ancora le biade abbandonate erano senza essere, non che raccolte, ma pur segate M) come meglio piaceva loro 46 se n'andavano. E molti, quasi come razionali59, poi che pasciuti erano bene il giorno, la notte alle lor case senza alcuno correggimento60 di pastore si tomavano satolli. 47 Che piú si puó dire (lasciando stare il contado e alia cittá ritornando) se non che tanta e tal fu la crudeltá del cielo, e forse in parte quella degli uomini, che infra '1 marzo e il prossimo luglio vegnente, tra per la forza della pesti-fera infermitá e per l'esser molti infermi mal serviti o abban-donati ne' lor bisogni per la paura ch'aveano i sani, oltre a cento milia creature umane si crede per certo dentro alle mura della cittá di Firenze essere stati di vita tolti; che forse anzi l'accidente mortifero non si saria estimato tanti avervene dentro avuti? _.rr-. 48 Oh quanti gran palagi, quante belle case, quanti nobili j abituri61, per addietro di famiglie pieni, di signoři e di donne, infino al menomo fante62 rimaser vóti! Oh quante memora-bill schiatte, quante amplissime ereditá, quante famose ricchezze si videro senza successor debito rimanere! Quanti valorosi uomini, quante belle donne, quanti leggiadri gio-vani, li quali non che altri, ma Galieno, Ippocrate o'Escu-lapiou avrieno giudicati sanissimi, la mattina desinarono co' loro parenti compagni e amici, che poi la sera vegnente appresso nell'altro mondo cenarono con li loro passati6*! ----.ue ai savi^uand° 5I- l«°go proSľ- addett»- °on*aPevoU. S6- «K: «£pi0ntadi0i- * e' V,lla88i. 58. pur segate: neppure mietute. 59. razionali: dotati di ragione. 60. correggimento: guida. 61. abituri: abitazioni. 62. infino... fante: fino al piů piccolo (anciullo. 63. Galieno... Esculapio: Galeno, di Pergamo, e Ippocrate, di Coo, sono i due piú famosi tra i medici antichi, vissuti ríspettívamente nel II e nel V secolo a. C; Esculapio ě il mitico inventore della medicína. 64. nell'altro... passati: riecheggia il discorso di Leonida alle Termo-^ilj (cfr. Cicerone, TuscuL.T. 42: • hodie apud inferos fortasse cenabimus .). 54 prima ciornata A me medesimo incresce andarmi tanto tra tante miserie rawolgendo; per che, volendo omai lasciare star quella parte di quelle che io acconciamente posso schifare, dico che stände in questi termini la nostra cittä d'abitaton quasi vota, addivenne (si come io poi da persona degna di fede sentii) che nella venerabüe chiesa di Santa Maria Novella, un martedl mattina, non essendovi quasi alcuna altra persona, uditi gli divini ufici in abito lugubre quale a si fatta stagione66 si richiedea, si ritrovarono sette giovani donne, tutte l'una all'altra o per amistä o per vicinanza o per parentado congiunte, delle quah niuna il ventiottesimo anno passato avea ne era minor di diciotto, savia ciascuna e di sangue nobile e bella di forma e ornata di costumi e di leggiadra onesta67. Li nomi delle quali io in propia forma68 racconterei, se giusta cagione da dirlo non mi to-gliesse, la quale e questa, che io non voglio che per le rac-contate cose da loro che seguono e per l'ascoltate, nel tempo awenire alcuna di loro possa prender vergogna, essendo oggi alquanto ristrette le leggi al piacere, che allora, per le cagioni di sopra mostrate, erano, non che alia loro eta, ma a troppo piü matura, larghissime; ne ancora dar materia agl'invidiosi, presti a mordere ogni laudevole vita, di diminuire in niuno atto l'onestä delle valorose donne con isconci parlari. E per ciö, acciö che quello che ciascuna dicesse senza confusione si possa comprendere appresso, per nomi alle qualitä di ciascuna convenient! o in tutto o in parte intendo di nominarle. Delle quah la prima, e quella che di pm etä era, Pampinea chiameremo, e la seconda Fiammetta, Filomena la terza, e la quarta Emüia, e ap- 65. lugubre: di lutto. 