É MlolEbookReader Modifica m w ž? * > <5> 4 100% fili Q ABC esteso Dom 12:15 Q. O • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ p 05 IL GATTOPARDO p/ú informazioni • MIolEbookReader Modifica m w ^ i > <5> 4 100% PI' Q Abc esteso Dom 12:15 Q. O • O • MIolEbookReader - II Gattopardo o p OS PARTE SECONDA piii informazioni • MIolEbookReader Modifica m w ^ i > <5> 4 100% PI' Q Abc esteso Dom 12:15 Q. O • O • MIolEbookReader - II Gattopardo o p OS Agosto 1860 "Gli alberi! ci sono gli alberi!" II grido partito dalla prima delle carrozze percorse a ritroso la fila delle altre quattro pressoche invisibili nella nuvola di polvere bianca, e ad ognuno degli sportelli volti sudati espressero una sodisfazione stanca. Gli alberi, a dir vero, erano soltanto tre ed erano degli "eucaliptus" i piü sbilenchi figli di Madre Natura; ma erano anche i primi che si avvistassero da quando alle sei del mattino, la famiglia Salina aveva lasciato Bisacquino. Adesso erano le undici e per quelle cinque ore non si erano viste che pigre groppe di colline avvampanti di giallo sotto il sole. II trotto sui percorsi piani si era brevemente alternato alle lunghe lente arrancate delle salite, al passo prudente nelle discese; passo e trotto, del resto, egualmente stemperati dal continuo fluire delle sonagliere che ormai non si percepiva piü se non come manifestazione sonora del-l'ambiente arroventato. Si erano attraversati paesi dipinti in azzurro tenero, stralunati; su ponti di bizzarra magnificenza si erano valicate fiumare integralmente asciutte; si erano co- steggiati disperati dirupi che saggine e ginestre non riuscivano a consolare. Mai un albero, mai una goccia d'acqua: sole e polverone. All'interno delle vetture, chiuse appunto per quel sole e quel polverone, la temperatura aveva certamente raggiunto i cinquanta gradi. Quegli alberi assetati che si sbracciavano sul cielo sbiancato annunziavano parecchie cose: che si era giunti a meno di due ore dal termine del viaggio; che si entrava nelle terre di casa Salina; che si poteva far colazione e forse anche lavarsi la faccia con l'acqua verminosa di un pozzo. Dieci minuti dopo si era giunti alla fattoria di Rampinzeri: un enorme fabbricato, abitato soltanto durante un mese dell'anno da braccianti, muH ed altro bestiame che vi si radunava per il raccolto. Sulla porta solidissima ma sfondata un Gattopardo di pietra danzava benche una sassata gli avesse stroncato proprio le gambe; accanto al fabbricato un pozzo profondo, vigilato da quei tali eucaliptus, offriva muto i vari servizi dei quali era capace; sapeva far da piscina, da abbeveratoio, da carcere, da cimitero. Dissetava, propagava il tifo, custodiva cri-stiani sequestrati, occultava carogne di bestie e di uomini sinche si riducessero a levigati scheletri anonimi. Tutta la famiglia Salina discese dalle vetture. II Principe, rallegrato dalla prospettiva di giungere presto alia sua Donnafugata prediletta, la Principessa irritata ad un tempo ed inerte cui la serenitä del marito, perö, dava ristoro; le ragazze stanche; i ragazzini eccitati dalla no-vitä e che il caldo non aveva potato domare; mademoiselle Dombreuil, la governante fran-cese, completamente disfatta e che memore degli anni passati in Algeria presso la famiglia del maresciallo Bugeaud andava gemendo: "Mon Dieu, mon Dieu, c'est pire qu'en Afrique!" mentre si rasciugava il nasino all'insü; Padre Pirrone cui l'iniziata lettura del Bre-viario aveva conciliato un sonno che gli aveva fatto sembrare breve il tragitto, e che era il piü arzillo di tutti; una cameriera e due servitori, gente di cittä irritata dagli aspetti incon-sueti della campagna; e Bendicö che, precipitatosi fuori dall'ultima vettura, inveiva contro i suggerimenti funerei delle cornacchie che roteavano basse nella luce. É MlolEbookReader Modifica m w ž? * > <5> 4 100% fili Q ABC esteso Dom 12:15 Q. O • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ p 05 Tutti erano bianchi di polvere fin sulle ciglia, le labbra o le code; nuvolette biancastre si alzavano attomo alle persone che giunte alia tappa si spolveravano l'un l'altra. Tanto piü brillava fra il sudiciume la correttezza elegante di Tancredi. Aveva viaggiato a cavallo e, giunto alia fattoria mezz'ora prima della carovaná, aveva avuto il tempo di spol-verarsi, ripulirsi e cambiare la cravatta bianca. Quando aveva tirato fuori l'acqua dal pozzo a molti usi si era guardato un momento nello specchio del secchio e si era trovato a posto, con quella benda nera sull'occhio destro che ormai serviva a ricordare piü che a curare la ferita al sopracciglio buscata tre mesi fa ai combattimenti di Palermo; con queH'altro occhio azzurro che sembrava aver assunto l'incarico di esprimere la malizia anche di quello tempo-raneamente eclissato; col filetto scarlatto al di sopra della cravatta che discretamente allude-va alia camicia rossa che aveva portato. Aiutö la Principessa a scendere dalla vettura, spol-verö con la manica la tuba dello zio, distribui caramelle alle cugine e frizzi ai cuginetti, si genuflesse quasi dinanzi al Gesuita, ricambiö gli impeti passionali di Bendicö, consolö mademoiselle Dombreuil, prese in giro tutti, incanto tutti. I cocchieri facevano lentamente passeggiare in giro i cavalli per rinfrescarli prima del-l'abbeverata, i camerieri stendevano le tovaglie sulla paglia avanzata dalla trebbiatura, nel rettangolino d'ombra proiettato dalla fattoria. Vicino al pozzo premuroso incominciö la co-lazione. Intorno ondeggiava la campagna funerea, gialla di stoppie, nera di restucce brucia-te; il lamento delle cicale riempiva il cielo; era come il rantolo della Sicilia arsa che alia fine di Agosto aspetta in vano la pioggia. Un'ora dopo tutti furono di nuovo in cammino rinfrancati. Benché i cavalli, stanchi, an-dassero piü adagio ancora, l'ultimo tratto del percorso appariva breve; il paesaggio, non piü sconosciuto, aveva attenuate i propri aspetti sinistri. Si andavano riconoscendo luoghi noti, mete aride di passeggiate passate e di spuntini durante gli anni scorsi; la forra della Drago-nara, il bivio di Misilbesi; fra non molto si sarebbe giunti alia Madonna delle Grazie che, da Donnafugata, era il termine delle piü lunghe passeggiate a piedi. La Principessa si era ad- dormentata, Don Fabrizio, solo con lei nelľampia carrozza, era beato. Mai era stato tanto contento di andare a passare tre mesi a Donnafugata quanto lo era adesso in questa fine di Agosto 1860. Non soltanto perché di Donnafugata amasse la casa, la gente, il senso di pos-sesso feudale che in essa era sopravvissuto, ma anche perché, a differenza di altre volte, non aveva alcun rimpianto per le pacifiche serate in osservatorio, per le occasionali visite a Mariannina. Per esser sinceri, lo spettacolo che aveva Offerte Palermo negli Ultimi tre mesi lo aveva un po' nauseato. Avrebbe voluto aver l'orgoglio di esser stato il solo ad aver compre-so la situazione e ad aver fatto buon viso al "bau-bau" in camicia rossa; ma si era dovuto render conto che la chiaroveggenza non era monopolio di casa Salina. Tutti i palermitani sembravano felici: tutti, tranne un pugno di minchioni: Mälvica, suo cognato, che si era fatto beccare dalla polizia del Dittatore e che era rimasto dieci giorni in gattabuia; suo figlio Paolo altrettanto malcontento ma piü prudente e che aveva lasciato a Palermo impigliato in chissä quali puerili complotti. Tutti gli altri ostentavano la loro gioia, portavano in giro ba-veri adorni di coccarde tricolori, facevano cortei da mattina a sera e, soprattutto, parlavano, concionavano, declamavano; e se magari nei primissimi giorni dell'occupazione tutto que-sto baccano aveva ricevuto un certe senso di finalitä dalle acclamazioni che salutavano i rari feriti che passavano per le vie principáli, e dai lamenti dei "sorci", degli agenti della polizia sconfitta che venivano torturati nei vicoli, adesso che i feriti erano guariti e i "sorci" superstiti si erano arruolati nella nuova polizia, queste carnevalate, delle quali pur ricono-sceva la necessitä inevitabile, gli apparivano sciocche e sciape. Doveva, perö, convenire che tutto ciö era manifestazione superficiale di cattiva educazione; il fondo delle cose, il trattamento economico e sociale era sodisfacente, tal e quäle l'aveva previsto. Don Pietro Russo aveva mantenuto le sue promesse e vicino alla villa Salina non si era udita neppure una schioppettata; e se nel palazzo di Palermo era stato rubato un grande servizio di porcel-lana cinese, ciö si doveva soltanto alla balordaggine di Paolo che lo aveva fatto imballare in piů informazioni zoom É MlolEbookReader Modifica m w ž? * > <5> 4 100% fili Q ABC esteso Dom 12:15 Q. O • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ Q p 05 due ceste ehe aveva poi lasciate in cortile durante il bombardamento, vero e proprio invito affinché gli imballatori stessi venissero a farlo