BUR CLASSICI GRÉCI E LATINI LUCREZIO LA NATURA DELLE COSE INTRODUZIONE DI GIAN BIAGIO CONTE TRADUZIONE DI LUCA CANALI TESTO E COMMENTO A CURA Dl IVANO DIONIGI TESTO LATINO A FRONTE m Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras rrugiferentis coDcelebras, per te quoniam genus omne animantum 5 concipitur visitque exortum lumina solis: te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus summittit flores, tibi rident aequora pond placatumque nitet diffuso lumine caelum. *> Nam simul ac species patefactast verna diei !-43 L'csegesi delľinno a Venere, la progcnitricc dei Románi in quanto madre di Eue« fr. i), ha affaticato non poco la cririca lucreziana. Non é strano - á ú chiede - che il poema, mosso da WM concezione materialistica e da intend iconoclasrici (cfr. i, 931 sgg. 4» í sgg-J)» si apra con una invoca-zione a una dea del pantheon tradizio-naie? Come si concilia la supplier a Venere, perch é conceda la pace ai Romani, con la teológia epicurea che proclama ľestraneitá degli dei alle vicende umane? Non é ŕorse quest* una prova delľeterodossia lucreziana e del-ľinfedeltá a Epiairo? Numerose, di-scorxitnú ed eterogenee sono state le interpretazioni dell'inno, oscillanri tra Jetteíflf"w c pofití^ tn Ské teológia: topos poetico dďáras poetics (cfr. Quiatilisno, tátŕ 4 «nessuno si mertvigB grandissimi h&ano fatto sptso'm da invoc&re le Muse... t$&* opere»; analogs spicgudoocp-j cazione a Calliope in 6,9* Bailey ad be.); céebrmo^ depositaria delk pex, distintivi dďcpicureisno epicurea (catastemticä' UBignoneW.°;^fJ personiBcazione del* ^ delk nam* ^°JÍ V del principio di w 68 Madre degli Eneadi, volutta degli uomini e degti déi, alma Venere, che sotto gli astri vaganti del delo popoli íl mare solcato da navi e la terra feconda di frutti, poiché per tuo mezzo ogni specie vivente si forma, e una volta sbocciata puô vedere la luce del sole: te, o dea, te fuggono i venti, te e il tuo primo apparire le nubi del delo, per te la terra industriosa suscita i fiori soavi, per te ridono le distese del mare, e il cielo placato risplende di luce diffusa. Non appena si svela il volto primaverile dei giorni, Marte (w. 32 sgg.), allegoria del pnnci-pio di morte (Giancotti 19782, i57 sgg-> i960, 3-8: interpretazione analoga e parallela a quella del Munro ad Joe., il quäle vi rawisava il conflitto empedo-cleo dei due prineipi della i45i)- 69 aeriae primům volucres te, diva, tuurTque significant initum perculsae corda tua vi Inde ferae pecudes persistant pabula laeta et rapidos tranant amnis: ita capta lepore te sequitur cupide quo quamque inducere pergis Denique per maria ac montis fluviosque rapads frondiferasque domos avium camposque virentis omnibus incutiens blandum per pectora amorem 3 efficis ut cupide generatim saecla propagent. Quae quoniam rerum naturam sola gubernas nec sine te quicquam dias in luminis oras exoritur neque fit laetum neque amabile quicquam, te sociam studeo scribendis versibus esse 15 quos ego de rerum natura pangere conor Memmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omni omnibus ornatum voluisti excellere rebus. Quo magis aeternum da dictis, diva, leporem. Effice ut interea fera moenera militiai 30 per maria ac terras omnis sopita quiescant. 20 eil poi eg1 ogn £i> oel] a n fai Poi en nui dei ch< pe: vo Ta E 30 pe cosmic* nu' m reserata: ľimmagine del "disserra- come qui, kg c 2% ^ JJ re" richiama il mitico antro dove Eolo prinapw P°f» . Iř933 *L D teneva imprigionati i vend. dictts»J^JJ*,0#*£ £ U: leneva ímpngionau 1 venu. —; ' i^rtninä, m" f 14 ferae fxcudes: l'espressione, am- sg.] P^ffi****** piamente dibattuta (l'ultima messa a cuncta lepore,, punto ě quella di Citti 321 sgg.), va (-112J-'L Lucrezi° v[ intesa come coppia asindetica ("fiere e 20 s*aa> c0^t&* J armenti": cosi anche Ernout, Bailey, ^m * SAeC\um tyj^oK Giancotti; senza alcun bisogno di inte- ^co^» Uc pericW ^ grare {et) col Bendey), e non ossimori- 1*^^b&*Lřc J» ca, con ferae aggettivo ("armenti selvag- soio c terJOine, ■* (í, m gi": Ferrarino 310; Paratore-Pizzani) o 5,44^- ^c inantf» ^ predicativo ("armenti resi furenti": anche ft *P j corpi^ ^ Giussard, Merrill). *tt$0''*' rk***?