66. stagione: tempo, circostanza 67. costumi: bei TX>rtam»ni.«. i • . 68. in propia /o™^ Piacev°le2za dignitosa. veri, se non temessi che da quantoT * eran°' Intendi: direi ' non" vare qualche detrimento alia loro r ♦ narrato in seguito potesse den-si son fatti piü seven che allora non f ; dato che oggi 1 costuml ftati adattati in tutto o in parte an?0' mdicher° dunque con_nomi_ Pampinea cd Elissa compaiono anch ii VaUti. Fiammetta. Emilia. . tore; nuovi sono invece gli altri tre nornT °Per^ giovanili deUo scrit- introduzione 55 presso Lauretta diremo alia quinta, e alia sesta Neifile, e l'ultima Elissa non senza cagione nomeremo. 52 Le quali, non giá da alcuno proponimento tirate, ma per caso in una delle parti della chiesa adunatesi, quasi in cerchio a seder postesi, dopo piú sospiri, lasciato stare il dir de' paternostri, seco della qualitá del tempo molte e varie cose cominciarono a ragionare; e dopo alcuno spazio, tacendo l'altre, cosi Pampinea cominció a parlare: 53 — Donne mie care, voi potete, cosi come io, molte volte avere udito che a niuna persona fa ingiuria chi onesta-mente usa la sua ragione 69. Natural ragione ě, di ciascuno che ci nasce 70, la sua vita, quanto puó, aiutare e conser-vare e difendere. E concedesi questo tanto, che alcuna volta ě giá addivenuto che, per guardar71 quella, senza colpa 54 alcuna si sono uccisi degli uomini. E se questo concedono le leggi, nelle sollecitudini delle quali ě il bene vivere d'ogni mortale, quanto maggiormente, senza offesa ďalcuno, é, a noi e a qualunque altro, onesto alia conservazione della 53 nostra vita prendere quegli rimedi che noi possiamo! Ogni ora che io vengo ben ragguardando alii nostri modi di questa mattina e ancora a quelli di piu altre passate, e pensando chenti e quah 72 li nostri ragionamenti sieno, io comprendo, e voi similmente il potete comprendere, ciascuna di noi di sé medesima dubitare n; né di ció mi maraviglio niente, ma maravigliomi forte (awedendomi ciascuna di noi aver sentimento di donna) non prendersi per noi74 a quello di che ciascuna meritamente 75 teme alcun compenso 7i. 56 Noi dimoriamo qui, al parer mio, non altrimenti che se esser volessimo o dovessimo testimonie di quanti corpi morti ci sieno alia sepoltura recati o ďascoltare se i frati di qua entro, de' quah il numero ě quasi venuto al niente, 69. ingiuria: offesa, danno; la sua ragione: il suo diritto. 70. ci nasce: nasce qui, in questo mondo. 71. guardar: conservare, difendere. 72. chenti e quali: quali e di che sorta. 73. dubitare: temere. 74. per noi: da noi. Agente. 75. meritamente: giustamente. 76. compenso: riparo. prima giornata introduzione 57 alle debite ore cantino il loro uficio o a climostrare a qUa. Cnue ci apparisce, ne' nostri abiti, la qualita e la quanta „ delle nostre miserie. E, se di quinci usciamo, o veggiamo corpi morti o infermi trasportarsi dattomo, o veggiamo coloro Ii quali per li loro difetti" l'autoritä delle publiche leggi giä condannö ad essilio, quasi quelle schernendo, per ciö che sentono gli esecutori di quelle o morti o malati, con ispiacevoli impeti per la terra discorrere 78, o la feccia della nostra cittä, del nostro sangue riscaldata19, chia-marsi becchini e in strazio di noi andar cavalcando e discor-rendo per tutto, con disoneste canzoni rimproverandoci i 58 nostri danni. Ne altra cosa alcuna ci udiamo, se non: «I cotali sono morti», e «Gli altrettali sono per morire »; e, se ci fosse chi fargli80, per tutto dolorosi pianti udiremmo. 