sparire. I Piemontesi (cosi continuava a chiamarli il Principe per rassicurarsi, alio stesso modo che altri li chiamavano Garibaldini per esaltarli o Garibaldeschi per vituperarli) i Piemontesi si erano presentati a lui se non addirittura col cappello in mano, come era stato predetto, per lo meno con la mano alia visiera di quei loro berrettucci rossi stazzonati e gualciti quanta quelli degli ufficiali borbonici. Preannunziato ventiquattr'ore prima da Tancredi, verso il venti Giugno si era presentato a villa Salina un generale in giacchettino rosso con alamari neri. Seguito dal suo ufficiale di ordinanza aveva urbanamente chiesto di essere ammesso ad ammirare gli affreschi dei sof-fitti. Venne accontentato senz'altro perché il preavviso era stato sufficiente per allontanare da un salotto un ritratto di re Ferdinando II in pompa magna ed a farlo sostituire con una neutrale "Probatica Piscina", operazione ehe univa i vantaggi estetici a quelli politici. II generale era uno sveltissimo toscano sui trent'anni, chiacchierone ed alquanto fanfa-ronesco; beneducato peraltro e simpatico, si era comportato con il dovuto ossequio dando financo dell"'Eccellenza" a Don Fabrizio, in netta contradizione con uno dei primi decreti del Dittatore; l'ufficiale di ordinanza, un pivellino di diciannove anni, era un conte milanese che affascinö le ragazze con gli stivali lucidi e con la "erre" moscia. Erano venuti accompagnati da Tancredi che era stato promosso anzi creato, capitano sul campo; un po' patito per le sofferenze causate dalla sua ferita e che se ne stava li, rosso-ve-stito ed irresistibile a mostrare la propria intimita coi vincitori; intimita a base di "tu" e di "mio prode amico" reciprocí ehe i "continentali" prodigavano con fanciullesco fervore e che erano ricambiati da Tancredi, nasalizzati perö e resi, per Don Fabrizio, pieni di sottaciu-ta irónia. II Principe li aveva accolti dalľalto delia propria inespugnabile cortesia, ma da loro era stato davvero divertito e pienamente rassicurato, tanto ehe tre giorni dopo i due "Piemontesi" erano stati invitati a cena; ed era stato un bel vedere quello di Carolina seduta al pianoforte che accompagnava il canto del generále che, in omaggio alia Sicilia, si era ar-rischiato al "Vi ravviso o luoghi ameni" mentre Tancredi, compunto, voltava le pagine della partitura come se le stecche non esistessero in questo mondo. II contino milanese intanto, curvo su di un sofa, parlava di zágare a Concetta e le rivelava l'esistenza di Aleardo Alear-di; essa faceva finta di ascoltare e si rattristava invece per la brutta cera del cugino che le candele del pianoforte facevano apparire piu languida di quel che fosse in realtá. La serata era stata compiutamente idillica e venne seguita da altre egualmente cordiali; durante una di esse il generále venne pregato di interessarsi affinché l'ordine di espulsione per i Gesuiti non venisse applicato a Padre Pirrone che venne dipinto come sovraccarico di anni e malanni; il generále che aveva preso in simpatia l'eccellente prete, finse di credere al suo stato miserando, brigo, parló con amici politici e Padre Pirrone rimase. II che confermó sempre piu Don Fabrizio nella esattezza delle proprie previsioni. II generále fu molto utile anche per la quistione dei lasciapassare necessari in quei giorni agitati per chi volesse spostarsi; si dovette in gran parte a lui se anche in quell'anno di rivoluzione la famiglia Salina poté godere della propria villeggiatura. Anche il giovane capitano ottenne una licenza di un mese e poté partire insieme agli zii. Anche a parte il lasciapassare, i preparativi per la partenza erano stati lunghi e complicati. Si erano dovuti condur-re, infatti, ellittici negoziati in amministrazione con fiduciari di "persone influenti" di Gir-genti, negoziati che, presieduti da Pietro Russo, si conchiusero con sorrisi, strette di mano e tintinnii di monete. Si era ottenuto un secondo e piu valido lasciapassare; ma questo non era una novita. Bisogno radunare montagne di bagagli e provviste e spedire innanzi tre giorni prima una parte dei cuochi e dei servi; bisogno imballare un telescopietto e permettere a Paolo di restare a Palermo; dopo di che si era potato partire. II generále e il sottotenentino erano venuti a portare auguri di buon viaggio e fiori; e quando le vetture mossero da villa Salina due braccia rosse si agitarono lungamente, la tuba nera del Principe si sporse dallo piů informazioni zoom 11 É MlolEbookReader Modifica m w ž? * > <5> 4 100% fili Q ABC esteso Dom 12:15 Q. O ;s • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ p 05 sportello, ma la manina con guanto di merletto che il contino aveva sperato vedere rimase in grembo a Concetta. II viaggio era durato tre giorni ed era stato orrendo. Le stradě, le famose stradě siciliane per causa delle quali il principe di Satriano aveva perduto la Luogotenenza erano delle va-ghe tracce irte di buche e zeppe di polvere. La prima notte a Marineo in casa di un notaio amico era stata ancora sopportabile; ma la seconda in una locandaccia di Prizzi era stata pe-nosa da passare, distesi in tre su ciascun letto, insidiati da faune repellenti. La terza, a Bi-sacquino. Non vi erano cimici ma in compenso Don Fabrizio aveva trovato tredici mosche dentro il bicchiere della granita; un greve odore di feci esalava tanto dalle stradě che dalla "stanza dei cantari" attigua e cio aveva suscitato nel Principe sogni penosi; risvegliatosi ai primissimi albori, immerso nel sudore e nel fetore non aveva potuto fare a meno di parago-nare questo viaggio schifoso alla propria vita, che si era svolta dapprima per pianure ridenti, si era inerpicata poi per scoscese montagne, aveva sgusciato attraverso gole minacciose per sfociare poi in interminabili ondulazioni di un solo colore, deserte come la disperazione. Queste fantasie del primo mattino erano quanto di peggio potesse capitare a un uomo di mezza etá; e benché don Fabrizio sapesse che erano destinate a svanire con l'attivitá del giorno ne soffriva acutamente perché era ormai abbastanza esperto per sapere che esse la-sciavano in fondo all'anima un sedimento di lutto che, accumulandosi ogni giorno avrebbe finito con 1'essere la vera causa della mořte. Questi mostri, col sorgere del sole, si erano rintanati in zone non coscienti; Donnafugata era vicina ormai con il suo palazzo, con le sue acque zampillanti, con i ricordi dei suoi ante-nati santi, con 1'impressione che essa dava di perennitá delťinfanzia, anche la gente li era simpatica, devota e semplice. Ma a questo punto un pensiero lo insidió: chissá se dopo i re-centi fatti la gente sarebbe stata devota come prima. "Si vedra." Adesso si era davvero quasi arrivati. II volto arguto di Tancredi appari da dietro il fine-strino. "Zii, preparatevi, fra cinque minuti ci siamo." Tancredi aveva troppo tatto per prece- dere il Principe in paese; mise il suo cavallo al passo e, procedette, riservatissimo, a fianco della prima vettura. Al di la del breve ponte le autorita stáváno ad attendere, circondate da qualche diecina di contadini. Appena le carrozze entrarono sul ponte la banda municipale attaccô con foga frenetica "Noi siamo zingarelle" primo strambo e caro saluto che da qualche anno Donnafugata porgeva al suo Principe; e subito dopo le campane della Chiesa Madre e del convento di Santo Spirito, avvertite da qualche monello in vedetta, riempirono 1'aria di baccano fe-stoso. "Grazie a Dio, mi sembra che tutto sia come al solito" pensô il Principe scendendo dalla carrozza. Vi erano li Don Calogero Sedára, il sindaco, con i fianchi stretti da una fascia tricolore nuova fiammante come la sua carica; monsignor Trottolino, 1'arciprete, con il suo faccione arsiccio; don Ciccio Ginestra, il notaio, che era venuto, carico di gale e pen-nacchi, in qualitä di capitano della Guardia Nazionale; vi era don Toto Giambono, il medico, e vi era la piccola Nunzia Giarritta che porse alla Principessa uno scomposto mazzo di fiori colti, del resto, mezz'ora prima nel giardino del palazzo. Vi era Ciccio Tumeo, l'orga-nista del Duomo, il quale a rigor di termini non avrebbe avuto rango sufficiente per schie-rarsi con le autorita, ma che era venuto lo stesso quale amico e compagno di caccia, e che aveva avuto la buona idea di portare con sé, per far piacere al Principe, Teresina, la cagna bracca focata con i due segnetti color nocciola al di sopra degli occhi, e che del suo ardire fu ricompensato da un sorriso tutto particolare di Don Fabrizio. Questi era di ottimo umore e sinceramente blando; era disceso dalla carrozza insieme alla moglie per ringraziare e sotto l'imperversare della musica di Verdi e del frastuono delle campane abbracciô il Sindaco e strinse la mano a tutti gli altri. La folia dei contadini era muta ma dagli occhi immobili tra-spariva una curiositä non ostile, perché i villani di Donnafugata non