mo, non ancora Moravia né i Martinelli che cercherò. Vedrò Palazzeschi,spero.Hovedutola figlia di Croce, che dirige “Aretusa”. Tutti mi sono addosso e dovrei avere cento cervelli per contentare tutti (...) Per te e per Montalecisarebbe dafare, poiché siete desiderati...». Non lo scrive ma percepisce la sua ascesa letteraria. Da tempo è nella considerazione degli edi- tori.Giàloavevaconfessatopoco tempo prima: «Ho in lavoro tre volumi: per Einaudi, Le Monnier, Parenti per i quali avrò un periodo del parto e del puerperio». Perl’inquietoGadda,mentre ilpaeseèpresodall’entusiasmo della rinascita del dopoguerra, cambia fortunatamente il ven- to.VieneassuntoallaRAIepubblica con successo il libro che glidarànotorietà,Querpasticciac- ciobruttodeviaMerulana.Nonpe- regrinapiùperpensioniecamere d’affitto, si stabilisce final- menteinunasuacasa.ConBonsanti il carteggio prosegue. Informa l’antico amico di tutte le oscillazioni della sua esistenza: da via Blumenstihl nel luglio 1957 scrive al carissimo Sandro: «Lamia salutenonvabene(...)Il cuorepeggioralentamenteepavento già il prossimo inverno e lesofferenzechemiporterà:dovrei cambiar casa, per riduzione di bilancio e per andare in un luogo meno periferico: ma non so se ce la farò». Gadda è uno scrittore affermato. Conti- nualafedeleconsuetudinecon Sandro. Il 12 gennaio 1958, al terminediunalunghissimalettera si scusa: «...ma ho voluto trascorrere un’ora con te, ed esprimerti la mia riconoscenza, e darti qualche notizia. La mia biografia è squallida: e pri- vaormaidiognicontenutoche non sia lo scorrimento della penna sul foglio, o la lettura. Je n’ai pas lu tous les livres! Molti mi rimangono da leggere, ver- gognosamente». di NICCOLÒ SCAFFAI «E alloraanch’io,come tutti, son disceso con la sensazione e con il pensiero, cioè conilcorpoecon l’anima, ai fatti perentoriiebana- lidellavitadiguerra:eallabrutaleimmediatezza di questi fatti ho riconosciuto valore di causa, da poi che a volte essi vennero motivando tutta una serie d’altri fatti bruti e reali. (...) Ho sofferto: orrendamente sofferto: e delle mie ango- sceil99per100lolascerònellapenna:il mio diario di guerra è una cosa impossibile, ognuno lo vede». Così scriveva Carlo Emilio Gadda in un brano del Castello diUdine(1934),intitolatoappuntoImpossibilità di un diario di guerra. Sul senso di queltitolo,cosìcomesulrapportodicontinuità e differenza tra il Giornale di guerra e di prigionia (ricavato dai taccuini de- gliannidiconflitto)eleoperesuccessive diGadda,lacriticahamoltoriflettuto:il diario può essere considerato come pri- motempodiunitinerarionarrativocoerente o si tratta piuttosto della registrazione di un disordine non ancora «organato» (il lemma ricorre nella Meditazione milanese)?Inognicaso,l’ereditàdolorosa del conflitto appare come una camera magmatica,cheribollenelsottosuoloriscaldando e scuotendo il terreno affio- rantedellascrittura.Saràancheperque- stocheifattiegliscrittilegatiallaPrima guerracontinuanoaessereunfulcrodegli studi gaddiani, quasi un’officina specializzata all’interno del grande cantiere che nel tempo ha visto all’opera una parte importante della filologia e della critica italiane: da Dante Isella a Giulio Ungarelli, da Gian Carlo Roscioni a Maria Antonietta Terzoli, a Paola Italia. Da quell’officina esce ora un nuovo, importante volume, che prosegue la serie delle opere gaddiane diretta dalla stessa Paola Italia con Giorgio Pinotti e ClaudioVela:LaguerradiGaddaLettere e immagini (1915-1919), a cura di Giulia Fanfani, Arnaldo Liberati e Alessia Vezzoni (Adelphi «La collana dei casi», pp. 424, 96 tavv. f.t., euro 30,00). Il libro include una parte rilevante del carteggio di Carlo con i famigliari (la madre Adele Lehr, la sorella Clara e il fratello minore Enrico, caduto nel 1918 mentre era alla guida del suo aeroplano): 121 missive per lo più inedite, che vanno dal giugno 1915 al marzo 1919. Una cronologia iniziale colloca le vicende nel contesto degli eventi bellici, ulteriormente illustra- tinell’ampiocommentocheseguelelettere; questo procede principalmente lungo tre direttrici: l’approfondimento di circostanze e dettagli storici; la ricostruzione di legami e rapporti famiglia- ri;l’individuazionediriscontriepassiparalleli nell’opera gaddiana. In appendice si trovano una mappa dei luoghi di guerraeglialberigenealogicidellefamiglie