59 E, se alle nostre case tomiamo, non so se a voi cosi come a me addiviene: io, di molta famiglia, niuna altra persona in quella se non la mia f ante trovando, impaurisco, e quasi tutti i capelli addosso mi sento arricciare; e parmi, dovunque io vado 0 dimoro per quella, l'ombre di coloro che sono trapassati vedere, e non con quegli visi che io soleva, ma con una vista81 orribile, non so donde in loro nuovamente venuta, spaventarmi. Per le quali cose, e qui e fuor di qui e in casa mi sembra star male; e tanto piü ancora quanto egU mi pare che niuna persona, la quale abbia alcun polso e dove possa andare, 61 come noi abbiamo«, ci sia rimasa altri che noi. E ho sentito e veduto pm volte (se pure alcuni ce ne sono) quegli cotali, senza fare distinzione alcuna dalle cose oneste a quelle e accoTn6 mlS0Ti0' SOl° Che raPPetit0 * cheggia, e sou * SrTor^^noe ^ qUCUe * ^ porgono. E non che le solute « persone, ma an- 77- difetti: misfatti. 78. discorrere: scorrazzare 70. del fnrl— 71. M , la quale... abbiamo- 1 aa v°ti. secolaxi ove P0^ andare. cora le racchiuse ne' monisteri, faccendosi a credere che quello a lor si convenga e non si disdica che all'altre, rotte della obedienza le leggi, datesi a' diletti camali, in tal guisa awisando scampare, son divenute lascive e dissolute. 63 E se cosi e (che esser manifestamente si vede), che facciam noi qui? che attendiamo? che sognamo? perch6 piii pigre e lente alia nostra salute, che tutto il rimanente de' cittadini, siamo? reputianci noi men care84 che tutte l'altre? o crediam la nostra vita con piu forti catene esser legata al nostro corpo che quella degli altri sia, e cosi di niuna cosa curar dobbiamo, la quale abbia forza d'offen- «4 derla? Noi erriamo, noi siamo ingannate; ch6 bestialita e la nostra se cosi crediamo; quante volte noi ci vorrem ricordare chenti e quali sieno stati i giovani e le donne vinte da questa crudel pestilenza, noi ne vedremo apertissimo argomento M. 65 E percid, acci6 che noi per ischinlta o per traccutag-gine86 non cadessimo in quello, di che noi per awentura per alcuna maniera, volendo, potremmo scampare (non so se a voi quello se ne parra che a me ne parrebbe), io giu-dicherei ottimamente fatto che noi, si come noi siamo, si come molti innanzi a noi hanno fatto e fanno, di questa terra87 uscissimo; e, fuggendo come la morte i disonesti essemph degli altri, onestamente a' nostri luoghi88 in con-tadb, de' quali a ciascuna di noi e gran copia, ce ne andas-simo a stare; e quivi quella festa, quella allegrezza, quello piacere che noi potessimo, senza trapassare in alamo atto il segno della ragione, prendessimo. w Quivi s'odono gli uccelletti cantare, veggionvisi ver-deggiare i coUi e le pianure, e i campi pieni di biade non altramente ondeggiare che il mare, e d'alberi ben mille 84. men care: da meno. 86 SSTS iraccutaegine: presunzione. eccessiva fiducia (cit%™Tpar.. XVI, 115: .l'oltracotata schiatU.; e il comment* delButi: «tracotato, ...che piü si tenea che non era.). 87. terra: citta. 88. luoghi: poderi, ville. 58 prima giornata 67 68 69 70 71 73 74 maniere» e Q cielo piu apertamente, il quale, ancora ehe crucciato'ne sia, non perciô le sue bellezze etteme- ne nega le quali molto piu belle sono a nguardare ehe le mura vote'delia nostra cittä. Ed éwi oltre a questo ľaere assai piú fresco, e di quelle cose ehe aha vita bisognano in questi tempi v'é'la copia maggiore, e minore il numero delle noie. Per ciô ehe, quantunque quivi cosl muoiano i lavoratori come qui fanno i cittadini, v'é tanto minore il dispiacere quanto vi sono, piu ehe nella cittá, rade le case e gli abi-tanti. E qui ďaltra parte, se io ben veggio, noi non abban-doniam persona, anzi ne possiamo con veritä dire molto piú tosto abbandonate; per ciô ehe i nostri, o morendo o da morte fuggendo, quasi non fossimo loro, sole in tanta affli-zione n'hanno lasciate. Niuna riprensione adunque puô cadere in cotal consigho