*, < 2 lepore: lepos ("grazia", "incanto", ^^e'^f^ kscino") ě parola chiave delia conce- g^1 {o^0 j*r aone lucreziana in quanto é non solo, me V* e libero prende vigore il soffio del fecondo zefiro, per primi gli uccelli dell aria annunziano te, nostra dea, e il tuo arrivo, turbati i cuori dalla tua forza vitale. Poi anche le fiere e gli armenti balzano per i prati in rigoglio, e guadano i rapidi fiumi: cosl, prigioniero al tuo incanto, ognuno ti segue ansioso dovunque tu voglia condurlo. E inline pei mari e sui monti e nei corsi impetuosi dei fiumi, nelle frondose dimore degli uccelli, nelle verdi pianure, a tutti infondendo in petto la dolcezza dell'amore, fai si che nel desiderio propaghino le generazioni secondo le stirpi. Poiche tu solamente governi la natura delle cose, e nulla senza di te pud sorgere alle divine regioni della luce, nulla senza te prodursi di lieto e di amabile, desidero di averti compagna nello scrivere i versi che intendo comporre sulla natura di tutte le cose, per la prole di Memmio diletta, che sempre tu, o dea, volesti eccellesse di tutti i pregi adornata. Tanto piu concedi, o dea, eterna grazia ai miei detti. E fa' che intanto le feroci opere della guerra per tutti i mari e le terre riposino sopite. 1, kcrizioni finali ai singoli libti in 0, generazione e quello fissato in cento re leisc testimoniaDZa del gram- anni, saeclum acquis! anche fl valore a ^mss ^ (vd GLK w p. 22^ noi piu note di Wo", cfr. Cicerone non fc rip0r*» ^ codd. De L. 2, x54; Varrone, ling. Ut. 6, n). Quesin 0 ed e tadubb»men In « cristiana approdera al sigrdficato dLe c c (y [segue rasura ^ di'mondo" (cfr. saecularis, "profano ). *5 de rerum natura: l'espressione e ^&^isica rervm origins vel usata da Lucrezio anche altrove in CiKU pRjmJS maerr). riferimento alia propria opera (4,969; ^^Ztiadae: la P*^jJ> 3,335). Essa e titolo comunemente 26 da Venere a Memmio riconosciuto del poema, modellato «ul ^« «c«da numismaaa che IM di Epicuro (dei 37 K» T 'entano 1» Jodone, dopo SdK originari d restano solo pochi fram- f^^Physka da parte deUa g^ menu disponibili nelle raccolte di Use- della Ve« «r W mdwvf*k^ e Arrighetti, vd. BibliograHa C): ^ ^ il dedicate, dd F££ ^olo probabilmente da ascrivere alio lden^^f Gaio Memmio che tu trw «esso Lucrezio, come lasciano intende- co 71 Nam tu sola potes tranquilla pace iuvare mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors armipotens regit, in grémium qui saepe tuum se reidt aeterno devictus vulnere amoris, 35 atque ita suspidens tereti cervice reposta pasdt amore avidos inhians in te, dea, visus, eque tuo pendet resupini spiritus ore. Hune tu, diva, tuo recubantem corpore sancto circumfusa super, suavis ex ore loquellas 40 funde petens placidam Romanis, incluta, pacem. Nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo possumus aequo animo nec Memmi clara propago talibus in rebus communi desse saluti. Omnis enim per se divum natura necessest 45 immortal! aevo summa cum pace fruatur 1 della plebe nel 66, pretore nel 58 e goveraatore in Bitinia nel 57/56: al suo seguito troviamo i poeti Cinna e CatuUo. Nel 54 Memmio tentö inutilmente la corsa al consolato, passando dai pom-peiani ai cesariani; anzi proprio in quell'occasione fu accusato di ambitus ("broglio elettorale"), condannato nel 52 e costretto alľesilio ad Atene. Severo il giudizio dei contemporanei: CatuUo, suo protetto e seguace, lo censura come egoista e prevaricatore (carm. 10, 12 irrumator, cfr. 28,8-10); Gcerone, suo vecchio sostenitore ed ex compagno di partito, lo descrive non solo come intellettuale filellenico, bravo parlatore c seducente salottiero {Brut. 247 perfects Utteris, sed Graecis, fastidiosus sane Latinám— - ,, juMuiwsus sam uitimrum, arpitus oratoř verbisque dul ös, sei fugiens non modo dicendi verum tandx ' della letteratura greca, ma awersario della latina, oratoře arguto e piacevole ad ascoltarsi, ma restio alla htica non solo del parlan ma w pensare»; err. Ovidio, trist. 