Gadda, Ronchetti e Fornasini (ricor- datinelcarteggio).AllaNotaaltestoseguono un cospicuo dossier iconografico (conlefotodi Carlo edEnrico sottolearmi e la riproduzione di appunti e documenti) e la Postfazione di Arnaldo Liberati, il nipote della governante Giuseppina, cui Gadda ha lasciato il suo patrimonio documentale. Proprio dall’Archivio LiberatidiVillafrancadiVeronaprovengono alcune delle missive qui pubblicate, che integrano la parte più consistente del corpus epistolare conservato nel FondoGaddadell’ArchivioContemporaneo «Alessandro Bonsanti» del Vieusseux di Firenze. Affidati dall’autore a Bonsantineglianniquaranta,erestaurati dopo l’alluvione del ’66, quei documenti presentavano delle grandi difficoltà di decifrazione, affrontate meritoriamente dalle curatrici. Orachequesteletteresonofinalmen- tedisponibili,valelapenachiedersiquale possa essersene la migliore fruizione. Questa sarà almeno duplice: da un lato infatti, come tutti gli epistolari, si tratta ditestiausiliari,checontribuisconocioè al commento delle opere; dall’altro, la ‘trama’famigliareesoprattuttolaqualità e postura del Gadda epistolografo richiedono di trattare questi scritti come pagine d’autore. Osserva Liberati che il carteggio rivela «uno scrittore a tal punto padrone dei mezzi espressivi da co- struireogniletteracomeuntestounico, stilisticamenteconnotato(...),dovespiccano di volta in volta la sua intelligenza delmondo,lasuacapacitàdiosservazio- ne,lasuaperiziatecnica,losguardoacutissimocon cuiabbraccia latopografiae lageologia deiluoghi».Proprioladescrizione dei luoghi, che spesso sembra espandere appunti del diario, è uno degli aspetti che danno una connotazione letterariaacertibraniepistolari:«L’azione attraverso i ghiacci è qualche cosa di meraviglioso, raccapricciante; e di in- concepibileachinonèspettatore:senza laferreaazionedelcomandoeilsublime spirito di sacrificio di tutte queste trup- penonsarebbepossibilenondicol’effettuazione ma neppure la concezione di queste vite» (dalla lettera di Gadda alla madre, datata «30 aprile 1916»). Altrevoltelanaturadiventalocushorridus straziato dalla guerra: «buche enor- mi,massiproiettatidovunque,massimi- norichehannoinghiaiatoiprati,pinidi- velti,stroncati»(30giugno1916).Descri- zionicomequesta,oltrechenellaletteratura della Grande guerra, trovano una corrispondenza in alcune foto del dos- siericonograficocheritraggonounGadda ‘eroico’ contro lo sfondo degli alberi ischeletriti. Ma oltre che un volume sulla guerra, questo è anche una specie di ‘libro di famiglia’, con tre protagonisti principali: Adele,CarloedEnrico.All’iniziodelcon- flitto,iduefratellisonoentrambiiscritti al Politecnico di Milano, entrambi sono interventisti. Il maggiore viene chiamato alle armi il primo giugno 1915 emandato a Parma per l’addestramento (da qui invia le prime lettere alla madre); il minore,volontarionegliAlpini,raggiun- gesubitolazonadiguerra:unadifferenza che è già un destino. Carlo ed Enrico scrivono alla madre in italiano ma spesso anche in francese, lingua privilegiata della comunicazione famigliare. Adele, che di francese era stata insegnante pri- madidiventaredirettricediscuola(etrasferirsi per lavoro, durante la guerra, dapprima a Modica e poi a Lagonegro), indicacosì il‘codice’ dellacomunicazio- ne,dicuifaparteancheunacertaretorica patriottica (simile a quella in seguito imitata e parodiata dallo scrittore): «So chel’azionevostra sifa intensaevigoro- sa»scriveAdeleaCarloil31ottobre1915 «e riesce un’apoteosi delle recondite fi- bredell’animaitaliana».Aquestiaccenti si alternano le comunicazioni pratiche (peresempiosugliindumentielescarpe per il figlio), speculari alle cure espresse daCarlonelGiornale;eleraccomandazioni austere impartite come capofamiglia (ilpadredelloscrittore,FrancescoIppoli- to,eramortonel1909):«ipuntididemerito gravano sempre sulle promozioni» (22 luglio 1915). Se Carlo è l’epistolografo più dotato in famiglia, il ruolo di pivot nel carteggio è occupato da Enrico. Già nellelettere,comepoisarànellaCognizione, il fratello diventa un nodo di reticenze e tensioni. Carlo gli chiede di non alimentare le ansie della madre e della sorella raccontando loro i pericoli che affronta (con quell’ardimento che lo scrittore ammira e soffre, come termine di confronto e capo d’accusa rispetto alla propria inettitudine); non lo incoraggia ma neanche lo