seguire; dolore e noia e f orse morte, non seguendolo, potrebbe awenire. E per ciô, quando vi paia, prendendo le nostre fanti e con le cose opportune faccendoci seguitare, oggi in questo luogo e domane in quello quella allegrezza e festa prendendo ehe questo tempo puô porgere, credo ehe sia ben fatto a dover fare; e tanto dimorare in tal guisa, ehe noi veggiamo (se prima da morte non siamo sopraggiunte) 7» ehe hne il cielo riserbi a queste cose. E ricordovi ehe egli non si disdice piú a noi ľonestamente andare, ehe faccia a gran parte delľaltre lo «f» «— • introduzione 59 r~ a. uoi 1 onestamente andare, gran parte delľaltre lo star disonestamente. L'altre donne, udita Pampinea, non solamtn onsigho lodarono, ma disiderose di seguitarlo avien giä piú particulannente tra sé cominciato a trattar del modo, quasi, quindi levandosi da sedere, a mano a mano 91 do-vessono entrare in cammino. Ma Filomena, la quale disere-tissima w era, disse: — Donne, quantunque ció ehe ragiona Pampinea sia ottunamente detto, non é per ciô cosl da correre a faxlo, come mostra ehe voi vogliate fare. Ricordivi ehe noi siam 89. maniere: qualita. 90. beUezze etterne: riecheeeia n.v___ „ „ vrt 66. 91. a mano a ma„o: So XIV' Par" V"' 92. dtseretissima: molto aweduta tutte femine, e non ce n'ha niuna sl fanciulla, che non possa ben conoscere come le femine sieno ragionate insieme e senza la provedenza ďalcuno uomo si sappiano rego- 75 lare93. Noi siamo mobili, riottose, sospettose, pusillanime e paurose;~per le quali cose io dubito forte, se noi aleuna altra guida non prendiamo che la nostra, che questa com-pagnia non si dissolva troppo piů tosto, e con meno onor di noi, che non ci bisognerebbe; e per ció ě buono a prov-vederci94 avanti che cominciamo. 76 Disse allora Elissa: — Veramente gli uomini sono delle femine capo, e senza 1'ordine loro rade volte riesce aleuna nostra opera a laudevole fine; ma come possiam noi aver questi uomini? 77 Ciascuna di noi sa che de' suoi sono la maggior parte morti, e gli altri che vivi rimasi sono, chi qua e chi lá in diverse brigate, senza saper noi dove, vanno fuggendo quello che noi cerchiamo di fuggire; e il prendere gli stráni 95 non saria convenevole; per che, se alia nostra salute vogliamo andar dietro, trovare si convien modo di sl fattamente ordinarci che, dove per diletto e per riposo andiamo, noia e scandalo non ne segua. 78 Mentre tra le donne erano cosl fatti ragionamenti, ed ecco entrar nella chiesa tře giovani, non per ció tanto che meno di venticinque anni fosse 1'etá di colui che piů gio-vane era di loro; ne' quali né perversita di tempo né perdita ďamici o di parenti né paura di sé medesimi avea potuto 79 amor, non che spegnere, ma raffreddare. De' quali, 1'uno era chiamato Panfilo, e Filostrato il secondo, e 1'ultimo. Dioneo 9S, assai piacevole e costumato ciaseuno; e andavano cercando per loro somma consolazione, in tanta turbazione di cose, di vedere le lor donne, le quali per ventura tutte 93. come le femine... regolare: come poco le donne si comportíno sag-giamente quando sono insieme, senza la guida di un uomo. 94. i buono ecc: ě bene prowedere a ció. 95. stráni: estranei. 96. Panfilo... Dioneo: nei nomi dei tre personaggi si riflettono i diversi aspetti dell'esperienza ďamore. Panfilo ě 1'amante fortunato; Filostrato, lamante tradito; Dionfo, il lascivo. Tutti e tre i nomi comparivano giá nelle opere giovanih del Boccaccio. 