La scuola poetica crepuscolare: Gozzano. Corazzini, Moretti Profilo letterario, autori, opere ■ Un momento di pas-saggio Lmportante nella poesia italiana é quello rappresen-tato ai primi del Novecento dai crepuscolari: si tratta di al-cuni poeti ehe in veritä non formarono mai un gruppo omogeneo, non elaborarono un manifesto poetico, non diedero vita a una scuola, ma ehe tuttavia appaiono legáti tra loro dalla comune, acuta consapevolezza delia crisi ehe la letteratura stáva attraversando in quegli anni, dalľiden-tico rifiuto della recente tradizione poetica ehe, nelle sue forme piú alte e solenni, appariva ormai improponibile, dalla perduta fede nella capacitä dalla poesia di incidere nella realta. La def inizione del termine «crepuscolare» D termine "poeta crepuscolare" (che implica caratteri op-posti a quelli del vate dannunziano) venne usato la prima volta in sede eritica il 10 settembre 1910, quando il eritico Giuseppe Antonio Borgese pubblicô sul quotidiano tori-nese "La Stampa" un articolo intitolato Poesia crepuscolare, nel quale recensiva tre raccolte poetiche usci-te in quell'anno: le Poesie sentte col lapis di Marino Moretti, le Poesie provinciali di Fausto Maria Martini e Sogno e irónia di Carlo Chiaves. Ľaggettivo "crepuscolare" allude-va a una situazione storico-culturale di tramonto, cioě al fatto ehe la produzione di questi nuovi poeti subentrava a una grande stagione poetica, quella dannunziana e pasco-liana: i giovani esordienti, serive Borgese, «poiche son giunte al levar delle mense, devono contentarsi delle bri-ciole. [...] Che e'e da fare dopo le Odi barbare di Carducci, dopo l'Otre, dopo la Morte delcervo [due liriche delia rac-colta dannunziana Alcyone], dopo quella dozzina di liriche dannunziane, nelle quali la nostra lingua moströ vera-mente tutto il suo potere? Dovranno passare molti anni prima che quelTeco si spenga, o dovrá sorgere un altro temperamento di quella forza». La voce di questi giovani ě dunque «una voce crepuscolare, la voce di una gloriosa poesia che si spegne», la voce «di lirici che s'annoiano e non hanno che un'emozione da cantare: la torbida malin-conia di non aver nulla da dire e da fare». Dopo Borghese sará Scipio Slapatar, giovane letterato di punta della rivista fiorenrina "La Voce", a usare in suo articolo del 1911, a proposito di questi poeti, 1'espressione "perplessitá crepuscolare" traendola da una poesia di Guido Gozzano (La signorina Feliáta, v. 238). In seguito infatti 1'aggettivo "crepuscolare" ě passato ad alludere non piú a una situazione storica bensi a una tona-litá dimessa, a un repertorio tematico intimistico, a oggetri poetici umili (le «buone cose di pessimo gusto» di una ce-lebre poesia gozzaniana), elementi che ritroviamo tutti, in varia misura e con fruizione piú o meno colta e raffinata, nei poeti crepuscolari (aggettivo che ormai, chiaritane l'o-rigine, possiamo serivere senza virgolette). I principáli esponenti del crepuscolarismo II feno- meno che dunque ídentifichiamo col termine crepuscolarismo ebbe limiti cronologici piuttosto ristretti, compresi, con owia approssimazione, tra il 1903 e il 1911, e una duplice localizzazione spaziale: Roma e Torino. A Roma vi-vono gli amíci Sergio Corazzini e Fausto Maria Martini 200 (1886-1931), mentre Torino conta un piccolo gruppo di poeti, pure legáti da rapporti di amicizia: Guido Gozzano, di gran lunga il piú importante e per čerti aspetti piu originale, Giulio Gianelli (1879-1914), Carlo Chiaves (1883-1919), Carlo Vallini (1885-1920), Nino Oxilia (1889-1917). L'autore del primo těsto poetico che po- La scuola poetica crepuscolare tremmo definire crepuscolare non figura perö in questo elenco: si tratta di Corrado Govoni e il volume in que-stione e Le fiale, pubblicato nel 1903 (contemporanea-mente ad Armonia in grigio et in silenzio). Presto perö Govoni abbandona il crepuscolarismo, che quindi occu-pa solo la