avevano nulla contro il loro tollerante signore che cosi spesso dimenticava di esigere i canoni e i piccoli fitti; e poi, avvezzi a vedere il Gattopardo baffuto danzare sulla facciata del palazzo, sul frontone delle chiese, in cima alle fontáne, sulle piastrelle maiolicate delle case, erano cu"™' Ai piu informazioni zoom • MlolEbookReader Modifica m w ^ i > <5> 4 100% WĚP Q ABC esteso Dom 12:15 Q. O • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ Q p OS adesso l'autentico Gattopardo in pantaloni di pique distribuire a tutti zampate amichevoli e sorridere nel volto di felino cortese. "Non c'e da dire tutto ě come prima, meglio di prima, anzi." Anche Tancredi era oggetto di grande curiositá: tutti lo conoscevano da tempo ma adesso egli appariva come trasfigurato: non si vedeva piú in lui il giovanotto spregiudicato ma l'aristocratico liberale, il compagno di Rosolino Pilo, il glorioso ferito dei combattimen-ti di Palermo. Lui in quella ammirazione rumorosa nuotava come un pesce in acqua; quei rustici ammiratori erano davvero uno spasso; parlava loro in dialetto, scherzava, prendeva in giro sé stesso e la propria ferita. Ma quando diceva "il generále Garibaldi" calava la voce di un tono e prendeva l'aria assorta di un chierichetto davanti all'ostensorio; e a don Calo-gero Sedára, del quale aveva vagamente inteso che si era dato molto da fare nei giorni della liberazione, disse con voce sonora: "Di voi, don Calogero, Crispi mi ha detto gran bene." Dopo di che diede il braccio alia cugina Concetta e se ne andó lasciando tutti in visibilio. Le carrozze con i servi, i bambini e Bendicó andarono direttamente al palazzo, ma, come voleva un antichissimo uso, gli altri prima di mettere il piede in casa dovevano assi-stere a un Te Deum alia Chiesa Madre. Questa era, del resto, a due passi e ci si diresse li in corteo, polverosi ma imponenti i nuovi arrivati, luccicanti ma umili le autorita. Precedeva don Ciccio Ginestra che con il prestigio della divisa faceva far largo ai passanti; seguiva il Principe a braccio della moglie e sembrava un leone sazio e mansueto; dietro, Tancredi con alia sua destra Concetta cui quel procedere verso una chiesa a fianco del cugino produceva un gran turbamento e una dolcissima voglia di piangere; stato d'animo che non era punto alleviato da una forte pressione che il premuroso giovanotto esercitava sul braccio di lei, al solo scopo, ohibó, di farle scansare le buche e le buccie che costellavano la via. Dietro an-cora, in disordine, gli altri. L'organista era scappato via in fretta per avere il tempo di depo-sitare Teresina a casa e di trovarsi al proprio tonante posto al momenta dell'ingresso in chiesa. Le campane imperversavano sempře, e sulle pareti delle case le iscrizioni di "Viva Garibbaldi" "Viva Re Vittorio" e "Morte al re Borbone" che un pennello inesperto aveva tracciato due mesi prima, sbiadivano e sembravano voler rientrare nel muro. I mortaretti sparavano mentre si saliva la scalinata e quando il piccolo corteo entro in Chiesa, don Ciccio Tumeo, giunto col fiato grosso ma in tempo, attacco con passione "Amami, Alfredo." II duomo era stipato di gente curiosa fra le sue tozze colonne di marmo rosso; la fami-glia Salina sedette nel coro e durante la breve cerimonia Don Fabrizio si esibi alia folia, stu-pendo; la Principessa era sul punto di venir meno per il caldo e la stanchezza, e Tancredi col pretesto di cacciar via le mosche sfioro piu d'una volta il capo biondo di Concetta. Tutto era in ordine e dopo il fervorino di monsignor Trottolino tutti s'inchinarono dinanzi all'al tare, si avviarono verso la porta e uscirono nella piazza abbrutita dal sole. Al basso della scalinata le autorita si congedarono e la Principessa che aveva avuto bi-sbigliate le disposizioni durante la cerimonia, invito a pranzo per quella stessa sera il Sinda-co, l'Arciprete e il Notaio. L'Arciprete era scapolo per professione ed il Notaio per vocazio-ne e cosi la questione delle consorti per essi non poteva porsi; languidamente l'invito al sin-daco venne esteso alia di lui moglie: era questa una specie di contadina, bellissima, ma giu-dicata dal marito stesso, per piu d'un verso, impresentabile; nessuno quindi si sorprese quando egli disse che era indisposta; ma grande fu la meraviglia quando aggiunse: "Se le Loro Eccellenze lo permettono verro con mia figlia, con Angelica, che da un mese non fa che parlare del piacere che avrebbe a esser da loro conosciuta, da grande." II consenso, na-turalmente venne dato; e don Fabrizio che aveva visto Tumeo sogguardare da dietro le spal-le degli altri, gli grido: "E anche voi, si capisce, don Ciccio, e venite con Teresina." E rivol-to agli altri aggiunse: "E dopo pranzo, alle nove e mezza, saremo felici di vedere tutti gli amici." Donnafugata commento a lungo queste ultime parole. II Principe che aveva trovato il paese immutato venne invece trovato molto mutato lui che mai prima avrebbe adoperato parole tanto cordiali; e da quel momenta, invisibile, comincio il declino del suo prestigio. II palazzo Salina era attiguo alia Chiesa Madre. La sua breve facciata con sette balconi sulla piazza non lasciava supporre la sua smisuratezza che si estendeva indietro per duecen- piu informazioni < > • MlolEbookReader Modifica m w ^ i > <5> 4 100% WĚP Q ABC esteso Dom 12:15 Q. O • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ Q p OS to metri: erano dei fabbricati di stili differenti, armoniosamente uniti pero intorno a tre vasti cortili e terminanti in un ampio giardino tutto cintato. AU'ingresso principále sulla piazza i viaggiatori furono sottoposti a nuove manifestazioni di benvenuto. Don Onofrio Rotolo, ramministratore locale, non aveva partecipato, non partecipava mai, alle accoglienze uffi-ciali all'ingresso del paese. Educato alla rigidissima scuola della principessa Carolina, egli considerava il vulgus come non esistente ed il Principe come residente all'estero sinché non avesse varcato la soglia del proprio palazzo; e perciö stava li, a due passi fuori dal portone, piccolissimo, vecchissimo, barbutissimo, fiancheggiato dalla moglie assai piü giovane di lui e poderosa, spalleggiato dai servi e dagli otto "campieri" col Gattopardo ďoro sul berretto e nelle mani otto schioppi di non costante innocuitä. "Sono felice di dare alle Loro Eccellenze il benvenuto nella Loro casa. Riconsegno il palazzo nello stato preciso in cui ě stato lasciato." Don Onofrio era una delle rare persone stimate dal Principe e forse la sola che non lo avesse mai derubato. L'onestä sua confinava con la mania e di essa si narravano episodi spettacolosi come quello del bicchierino di rosolio lasciato semipieno dalla principessa al momento di una partenza e ritrovato un anno dopo nell'identico posto col contenuto evapo-rato e ridotto allo stato di gromma zuccherina, ma non toccato. "Perché questa ě una parte infinitesimale del patrimonio del Principe e non si deve disperdere." Finiti i convenevoli con don Onofrio e donna Maria, la Principessa che si reggeva ormai soltanto sui nervi, andö di filato a letto, le ragazze e Tancredi corsero verso le calde ombre del giardino, Don Fabrizio e l'amministratore fecero il giro del grande appartamento. Tutto era in perfetto ordine: i quadri nelle loro cornici pesanti erano spolverati, le dorature delle rilegature antiche emettevano il loro fuoco discreto, l'alto sole faceva brillare i marmi grigi attorno ad ogni porta. Ogni cosa era nello stato in cui si trovava da cinquant'anni. Uscito dal turbině rumoroso dei dissidi civili, don Fabrizio si senti rinfrancato, pieno di Serena si-curezza e guardö quasi teneramente don Onofrio che gli trotterellava al fianco. "Don 'No- frio, voi siete veramente uno di quei gnomi che custodiscono i tesori; la riconoscenza che vi dobbiamo ě grande." In un altro anno il sentimento era stato eguale ma le parole non gli erano salite alle labbra; don 'Nofrio lo guardö grato e sorpreso. "Dovere, Eccellenza, dove-re"; e per nascondere la propria emozione si grattava un orecchio con il lunghissimo unghio del mignolo sinistro. Dopo, l'Amministratore venne sottoposto alla tortura del tě. Don Fabrizio se ne fece portare due tazze e con la mořte nel cuore don 'Nofrio dovette inghiottirne una; poi si mise a raccontare le cronache di Donnafugata: due settimane fa aveva rinnovato l'affitto del feu-do Aquila a condizioni un po' peggiori di prima; aveva dovuto affrontare delle spese per la riparazione dei solai delle foresterie; ma vi erano in cassa, a disposizione di Sua Eccellenza, 3275 onze al netto di ogni spesa, tassa e del proprio stipendio. Poi vennero le notizie private che si adunavano attorno al grande fatto delFannata: la continua rapida ascesa della fortuna di don Calogero Sedära: sei mesi fa era scaduto il mu-tuo concesso al barone Tumino ed egli si era incamerata la terra: mercé mille onze prestate possedeva