22 liugenio MnntdĽ PorfifioDiaainsu- con firme« mpacsani) dove si seppe che avevano fatto u> lta c una peggior fine. Donna Juanita mor] voile spicciarsi per timore d. trovare occupa^ rann celeste al quale aspirava; c forse lo rag» * compagnata dall'anetta del Cavahere di grazia Gran via aveva lasciato altre tracce in lei. Le figi ' credo che aspirassero a nulla, in vita e in morte. Noneb bero mai veramente né casa né patria, nč lingua né fo* glia. Non giunsero a un csistenza vera e propria e fa* non sospcttarono neppure che potesse essercene una d versa dalla loro. Non so dirle chi occupi ora iJ sepolcreic costruito con taňte spese e fatica. Forse altri pazzi diia miglia, collaterali; forse l'artista stesso rientrato in pos sesso delľopera propria. «Le basta? Lo so, lei vorrebbe sapere qual é il luogo qual é la spiaggia, il trampolino dal quale il leone spiccč il volo per il Nuovo Mondo: vorrebbe inserire in u: quadro sicuro il bambino ehe si nasconde in un canneie per tirare qualche innocuo ciottolo a donna Juanita e a! le sue cocorite, ree di aver costruito un palazzo degnoi fcmiramide nell'insenatura dove per anni era esistita* , casa,di su° Padre; vorrebbe sapere in quale terra 4 r^lusi, dj vittime e di alcoolizzati erano possibUi am* ľ"! f ' albori di "n secolo ehe non aveva esso Ja maschera del benessere e del progresso. Vor lcuoe sapere...» tracdíto1;00 SCriVerlo» Presto Gerda che*v£ glio. <le mie som,g mt*S1 krmeranno qui.» *** chissä ehe noVpoľsa farle^ La regata II Vcrdaccio - un piccolo porto naturale difeso da alti roccioni, nel cuorc di un semiccrchio di vecchie case at-taccatc insicme o divise solo da stretti sottopassaggi e in-tricati huclclli - si prendeva quasi d'infilata dalla stanza di Zcbrino, al terzo piano della villa di Montecorvo dove la sua famiglia passava i mesi cstivi. Ma era sull'opposta riva delľinscnatura, tre miglia e forse piu in linea d'aria, e ci sarebbe voluto un cannocchiale per vedere animarsi di un cencioso e pittoresco viavai la fuliggine di quel co-vo di piráti e di falchi, al quale neppure i saraceni avevano mai osato di accostarsi. Non vi si fermavano treni e non vi aveva accesso alcuna strada carreggiabile; non vi esistevano locande o pensioni. Se qualche foresto, sbar-catovi, si arrischiava tra quei caruggi, dalľalto degli ulti-mi piani gli rovesciavano sulla testa ben colmi pitali, senza il rituále awiso «vitta ch'er beuttu!» (attenzione, sto per gettare!), sempre riservato ai passanti di riguardo. Fin qui la leggenda pervenuta agli attenti orecchi di Zebrino; per cui, tuttavia, il Verdaccio non era che un buco nella lontana scogliera, un grande albero fronzuto, forse un noce, che sfidava la distanza e sorgeva quasi sul Porto, e la macchia bianca di una casa turrita, un po'di-scosta, erta su uno scoglio a levante. Quella era la casa del Ravecca, i feudatari o almeno i signoři indiscussi del pae^ se. Gente che aveva mandate i figli alia scuola tecnica, nel capoluogo di provincia, e che anche nei giorni renali cai-zava tanto di scarpe; gente che leggeva il glornale" C durante ľinverno faceva capolino in citta. Ben divers^ d*gli altri verdacciani, donne veštite di seta ma semp Eugento Montale scalze e uomini villosi e inafferrabili, marináři di piccolo cabotaggio, vignaioli senza vigne e contrabbandieri. Ma esistevano dawero questi Ravecca? Zebrino non li aveva mai incontrati. Fra Montecorvo e il Verdaccio non correvano rapporti di buon vicinato e i due dialetti somi-gliavano ben poco. Altra era la locuzione usata dai mon-tecorvini nell'atto di estromettere dalla finestra i loro sottoprodotti; e dissimili i costumi