fase iniziale della sua lunga carriera poetica, per passare al Futurismo. Qualcosa di analogo si puö dire anche del fiorentino Aldo Palazzeschi, abbastanza vicino, con le prime raccolte poetiche (I a Lantema, 1907), al crepuscolarismo del tutto autonomo e anch'egli schie tra i futuristi (per Govoni e Palazzť cogliamo invece qui il romagnolo ŕVl di due fra le maggiori raccolte po< Poesie seritte col lapis (1910) e Pí (1911). II nuovo ruolo del poeta II crepuscolarismo affonda le proprie radiči nello scettici-smo con cui il poeta guarda alla realtá in generále e a quella particolare che lo circonda, quel mondo piccolo-bor-ghese in cui vive, che gli ě del tutto estraneo (anche se vi appartiene per estrazione), ma contro cui non ha armi per combattere poiché la parola poetica non puó nulla contro i suoi falši valori, contro la medioeritá degli eventi che lo attraversano, contro la scomparsa della nátura díetro l'arri-ficio. H poeta sceglie dunque di autoemarginarsi, di autoe-scludersi, per limitarsi a osservare, con sguardo distaccato e ironico, un reále quotidiano, dřmesso, di cui puó solo es-sere cronista. Mutano di conseguenza sia la funzione della poesia sia il ruolo riconosciuto al poeta: non piú il «grande artiere» carducciano, fiducioso nei propri mezzi, né 1'infa-ticabile e orgoghoso artefice dannunziano; non piú il poeta vate ma «un piccolo fanciullo che piange» (Corazzini), «un coso con due gambe / detto guidogozzano» (Gozzano). I crepuscolari sentono la "vergogna" del loro essere poeta e sono consapevoli della crisi del ruolo sociále: non possiedono piú la veritá da svelare, non hanno nulla da in-segnare. I MODELU ITAL1ANI E STRANIERI La r tica appare lontana, irreparabilmentc va realta storica e sociále: non ě piú c possibile coglierne aleune suggests smette ai crepuscolari un repertori umili e di piccole cose, ma anche il n morte. Se pero il "fanciullino" paso servare le piccole cose trovando in i poeti accolgono nei loro testi la mo cettandola in tutta la sua prosaíritä: il le. Da D'Annunzio ereditano invece e dimessi che sono propri del Poema con lui aprono una polemica legáta a rifiutata, del superuomo e del poeta \ I modelli culturali piú importantí ví simbolisti francesi e belgi (che, a lot rono DAnnunzio e Pascoli): Jules Francis Tammes (1868-1938), Georj; 98), Maurice Maeterlinck (1862-194 gere la notevole influenza esercitatí poesia e della poetica di Paul Verlain Una «rivoluzione stilistica»: prosasticitá e real cxassica Sul versante sti-listico la poetica crepuscolare, e il suo rifiuto della tradizione, si traduce in un coerente e significativo abbassa-mento del linguaggio e nella conseguente rottura della continuita con la tradizione classica ancora ben viva nelle tre "corone" poetiche precedenti (Carducci, Pascoli, D'Annunzio): si e addirittura parlato di una vera e propria «rivoluzione stilistica* nelle forme della normalizzazione verso il basso e della prosasticita. Un elemento cardine di questa "rivoluzione" e riconoscibile nell'ironia tipica di Gozzano che, giocando sullo scontro tra livello aulico e prosaico, se ne servi per prendere le distanze dal mondo che lo circondava ma anche dalla precedente tradizione poetica e in particolare dal dannunzianesimo. Il lessico e comune, quotidiano, "umile"; la sintassi e semplice, lineare, senza mversiom, spesso paratattica, e cor da una cadenza prosastica anche qu dinate. La metrica registra, rispetto ai maes (soprattutto Pascoli), «una netta disc ni) che ha certo contribuito alia fort Italia. Gia il eritico R. Serra parlava «accenti cascanti», «rime approssim fatti spesso ipometri (doe mancanti centi non sono sempře regolari, le ri e spesso facili diventano un'occasioi fatti sono certe ripetizioni di paroli scono aí testi un andamento da fila gniheativo contributo alia creazior basso ě offerto dall'uso, soprattuttc dal verso libero la cui presenza si an poesia