adesso una nuova proprieta che ne rendeva cinquecento all'anno; in Aprile aveva potuto acquistare due "salme" di terreno per un pezzo di pane, ed in quella piccola proprieta vi era una cava di pietra ricercatissima che egli si proponeva di sfruttare; aveva concluso vendite di frumento quanto mai profittevoli nei momenti di disorientamento e di carestia che avevano seguito lo sbarco. La voce di don 'Nofrio si riempi di rancore: "Ho fatto un conto sulla punta delle dita: le rendite di don Calogero eguaglieranno fra poco quelle di Vo-stra Eccellenza qui a Donnafugata; e questa in paese ě la minore delle sue proprieta." Insieme alla ricchezza cresceva anche la sua influenza politica; era divenuto il capo dei liberali a Donnafugata ed anche nei borghi vicini; quando ci sarebbero State le elezioni era sicuro di essere inviato deputato a Torino. "E che aria si danno! non lui che ě troppo intelligente per farlo, ma sua figlia, per esempio, che ě ritornata dal collegio di Firenze e che va in piů informazioni zoom 6110 • MIolEbookReader Modifica m w ^ i > <5> 4 100% PI' Q Abc esteso Dom 12:15 Q. O • O • MIolEbookReader - II Gattopardo o p OS giro per il paese con la sottana rigonfia e i nastri di velluto che le pendono giü dal cappellino." II Principe taceva: la figlia, si, quell'Angelica che sarebbe venuta a pranzo stasera; era curioso di rivedere quella pastorella agghindata; non era vero che nulla era mutato; don Ca-logero ricco quanta lui! Ma queste cose, in fondo, erano previste, erano il prezzo da pagare. II silenzio del Principe turbo don 'Nofrio; immaginava di averlo scontentato narrandogli i pettegolezzi paesani. "Eccellenza, ho pensato a far preparare un bagno; dev'essere pronto adesso." Don Fabrizio si accorse improvvisamente di essere stanco: erano quasi le tre ed erano nove ore che si trovava in giro sotto il sole torrido e dopo quella nottata; sentiva il suo corpo pieno di polvere fin nelle piü remote pieghe. "Grazie, don 'Nofrio, di averci pensato; e di tutto il resto. Ci rivedremo questa sera a pranzo." Sali la scala interna; passö per il salone degli arazzi, per quello azzurro, per quello gial-lo; le persiane abbassate filtravano la luce, nel suo studio la pendola di Boulle batteva som-messa. "Che pace, mio Dio, che pace!" Entrö nello stanzino del bagno: piccolo, imbiancato a calce, col suo pavimento di ruvidi mattoni nel cui centro vi era l'orifizio per lo scolo del-l'acqua. La vasca era una sorta di truogolo ovale, immenso, in lamierino verniciato giallo fuori e bianco dentro, issato su quattro robusti piedi di legno. Dalla finestra senza riparo il sole entrava brutalmente.* Don Fabrizio chiamö: entrarono due servitori recanti ciascuno una coppia di secchi sciabordanti, l'uno di acqua fredda, l'altro di acqua bollente; fecero il via vai diverse volte, il truogolo si riempi; lui ne provö la temperatura con la mano: andava bene. Fece uscire i servi, si svesti, s'immerse. Sotto la mole spropositata l'acqua fu sul punto di traboccare. S'insaponö, si strigliö: il tepore gli faceva bene, lo rilassava. Stava quasi per addormentarsi quando si bussö alia porta: Domenico, il cameriere, entrö timoroso. "Padre Pirrone chiede di vedere subito Vostra Eccellenza. Aspetta qui accanto che Vostra Eccellenza esca dal ba- gno." II Principe fu sorpreso; se era successo un guaio era meglio conoscerlo subito. "Nien-te affatto; fatelo entrare adesso." Don Fabrizio si era allarmato della fretta del Gesuita; e un po' per questo e un po' per rispetto dell'abito sacerdotale si affrettö a uscire dal bagno: contava di poter mettersi l'ac-cappatoio prima che Padre Pirrone entrasse; ma ciö non gli riusci, e il prete entrö proprio nell'istante in cui egli non piü velato dall'acqua saponacea, non ancora rivestito dall'effi-mero sudario, si ergeva interamente nudo, come l'Ercole Farnese, e per di piü fumante, mentre giü dal collo, dalle braccia, dallo stomaco, dalle coscie l'acqua gli scorreva a rivoli, come il Rodano, il Reno e il Danubio traversano e bagnano i gioghi alpini. II panorama del Principone alio stato adamitico era inedito per Padre Pirrone. Allenato dal sacramento della Penitenza alle nuditä degli animi, lo era assai meno a quella dei corpi; ed egli che non avrebbe battuto ciglio ascoltando la confessione, poniamo, di una tresca incestuosa, si turbo alia vista di quella innocente nuditä titanica. Balbettö una scusa e accennö a ritornare indie-tro; ma Don Fabrizio, irritato per non aver fatto in tempo a coprirsi rivolse naturalmente contro di lui la propria stizza: "Padre, non fate lo sciocco; piuttosto datemi l'accappatoio e, se non vi displace, aiutatemi ad asciugarmi." Subito dopo un battibecco passato gli tornö in mente. "E date retta a me, Padre, prendete un bagno anche voi." Sodisfatto di aver potato dare un ammonimento igienico a chi gliene impartiva tanti morali, si rasserenö. Col lembo superiore del panno finalmente ottenuto si asciugava i capelli, le basette ed il collo, mentre col lembo inferiore l'umiliato Padre Pirrone gli strofinava i piedi. Quando la vetta e le falde del monte furono asciutte: "Adesso sedetevi, Padre, e ditemi perche volevate parlarmi cosi di furia." Mentre il Gesuita sedeva egli incominciö per proprio conto alcuni prosciugamenti piü intimi. "Ecco, Eccellenza: sono stato incaricato di una missione delicata. Una persona sommamente cara a voi ha voluto aprire a me il suo animo e affidarmi l'incarico di far co-noscere i suoi sentimenti, fiduciosa, forse a torto, che la stima della quale sono onorato..." Le esitazioni di Padre Pirrone si stemperavano in frasi interminabili. Don Ff>t^L'7ir" ™»vW«> piü informazioni zoom • MlolEbookReader Modifica m w i > <3> 4 100% WE' QABC-esteso Dom 12:15 Q, © ;=: • O • MlolEbookReader - II Gattopardo I la pazienza: "Insomma, Padre, di chi si tratta? Delia Principessa?" E col braccio alzato sem-brava minacciare; di fatto si asciugava un'ascella. "La Principessa ě stanca; dorme e non la ho vista. Si tratta della signorina Concetta." Pausa. "Essa ě innamorata." Un uomo di quarantacinque anni puó credersi ancora giovane fino al momento in cui si accorge di avere dei figli in etá di amare. II Principe si sent! invec-chiato di colpo; dimenticó le miglia che percorreva cacciando, i "Gesummaria" che sapeva provocare, la propria freschezza attuale al termine di un viaggio lungo e penoso; di colpo vide sé stesso come una persona canuta che accompagna uno stuolo di nipotini a cavallo alle capre di Villa Giulia. "E quella stupida perché ě andata a raccontare queste cose a voi? Perché non ě venuta da me?" Non chiese neppure di chi fosse innamorata Concetta: era superfluo. "Vostra Ec-cellenza cela troppo bene il cuore paterno sotto 1'autorita del padrone; ě naturale allora che quella pověra figliola si intimorisca e ricorra al devoto ecclesiastico di casa." Don Fabrizio s'infilava i lunghi mutandoni e sbuffava: prevedeva lunghi colloqui, lagri-me, seccature senza limiti; quella smorfiosa gli guastava il primo giorno a Donnafugata. "Capisco, Padre, capisco. A casa mia non mi comprende nessuno. Ě la mia disgrazia." Rimaneva seduto su uno sgabello col vello biondo del petto imperlato di goccioline. Rivo-letti d'acqua serpeggiavano sui mattoni, la stanza era carica di odor latteo di crusca, di odor di mandorla del sapone. "E che cosa dovrei dire, io, secondo voi?" II Gesuita sudava nel ca-lore da stufa e, adesso che la confidenza era stata trasmessa, avrebbe voluto andar via; ma il sentimento della propria responsabilitá lo trattenne. "II desiderio di fondare una famiglia cristiana appare graditissimo agli occhi della Chiesa. La presenza del Signore alle nozze di Cana..." "Non divaghiamo. Io intendo parlare di questo matrimonio, non del matrimonio in generále. Tancredi ha fatto delle proposte precise? e quando?" Durante cinque anni Padre Pirrone aveva tentato d'insegnare il latino al ragazzo; durante sette anni ne aveva subito le bizze e gli scherzi; come tutti ne aveva sentito il fascino; ma Listen to today's Daily Briefing Mr. Smotrich may go to Washington, but will anyone meet him? i recenti atteggiamenti politici di Tancredi lo avevano offeso; il vecchio affetto lottava in lui col nuovo rancore. Adesso non sapeva cosa dire. "Proposte vere e proprie, no. Ma la signorina Concetta non ha dubbi: le attenzioni, gli sguardi, le mezze-parole di lui, tutte cose che diventano sempře piü frequenti, hanno convinto quell'anima santa; essa ě sicura di essere amata; ma, figlia rispettosa e ubbidiente, voleva chiedervi, per mio mezzo, che cosa dovra rispondere quando queste proposte verranno. Essa sente che sono imminenti." Don Fabrizio fu un poco rassicurato: da dove mai quella ragazzina avrebbe dovuto at-tingere una esperienza che le permettesse di veder chiaro nelle intenzioni di un giovanotto? e di un giovanotto come Tancredi, per di piü! Si trattava probabilmente di