Una voce milanese europea vertiraento di una scrittura che accorda la sua intenzione pluridiscorsiva al «ragionar su alia carlona» dei propřffan-tasmi, a una polifonia di voci, di figure sintattic.Q:jr4jji^. žíbhali ancora calde di pathos quotidiano e di evidenza drammatica, vive sino al grottesco. Spartendo il lavóřčnň due amichevblmente, come voleva il Tristram Sbandy, sta poi al lettore di costruire su quello del narratore e della sua partita romanzesca il divertimento promesso da don Ab-bondio. Occorre solo la spregiudicatezza, la reattivitá ver-bale del vecchio, inarrivabile parroco manzoniano. Capitolo quarto Ironia polifonica Come sapevano bene i moralisti del Seicento, al pari delia djs^mulaziqne ľironia ě piena di intoppi, e in qualche caso di trappolé nascoste. In uno studio recente sulľironia, di gusto paradossale e festosamente arrembante, si cita piú volte un luogo del capitolo primo dei Promessi Sposi, al centro del paesaggio ďa-pertura, per offrire un campione, ě detto, di ironia tirata a lucido, con tutte le carte in regola, senza nessun margine di equivoco: un'ironia di primo grado, concepita per un pub-blico mentalmente pigro a cui bisogna presentare modelli ironici di tipo elementare, nella forma accessibile delľanti-frasi. Non resta altro allora che ritornare al romanzo, álí'e-videnza del suo frammento deserittivo, giá gremito di figuře umane: «Ai tempi in cui accaddero i fatt^cfieprendiamo a caccontare, quel borgo, giä considerabile, era anche un častěno, e aveva percib ľonore ďalloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldáti . spagnoli, che insegnavan la modestia.alle fartciulle e alle 3 ? donne dfl n'íiť>Qf» íirríirp77' L 'a^alche- donne del paese7accarezzayan di tempo in telngóTeYpalIé a ^ quajčhe marito, a qualche padre, e, sul finir delľestate, non j mancavan mai di spandersi neUe vigne, per diradar ľuve, e J V'alleggerire ai contadini le fatiche della vendemmia». Per-\- ^uaso altresi che nella tradizione italiana non entri quasi mai o il potenziale ironico di un discorso di secondo grado dove si dia fra serittore e lettore una sorta di antagonismo come in Swift, Guido Almansi, ľ autore spregiudicato e malizioso di Amica ironia, interpreta il procedimento manzoniano come un patto di complicitá o un gioco retorico, per cui alla for-mula del narratore «insegnavan la modestia» corrisponde in chi legge la decodificazione antifrastica quasi immediata di «attentavano allä viřtú», cTóe^lá^ sostuuzione prevista del neroal bianco. Se nei Promessi Sposi, aggiunge sempře 45 Irónia polifonica Irónia polifonica l'ammiratore di Swift e della «tongue-in-cheek», vi sono anche «altre zone» in cui si maneggiano meccanisrai rétorici piú sottili e d'intelligenza piú complessa, il pezzo calibra-tissimo del primo capitolo non ne fa parte. Per capire, il suo lettore non ha bisogno né di diffidenza né di astuzia ag-gressiva, ma solo di spirito onesto e didattico. Pub essere, tuttavia, che le cose non stiano cosi, nella realtá combinatoria, come diceva Gadda, di una contami-ňazione grottesca. E si pensa subito a un avvertimento er-meneutico della Colonna Infame, nella stesura piu antica, intorno a chi scrive facendo «eco al giudizio comune» e alia sua «prepotenza», che sembra alia fine proporre, capovolto, il paradigma del narratore manzoniano, con il ruolo che gli viene dalla scena della propria scrittura: «Lo scrittore che la Tintende al modo dei piu, che si dispone a dire ai lettori cib che i lettori gia sanno, o credono di sapere, non va a cercare tali malinconie; suppone infallibile quel giudizio dei molti, che egli sa dovergli essere favorevole; contento di sé e di lo-,ro esce con una aria di fiducia e d'ilarita, come sul palco un ^attore favorito dalla platea». Chi rifiuta un rapporto di complicitá con il pubblico costruito sul conforrnismo, non pub essere se non uno scrittore problematico anche quando si mostra ilare, e il suo modello diventa allora Shakespeare, quale lo fissa, a esempio, a modo di assioma il Corso di lette-ratura drammatica di Augusto Guglielmo Schlegel, alia le-zione