2,433»' PUnio, ep. 5,3,5 [autore di & crotici]), ma anche come ptiwi scrupoJi e insensibUe alia wsufi cpicurea (in jam. 13,1 ticotdal'os0{ Memmio verso gli Epicurci clt* poi da Gcerone - di edi&cM* Ucenza concessa dall'Areopago, * propria dimora dove sorgcv^ rovine della casa di EpicvrolM^ rio decisamcnte positivo c boj^ proBlo tratteggiato nel P^^Jp no, dove appare uomo pieno stimato (vv. so-^y, err. 1-----í «laofendo co- tue: evidente il tichiamo & * cpicurca, vd. Epicvro, rat. ^'J Certamente Memmio ^^úf come Uno dei rappresentanti p Infatti tu sola puoi gratificare i mortali con una tranquilla pace, poiché le crudeli azioni guerresche governa Marte possente in armi, che spesso rovescia il capo nel tuo grembo, vinto dalľeterna ferita d'amore, e cosi mirandoti con il tornito collo reclino, in te, o dea, sazia anelante d'amore gli avidi occhi, e alia tua bocca ě sospeso il respiro del dio supino. Quando egli, o divina, riposa sul tuo corpo santo, riversandotí su di lui effondi dalle labbra soavi parole, e chiedi, o gloriosa, una placida pace per i Romani. Poiché io non posso compiere la mia opera in un'epoca awersa alia patria, né ľillustre stirpe di Memmio puô mancare in tale cUscrimine alia salvezza comune. Ogni nátura divina, infatti, deve godere di per sé in imperturbabile pace una vita immortale, Jit* cativi di quella societa colta della fine della repubblica a cui Lucrezio indirizza-va il suo messaggio. L'uso del patronimi-co gredzzante Memmiadae (cfr. v. i Aeneadum; 3,1034 Scipiadas; 4, 683 Ro-mulidarum), sostitutivo delľametrico Mimmlô (il piede cretico -u- non entra nel verso esametrico) e sintonizzato con lo stile elevato delľinno (altri elementi atcaicizzanti sono la clausola allitterante moenera Mavors del v. 32 e i genitivi nilitiai del v. 29 e patriai del v. 41), ě il linguistico della posizione socialite ragguardevole e politicamente raPpresentativa del dedicatario del poe-ma (sul personaggio rimando a Roller 4°"43 Propriamente stoici, e non epi-curei> sono i due concetti della salus e della pax elargita dagU dei: adiscussaeterodossiadiLuCTeziovd. ^aotaaivv. 1-4*. det ■pore inujuo- in questa pallida enainazione cronologica del poe- ma, i piú hanno voluto individuare il riferimento al periodo turbolento degli inizi della guerra gallica (59) e delia stessa pretura di Memmio (58). Altri -abbassando ľelemento cronologico al 53 (anno in cui Memmio é divenuto cesariano) - hanno ipotízzato ľallusio-ne all'inizio delle ostílitá tra Césare e Pompeo, traendone conclusioni circa il patriottismo impegnato di Lucrezio (cosi il Grimal 1957,184 sgg.). 44-49 Questi versi sull'atarassia e sull'estraneitá degli dei alle vicende umane costítuiscono uno dei luoghi piú travagliatí e controversi della storia del těsto lucreziano. Sono stati espunti pressoché unanimemente fino a tutto ľOttocento e ai primi del Novecento, su suggerimento del Pontano e del Marullo, sia perché ripetutí in 2, 646-651 (sospettando nella prima occorren-za un'interpolazione di Lucrezio ftes-so), sia soprattutto perché in disaccordo con i versi immediatamente precedenti 73 semota ab nostris rebus seiunctaque long* Nam privata dolore omni, privata periclis, ipsa suis pollens opibus, nil indiga nostri, nec bene promeritis capitur neque tangitur ira. Quod superest, vacuas auris (animumque sagacem) semotum a curis adbibe veram ad rationem, ne mea dona tibi studio disposta fideli, intellecta prius quam sint, contempta relinquas. Nam tibi de summa caeli ratione deumque 55 disserere incipiam et rerum primordia pandam, unde omnis natura creet res auctet alatque quove eadem rursum natura perempta resolvat, quae nos materiem et genitalia corpora rebus reddunda in ratione vocare et semina rerum 60 appellare suemus et haec eadem usurpare circa Vinvocazione di pace alia dea Venere. Qualcuno li ha addirittura attribuiú a un interpolator irrisor: un copista maligno che avíebbe voluto