semplici fantasie, di uno di quei "sogni ďoro" che sconvolgono i guanciali degli educandati. II pericolo non era vicino. Pericolo. La parola gli risonö in mentě con tanta nettezza che se ne sorprese. Pericolo. Ma pericolo per chi? Egli amava molto Concetta: di lei gli piaceva la perpetua sottomissio-ne, la placidita con la quale si piegava ad ogni esosa manifestazione della volonta paterna; sottomissione e placiditä, del resto, da lui sopravalutata. La naturale tendenza che egli pos-sedeva a rimuovere ogni minaccia alla propria calma gli aveva fatto trascurare di osservare il bagliore ferrigno che traversava gli occhi della ragazza quando le bizzarrie alle quali ub-bidiva erano davvero troppo vessatorie. II Principe amava molto questa sua figlia; ma amava ancor piú Tancredi. Conquistato da sempře dall'affettuositä beffarda del ragazzo, da po-chi mesi aveva cominciato ad ammirare anche 1'intelligenza di lui: quella rapida adattabili-tá, quella penetrazione mondana, quell'arte innata delle sfumature che gli dava il modo di parlare il linguaggio demagogico di moda pur lasciando capire agl'iniziati che ciö non era che un passatempo al quale lui, il Principe di Falconeri, si abbandonava per un momento, tutte queste cose lo avevano divertito; e per le persone del carattere e della classe di Don Fabrizio la facolta di esser divertiti costituisce i quattro quinti dell'affetto. Tancredi, secondo lui, aveva dinanzi a sé un grande avvenire; egli avrebbe potuto essere Ai I piú informazioni zoom • MlolEbookReader Modifica m w ^ i > <5> 4 100% WĚP Q ABC esteso Dom 12:15 Q. O • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ Q p OS trattacco che la nobiltá, sotto mutate uniformi, poteva portare contro il nuovo ordine politico. Per far questo gli mancava soltanto una cosa: i soldi; di questi Tancredi non ne aveva, niente. E per farsi avanti in politica, adesso che il nome avrebbe contato di meno, di soldi ne occorrevano tanti: soldi per comperare i voti, soldi per far favori agli elettori, soldi per un treno di casa che abbagliasse. Treno di casa... e Concetta con tutte le sue virtu passive sarebbe stata capace di aiutare un marito ambizioso e briliante a salire le sdrucciolevoli scale della nuova societa? Timida, riservata, ritrosa com'era? Sarebbe rimasta sempre la bella educanda che era adesso, cioě una palla di piombo al piede del marito. "La vedete voi, Padre, Concetta ambasciatrice a Vienna o a Pietroburgo?" La testa di Padre Pirrone fu frastornata da questa domanda. "Ma che c'entra questo? Non capisco." Don Fabrizio non si euro di spiegare e si ringolfó nei suoi pensieri. Soldi? Concetta avrebbe avuto una dote, certo. Ma la fortuna di casa Salina doveva essere divisa in otto parti, in parti non eguali, delle quali quella delle ragazze sarebbe stata la minima. Ed allora? Tancredi aveva bisogno di ben altro: di Maria Santa Pau, per esempio, con i quattro feudi giá suoi e tutti quegli zii preti e risparmiatori; di una delle ragazze Sutěra, tanto bruttine ma tanto ric-che. L'amore. Certo, l'amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta. Lo sapeva lui che cos'era l'amore... e Tancredi poi, davanti al quale le donne sarebbero cadute come pere cotte... Ad un tratto ebbe freddo. L'acqua che aveva addosso evaporava, e la pelle delle braccia era gelida. Le punte delle dita si raggrinzivano. E che quantitá di penose conversazioni in vista. Bisognava evitare... "Adesso debbo andare a vestirmi, Padre. Dite a Concetta, vi pre-go, che non sono affatto seccato ma che di tutto questo riparleremo quando saremo sicuri che non si tratta soltanto di fantasie di una ragazza romantica. A presto, Padre." Si alzó e passo nella stanza di toletta. Dalla Madre Chiesa vicina giungevano tetri i rin-tocchi di un "mortorio". Qualcuno era morto a Donnafugata, qualche corpo affaticato che non aveva resistito al grande lutto dell'estate siciliana, cui era mancata la forza di aspettare la pioggia. "Beato lui" pensó il Principe mentre si passava la lozione sulle basette. "Beato lui, se ne strafotte ora di figlie, doti e carriere politiche." Questa effimera identificazione con un defunto ignoto fu sufficiente a calmarlo. "Finché c'ě mořte c'ě speranza" pensó; poi si trovó ridicolo per essersi posto in un tale stato di depressione perché una sua figlia voleva sposarsi. "Ce sont leurs affaires, aprěs tout" pensó in francese come faceva quando le sue cogitazioni si sforzavano di essere sbarazzine. Sedette su una poltrona e si appisoló. Dopo un'ora si sveglió rinfrescato e discese in giardino. II sole giá calava e i suoi raggi, smessa la prepotenza, illuminavano di luce cortese le araucarie, i pini, i robusti lecci che face vano la gloria del posto. II viale principále scendeva lento fra alte siepi di alloro incor-nicianti anonimi busti di dee senza naso; e da in fondo si udiva la dolce pioggia degli zam-pilli che ricadevano nella fontána di Anfitrite. Vi si diresse, svelto, avido di rivedere. Soffia-te via dalle conche dei Tritoni, dalle conchiglie delle Naiadi, dalle narici dei mostri marini, le acque erompevano in filamenti sottili, piechiettavano con pungente brusio la superficie verdastra del bacino, suscitavano rimbalzi, bolle, spume, ondulazioni, fremiti, gorghi riden-ti; dall'intera fontána, dalle acque tiepide, dalle pietre rivestite di muschi vellutati emanava la promessa di un piacere che non avrebbe mai potuto volgersi in dolore. Su ďun isolotto al centro del bacino rotondo, modellato da uno scalpello inesperto ma sensuale, un Nettuno spiccio e sorridente abbrancava un'Anfitrite vogliosa: 1'ombelico di lei inumidito dagli spruzzi, brillava al sole, nido, fra poco, di baci nascosti nell'ombria subacquea. Don Fabrizio si fermó, guardó, ricordó, rimpianse. Rimase a lungo. "Zione, vieni a guardare le pesche forestiere. Sono venute benissimo; e lascia staré que-ste indecenze che non sono fatte per uomini della tua etá." Laffettuosa malizia della voce di Tancredi lo distolse daH'intorpidimento voluttuoso. Non lo aveva inteso venire, era come un gatto. Per la prima volta gli sembró che un senso di rancore lo pungesse alla vista del ragazzo; quel bellimbusto con il vitino smilzo sotto 1'abito bleu scuro era stata la causa che lui avesse tanto acerbamente pensato ,M,> ™™+,^w piů informazioni 1- O * • MlolEbookReader Modifica m w i > <5> 4 100% WĚP Q ABC esteso Dom 12:16 Q. © ;s • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ Q p OS ore fa. Poi si rese conto che rancore non era, soltanto un travestimento del timore: aveva paura che gli parlasse di Concetta. Ma Fabbordo, il tono del nipote non era quello di chi si prepari a far confidenze amorose a un uomo come lui. Si calmö: 1'occhio del nipote lo guar-dava con l'affetto ironico che la gioventů concede alle persone anziane. "Possono permet-tersi di faře un po' i gentili con noi, tanto sono sicuri che il giorno dopo dei nostri funerali saranno liberi." Andarono a guardare le "pesche forestiere." L'innesto dei gettoni tedeschi, fatto due anni prima, era riuscito perfettamente; le pesche erano poche, una dozzina sui due alberi innestati, ma erano grandi, vellutate e fragranti; giallognole con due sfumature rosee sulle guancie sembravano testoline di cinesine pudiche. II Principe le palpo con la delica-tezza famosa dei polpastrelli. "Mi sembra che siano proprio a punto. Peccato che siano troppo poche per servirle stasera. Domani le faremo cogliere e vedremo come sono." "Vedi! cosi mi piaci, zio; cosi, nella parte áeWagricola pius che apprezza e pregusta i frutti del proprio lavoro; e non come ti ho trovato poc'anzi mentre contemplavi nudita scandalose." "Eppure, Tancredi, anche queste pesche sono prodotte da amori, da congiungimenti." "Cer-to, ma da amori legali, promossi da te, padrone e dal giardiniere, notaio; da amori meditati, fruttuosi. In quanto a quelli li" disse e accennava alla fontána della quale si percepiva il fre-mito al di lä di un sipario di lecci "credi davvero che siano passati dinanzi al parroco?" L'abbrivio della conversazione diventava pericoloso e Don Fabrizio si affretto a cambiar rotta. Risalendo verso casa, Tancredi narrö quanto aveva appreso della cronaca galante di Donnafugata: Menica la figlia di campiere Saverio, si era lasciata ingravidare dal fidanzato; il matrimonio adesso si doveva compiere in fretta. Colicchio, poi, era sfuggito per un pelo alla fucilata di un marito scontento. "Ma come fai a sapere queste cose?" "Le so, zione, le so. A me raccontano tutto; sanno che io compatisco." Giunti in cima alla scala che con svolte leňte e lunghe soste di pianerottoli saliva dal giardino al palazzo, videro 1'orizzonte serale al di la degli alberi: dalla parte del mare im- mani nuvoloni color ďinchiostro scalavano il cielo. Forse la collera di Dio si era saziata, e la maledizione annuale della Sicilia aveva avuto termine? In quel momento quei nuvoloni