degli abitanti. Una cosa pero pareva certa a Zebrino: che suo padre, trent'anni prima, era stato in procinto di iidanzarsi con una Ravecca, l'ultima femmina della famiglia, ora carica di figli, vedova e residente in un deserto, a Fivizzano. Doveva essere una povera martire casalinga, squattrinata e in nulla superiore alia madre di Zebrino; ma la notizia in sé, giunta al ragazzo che aveva dovuto filtrarla da un fitto giuoco di allusioni, sottintesi e piccoli battibecchi dei suoi genitori, non poteva mancare di fargli una certa impressione. Se le cose fossero andate in un altro modo, lui Zebrino sarebbe forse nato lá, in quella torre bianca, e il Verdaccio non avrebbe avuto segreti per lui. Se suo padre avesse sposato un'altra donna, lui Zebrino sarebbe stato un altro Zebrino, anzi forse non avrebbe avuto quel nomignolo... Ci avrebbe perso o guadagnato? I piaggiatori della sua famiglia, gli accattoni che ogni sabato venivano in processione alia sua casa, i pontre-molesi girovaghi, capaci persino di fermarsi al Verdaccio, e il Battibirba, il fraticello questuante che calava da Sarzana per bussare a quattrini, assicuravano che il padre di Zebrino era cento cubiti piú ricco e generoso di tutti i Ravecca, da anni decaduti e pieni di "chiodi"; ma il signor Zebrino senior non amava che si facessero ac-cenni a un possibile decadimento dei Ravecca; non gra-diva che si mettesse in una luce men che favorevole a "sistemazione" ch'egli aveva sfiorato in gioventu. So-prattutto non voleva che gli si togliesse un'arma, 1 arrna del se, con la quale egli metodicamente ricattava la rede 25 )e compagna dei suoi giorni. Andava ďaccordn n I moglie. é=le:tre„?te col pester ^ """ , i . . — r«« non ri vano bene ohate e insaporite di pecorino sardo o la cir ripiena gli pareva imbottita di pancotto anziché di D ľ0 li e di laccetti (vulgo animelle), il signor Zebrino LL aveva sempře un grande atout, e accennando alia casa bianca sulľaltra riva poteva lasciar capire che la, propria la, fatti simili non gli sarebbero mai accaduti. Col passar del tempo il mito dei Ravecca si dissolse nell'anima del fanciullo, preso da altre scoperte e preoc-cupazioni. Ma non prima di essere esploso in un episo-dio del quale egli solo, tra i protagonisti, colse il senso nascosto. II giorno venti di settembre, a Montecorvo, non man-cava mai una regata a remi che il Lampo, il gozzo della famiglia di Zebrino, vinceva da anni, senza eccezioni. Era una barca piú svelta delle altre a mettersi in moto, per via della forma affusolata e delľalta prua che pesca-va pochissimo; alia prima palata dei vogatori il Lampo prendeva un metro, mezzo metro di vantaggio e non e'era piú nulla da fare, sembrava impossibile di rimon-tarlo. Ma quell'anno - Zebrino era cresciuto e contava giä dodici primavere - un pericolo nuovo si profilava all'orizzonte: la barca da tramagli dei Ravecca, il Gron-go, non giä condotta dai mitici padroni ma da tre mu-scolosi pescatori verdacciani era venuta per la prima volta alia regata, e il rischio sembrava grave. Esaunti i Previsti divertimenti, ľalbero di cuccagna, la corsa nei sacchi e il discorso anticlericale delľanarchico Papirio /"glia, sei prue si allinearono all'orizzonte in attesa del-10 sParo del via. II percorso era forse di un chilometro e me2*o e il traguardo si vedeva a cento metn dalla spiag-* ,a> dove sorgevano i primi scogli. Una folia s'era raccol-f 3 «va e Zebrino, i suoi fratelli e i geniton seguivano pimento dalľalto, affaccmndosi alia balaustrawdd °ro *rrazzo. Lampo o Grongo? Il Umpo era affídato 26 Eugemo Montale quattro veteráni tlel luogo - tre vogatori e un timoniere - e