6o prima giornata So 81 82 83 84 85 86 8? e tre erano tra le predette sette, come che delľaltre alcune ne iossero congiunte parenti" ďalcuni di loro. Né prima esse agli occhi corsero di costoro, che costoro furono da esse veduti; per che Pampinea allor cominciô sorridendo: — Ecco che la fortuna a' nostri cominciamenti é favo-revole, e hacci davanti posti discreti98 giovani e valorosi, li quali volentieri e guida e servidor ne saranno, se di pren-dergli a questo uficio non schiferemo. Neifile allora tutta nel viso divenuta per vergogna vermiglia, per ciô che l'una era di quelle che dalľun de' giovani era amata, disse: — Pampinea, per Dio, guarda ciô che tu dichi; io co-nosco assai apertamente niun'altra cosa che tutta buona dir potersi di qualunque s'é ľuno di costoro, e credogli a troppo maggior cosa che questa non é sofficienti, e simil-mente awiso" loro buona compagnia e onesta dover tenere non che a noi, ma a molto piu belle e piii care100 che noi non siamo. Ma, per ció che assai manifesta cosa é loro essere d'alcune che qui ne sono innamorati, temo che infamia e riprensione, senza nostra colpa o di loro, non ce ne segua se gli meniamo. Disse allora Filomena: — Questo non monta niente: lá dov'io onestamente viva né mi nmorda d'alcuna cosa la coscienza. parli chi ľľomnC°nt/ari0: Iddi° e la veritá ľanne per me prende-ranľnt, pur & ^ti a venire, ché ve- ^TZ^r: ir potremm°dire *fortuna Ľaltr, Z a ata favoreggiante. mente sľiaľ" 0° T' faUamente parlare' n0D S°la' dissero che essi toZ ? COnsentiment° Concorde tutte intenzione e pre^i 6 br SÍ diceSSe la ^ fattaandatalortenerľ °VeSSe loro Piacere ™ °°Sl Pampinea, levatasi in Per che senza piä par°1C pie' la quale ad alcuno di loro per 97- congiunte faretui- „ 98. dUcreti: saV? st"«e. 99- awiso: penso, credo IO°- * ^ggior pregi<). 1ntr0duzione 6l sanguinitá101 era congiunta, verso loro, che fermi stavano a riguardarle, si fece, e con lieto viso salutatigh, loro la loro disposizione fe' manifesta, e pregôgli per parte di tutte che con puro e fratellevole animo a tenere loro compagnia si dovessero disporre. 88 I giovani si credettero primieramente esser beffati; ma, poi che videro che da dovero parlava la donna, risposero lietamente sé essere apparecchiati, e senza dare alcuno indugio all'opera m, anzi che quindi si partissono, diedono 89 ordine a ciô che fare avessono in sul partire. E ordinata-mente fatta ogni cosa opportuna apparecchiare, e prima mandato lá dove intendevan d'andare, la seguente mattina, cioé il rnercoledi, in su lo schiarir del giomo, le donne con alquarite delle lor fanti e i tre giovani con tre lor famigliari, usciti delia cittá, si misero in via; né oltre a due piccole migha103 si dilungarono da essa che essi pervennero al luogo da loro primieramente ordinato. 90 Era il detto luogo sopra una piccola montagnetta, da ogni parte lontano alquanto alle nostre strade, di vari albu-scelh e piante tutte di verdi fronde ripiene piacevole a ri» guardare. In sul colmo della quale era un palagio con bello e gran cortile nel mezzo, e con loggie e con sale e con camere, tutte ciascuna verso di sé104 bellissima e di liete dipinture ragguardevole e omata, con pratelli dattomo e con giar-dini maravigliosi e con pozzi d'acque freschissime e con volte105 piene di preziosi vini: cose piu atte a curiosi104 9« bevitori che a sobrie e oneste donne. II quale tutto spazzato, e nelle camere i letti fatti, e ogni cosa di fiori, quali nella stagione si potevano avere, piena e di giunchi giuncata107, la vegnente brigata trovô con suo non poco piacere. 101. sanguinitá: parentela. 102. opera: faccenda. 103. due piccole miglia: due miglia scarse. 104. verso di si: in sé stessa. 105. volte: cantine. 106. curiosi: di gusto raffinato. 107. di giunchi giuncata: sparsa di rami di giunco. Anche nel Filo-colo: 1 ď erbe e di fiori giuncate »; e cfr. Pstrarca, Rime, L, 37: tdi verdi fronde ingiuncai. 