carichi di sollievo erano guardati da migliaia di altri occhi, avvertiti da miliardi di semi nel grembo della terra. "Speriamo che 1'estate sia finita, che venga finalmente la pioggia" disse Don Fabrizio; e con queste parole 1'altero nobiluomo cui, personalmente, le piogge avreb-bero soltanto recato fastidio, si rivelava fratello dei suoi rozzi villani. II Principe aveva sempře tenuto a che il primo pranzo a Donnafugata avesse un carattere solenne: i figlioli sotto i quindici anni erano esclusi dalla tavola, venivano serviti vini fran-cesi, vi era il poncio alla romana prima dell'arrosto; e i domestici erano in cipria e polpe. Su di un solo particolare transigeva: non si metteva in abito da sera per non imbarazzare gli ospiti che, evidentemente, non ne possedevano. Quella sera, nel salone detto "di Leopoldo" la famiglia Salina aspettava gli ultimi invitati. Da sotto i paralumi di merletto i lumi a petro-lio spandevano una gialla luce circoscritta; gli smisurati ritratti equestri dei Salina trapassati non erano che delle immagini imponenti e vaghe come il loro ricordo. Don Onofrio era giá arrivato con la moglie e cosi pure 1'Arciprete che, con la mantellina pieghettata giú dalle spalle in segno di gala, parlava con la Principessa delle beghe del Collegio di Maria. Era giunto anche don Ciccio 1'organista (Teresina era di giá stata legata al piede di un tavolo del riposto) che rievocava insieme al Principe favolosi tiri riusciti nelle forre della Dragonara. Tutto era placido e consueto, quando Francesco Paolo, il sedicenne figliolo, fece nel salotto una irruzione scandalosa: "Papá, don Calogero sta salendo le scale. E in frackl" Tancredi valuto 1'importanza della notizia un secondo prima degli altri; era intento ad ammaliare la moglie di don Onofrio, ma quando udi la fatale parola non poté trattenersi e scoppió in una risata convulsa. Non rise invece il Principe al quale, ě lecito dirlo, la notizia fece un effetto maggiore del bollettino dello sbarco a Marsala. Quello era stato un avveni-mento previsto, non solo, ma anche lontano e invisibile. Adesso, sensibile conťegli era, ai presagi e ai simboli, contemplava la Rivoluzione stessa in quel cravattino bianco e in quelle piů informazioni < > • MIolEbookReader Modifica m w ^ i > <5> 4 100% pi' Q abc esteso Dom 12:16 Q. O • O • MIolEbookReader - II Gattopardo o p OS due code nere che salivano le scale di casa sua. Non soltanto lui, il Principe, non era piu il massimo proprietario di Donnafugata, ma si vedeva anche costretto a ricevere, vestito da pomeriggio, un invitato che si presentava, a buon diritto, in abito da sera. II suo sconforto fu grande e durava ancora mentre meccanicamente si avanzava verso la porta per ricevere l'ospite. Quando lo vide, pero, le sue pene furono alquanto alleviate. Per-fettamente adeguato quale manifestazione politica, si poteva pero affermare che, come riu-scita sartoriale, il frack di don Calogero era una catastrofe. II panno era finissimo, il model-lo recente, ma il taglio era semplicemente mostruoso. II Verbo londinese si era assai mala-mente incarnato in un artigiano girgentano cui la tenace avarizia di don Calogero si era ri-volta. Le punte delle due falde si ergevano verso il cielo in muta supplica, il vasto colletto era informe e, per quanta doloroso e necessario dirlo, i piedi del sindaco erano calzati da stivaletti abbottonati. Don Calogero si avanzava con la mano tesa e inguantata verso la Principessa: "Mia fi-glia chiede scusa; non era ancora del tutto pronta. Vostra Eccellenza sa come sono le fem-mine in queste occasioni" aggiunse esprimendo in termini quasi vernacoli un pensiero di levita parigina. "Ma sara qui fra un attimo; da casa nostra sono due passi, come sapete." L'attimo duro cinque minuti; poi la porta si apri ed entro Angelica. La prima impressio-ne fu di abbagliata sorpresa. I Salina rimasero col fiato in gola; Tancredi sent! addirittura come gli pulsassero le vene delle tempie. Sotto l'impeto della sua bellezza gli uomini rimasero incapaci di notare, analizzandoli, i non pochi difetti che questa bellezza aveva; molte dovevano essere le persone che di questo lavorio critico non furono capaci mai. Era alta e ben fatta, in base a generosi criteri; la carnagione sua doveva possedere il sapore della cre-ma fresca alia quale rassomigliava, la bocca infantile quello delle fragole. Sotto la massa dei capelli color di notte avvolti in soavi ondulazioni, gli occhi verdi albeggiavano, immoti come quelli delle statue e, com'essi, un po' crudeli. Procedeva lenta, facendo roteare intor-no a se l'ampia gonna bianca e recava nella persona la pacatezza, l'invincibilita della donna di sicura bellezza. Molti mesi dopo soltanto si seppe che al momenta di quel suo ingresso trionfale essa era stata sul punto di svenire per l'ansia. Non si euro di Don Fabrizio che accorreva verso di lei, oltrepasso Tancredi che sorride-va trasognato; dinanzi alia poltrona della Principessa la sua groppa stupenda disegno un lie-ve inchino e questa forma di omaggio inconsueta in Sicilia le confer! un istante il fascino dell'esotismo in aggiunta a quello della bellezza paesana. "Angelica mia, da quanta tempo non ti avevo vista. Sei molto cambiata; e non in peggio." La Principessa non credeva ai pro-pri occhi: ricordava la tredicenne poco curata e bruttina di quattro anni prima e non riusciva a fame combaciare l'immagine con quella dell'adolescente voluttuosa che le stava davanti. II Principe non aveva ricordi da riordinare; aveva soltanto previsioni da capovolgere; il col-po inferto al suo orgoglio dalfrack del padre si ripeteva adesso nell'aspetto della figlia; ma questa volta non si trattava di panno nero ma di matta pelle lattea; e tagliata bene, come bene! Vecchio cavallo da battaglia com'era, lo squillo della grazia femminile lo trovo pronto ed egli si rivolse alia ragazza con tutto il grazioso ossequio che avrebbe adoperato par-lando alia duchessa di Bovino o alia principessa di Lampedusa. "E una fortuna per noi, si-gnorina Angelica, di avere accolto un fiore tanto bello nella nostra casa; e spero che avremo il piacere di rivedervelo spesso." "Grazie, principe; vedo che la Sua bonta per me e uguale a quella che ha sempre dimostrato al mio caro papa." La voce era bella, bassa di tono, un po' troppo sorvegliata forse; il collegio fiorentino aveva cancellato lo strascichio dell'accento girgentano; di siciliano, nelle parole, rimaneva soltanto l'asprezza delle consonanti che del resto si armonizzava benissimo con la sua venusta chiara ma greve. A Firenze anche le ave-vano appreso ad omettere 1'"Eccellenza". Rincresce di poter dir poco di Tancredi: dopo che si fu fatto presentare da don Calogero, dopo aver a stento resistito al desiderio di baciare la mano di Angelica, dopo aver manovra-to il faro del suo occhio azzurro, era rimasto a chiacchierare con la signora Rotolo, e non capiva nulla di quanta udiva. Padre Pirrone in un angolo buio se ne stava a p""ti><"- piu informazioni zoom • MlolEbookReader Modifica m w ^ i > <5> 4 100% WĚP Q ABC esteso Dom 12:16 Q. O • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ Q p OS sava alia Sacra Scrittura che quella sera gli si presentava soltanto come una successione di Dalile, Giuditte ed Ester. La porta centrale del salotto si apri e "Prann' pronn'" declamo il maestro di casa; suoni misteriosi mediante i quali si annunziava che il pranzo era pronto; e il gruppo eterogeneo si avvio verso la stanza da pranzo. II Principe aveva troppa esperienza per offrire a degli invitati siciliani in un paese del-l'interno, un pranzo che si iniziasse con un potage, e infrangeva tanto piü facilmente le re-gole dell'alta cucina in quanto cio corrispondeva ai propri gusti. Ma le informazioni sulla barbarica usanza forestiera di servire una brodaglia come primo piatto erano giunte con troppa insistenza ai maggiorenti di Donnafugata perche un residuo timore non palpitasse in loro aH'inizio di ognuno di quei pranzi solenni. Perciö quando tre servitori in verde, oro e cipria entrarono recando ciascuno uno smisurato piatto d'argento che conteneva un torreg-giante timballo di maccheroni, soltanto quattro su venti persone si astennero dal manifestare una lieta sorpresa: il Principe e la Principessa perche se l'aspettavano, Angelica per affetta-zione e Concetta per mancanza di appetito. Tutti gli altri (Tancredi compreso, rincresce dir-lo) manifestarono il loro sollievo in modi diversi, che andavano dai flautati grugniti estatici del notaio alio strilletto acuto di Francesco Paolo. Lo sguardo circolare minaccioso del padrone di casa tronco del resto subito queste manifestazioni indecorose. Buone creanze a parte, pero, l'aspetto di quei babelici pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L'oro brunito dell'involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dal-l'interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un