tredicesima della versione italiana: «... quando un poeta spinge 1'arte sino a f arci vedere il lato men lucido della medaglia, egli si pone in una secreta intelligenza col fior de' suoi lettori o de' suoi spettatori, mostrando d'aver pre-vedute le loro obiezioni, e d'averle ancora approvate anti-cipatamente. Egli non si restringe a un solo punto di vista, ma spazia liberamente sopra di tutti...». Ě inutile specifica-re che, sia pur senza l'agilita scintillante del fratello Federi-co o l'acutezza riflessiva di Novalis, lo Schlegel sta defi-nendo l'ironia romantica, il dialogo socratico del dramma e del romanzo moderno. A maggior ragione dunque, toman-do alPenunciato della «stabile guarnigione», viene da chie-dersi se non vi si debba vedere il segno di «una secreta in- 46 telligenza» fra narratore e lettore, fuorjdal codi e simmetrico della «platea». Un critico attento come I'Orelli, non per nulla poeta in] proprio, ha giä notáto il valore espressivo dclld^mdatio an-xifrasticai acuita dalla negazione forte di «non mancavan mabj e la sapienza_ retorica del parallelo, in variazione e chiasmo, di «alle fanciulle e alle donne — a qualche marilo, aquälche padre», e ha soprattutto posto in evidenza la fun-zione anticipatrice del micro-insieme, che non solo introduce nel racconto geografico un primo fondamento storico ma annuncia anche, come una punta improvvisa, il tema_ dell'intreccio romanzesco: dall'avventura dTLucia alia di-scesa deJI'«esercito alemanno», con le «vigne spogliate» dalla «grandine» e dalla «bufera». La'prolesšt) per usare il linguaggio tecnico di Genette, ě in réäTta án'cora piú pro-fonda, se si considera proprio la semantica ironica di «inse-gnavan la modestia alle fanciulle», comprensiva di due punti di visfä~öppö3ti secondo che la'si'riferisca al soggetto «sol-dlti» o alľoggetto «fanciulle». Ľantifrasi e attraversata dunque dalla logica ijelpotg^e^e rimanda a un universo sociale diviso in «pppres'sif> e «nppressQri» dnvp le parole non possono piú aveŕé lo sfesso "tígniíícato. Quello della frase chTäll'Almansi sembra di scarso mořdente riproduce, non vi ě dubbio, ľorizzonte ideologico del soggetto, cioě della classe dominante, usa a travestire i gesti della yiqlenza nel decoro isüiuzionaliizato delľeufemismö, dell'ironia ridut-nva a proprio discaricp. In senso generale, insegnava il Du-marsais dei Tropes, un testo canonico non solo per la Francia, «l'euphemisme est une figure par laquelle on déguise des idées désagréables, odieuses, ou tristes, sous des noms qui ne sont point les noms propres de ces idées: ils leur Servern comme de voile, et ils en experiment en aparence de plus agréables, de moins choquantes, ou de plus honétes Selon le besoin...». Nella retorica applicata dei Promessi Sposi, allorché Renzo viene condotto in prigione dal notaio, dopo la notte all'osteria. nel capitolo XV, l'«eufemismo» per cui gli «ordigni» per «martirizzare un ricalcitrante» divengono «manichini» ě invece una «figura ipocrita». E la prospettiva dell'oppresso, condivisa di fatto anche daTnarratore, dä ri- 47 — Irónia polifonica 7i: lievo per l'appunto, nello scontro tra la parola e la cosa, al-ripocrisia linguistica del potere. Che inexsicQjaessoTiu opera per i «soldati» e le loto imprese paesane sia addirittura quello dei personaggi jki ceti privilegiati all'interno del romanzo, risulta poi chiaroa mano~ a mano che si dispiega la partitura dialogica della trama narrativa. Don Rodrigo, all'ingresso di fra Cristoforo nella sala del convito, al capitolo V, esclama fra il «riso» dei presenti: «non sara mai vero che un cappuccino vada via da questa casa, senza aver gustato del mio vino, ne un credi-tore insolente, senza aver assaggiate le legna de' miei bo-schi», e nel congedarlo, dopo 1'alterco del capitolo VI, grida di nuovo, ma con tutt'altra voce: «...ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di mascalzone e ti salva dalle carezze che si fanno a' tuoi pari per insegnar loro a parlare». Alio stesso modo, licenziando41Griso alia vigilia dell'incursione notturna, nel capitold^VII^il suo padrone gli raccomanda, quasi confidenziale: «... se per caso, quel tanghero temera-rio vi desse nell'unghie questa sera, non sara male che gli sia dato anticipatamente un buon ricordo sulle spalle». Non e da meno, anche se con una vena piii beffarda, il conte Attilio, il cugino di citta, il quale da una parte, premesso che «bisogna saper raddoppiare a tempo le gentilezze a tut-to il corpo, e allora si puo impunemente dare un carico di bastonate a un membro», ripete nel capitolo XI, tra malizia e senso d'onore: «Lo prendo io sotto la mia protezione, e voglio aver la consolazione d'insegnargli come si park co' pari nostri», e dall'altra, nel colloquio col conte zio del capitolo XVIII, dichiara con la mano al petto, minimizzando: «... che don Rodrigo possa aver fatto qualche scherzo a quella creatura, incontrandola per la strada, non sarei lon-tano dal crederlo: e giovine, e finalmente non e cappuccino; ma queste son bazzecole...». Come si vede bene, nel breve segmento narrativo del capitolo I risuonano gia le frasi e le voddi^lcunipersonaggi per cosi dire «potenti», cHe il narratore tralilerisce nello spazfo dej prnpfin discorso per du-pUcarne nnten^ng.semantica e il punto di vista, il mondo ideologico che vi corrisponde. La sua ironia sta proprio nel trascrivere in un nuovo registro, quello pluriprospettico del 48 Ironia polifonica romanzo, l'ironia antifrastica gd^femi^ica^dLujiJji^ua^ \ gio ojgettjyato dalla coscienza ujüvnra Hi un mnln so^k ' tr^igfnftnundo la Pj^ÄfflSSJ,biUTLiVBilflriifriilfti cifaziöhe che giudica se stessa attraverso il soggetto citato. Sri puo allora dire con Bachtin che il narratore esplicito di «insegnavan la modestia» presentatosi alia ribalta con il suo «prendiamo a raccontare», si serve di parole giä abTtate da^ irlFenzioni altrui e le costririge a servife alle proprio, in rap-< porto al sistema di forze della nuova struttura romanzesca. ' Cosi anche Iä suä J>irrola diventa quella che ßachtin chiima un'enunciazione(Brvoca) un processo dialogico interno a ut concertato pluTiaxscorsivo e alle sue figure ibride o sovrapN poste. Vero e che nei Promessi Sposi anche i personaggi, non meno del narratore quando si da un volto sintattico, speri-mentano in proprio i fenomeni della dialogicitä e consape-voli della propria parte, nella «scala del mondo», sono i re-gisti, mentre parlano, di una retorica polifonica, capace di estri e invenzioni all'interno del loro stesso orizzonte lin-guistico. La voce narrativa poi ne registra e ne orchestra il movimento drammatico. Per convincersene subito, convie-ne ricorrere di nuovo a don Rodrigo e ai suoi colloqui con il ^ / Griso tra i capitoli VII e XL Presentato come «il capo de' t (jp^ci bravi», «il fidatissimo del padrone, 1'uomo tutto suo, per -5^ gratitudine e per interesse», in un'ottica, dunque, che ri- ' produce quella dell'interlocutore, fino a quando non la smentisce la distanza giudicante di «que due fastidiosi ri-baldi», il Griso, alia fine del «Parlamentäre», risponde agli ordini che riceve «inchinandosi, con un atto d'ossequio e di millanteria»: «Lasci fare a me». Poi piü avanti, a spedizione ormai in corso lo si vede travestirsi, mettere «in testa un cappellaccio, sulle spalle un sanrocchino di tela incerata, sparso di conchiglie» e prendere «un bordone da pelkgri-no». Al ritorno daIl'«invasione» andata a vuoto nella casa di Lucia, i due momenti si ripetono, ma con un ordine capo-volto e girando la parola a don Rodrigo, fermo «in cima alia scala», quasi a rendere visibile lo spazio verticale del potere. Da una parte si ha cosi la svestizione silenziosa del Griso («posö in un angolo d'una stanza terrena il suo bordone, 49 Irónia polifonica posô il cappellaccio e il sanrocchino») e dalľaltra il primo piano sonoro del signore del «palazzotto». L'effetto é tra-volgente: «Questo ľaspettava in cima alia scala; e vistolo apparire con quella goffa e sguaiata presenza del birbone deluso, — ebbene, — gli disse, o gli gridô: — signore spac-cone, signor capitano, signor lascifareame?». Chi voglia ora misurare la finezza di questo doppio «la-scifareame», con il metaplasmo da