degli anni successivi. ^a scuola poetica :repuscolare: Gozzano, ]orazzini, Moretti OFILO LETTERARIO, AUTORI, OPERE Un momento di pas-oesia italiana ě queflo rappresen-to dai crepuscolari: si tratta di al-non formarono mai un gruppo ono un manifesto poetico, non , ma che tuttavia appaiono legati tra loro dalla comune, acuta consapevolezza delia crisi ehe la letteratura stáva attraversando in quegli anni, dalľiden-tico rifiuto delia recente tradizione poetíca ehe, nelle sue forme piú alte e solenni, appariva ormai improponibile, dalla perduta fede nella capacitä dalla poesia di incidere nella realtä. i d&finizionť? d©l tsrmine «crcnuscolarc» :olafe" (ehe implica caratteri op-inunziano) venne usato la prima iettembre 1910, quando il critico se pubblicô sul quotidiano tori-n artícolo intitolato Poesia :ensiva tre raccolte poetiche usci-seritte col lapis di Marino Moret-Fausto Maria Martini e Sogno e .'aggettivo "erepuscolare" allude-:o-culturale di tramonto, cioě al i questi nuovi poeti subentrava a ica, quella dannunziana e pasco-ti, serive Borgese, «poiché son se, devono contentarsi delle bri-dopo le Odi barbare di Carducci, te del cervo [due liriche delia rac-qui, pubblicata a Milano dalTedi- anfigura come una semplice scelta isciti in rivista, la seconda ha inve-nplessa, latamente autobiografica, : poesie rigorosamente neU'ordine oqui constano infatti di ventiquat-ti ffa il 1907 e il 1910) ripartiti in ti ad altrettanti periodi biografici: Dglie, ll reduce. werte che la prima sezione com-bondaggio sentimentale» (come e to dal sonetto proemiale del Can-voi ch'ascoltate in rime sparse il md'io nudriva '1 core / in sul mio ...,]»); la seconda adombra «qual-irte», mentre la terza riflette l'ani-Amore e dalla Morte», «superato ale, si rassegna alia vita sorriden- ccolta di novelle e fiabe / tre tali->ndo del cinema, Gozzano scrisse nematografico dal titolo San Francesco. Lascio invece incompiuto il poemetto in ende-casillabi sciolti, sul modello dei poemi didascalici settecen-teschi, intitolato Le farfolle. Postumi uscirono: nel 1917 Verso la cuna del mondo, che contiene le prose ispirate al viaggio in India, e la raccolta di fiabe La principessa si spo-ia; nel 1918 i volumi di racconti L'altare del pasmto e L'ul-tima traccia. La critica ha individuato due fondamentali ele-menti di differenza fra Gozzano e gli altri poeti crepuscolari: l'ironia sempře sottesa alla sua poesia e la capacitä di "attraversare" criticamente la tradizione poetica precedente, in particolare D'Annunzio. L'ironia rappresenta in Gozzano una sorta di barriera de-stinata a proteggerlo da una realtä che non lo soddisfa (e si tenga anche presente sullo sfondo la generale delusione e crisi dell'Italia post-unitaria) e che sa di non poter cambia-re. E un'ironia che investe dunque il mondo che lo circon-da e la tradizione poetica che lo ha preceduto, e che si ac-compagna alla consapevolezza (molto moderna) del proprio isolamento, della perdita di identita: «non vivo. Solo, gelido, in disparte, / sorrido e guardo vivere me stesso» (1 colloqui). izio Sul rapporto con D'Annunzio, fondamentale nonostante la distanza e anch'esso gestito con ironia, ha insistito con grande luciditä Eugenio Montale: «Gozzano fu il primo dei poeti del Novecento {com'era necessario e come probabilmente lo fu anche do-po di lui) ad "attraversare D'Annunzio" per approdare a un territorio suo». Come per tutti i poeti crepuscolari, D'Annunzio rappresenta certo il modello da combattere ma, nel confronto, lo si deve comunque frequentare: Gozzano con lui condivide una vocazione poetica che si fa me-stiere (anch'egli infatti visse di sola letteratura), ma dal poeta vate lo divide profondamente la convinzione che la poesia ě si un'alternativa alla vita, perö un'alternativa assai deludente. Gozzano ě consapevole di non avere veritä su-blimi da insegnare e proclamare. L'ambivalenza sostanziale