neppur qui era direttamente in ballo 1'onore della fa. miglia; ma Zebrino si sentiva in subbuglio e anche i suoi non si mostravano tranquilli. Si vedevano le prue ap-paiate, lontanissime, alta e biancorossa quella del Lam. po, bassa verdecupo e di malaugurio quella del Grongo; erano la prima e la terza contando da sinistra. A un trat-to si udi il colpo di pistola e lo scatto isocrono delle prime palatě. Per qualche tempo le barche parvero sulla stessa linea. II binocolo passava di mano in mano ma nessuno riusciva a metterne a fuoco le lenti. Le barche sembravano ferme, i remi felpati. Piccole imbarcazioni, sandolini e nuotatori facevano ressa intorno allo seoglio del traguardo, sul quale sedevano, scamiciati, Papirio Triglia, le "autorita" e la giuria. Scoccavano le cinque del pomeriggio. II sole ardeva ancora sul vasto areo di mare fra il Mesco e la punta Monasteroli. II fumaechio di un třeno merci usciva da un profondo obló scavato tra le rocce. E le sparse im-precazioni e il ritmico muover dei remi facevano piú grande il silenzio della marina. «Lampo» disse con sicurezza la madre di Zebrino to-gliendosi il binocolo dal naso. «Ha preso mezzo metro.» E parve che avesse un sospiro di sollievo. «Sará» ammise il fratello maggiore facendo cannoc-chiale delle dita strette a cartoccio. «Ma stavolta ě un os-so duro.» «Speriamo che quei rebelloni (straccioni) ce la metta-no tutta» borbottó 1'altro fratello con la palma della mano a grondaia sugli ocehi. «Uhm!» řece il figlio del fattore, il Restin, che figgeva gli sguardi gialli, di lince, sulla prora del Lampo. «E troppo appruato oggi. Sente gli anni anche lui.» Le barche erano come ferme sullo stesso livello, re-matori e timonieri bestemmianti si curvavano in un solo gesto. Metá del cammino doveva essere stata percorsa. mo anca Far/alla di Dinard 27 «1 verdacciani tirano come mastini» disse il Dadre sforzandosi di centrare il binocolo. «Temo che faře cilecca.» E guardó senza parere verso la maechia bi sul paese lontano. «Siamo fregati» confermó il Restin sforzandosi le pu-pille e mordendosi le unghie. «11 Grongo tien meglio la rotta. Ha un equipaggio piú leggero.» «Non ě ancor detta» ribatté la mamma senza piú guardare. «Te lo dico io» incalzó il babbo che ora pareva secca-to. «No» ammise poi «non e ancora detta ma ě un affare di millimetri.» Dalla spiaggia il clamore giungeva altissimo; Lampo e Grongo, la prua alta e la prua nascosta, beccheggiavano fra le spume, nettamente in těsta alle akre barche; le urla dei timonieri soverchiavano lo schianto dei remi. Man-cavano cinquanta, forse trenta metri. Fu un attimo infi-nito, il cuore di Zebrino era li li per spezzarsi. Poi si udl uno strillo acutissimo: «Lampo!» e il Restin fece una piroetta da scoiattolo mentre la prua rossa si storceva sotto il filo a un guizzo di timone e i tre vogatori si tuffavano in mare, comera abitudine degli equipaggi vittoriosi. Semi-affogato tra i cavalloni anche il Grongo tagliava il traguardo e i verdacciani, battuti ma non convinti, lanciavano atroci in-giurie alla giuria e alle barche degli spettatori. «Lampo» disse la mamma con orgoglio. «Non ce la fanno con lui.» «Per un pelo» la beccó il babbo asciugandosi il sudo-re- «Ě 1'ultima volta che lo affido a questi ubriaconi. E ofa dovremo anche pagargli da bere. Sei contento Ze-brino?» C°n la mano sul cuore il ragazzo, pallidissimo, non n-sP°se- Rivolto verso levante i suoi ocehi erano fissi sulla macchia bianca che sovrastava il Verdaccio. EUGENIO MONTALE PROSE E RACCONTI a eura c con introduzione di Marco Fořti Note ai testi e varianti a eura di Luisa Previtera ArnoUoMondadon Editore