proposizione a nome proprio, deve prima riconoscere la sua costellazione di cor-rispondenze o assonanze complementari, per cui, dopo la specularita dislocata a chiasmo delia triade ironica «cappel-laccio sanrocchino bordone — bordone cappellaccio san-rocchino», la serie delia prima scéna «capo — lasci fare a me — millanteria» si riproduce nella seconda, nella sequenza diretta dei tre appellativi «spaccone capitano lascifareame» in bocca a don Rodrigo. Anche senza sapere ehe si tratta delia tecnica di un verso ropalico, a sillabe erescenti di vo-cabolo in vocabolo, e senza neppure passare a un confronto con la matrice del Yermo e Lucia («Ebbene? — disse tosto questi dispettoso: — ebbene? signor bravo, signor capitano, signor spaccone...»), cio ehe si percepisce immediatamente alia lettura ě la progressione sillabica dei tre termini, scan-dita dal tríplice «signore», sino alio scatto, sottolineato a sua volta dal corsivo, delia formula finale. Con urľintonazione ehe va dal parlato al grido, al culmine di una domanda au-toritaria, il nuovo sostantivo promosso a titolo grottesco sembra dilatarsi e scomporsi in una catena di monosillabi come in un rabbioso esercizio di solfeggio. Cosi tra irónia e sarcasmo — non per nulla il Dumarsais diceva ehe «les idées accessoires sont ďun grand usage dans ľironie: le ton de la voix, et plus encore la conoissance du mérite ou du démérite personnel de quelqu'un et de la facon de penser de celuí qui parle, servent plus ä f aire conoitre ľironie que les paroles dont on se sert» — don Rodrigo ripete la frase del suo sot-toposto per scagliarglíela in faccia, deformata, distorta da un'mtenzion^deTusa. aggiungendovi nello stesso tempo, da signore ehe sa «canzonare», il capriccio delia manipolazione linguisrica. E non vi e dubbio ehe al suo statuto di perso-naggio sia attribuito questo gusto combinatorio perché, 50 Ironia poli/onica sempře nel capitolo(XE)a proposito del dottor Agf.errapjar-bugli, egli ě pronto, řhonologando, a un nuovo intervento onomastico: «il dottor non ě un'oca: qualcosa che faccia al caso mio saprá trovare, qualche garbuglio da azzeccare a quel villanaccio: altrimenti gli muto nome». Per contrasto, oltre che a illustrazione dei diversi comportamenti sociali nei confronti dei nomi e dei soprannomi, viene da ricordare il discorso di Agnese a Renzo. nel capitolo III: «... andate a Lecco; cercate del dottor Azzeccagarbugli, raccontategli... Ma non lo chiamate čósi,^^řarn^r^eTcfelo: ě un sopran-nome. Bisogna dire il signor dottor... Come si chiama, ora? Oh to'! non lo so il nome vero: lo chiaman tutti a quel módo. Bašta, cercate di quel dottore alto, asciutto, pelato, con naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia». Se don Rodrigo puó concedersi il divertimento lingui-stico del «tiranno» che non ě «salvatico», il conte Attilio; «suo collega di libertinaggio e di soverchieria», ha il genio dello «scherzo», della mesalliance quasi carnevalesca, al punto di improvvisare l'esordio di una předka per burla,. dove i bersagli sono contemporaneamente fra Cristoforo e il cugino, unico ascoltatore «mezzo sogghignando e mezzo annoiato» della sua performance. Tutto nasce ancora una volta a tavola, ě il capitolo VIL, in margine alla scommessa dei due commensal!, quando ifeonte, all'idea balzana di un don Rodrigo «convertito», si scatena in una sorta di mimo, in pnncipio dalla parte del pubblico e dei suoi cronisti: «Convertito, cugino, convertito, vi dico. Io per me, ne go-do. Sápete che sará un bello spettacolo vedervi tutto com-punto, e con gli ocehi bassi! E che gloria per quel padre! Come sará tomato a casa gonfio e pettoruto! Non son pesci che si pigliano tutti i giorni, né con tutte Ie reti. Siate certo che vi portera per esempio, e, quando anderá a far qualche missione un po' lontano, parlerá de' fatti vostri. Mi par di sentirlo». A questo punto, con 1'orecchio giá teso, puó co-minciare I'esercizio di eloquenza sacra, che altro non ě se non una pařodTaTčome segnalano le d'^c?!'