di Gozzano nei confronti di D'Annunzio si registra anche sul piano formale. In Gozzano Labile accostamento a livello lessicale e sintattico di soluzioni alte e umili provoca da una parte un raffinato effetto ironico, dall'altra tradisce una parziale attrazione per le intonazioni auliche e dan-nunziane. Montale sottolinea come Gozzano metta a contatto «una materia psicologicamente pověra, frusta, apparentemente adatta ai soli toni minori, e una sostanza verbale ricca e gioiosa, estremamente compiaciuta di sé». Egli ě stato il primo che, per usare un'altra celebre definizione montalia-na, «abbia dato scintille facendo cozzare l'aulico col pro-saico». Ne era perfettamente consapevole lo stesso Gozza- no, che in una poesia definisce il suo stile come «lo stile ďuno scolare / corretto un po' da una serva», e non l'in-verso. La base ě infatti data dallo stile colto dello «scola-re», non da quello basso della «serva», come spiega P.V. Mengaldo, il quale ha dimostrato che lo scontro fra aulico e prosaico viene attuato in due modi, opposti ma comple-mentari. Talvolta il linguaggio aulico ě inserito in un con-testo prosaico, talvolta invece il lessico umile, quotidiano, viene elevato di tono poiché immesso in contesti stilistici alti. Si přendáno per esempio due luoghi della Signorina Felicita (cfr. p. 205): ai w. 244-245 le «Stagioni camuse e senza braccia», di nobile ascendenza dannunziana, sono inserite in un contesto assolutamente riduttivo, «fra muc-chi di letame e di vinaccia», ai vv. 83-84 invece, 1'umile «azzurro di stoviglia» viene nobilitato in quanto attribuito alle preziose «iridi» (non ai piú comuni "occhi") della signorina Felicita. Sergio Corazzini rrziE BiOGRAFiCHE La figura di Sergio Corazzini ě molto vicina a quella di Gozzano, oltre che per affinitá di poetica e di modelli culturali, per una vicenda biografica ugualmente segnata dalla malattia e dalla morte precoce. Corazzini nacque a Roma nel 1886, primo di tre figli tutti destinati a una morte prematura a causa della tísi. Iscrittosi al Collegio Nazionale Umberto I di Spoleto, dovette la-sciare nel 1904 gli studi per un improwiso dissesto finan-ziario causato da alcune speculazioni sbagliate del padre: si impiegö allora in una compagnia di assicurazioni di Roma. Con un gruppo di giovani amici, fra i quali Fausto Maria Martini e Corrado Govoni, creö a Roma una sorta di circolo letterarío, fondando anche una rivista ("Crona-che latine"), della quale perö uscirono solo tre numeri. Nel 1906 entrö nel sanatorio di Nettuno. La morte per tisi lo colse a soli ventun anni, nel 1907. A sedici anni Corazzini pubblicô le sue prime liriche di rivista, e a díciotto anni il primo volumetto di poesie. Dolcezie (1904), una raccolta di 17 liriche, stampa-to a Roma presso una tipografia privata, cosi come sarebbe awenuto per tutte le raccolte seguenti. Nel 1905 uscirono Ľamaro edice e Le aureole, rispettiva-mente di 10 e 12 testi; l'anno successívo Piccolo libro inutile, che contiene 8 suoi testi e alcune poesie delľamico Alberto Tarchiani (serittore e giornalista, poi ambascíatore a Washington); sul retro delľedizione si legge: «I due autori non hanno osato dichiarare íl prezzo di questo libro inutile perché, imrnaginandolo tale, pensarono che nessuno avrebbe voluto mai comprarlo». Nello stesso anno appar-vero Elégia (un solo testo lungo) e Libro per la sera della domenica (con 10 testi). La prima raccolta complessiva delle sue poesie usci postu- II "rovesciamento ironico-parodico della tradizione Sul "rovesciamento" in chiave ironica e parodica del dan-nunzianescimo insiste uno dei maggiori studiosi di Gozzano, Edoardo Sanguined, che sottolinea, con una posizione critica estrema, la continuitä della linea gozzaniana siano a Montale compreso. Riguardo a Gozzano si puô essere piú o meno ďaccordo sulla radicalitä delia sua opposizione poetica: altri critici, come Fausto