Il principe e il Mostro: una lettura di «Viaggio in Europa» «J’aime les nuages... les nuages qui passsant... là-bas... là-bas... les merveilleux nuages!» Charles Baudelaire, L’éntrager «“J’ai vu mourir Luis XVI et Bonaparte” o, se non proprio questo, ho visto nella mia vita più di una cosa degna di memoria» : ha così inizio Viaggio in Europa, una partei dell’epistolario di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, edita per Mondadori nel 2006. Si tratta di ventinove lettere che coprono l’arco cronologico del quinquennio 1925-1930, e che lo scrittore invia ai cugini Piccolo, Casimiro «dipintore» e Lucio poeta e compositore, dai suoi viaggi in Europa. Fanno eccezione la ventisettesima, inviata alla zia Alice Barbi , e,ii in appendice, una lettera della madre Beatrice Tasca di Cutò al giovane scrittore e una, dell’ottobre 1938, alla zia Teresa Piccolo. Le lettere, che integrano quelle peraltro più abbondanti indirizzate alla moglie Alessandra Wolff Stomersee, durante il fidanzamento e le vacanze estive trascorse separatamente dai due, più delle altre intessono una fitta trama di rapporti intratestuali con la restante produzione lampedusiana, costituendone, talvolta, l’antecedente più diretto .iii La mia lettura di Viaggio in Europa tiene conto delle risonanze che l’epistolario ha nel romanzo, e si snoda come con percorso che attraversa l’opera di Tomasi di Lampedusa. Si apre sulla strategie di distanziamento dalla materia testuale messe in atto dallo scrittore, attraverso l’invenzione di un’identità fittizia a metà tra il divertissement letterario e la biografia, e il ricorso ai tropi dell’iperbole, dell’ironia e dell’antifrasi nei quali confluiscono le più o meno scoperte allusioni e citazioni letterarie, coglie alcuni motivi tematici e stilistici in comune tra le opere, e in ultimo individua i segni della passione dello scrittore per il cinema. L’inclinazione di Lampedusa per il cinema, oltre a permanere come traccia dei meccanismi visivi attraverso i quali è possibile analizzare lo stile del Gattopardo, diventa, insieme alla metropoli e alle sue folle, il simbolo di una modernità che attraeva e al contempo spaventava lo scrittore. 1 Il distanziamento dal vero “io” attraverso l’identità fittizia di una maschera, il ricorso all’ironia per dissimulare i pensieri più profondi, il gioco acre e salace che inganna, cela e deforma la realtà, è il primo dato che si evince dalla lettura di Viaggio in Europa. Il distanziamento, ricordo, è uno schermo attraverso il quale lo scrittore si ritrae vivere, e compare in modo sfaccettato e multiforme in molta parte della produzione epistolare di Lampedusa. Se nelle lettere destinate alla futura moglie esso si manifesta come reticenza allo slancio amoroso, e si attua attraverso l’impiego d’inserti in lingua inglese che traducono le espressioni più ardenti , in Viaggio in Europa tutto ciò si concretizza attraversoiv l’invenzione del personaggio del Mostro. Ma chi è il Mostro? Quali sono i suoi caratteri peculiari, i suoi connotati? Mostro era Lampedusa affettuosamente chiamato dai cugini Piccolo, e con Mostro, nomignolo posto accanto a quello di «Pony» usato dalla madre, e di «Muri» e di «Ton Petit», con i quali Alessandra Wolff aveva soprannominato il futuro marito, Lampedusa si firma e dà avvio al discorso epistolare . «Mostro», dal latino monv trum, nella sua radice porta con sé il concetto di “fuori dall’ordinario”, e Lampedusa, come spiegato da Gioacchino Lanza Tomasi in Palermo anni ’50, lo era per due motivi: l’olimpica eccezionalità della mole, e l’altrettanto meravigliosa avidità di lettore .vi Diverso dal Tomasi di Lampedusa il cui volto più sincero traspare nelle poche ma ricorrenti righe di richiesta di risposta e di invito a scrivergli, righe che lasciano intuire la figura di un viaggiatore solitario («lontano, solo, ramingo», VE, p. 69), la firma «il Mostro» si accompagna per lo più a un epiteto che ha lo scopo di riassumere l’argomento della lettera o indicare la tappa del viaggio: dal semplice «il Mostro di pasta, tenera» (VE, p. 84), perché ha fatto stimare un servizio di porcellana di Sèvres per conto del cugino Casimiro, al «Mostro metropolitano» (VE, p. 131), affascinato da una Londra frenetica e cosmopolita . Raramente si registra l’abbandono della maschera “mostruosa”. Il discorsovii è condotto in terza persona, come a ribadire che la maschera è una creazione letteraria, l’invenzione di un personaggio a tutto tondo, il risultato di un patto tra cugini. Se la terza persona, con la quale Lampedusa parla del Mostro, compare