895378 62 prima giornata 93 E postisi nella prima gtanta» a sedere, disse Dioneo, il quale oltre ad ogni altro era piacevole giovane e p,en0 di m0Í- Donne, il vostro senno, piú che il nostro awedimento, ci ha qui guidati. Io non so quello che de' vostri pensieri voi v'intendete di fare; li miei lasciai io dentro dalla porta della cittá allora che io con voi poco fa me iťuscii fuori; e perció, o voi a sollazzare e a ridere e a cantare con meco insiemevi disponete (tanto, dico, quanto alla vostra dignita s'appartiene), o voi mi licenziate109 che io per li miei pensier mi ritomi e steami nella cittá tribolata. 94 A cui Pampinea, non ďaltra maniera che se similmente tutti i suoi avesse da sé cacciati, lieta rispose: — Dioneo, ottimamente parli: festevolmente viver si vuole, né altra cagione dalle tristizie ci ha fatto fuggire. 95 Ma, per ció che le cose che sono senza modo 110 non possono lungamente durare, io, che cominciatrice fui de' ragiona-menti da' quali questa cosi bella compagnia ě stata fatta, pensando al continuare della nostra letizia, estimo che di necessitá sia convenire esser tra noi alcuno principále, il quale noi e onoriamo e ubbidiamo come maggiore111, nel quale ogni pensiero stea di doverci a lietamente viver 96 disporre. E acció che ciascun pruovi il peso della sollecitudine1" insieme col piacere della maggioranza>13, e per conseguente, ďuna parte e ďaltra tratto"\ non possa, clu noi pruova, invidia avere alcuna, dico che a ciascun per un glorno sattribuisca e '1 peso e 1'onore; e chi il pnmo $ZZH vUa elezion di noi tutti sia=di che S™'^610" dd s'awicinerá, quegU o avuta la silS ° * ^ pkcerá> che ^1 giomo avrá avuta la signona; e questo cotale, secondo U suo arbitrio, 108. nella printa eiunta- an 109. mi licenziate: mi datfi!!*gÍUnti (come «Dante, Inf., XXIV, 45>-ni. principále: capo; m'su™. 112. sollecitudine: eura caricT SUperiore-"3. della maggioranza: della*,,,^ • ■ H4. *«na part,... traUo:sLr\TTntíí SU8U altri. B P'acere. ^"menUndo di volu in volta il peso « INTRODUZIONE 63 del tempo che la sua signoria dee bastarem, del luogo e del modo nel quale a vivere abbiamo ordini e disponga. 97 Queste parole sommamente piacquero e ad una voce lei per reina del primo giorno elessero; e Filomena, corsa presta-mente ad uno alloro, per ció che assai volte aveva udito ragionare di quanto onore le frondi di quello eran degne e quanto degno d'onore facevano chi n'era meritamente incoronato, di quello aleuni rami colti, ne le fece una ghir-landa onorevole e apparente U6, la quale messale sopra la testa, fu poi mentre duró la lor compagnia manifesto segno a ciaseuno altro della real signoria e maggioranza. 98 Pampinea, fatta reina, comandó che ogni uom tacesse, avendo giá fatti i famigliari de' tre giovani e le loro fanti, che eran quattro, davanti chiamarsi, e tacendo ciascun, disse: — Acció che io prima essemplo dea a tutte voi, per lo quale, di bene in meglio procedendo, la nostra compagnia con ordine e con piacere e senza alcuna vergogna viva e duri quanto a grado ne fia, io primieramente costituisco Parméno, famigliar di Dioneo, mio siniscalco117, e a lui la eura e la sollecitudine di tutta la nostra famiglia11* 99 commetto e ció che al servigio della sala appartiene. Sirisco, famigliar di Panfilo, voglio che di noi sia spenditore e teso-riere e di Parméno seguiti i comandamenti. Tindaro al servigio di Filostrato e degU altri due attenda nelle camere loro, qualora gh altri, intorno a' loro ufici impediti, atten- 100 dere non vi potessero. Misia mia fante, e Licisca, di Filomena, nella cucina saranno continue119 e quelle vivande diligentemente apparecchieranno che per Parméno loro sa- 'oi ranno imposte. Chimera, di Lauretta, e Stratilia, di Fiam-metta, al govemo delle camere delle donne intente vogliamo che stieno e alla nettezza de' luoghi dove staremo; e ciaseuno 115. bastare: durare. 116. apparente: vistosa, bella. 