dissuade dall’unirsi all’aeronautica (scelta che gli sarà fatale); allude alla sua condotta economicamente disinvolta. D’altra parte, Adele e ClaranascondonoaCarlo,ancoraprigioniero, la morte del fratello; cosicché il traumadellascoperta,unavoltarientratoinpatria,si sommeràallavergognadi Caporetto. «Non poter far nulla per lui» scrive Gadda alla madre nel gennaio del ’19 «non aver fatto nulla, non averlo vi- stoeoradovreigoderelavita?».Daallora inpoi,una«inutile,monotonavita»loattende, come scrive nelle ultime pagine delGiornale.SipuòdirechelafinediEnrico segni quasi la fine della vita come evento, come avventura; tanto che all’autorediquestelettereediaridiguer- rasubentreràuniobiograficofermonella volontà di restare nell’ombra. Alessandro Bonsanti sul Ponte di Santa Trinitaa Firenze e, sotto, ritratto da Vieri Freccia negli anni trenta, Fondo Letteratura; a destra: Gadda in un deposito di munizioni a Romans d’Isonzo, 1917, Archiviodi Fondi gaddiani di Arnaldo Liberati, Villafranca di Verona Grandeguerra nellatrama dellafamiglia È da poco rinata la casa editrice Vallecchi, e la collana di poesia – diretta da Isabella Leardini – ripropone i versi di Piero Bigongiari, con la scelta di liriche raccolte ne L’enigma innamorato (Antologia 1933-1997), a cura di Paolo Fabrizio Iacuzzi (pp. 254, € 18,00). Bigongiari è un figlio nobile della stagione ermetica – esordisce nel 1942, con La figlia di Babilonia – e conduce quella lezione fino alla fine del secolo, imprimendovi un segno ancora visibile: lo si capisce leggendo la bella introduzione al volume, firmata da Milo De Angelis, che tratteggia la sua parabola e lo riconosce come «un Maestro». E basterebbe controllare le tracce che lasciano, nello stesso De Angelis, due versi come questi: «La morte è questa / occhiata fissa ai tuoi cortili». Versi che incorniciano uno dei temi essenziali di Bigongiari – il senso di transitorietà di ogni cosa – in un orizzonte quotidiano e insieme straniante. Dentro un cammino di scrittura durato cinquant’anni sembrano evidenti soprattutto le linee di continuità, le costanti più che le fratture. A cominciare dalla voglia di frugare l’enigma appunto – parola-chiave e ritornante – dell’esistenza, come dice la forte istanza interrogativa di questo poeta, la presenza fitta di domande, che riguardano spesso anche la consistenza del soggetto: «Quale festa è quella che attraversa, / senza di te, maldestro il mio io? / O sono io desto nel sogno di un dio? / Che cosa infesta la memoria?» (Forse è lei la favoleggiatrice). Oppure, è suggestivo registrare la tenuta lunghissima di termini che dicono – non riuscendo a afferrarlo – quello stesso mistero, e che trasmettono una sorta di estenuazione della lingua poetica: impensabile, indimorabile, incomprensibile ecc., con i loro sinonimi. Colpisce come Bigongiari, e anche con più insistenza negli ultimi anni, abbia tentato di mescolare proprio l’indefinito dell’essere con la propria esperienza, con l’insostituibilità di una biografia: quanti suoi titoli cercano un ancoraggio nei luoghi, nelle date, in un momento ben preciso. È quella che un sodale di Bigongiari – Mario Luzi – chiamerebbe forse «l’immensità dell’attimo»: la convivenza del mito e della storia nella forma strana della poesia, là dove possono convivere un viaggio a Manhattan e un ricordo delle Porte Scee nell’Iliade, l’apparizione di un tassista e gli ambasciatori di Corcira di cui parla una pagina di Tucidide. Del resto il segreto di ogni orfismo sta nella sua tentazione di riunire gli opposti, di accostare gli inconciliabili, e può anche risolversi in una lode della realtà tutta (non a caso qui ha largo spazio la memoria degli inni hölderliniani, più volte sfruttati). Resta soprattutto, a fare da contrassegno di Bigongiari, il suo tono sapienziale e a tratti visionario: «Vedo là solo bende insanguinate / galleggiare sulle onde (…) / Chi è il morto, o il ferito, e chi è vivo? / Chi risponde a nessuno, là sul clivo? / Che cosa sparge al vento, non un grido / né un lamento. Ti scrivo da un portento misterioso».  POETI ITALIANI  Latransitorietà straniante diBogongiari Massimo Natale 121missiveallamadre,allasorellaealfratello minoreEnrico:LaguerradiGadda,daAdelphi I curatori hanno analizzato il coefficiente letterario di certi brani (1915-1919)    ALIAS DOMENICA  30 MAGGIO 2021   PAGINA 7