Curi, pensano, piuttosto che a un "rovesciamento" nei confronti della tradizione (attuato maggior-mente dalle avanguardie), a una ripresa per attenuazione ed "estenuazione" da cui si svilupperebbe un nuovo linguaggio. Ma certo da Gozzano i poeti successivi hanno appreso soprattutto ľarte di "rivítalizzare" il lessico umile, dimes-so, di tutti i giorni e di insinuare ľuso anti-sublime delľi-ronia, ma, con il titolo Linche (1908, seguita da una nuova edi-zione nel 1922), a eura degli amici, uno dei quali, Fausto Maria Martini, ci ha lasciato anche un commosso ricordo del suo sodalizio umano e culturale con Corazzini nel volume Si sbarca a New York (1930). In Desolazione del pověro poeta sentimentale (cfr. p. 219), Corrazzini si definisce non un «poeta» ma «un piccolo fancíullo che piange»: la sua poesia, concentrata in pochi anni, ě inevitabilmente influenzata dalla tragica e brevissima parabola biografica, minata dalla tisi e spezzata a soli ventun'anni. 11 terna principále delle sue liriche é infatti costituito dalla rappresentazione, dai toni patetici e flebili, della propria malattia e dell'ineluttabile vicinanza alla morte. Gli altri temi sono pochi cosi come risulta ri-dotto, se confrontato con gli altri poeti, il repertorio delle situazioni e degli oggetti al centro delia sua poesia, tutti ti-picamente crepuscolari: tristi sere domenicali, la musica di un organetto di Barberia, la vita in sanatorio dei malatí che attendono la morte. Ma proprio il contrasto - pun-tualmente messo a fuoco da Mengaldo - fra ľesiguitä quantitativa e sostanziale dei temi di una poesia che non riesce piú ad aspirare al sublime e un inaspettato speri-mentalismo sul piano formale, che porta per esempio all'a-dozione del verso libero, rappresenta ľaspetto piú interessante della poesia di Corazzini e ciö che lo rende piú moderno (ě questa, per esempio, l'opinione di S. Solmi) di Gozzano. La sua poesia infatti ě «piú sguarnita, senza me-diazioni ironiche, tutta volta ad accennare una "pena di vivere"» (S. Jacomuzzi), e proprio per tali caratteristiche sembra antieipare in un certo senso un importante filone della poesia novecentesca (pensiamo per esempio al «male di vivere» montaliano). 203 iL PRIIUO NOVECENTO: TEA MODERNITA, AVANGDAHDIE E RINNOVAMENTO Marino Moretti rtata Marino Moretti nasce a Ce-senatico (in provincia di Forli) nel 1885 e qui muore, no-vantaquattrenne, nel 1979. Attivo giornalista (collaboratoře circa trentennale del "Corriere della Sera" e di numerosi altri periodici e rivi-ste), scrittore operoso in poesia e in prosa (dí narrativa e di ricordi), Moretti visse sempře piuttosto appartato, col-tivando poche e solide amicizie letterarie (tra cui quella, intensissima, con Aldo Palazzeschi, conosciuto in gio-ventú alla scuola di recitazione fiofentína di Via Laura, ehe ŕrequentarono entrambi in qualitá di allieví di poche speranze). Alľesordio precoce successe una camera molto feconda, In poesia, dopo le primissime autoedizioni del 1903, sconfessate dalľautore, esce Fraternita (1905), segui-to da altre quattro raccolte, tra cui: Poesie scritte col lapis (1910), e Poesie dt tutti i giorni (1911): giä i titoli, sotto tóno, suggeriscono ľatteggiamento umile della poesia di Moretti, che fu subito aggregata dai criticí alle esperienze crepuscolari. Dalle cinque raccolte giovanili ľautore de-rivo, in tempi diversi, due differenti antologie: Poesie 1905-1916 (Treves, Miláno 1919) e Poesie scritte col lapis (Mondadori, Milano 1949). La vena poetka di Moretti sembrava essersi esaurita tutta negli anni giovanili, ma vi ě stata una felice sorpresa del vecchio poeta, che ha pubbli-cato ultraottantenne quattro apprezzabili raccolte, omoge-nee per tagli e stile, di gusto epigrammatico e diaristico, tra il 1969 e il 1974: Ľ ultima estate, Tre anni e un giorno, Lepoverazze, Diario senza le date. Per quanto concerne la sua produzione in prosa, occorre ricordare