vapore carico di aromi, si scorgevano poi i fegatini di polio, gli ovetti duri, le sfilettature di prosciutto, di polio e di tartufi impigliate nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti cui Festratto di carne conferiva un prezioso color camoscio. L'inizio del pasto fu, come sempre avviene in provincia, raccolto. L'Arciprete si fece il segno della croce e si lanció a capofitto senza dir parola; l'organista assorbiva la succolenza del cibo ad occhi chiusi: era grato al Creatore che la propria abilitá nel fulminare lepri e beccacce gli procurasse talvolta simili estasi, e pensava che col solo prezzo di uno di quei timballi lui e Teresina avrebbero campato un mese; Angelica, la bella Angelica, dimenticó i migliaccini toscani e parte delle proprie buone maniere e divorava con 1'appetito dei suoi diciassette anni e col vigore che la forchetta tenuta a metá dell'impugnatura le conferiva. Tancredi, tentando di unire la galanteria alia gola, si provava a vagheggiare il sapore dei baci di Angelica, sua vicina, nel gusto delle forchettate aromatiche, ma si accorse che l'esperimento era disgustoso e lo sospese, riservandosi di risuscitare queste fantasie al momente del dolce; Don Fabrizio, benché rapito nella contemplazione di Angelica che gli sta-va di fronte, ebbe modo di notare, unico a tavola che la demi-glace era troppo carica e si ripromise di dirlo al cuoco l'indomani; gli altri mangiavano senza pensare a nulla e non sa-pevano che il cibo sembrava loro tanto squisito anche perché un'aura sensuale era penetrata nella casa. Tutti erano tranquilli e contenti. Tutti, tranne Concetta. Essa aveva si abbracciato e ba-ciato Angelica, aveva anche respinto il "lei" che quella le dava e preteso il "tu" della loro infanzia ma li, sotto il corpetto azzurro pallido, il cuore le veniva attanagliato; in lei si ride-stava il violento sangue Salina e sotto la fronte liscia si ordivano fantasie di venefici. Tancredi sedeva fra lei ed Angelica e con la compitezza puntigliosa di chi si sente in colpa divi-deva equamente sguardi, complimenti e facezie fra le sue due vicine; ma Concetta sentiva, animalescamente sentiva, la corrente di desiderio che scorreva dal cugino verso l'intrusa, e il cipiglietto di lei fra la fronte e il naso s'inaspriva; desiderava uccidere quanto desiderava morire. Poiché era donna si aggrappava ai particolari: notava la grazia volgare del mignolo destro di Angelica levato in alto mentre la mano teneva il bicchiere; notava un neo rossastro sulla pelle del collo, notava il tentativo represso a metá di togliere con la mano un pezzetto di cibo rimasto fra i denti bianchissimi; notava ancor piu vivacemente una certa durezza di piú informazioni < > • MIolEbookReader Modifica m w ^ i > <5> 4 100% PI' Q Abc esteso Dom 12:16 Q. O ;s • O • MIolEbookReader - II Gattopardo o p OS spirito; ed a questi particolari che in realtä erano insignificanti perche bruciati dal fascino sensuale si aggrappava fiduciosa e disperata come un muratore precipitato si aggrappa a una grondaia di piombo; sperava che Tancredi Ii notasse anch'egli e si disgustasse dinanzi a queste tracce palesi della differenza di educazione. Ma Tancredi li aveva di giä notati e ahi-me! senza alcun risultato. Si lasciava trascinare dallo stimolo fisico che la femmina bellissi-ma procurava alia sua gioventü focosa ed anche dalla eccitazione diciamo cosi contabile che la ragazza ricca suscitava nel suo cervello di uomo ambizioso e povero. Alia fine del pranzo la conversazione era generale: don Calogero raccontava in pessima lingua ma con intuito sagace alcuni retroscena della conquista garibaldina della provincia; il notaio parlava alia Principessa del villino "fuori cittä" (cioe a cento metri da Donnafugata) che si faceva costruire; Angelica eccitata dalle luci, dal cibo, dallo chablis, dall'evidente consenso che essa trovava in tutti i maschi attorno alia tavola, aveva chiesto a Tancredi di narrarle alcuni episodi dei "gloriosi fatti d'arme" di Palermo; aveva posato un gomito sulla tovaglia e poggiato la guancia sulla mano; il sangue le affluiva alle gote ed essa era perico-losamente gradevole da guardare; l'arabesco disegnato dall'avambraccio, dal gomito, dalle dita, dal guanto bianco pendente venne trovato squisito da Tancredi e disgustoso da Concet-ta. II giovane, pur continuando ad ammirare, narrava la guerra facendo apparire tutto lieve e senza importanza: la marcia notturna su Gibilrossa, la scenata fra Bixio e La Masa, l'assalto a porta di Termini. "Io non avevo ancora questo impiastro sull'occhio e mi son divertito un mondo, signorina, mi creda. Le piü grandi risate le abbiamo fatte la sera del 28 Maggio, po-chi minuti prima che io fossi ferito. II Generale aveva bisogno di avere un posto di vedetta in cima al Monastero dell'Origlione: picchia, picchia, impreca, nessuno apre; era un con-vento di clausura. Tassoni, Aldrighetti, io e qualche altro tentiamo di sfondare la porta con il calcio dei nostri moschetti. Niente. Allora corriamo a prendere una trave di una casa bom-bardata vicina e finalmente, con un baccano d'inferno la porta viene giü. Entriamo: tutto deserto; ma da un angolo del corridoio si odono strilli disperati: un gruppo di suore si era rifugiato nella cappella ed esse stavano Ii ammucchiate vicino all'altare; chissä cosa te-mes-se-ro da quella diecina di giovani esasperati. Era buffo vederle, brutte e vecchie com'erano, nelle loro tonache nere, con gli occhi sbarrati, pronte e disposte al... martirio. Guaivano come cagne. Tassoni, quel bei tipo, grido: 'Niente da fare, sorelle, abbiamo da badare ad altro; ritorneremo quando ci farete trovare le novizie!' E noi tutti a ridere che si voleva met-tere la pancia in terra. E le lasciammo li con la bocca asciutta per andare a far fuoco contro i regi dai terrazzini di sopra." Angelica, ancora appoggiata, rideva, mostrando tutti i suoi denti di lupatta. Lo scherzo le sembrava delizioso; quella possibilitä di stupro la turbava, la bella gola palpitava. "Che bei tipi dovevate essere! Come avrei voluto trovarmi con voi!" Tancredi sembrava trasfor-mato: la foga del racconto, la forza del ricordo, entrambe innestate sulla eccitazione che produceva in lui Laura sensuale della ragazza, lo mutarono un istante da quel giovanotto ammodo che in realtä era in un soldataccio brutale. "Se ci fosse stata lei, signorina, non avremmo avuto bisogno di aspettare le novizie." A casa sua, Angelica, aveva udito molte parole grosse; questa era perö la prima volta (e non l'ultima) che si trovava ad esser l'oggetto di un doppio senso lascivo; la novitä le piac-que, la sua risata sali di tono: si fece stridula. In quel momento tutti si alzavano da tavola; Tancredi si chino per raccattare il ventaglio di piume che Angelica aveva lasciato cadere; rialzandosi vide Concetta col volto di brace, con due piccole lagrime sull'orlo delle ciglia: "Tancredi, queste brutte cose si dicono al confessore, non si raccontano alle signorine, a tavola; per lo meno quando ci sono anch'io." E gli volse le spalle. Prima di andare a letto Don Fabrizio si fermo un momento sul balconcino dello spoglia-toio. II giardino dormiva sprofondato nell'ombra, sotto; nell'aria inerte gli alberi sembrava-no di piombo fuso; dal campanile incombente giungeva il sibilo fiabesco dei gufi. II cielo era sgombro di nuvole: quelle che avevano salutato a sera se ne erano andate chissä dove, piü informazioni < > • MlolEbookReader Modifica m w i > <5> 4 100% WĚP Q ABC esteso Dom 12:16 Q. © ;s • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ Q p OS verso paesi meno colpevoli nei cui riguardi la collera divina aveva decretato condanna minore. Le stelle apparivano torbide e i loro raggi faticavano a penetrare la coltre di afa. L'anima di Don Fabrizio si slanciö verso di loro, verso le intangibili, le irraggiungibili, quelle che donano gioia senza poter nulla pretendere in cambio, quelle che non barattano; come taňte altre volte fantastico di poter presto trovarsi in quelle gelide distese, puro intel-letto armato di un taccuino per calcoli; per calcoli difficilissimi ma che sarebbero tomati sempře. "Esse sono le sole pure, le sole persone per bene" pensö con le sue formule mondäne. "Chi pensa a preoccuparsi della dote delle Pleiadi, della carriera politica di Sirio, delle attitudini all'alcova di Vega?" La giornata era stata cattiva; lo avvertiva adesso non soltanto dalla pressione alla bocca dello stomaco, glielo dicevano anche le stelle: invece di vederle atteggiarsi nei loro usati disegni, ogni volta che alzava gli occhi scorgeva lassü un unico diagramma: due stelle sopra, gli occhi; una sotto, la punta del mento; lo schéma beffardo di un volto triangolare che la sua anima proiettava nelle costellazioni quando era sconvolta. II frack di don Calogero, gli amori di Concetta, l'infatuazione evidente di Tancredi, la