117. siniscalco: maggiordomo. 118. famiglia: servitů. 119. continue: aggettívo in funzione avverbiale: continuamente, sempře. 3594 PRIMA GIORNATA 64 wnte oer quanto egli avrá cara la nostra grazia, che si guardi, dove che egli vada, onde che egU tomi, che che egli oda 0 vegga, nmna novella, altro che lieta, ci rechi di fuori. .o, E quest! ordini sommariamente dati, h quah da tutti commendati furono, heta drizzata in piě disse: — Qui sono giardini, qui sono pratelli, qui altri luoghi dilettevoli assai, per h quali ciascuno a suo piacer sollaz-zando si vada, e come terza120 suona, ciascun qui sia, acció che per lo fresco si mangi. 103 Licenziata adunque dalla nuova reina la lieta brigata, U giovani insieme colle belle donne, ragionando dilettevoli cose, con lento passo si misono per uno giardino, belle ghirlande di varie frondi faccendosi e amorosamente can-tando. 104 E poi che in quello tanto fur dimorati quanto di spazio dalla reina avuto aveano, a casa tornati, trovarono Parméno studiosamente aver dato principio al suo uficio, per ció che, entrati in una sala terrena, quivi le tavole messe videro con tovaglie bianchissime e con bicchieri che d'ariento m parevano, e ogni cosa di fiori di ginestra coperta; per che, data l'acqua alle mani, come piacque alia reina, secondo il giudicio di Parméno tutti andarono a sedere. '05 Le vivande dihcatamente fatte vennero e finissimi vini fur presti; e senza piu chetamente li tre famigliari servi-rono le tayole. Dalle quah cose, per ció che belle e ordinate erano, rallegrato ciascuno, con piacevoli motti e con festa mangxarono. E levate le tavole (con ció fosse cosa che tutte ditrnt?1 841)655610 e s^ente i giovani e parte uuro e la Fiammetta una viuola, conuncia- del sole ed'era^dUstintein* nliLattino- ^ ore si contavano dal sorger nona e vespro). Huattro gruppi ój ^ ciascuno (terza, sesta, 121. arienlo: argento (cfr VT danento si eran chiarii). 1 biccv.n.-jl: "due bicchieri che parevano 122. carolar. danzare a tondo m ^ uso c°mune erano di stagno. lctr- dm,tk, Par., XXIV. 16; XXV, 99)- introduzione 65 (06 f [07 rono soavemente una danza a sonare. Per che la reina coll'altre donne, insieme co' due giovani presa una caröla m, con lento passo, mandati i famigliari a mangiare, a carolar cominciarono; e quella finita, canzoni vaghette e liete co~ minciarono a cantare. 108 E in questa maniera stettero tanto che tempo parve alla reina d'andare a dormire: per che, data a tutti la licenzia, Ii tre giovani alle lor camere, da quelle delle donne separate, se n'andarono, le quah co' letti ben fatti e cosi di fiori piene come la sala trovarono, e simigliantemente le donne le loro; per che, spogliatesi, s'andarono a riposare. 109 Non era di molto spazio sonata nona, che la reina, leva-tasi, tutte l'altre fece levare, e similmente i giovani, affer-mando esser nocivo il troppo dormire di giorno; e cosi se n'andarono in uno pratello, nel quäle l'erba era verde e grande ne vi poteva124 d'alcuna parte il sole; e quivi, sen-tendo un soave venticello venire, si come volle la lor reina, tutti sopra la verde erba si puosero in cerchio a sedere, a' quah ella disse cosi: no — Come voi vedete, il sole e alto e il caldo e grande, n6 altro s'ode che le cicale su per gli uhvi; per che l'andare al presente in alcun luogo sarebbe senza dubbio sciocchezza. Qui e bello e fresco stare, e hacci125, come voi vedete, e tavolieri 126 e scacchieri, e puote ciascuno, secondo che al- 111 l'animo gü e piü di piacere, diletto pigliare. Ma se in questo il mio parer si seguisse, non giucando, nel quäle127 l'animo dell'una delle parti convien che si turbi senza troppo piacere dell'altra o di chi sta a vedere, ma novellando (il che puö porgere, dicendo uno 128, a tutta la compagnia che ascolta «2 diletto) questa calda parte del giorno trapasseremo. Voi non avrete compiuta ciascuno di dire una sua novelletta, che il sole ha declinato e il caldo mancato, e potremo dove 123. presa una caröla: impostata una danza. 