una serie di racconti giovanili di acuto realismo regionale romagnolo, come 11 paese degli equivoa (1907); I lestofanti (1910); il romanzo d'esordio II sole del sahato (in rivista nel 1913, in volume del 1916); e i romanzi piú celebri di stile sobrio ma incisivo e sempre di lucida indagine piccolo-borghese: ĽAndreana (1935); La vedova Fioravanti (1941); La camera degli sposi (1958). Al vivace e spigliato filone memorialistico appartengono in particolare 11 tempo felice (1929); Via Laura (1931); 1 grilli diPazzoPazzi{l95ľ). Ľesperienza poetica di Moretti ě, come giä detto, spartita in due tempi crono-logicamente ben distinti. La giovinezza, tra il 1905 e il 1916, conta cinque raccolte di gusto crepuscolare, dominate da un repertorio tematico fatto di oggetti e figure della quotidiana realtä piccolo-borghese: dettagliati interní domestici, giardini, parenti, conversazioni minime, maestre, suore, matite, anzi - per dirla con Moretti con un termine oggi non piú in uso - «lapis». H sentimente piú ricorrente del poeta ě ľamissione esplicita e insístita «non ho niente da dire», ehe si accorda con le analoghe proteste "negative" tipiche dei crepuscolari (la «vergo-gna» di essere poeti), e ehe esprime la difficoltä del fare poesia dopo esperienze troppo alte e solenní (D'Annun-zío, soprattutto) di cui si awerte la necessitä del supera-mento. Anche per ragioni di vicinanza geografica (sono entambi romagnoli), Moretti risente molto del realismo campagnolo e domestico di Giovanni Pascoli, cui lo lega-no aleune aree tematiche (in particolare, il forte attacca-mento alla figura materna) e scelte lessicali di registro umile (fiori, plante, animali). II linguaggio di Moretti ě realistico, sobrio, dimesso; Moretti stesso paria della sua poesia come di «prosa-poesia» (nel Giardino dei jrutti, primo testo della raccolta omonima, 1916: «Ecco dunque la mia prosa, la mia prosa-poesia»); ma, nonostante la modestia molto esibita, va sottolineata la sua notevolissi-ma abilitä tecnica e metrica di versificatore, ehe reagendo al verso líbero in auge nei primi del secolo, recupera le forme chiuse tradizionali, specialmente con attenzione al-le sperimentazioni di Pascoli. La fase poettca diaristico-epigrammatica della vec-La produzione senile del poeta, dopo un cín-quantennio circa di prosa, ha suscitato grande ínteresse e si puô affiancare a quella - altrettanto imprevista - del coetaneo e amicissimo Palazzeschi. Pubblicando nel 1966 la raccolta di Tutte le poesie, cioě dei testi giovanili, Moretti vi aggíunge alla fine un inedito Diano senza le date: poesie in forma di appunto diaristico, aleune di vecehia data (ľautore le dice přeléváte da «agende, la prima delle quali ě del 1926»), e dominate dal gusto ironico deľľepigram-ma. Struttura di diario e nátura di epigramma sono dunque le due forme-base in cui si articolano le raccolte della vecehiaia: Ľultima estate, 1969; Tre anni e un giorno, 1971; Lepoverazze, 1973; Diario senza le date, 191A (con varianti e aggiunte rispetto al testo del 1966). I temi prevalenti sono la riflessione continua snila vecehiaia e sull'imminenza della morte; e quella, altrettanto continua, sul suo lavoro poetico. Questo diario senile, con le sue beffarde e deriso-rie punte epigrammatiche, conferma e rafforza ľimpres-sione di "astuzia" delia poesia morettiana, ingiustamente valutata da aleuni come ingenua, troppo tenera e facile. II vegliardo Moretti degli ultirni anni, invece, ě stato festeg-giato come un «vecchio crepuscolare d'avanguardW pef il gusto - evidente negli epigrammi - «di mandarela gente alla malora e di godersi le fanciullaggini della vecehiezza* (Alfredo Giuliani). Metro Šestine di endecasillabi, rimate solitamente, ABBAAB, ma con la possíbile variazione ABABAB oppure ABABBA. Le parti V e VI si cbiudono con un verso isolate ehe rima con ľultimo e il penultimo vetso della šestina immediatamente precedente.