propria pusillanimita, financo la minacciosa bellezza di quell'Angelica. Brutte cose, pietruzze in corsa che precedono la frana. E quel Tancredi! aveva ragione, ďaccordo, e lo avrebbe anche aiutato; ma non si poteva negare che fosse un tantino ignobile. E lui stesso era come Tancredi. "Bašta, dormiamoci su." Bendicö nell'ombra gli strisciava il testone sul ginocchio. "Vedi, tu Bendicö, sei un po' come loro, come le stelle: felicemente incomprensibile, incapace di produrre angoscia." Sollevö la těsta del cane quasi invisibile nella notte. "E poi con quei tuoi occhi al medesimo livello del naso, con la tua assenza di mento ě impossibile che la tua těsta evochi nei cielo spettri maligní." Abitudini secolari esigevano che il giorno seguente all'arrivo la famiglia Salina andasse al Monastero di Santo Spirito a pregare sulla tomba della beata Corběra, antenata del Prin- cipe, che aveva fondato il convento, lo aveva dotato, santamente vi era vissuta e santamente vi era morta. II monastero era soggetto a una rigida regola di clausura e Fingresso ne era sbarrato agli uomini. Appunto per questo Don Fabrizio era particolarmente lieto di visitarlo, perché per lui, discendente diretto della fondatrice, la esclusione non vigeva e di questo suo privilegio che divideva soltanto col Re di Napoli, era geloso e infantilmente fiero. Questa facolta di canonica prepotenza era la causa principále ma non 1'unica della sua predilezione per Santo Spirito. In quel luogo tutto gli piaceva, cominciando daU'umiltä del parlatorio rozzo con la sua volta a botte centrata dal Gattopardo, con le duplici grate per le conversazioni, con la piccola ruota di legno per fare entrare e uscire i messaggi, con la porta ben squadrata che il Re e lui, soli maschi nei mondo, potevano lecitamente varcare. Gli piaceva 1'aspetto delle suore con la loro larga bavetta di candidissimo lino a piegoline minuté spiccante sulla rude tonaca nera; si edificava nei sentir raccontare per la ventesima volta dalla Badessa gli ingenui miracoli della Beata, nei vedere com'essa gli additasse 1'angolo del giardino malinconico dove la santa monaca aveva sospeso nell'aria un grosso sasso che il Demonio, innervosito dalla di lei austerita, le aveva scagliato addosso; si stupiva sempře vedendo incorniciate sulla parete di una cella le due lettere famose e indecifrabili, quella che la Beata Corběra aveva scritto al Diavolo per esortarlo al bene e la risposta di lui che esprimeva, pare, il rammarico di non poter obbedirle; gli piacevano i mandorlati che le mo-nache confezionavano su ricette centenarie, gli piaceva ascoltare l'Uffizio nei coro, ed era financo contento di versare a quella comunitä una parte non trascurabile del proprio reddito, cosi come voleva 1'atto di fondazione. Quella mattina quindi non vi era che gente contenta nelle due vetture che si dirigevano verso il monastero, appena fuori del paese. Nella prima stáváno il Principe con la Principes-sa e le figlie Carolina e Concetta; nella seconda Tancredi, la figlia Caterina e Padre Pirrone i quali, beninteso, si sarebbero fermati extra muros ed avrebbero atteso nei parlatorio duran- piů informazioni < > • MIolEbookReader Modifica m w ^ i > <5> 4 100% PI' Q Abc esteso Dom 12:16 Q. O • O • MIolEbookReader - II Gattopardo o p OS te la visita, confortati dai mandorlati che sarebbero apparsi attraverso la ruota. Concetta ap-pariva un po' distratta ma Serena, e il Principe volle sperare che le fanfaluche di ieri fossero passate. L'ingresso in un convento di clausura non e cosa breve, anche per chi possegga il piü sacro dei diritti. Le religiose tengono a far mostra di una certa riluttanza, formale si ma pro-lungata, che del resto conferisce maggiore sapore alia giä scontata ammissione; benche la visita fosse attesa si dovette quindi aspettare un bei po' nel parlatorio. Fu verso la fine di quest'attesa che Tancredi improvvisamente disse al Principe: "Zio, non potresti fare entrare anche me? Dopo tutto sono per metä Sahna, e qui non ci sono stato mai." II Principe fu in fondo lieto della richiesta, ma scosse risolutamente il capo. "Ma, figlio mio, lo sai: io solo posso entrare qui; per gli altri e impossibile." Non era perö facile smontare Tancredi: "Scu-sa, zione; ho riletto stamane l'atto di fondazione in biblioteca: 'poträ entrare il Principe di Sahna e insieme a lui due gentiluomini del suo seguito se la Badessa lo permetterä.' Faro il gentiluomo al tuo seguito, faro il tuo scudiere, faro quel che vorrai. Chiedilo alia Badessa, te ne prego." Parlava con inconsueto calore; voleva forse far dimenticare a qualcuno gl'in-considerati discorsi della sera prima. Don Fabrizio era lusingato: "Se ci tieni tanto, caro, ve-drö..." Ma Concetta col suo sorriso piü dolce si rivolse al cugino: "Tancredi, passando ab-biamo visto una trave per terra, davanti la casa di Ginestra. Vai a prenderla, farai piü presto a entrare." L'occhio azzurro di Tancredi s'incupi ed il volto gli divenne rosso come un pa-pavero, non si sa se per vergogna o ira; voleva dire qualcosa a Don Fabrizio sorpreso, ma Concetta intervenne di nuovo, con voce cattiva adesso, e senza sorriso. "Lascia stare, papa, lui scherza; in un convento almeno c'e stato, e gli deve bastare; in questo nostro non e giu-sto che entri." Con fragore di chiavistelli tirati la porta si apriva. Entrö nel parlatorio afoso la frescura del chiostro insieme al parlottare delle monache schierate. Era troppo tardi per trattare, e Tancredi rimase a passeggiare davanti al convento, sotto il cielo infuocato. La visita riusci a perfezione. Don Fabrizio, per amor di quiete, aveva fatto a meno di chiedere a Concetta il significato delle sue parole; doveva trattarsi senza dubbio di una delle solite ragazzate fra cugini; ad ogni modo il bisticcio fra i due giovani allontanava seccature, conversazioni, decisioni da prendere, quindi era stato il benvenuto. Su queste premesse la tomba della Beata Corbera fu da tutti venerata con compunzione, il caffe leggero delle monache bevuto con tolleranza e i mandorlati rosa e verdognoli sgranocchiati con sodisfazio-ne; la Principessa ispezionö il guardaroba, Concetta parlö alle monache con la consueta ri-tegnosa bontä, lui, il Principe, lasciö sul tavolo del refettorio le venti "onze" che offriva ogni volta. E vero che all'uscita Padre Pirrone venne trovato solo; ma poiche disse che Tancredi era andato via a piedi essendosi ricordato di una lettera urgente da scrivere, nessuno vi fece caso. Ritornato a palazzo il Principe sali nella libreria che era proprio al centra della facciata sotto all'orologio e al parafulmine. Dal grande balcone chiuso contra l'afa si vedeva la piazza di Donnafugata: vasta, ombreggiata dai platani polverosi. Le case di fronte ostenta-vano alcune facciate disegnate con brio da un architetto paesano; rustici mostri in pietra te-nera, levigati dagli anni, reggevano contorcendosi i balconcini troppo piccoli; altre case, fra cui quella di Don Calogero, si ammantavano dietro pudiche facciatine Impero. Don Fabrizio passeggiava su e giü per l'immensa stanza; ogni tanto, al passaggio, getta-va un'occhiata sulla piazza: su una delle panchine da lui stesso donate al comune tre vec-chietti si arrostivano al sole; una diecina di monelli s'inseguivano brandendo spadoni di le-gno; quattro muli erano attaccati a un albero. Sotto 1'infuriare del solleone lo spettacolo non poteva essere piü paesano. A uno dei suoi passaggi davanti alia finestra, perö, il suo sguar-do fu attratto da una figura nettamente cittadina: eretta, smilza, ben vestita. Aguzzö gli oc-chi: era Tancredi; lo riconobbe, benche fosse un po' lontano, dalle spalle cascanti, dal vitino ben racchiuso nella redingote. Aveva cambiato abito: non era piü in marrone come a Santo Spirito ma in blü di Prussia il "colore della mia seduzione" come diceva lui stesso. Teneva piü informazioni < > É MlolEbookReader Modifica m w ž? * > <5> ^ 100% fil' Q abc esteso Dom 12:16 Q. O • O • MlolEbookReader - II Gattopardo O ■ p 05 in mano una canna dal pomo smaltato (doveva essere quella con il Liocorno dei Falconeri ed il motto Semper purus) e camminava leggero come un gatto, come qualcuno ehe tema d'impolverarsi le scarpe. A dieci passi indietro lo seguiva un domestico ehe reggeva una cesta infiocehettata contenente una diecina di pesche gialline con le guancette rosse. Scansô un monello, evitô con eura una pisciata di mulo. Raggiunse la porta di casa Sedára. * Aggiunta nel dattiloseritto: "Appeso a un chiodo del muro un accappatoio; su una delle sedie di corda la biancheria di ricambio; su un'altra un vestito ehe recava ancora le pieghe prese nel baule. Accanto al bagno un grosso pezzo di sapone rosa, uno spazzolone, un faz-zoletto annodato contenente delia erusca ehe bagnata avrebbe emesso un latte odoroso, una enorme spugna, una di quelle ehe gli inviava ľamministratore di Salina." piú informazioni