124. vi poteva: vi aveva forza, vi pcnetrava. 125. hacci: vi ha, vi sono. 126. tavolieri: tavole da gioco. 127. nel quäle: nel qual giocare. 128. dicendo uno: mentre uno solo racconta. Ablativo assoluto, col gerundio in funzione di participio. 66 prima giornata piii agrado vi fia andare prendendo diletto; e per ci6, quando questo che io dico vi piaccia (cbi disposta sono in ci6 di seguire il piacer vostro), faccianlo; e dove non vi piacesse, ciascuno infino aU'ora del vespro quelle faccia che piu gi] piace. Le donne parimente e gli uomini tutti lodarono12' u novellare. — Adunque, disse la reina, se questo vi piace, per questa prima giomata voglio che libero sia a ciascuno di quella materia ragionare che pih gh sara a grado. E rivolta a Panfilo, il quale alia sua destra sedea, piacevolmente gli disse che con una delle sue novelle al-l'altre desse principio. Laonde Panfilo, udito il comanda-mento, prestamente, essendo da tutti ascoltato, cominci6 cosi. [NOVELLA PRIMA] Ser Cepperelio con una falsa confessione inganna uno santo irate, e muorsi; ed essendo stato un pessitno uomo in vita, i morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto. Convenevole cosa e, carissime donne, che ciascheduna cosa la quale i'uomo ^ daUo j,^^ e santo nome di ZLJ q , * tUtte fu facitore le dea principio. Per che, darnlt3 ? n°8tro n°Vellare' si ™™ P™<>, dare comin-SS^ da Una deUe sue maravighose cose inco-™me in ChC' qUeUa udita' la nostra speranza in lui, noi il Su^nC0Sa ™P«aitabiIet. si fermi e sempre sia da 01 u suo nome lodato. Manifesta coca a „u n sono transitory J?'* le cose temPorali tU"e Piene di noia * ^ COsi ^ se e fuor di se essere soggiacere; aUe JT^* 6 * ^ 6 ad **** che viviamo mzJl?™* niuno fall° ne potremmo noi, cscoiau m esse e che siamo parte d'esse, "9- hdarono- approvarono «• tmpermutabiU: non soggetta ssena a mutamenti, incorruttibile. dimento ^ : ^ w<*& • sono div^ ^ ^O^to «U|Wr procuratd forse non tanto giu gh porgia E and pieno disci tale nel se! awien fq dinanzi —[a sua maesta facciamo procuratore, che da quella con ettemo essiho 7 e scacciato; e nondimeno esso, al quale niuna cosa e occulta, piu alia purita del pregator riguar-dando che alia sua ignoranza o alio essiho del pregato, cosi come se quegli fosse nel suo conspetto beato, esaudisce coloro che '1 priegano. II che manifestamente potra apparire nella novella la quale di raccontare intendo; manifestamente dico, non il giudicio di Dio, ma quel degh uomini seguitando. Ragionasi adunque che essendo Musciatto Franzesi8 di ricchissimo e gran mercatante in Francia cavaher divenuto e dovendone in Toscana venire con messer Carlo Senzaterra, fratello del re di Francia, da papa Bonifazio addomandato 2. durare: resistere; ripararci: difenderci da esse. 3. di coloro: dei sauti. 4. i suoi piaceri: la volonta di Dio. 5. procuratori: protettori, patroni. 6. gli porgiamo: cioe porgiamo i nostri preghi. 7. ettemo essilio: nel senso di dannazione, e frase di Dante, Purg., XXI. 18; Inf.. XXIII, 126. 8. Musciatto Franzesi: e personaggio storico. Arricchitosi col mer-canteggiare in Francia, segul Carlo di Valois, detto Senzaterra, nella sua spedizione in Italia al servizio di papa Bonifacio VIII. Dino Com-pagni lo descrive come t cavaliere di gran malizia, picciolo della persona ma di grande animo » (Cronica, II, 4); il Villani nana i pertidi consigli da lui dati a Filippo il Bello e la parte da lui avuta nell'aggressione di Anagni contro il pontefice (Cronica, VII, 147; VIII, 49, 56 e 63).