*; narrative deT <oriáno, anche se, direbbe Gadda, signorile? Ecco in-fatti la voce erudita del lettore ottocentesco che non appena comincia a citaře enumera, fuori dallo spazio grafico origi-nario, il rituále araldico dell'ordinanza milanese («l'Illu-strissimo ecT EcceHéntissimo signor don Carlo d'Aragon, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranuova, Marchese ďAvola, Conte di Burgeto 4ná lfiFU>ič© - ^ as Lei větráno, Duca di Terranuova, Marcnese ďAvola, Conte di Burgeto, grande Ammiraglio, e gráfi Contestabile di Sicilia, Governatore di Milano e Capitan Generale di Sua Maestä Cattolica in Italia»), e poi lo rinno-va implacabile di Scheda in Scheda («rillustrissmo ed Ec-cellentissirao Signor Juan Fernandez de Velasco ... l'fflu-strissimo ed Eccellentissimo Signore il Signor Don Pietro Enriquez de Acevedo) sino agli «et cetera» appiccicati ai nomi di Don Giovanni de Mendozza e Don Gomez Suarez de Figueroa. E intanto smembra la compagine degli allegati ufficiali, s'incunea nel loro ordito, mimandq («nel termine di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese ... nel termine di giorni sei, abbiano a sbrattare il paese») e piu ancora disse-minando le sorridenti ijigidj^di^sralirhe di «le piu strana-mente ampie e indefinite facoltä, ancor piu vigorosa e no-tabile, cosi gagliarde e sicure, non meno autorevole né meno dotato di nomi, come s'usa nelle malattie ostinate, convien ^credere perö, quel seme tanto pernizioso, co.ntinuava.a ger-ifC mogüare, penso seriamente ad esti.rparlp», In sostanza, la funzione che il narratore che dice «noi» esercita nei con-fronti di un linguaggio autoritario e^uriale ě quella oggetti-vata nella retorica giocosa del conte Anilin. Ma ora il «gesto cancato» e la voce «col naso» impliciti nella tonalitä inter-testuale della pagina servono a incorniciare la parola del 54 Ironia polifonica LÖCCO ťJJmborflbo>>je della vuota risonanza, in modo che la cita-Morfeaeponga contro colui ehe viene citato. Come ha serit-to Benjamin in rifenmento a^Kxaus, iľmaestro del furore satirico, ľipotesto delle grida mette a nudo il tradimento perpetrato dal diritto contro la giustizia. Un'operazione analoga si ripete anche al principio del capitolo XVIII con ľarrivo al. signor podesta di Lecco di un >?\Šyji «dispaccio»^ďuTficio e con ľinchiesta ehe ne segue, non piú dunque nella stasi di un intermezzo esplicativo, ma nel flusso diretto del racconto, al centro delľazione, marcata dal segno canonico delia temporalitä («quello stesso giorno, il 13 di novembre»). Proprio per questo ľinformazione si sviluppa tra il latino buroeratico-legale del destinatore e la parlata ossequiosa del destinatario in una sequenza a pezzi alterni ehe si completano e insleme si fronteggiano — «scappato dalle forze praedicti egregii domini capitanei, sia tornato, palam vel clam, al suo paese, ignotum quale per ľappunto, verum» — come se-aj£gcdarJajoj!.seJLo sguardo di uno, interno alia scéna, che legge e a tratti, cambiando marcia e registro, traduce. E^TTň^bílir^äišmo di suprěma rňalizia e tutto di fantasia, dove l'üaTu^^Tä-'trasmutazione comica scaturiscono, se si da ragione a Pirandello, dal sen-timento del contrario, dalľombra ammiccante che s'insinua di soppiatto nel regesto docile e scrupoloso di «legato a dôvere, videlizet con buone manette, attesa ľesperimentata insufficienza de' manichini per il nominato soggetto». A lettura conclusa del dispaccio, ľocchio nascosto dietro quello del ricevente ufficiale puö prendere le distanze e se-guire l'«inquisizione» del «signor podesta umanamente cer-ziorato» alia casa del filatore, riscontrando come ľordine di «facta debita diligentia» diventi un concreto «si fa la debita diligenza», da tradurre perö in un atto tutťaltro che legale: «vale a dire ehe si fa come in una cittä presa d'assalto». In una con ľiperbole beffarda della similitudine, l'equivalente in volgare di «videlicet» sembra riaccostarsi di rovescio alia sintassi cancelleresca dell'antefatto solo per suggerire che l'elemento comune ai pupazzi verbali e ai loro interpreti pubblici, nello stile discriminante del potere, ě la violenza. Occorre rilevare, d'altro canto, che il soggetto passivo 55