mettere in rilievo le contraddbdoni del pensiero lucreziano. Oggi, questi vetsi sono rivendicati come autentici, dopo l'edizione del Diels (1923-1924), dalla generalita dei critici ed editoři lucreziani piu recenti (esdusi owiamente l'Ernout 19201 e il prirao Bailey 19222), in base ai seguenti argomenti sia esterni sia interní al testo: 1) e consuetudine lucreziana npetere versi programmatici (1,926- U°IlLx\a5i »»55-61-3.87- (t t 35"41) 0 ^aaente dottrinali 90-6,5%-66V, 2) gia il grammaúco No-uio <^oo d.C.) citava espressamente come apparxenente a\ Ubro 1 il v. 49 (-1,65-1) nec bene promeritis capitur W (p- 3* Ul 3) ü fatto che nei codd. i versi in qu«^ ne sono introdotú dal capitulum stazione") TO uaxápwv xal W< ("L'essere beato e immortdc': kpf inizisdi della 1 Massima captW Kpicuio, della quale i w. 44'49 un'evidente eco e pmfr^si) con^ l'ipotesi che questa iosse la JoJ^ originaria; in caso contrario, si o° ^ be ipotizzare, poco credibümen^ che 1'interpolazione del cap" 4) quanto alia presunta ty°x* . ^ tuale (richiesta di pace agü dcI . ^ patibile con la loro «f^f^ istanze umane), decisiva ai P10, ^ sa I'analisi linguistica del rtfTfi r . ■ 1932, 43 sg parola pax 3 quale W^V, Kw. 45j: «venerc, r^fci, co*^. pace ai Romani potché $ altri dei, conosce la P^^jogU^ le»; un procedimento aucsüo- ("i pan con do' appartata dalle nostre vicende e del tutto remota. Infatti, esente da ogni dolore, immune da pericoli, potente delle sue proprie forze, per nulla bisognosa di noi, non e conquistata dai meriti, ne l'ira la sfiora. per Ü resto, presta libere orecchie e animo sagace e lontano da tutti gli affanni alia vera dottrina, affinche' non abbandoni spregiati i miei doni predisposti per te, con affettuoso zelo, prima di averli compresi. Comincerö a discorrere per te della suprema norma # del cielo e degli dei, e ti spiegherö gli elementi primordiali delle cose, da cui la natura crea tutti i corpi, Ii accresce e li nutre, e nei quali torna a dissolverli una volta distrutti, e che noi nell'esporre la nostra dottrina siamo solid chiamare materia e corpi generatori delle sostanze, e semi delle cose, 60 e denorninarli dalla loro medesima essenza corpi primi, Itß ft sigillato linguisticamente dall'asseverati-vo mm (v. 44) e in gcnere caro alia compositio lucreziana. Inoltre, secondo lo studioso, come questo serrato collega-mento linguistico esdude la lacuna prima del v. 44 (il Bignone 1919,423 s88-lamenta l'assenza delTinterpretazione allegorica di Venere parallela a quella del u libro [w. 640-645] posta fra l'episodio della Magna Mater [w. 600-639] e i versi teologici [646-651]), cosi la rispondenza tra semota ab nostris rebus del v. 46 e semotum a curis del v. 51 confermerebbe l'inopportunita di postulate una ulteriore lacuna dopo il v. 49 (come invoca Lachmann [seguito dallo stesso Bailey e dal Giancotti 19782,176 sia per il guasto del verso 50 sia per assenza dell'apostrofe a Memmio all'i-^0 del passo rivolto al dedicatario, cfr. ^ veram... rationem: l'espressione, (ct P^P^wnente vale "retta ragione" • 498 e 623), qui viene intesa come "vera dottrina" e identificata col sistema epicureo (cfr. anche w. 637 e 880). Ratio - parola caratterizzante, insieme a res, del poema lucreziano (renunciazione congiunta dei due prin-cipi, razionalistico e materialistico, e al v. 498 sg. ...vera... ratio naturaque return / cogit) - ricorre con frequenza (piu di 200 volte) e in tutto il suo ventaglio semanti-co ("argomento", "pensiero", "teoria", "norma", "via"). 55 rerum primordial accanto al sem-plice primordia (v. 182), a ordia prima (4, 28) e corpora prima (v. 61), questo nesso e una delle espressioni abituali per definite gli "atomi", sostituite nei casi obliqui dalle forme di principia (principiorum e principiis) per motivi metrici. Cicerone, che a differenza di Lucrezio non evita il grecismo atomi {fin. 1,17 e 21; Tusc. 1,22), impiega anche individua corpora (Jin. 1,17 c 18; Tusc. 1, 42; nat. deor. 1, 71 e 110; 2, 93; fat. 22 e 23) o il sostantivato individua 75