più frequentemente in apertura della lettera, occorre notare che essa gradualmente viene sostituita con la prima per ricostruire il normale rapporto dell’“io” emittente e del “tu” destinatario della comunica- 2 zione epistolare, e per svelare il gioco condotto dal principe. Che sia un gioco più esplicitamente si rivela nella lettera tredicesima dove, dopo essersi qualificato quale Mostro «misericordioso» che perdona i due cugini per non avergli scritto, e dopo aver velatamente alluso all’abbandono della famiglia da parte del padre dei Piccolo, lo scrittore depone “la maschera mostruosa” e, attraverso l’avversativo «ma scherzi a parte» (VE, p. 99), si dichiara realmente addolorato per l’accaduto. La maschera del Mostro è indossata da uno scrittore ironico e beffardo, da un viaggiatore poliglotta e coltissimo, smisuratamente vorace, che si sfama di «un dilettoso bordone di panini di varia forma e consistenza... » (VE, p. 163), e di letture . «Un Mostro inguaviii ribilmente letterario» scriverà Lampedusa da Londra (VE, p. 128). Viaggio in Europa è in effetti un viaggio letterario di un uomo dotato di un bagaglio pieno di libri i quali rivelano in maniera più esplicita, rispetto al romanzo e ai racconti, la lettura e la profonda riflessione sulla letteratura francese, inglese, e italiana . Il testo delle epistole è però reticente:ix si espande come quello del romanzo attraverso il sottinteso, e invita il lettore, escluso dal circuito comunicativo della lettera, a sciogliere − e a gustare − le più disparate allusioni .x Occultate, filigranate, o sfacciatamente in mostra, mai puntuali perché costantemente manipolate, le citazioni si rivelano echi letterari che risuonano noti, ma spesso deformati, alle orecchie del lettore: un divertissement. Essi partecipano della strategia iperbolica della narrazione delle imprese del Mostro . Compiacendosi di scrivere in modo «lepido, dexi scrittivo, profondo e saggio» (VE, p. 97), il Mostro cosparge infatti di «finisso sale» (VE, p. 137) le sue lettere . Così il nostro viaggiatore si finge un eroe epico: un Ulisse deditoxii al «quotidiano navigare» (VE, p. 81) , la cui «congerie d’esperienze» ha incanutito lexiii tempie (VE, p. 145); un Napoleone che tutto ha visto e provato perché «tutte le sorti conobbe e a tutte fu pari», VE, p. 38) ; un moderno Foscolo o Alfieri dalla «vita intexiv merata e dedita all’appassionata ricerca del vero» (VE, p. 76); il paladino Goffredo che, facendo eco alla duplice ripetizione «molto egli oprò... molto soffrì» della Gerusalemme liberata, I, 1 «molte bellissime cose ha visto e molto ha arricchito il proprio tesoro di esperienza e di sapere» (VE, p. 70) . O ancora, il Mostro si dirige «lento pede» (VE, p.xv 71) come un dannato infernale alla Wallace Collection, dove incontrerà Lord Clay, il 3 temporaneo direttore del museo, paragonato a un «Caronte del Settecento francese» (VE, p. 72) . Per mantenere il gioco scopertamente allusivo e iperbolico, il Mostro racconteràxvi di aver riportato Lord Clay, al quale aveva chiesto una stima di un servizio di porcellana di Sevres, sul «retto e interessante cammino del prezzo» (VE, p. 74), distogliendolo dalle chiacchiere. LA ZATTERA DELLA MEDUSA Sfuggente per chi volesse conoscere la figura del reale Giuseppe Tomasi di Lampedusa, al di là degli stretti dati biografici, altro è l’interesse che trasuda da queste lettere. Si potrebbe così accogliere l’invito del curatore Salvatore Silvano Nigro a rileggere Viaggio in Europa in controluce al Gattopardo, e non si rimarrebbe delusi nel riconoscervi il retroterra stilistico e inventivo del futuro romanzo: i germi da cui prenderanno forma alcune immagini, l’aggettivazione con funzione soggettiva ed emotiva, l’ironia con cui il Mostro vede e attraversa i paesi d’Europa, i paragoni arditi e la commistione irriverente di sacro e profano. Sul piano stilistico, nell’accostare Viaggio in Europa al romanzo ci si rende conto che l’eccesso e l’esagerazione assumono il ruolo di protagonista. La mole mostruosa è pari alla figura colossale del principe di Salina, ripetutamente ripresa e variata nelle pagine del romanzo tanto da costituire, secondo Francesco Orlando, un’iperbole essa stessa . Parallelamente a don Fabrizio, che oltre a piegare forchette e cucchiai nei moxvii menti di rabbia repressa, ama «tutte le cose in scala» (G, p. 29) , tutto ciò che concernexviii il Mostro non può che essere iperbolicamente “mostruoso”, quanto a dimensioni, peculiarità ed eccezionalità. Per fare un esempio, dove la patina di letterarietà contribuisce all’esagerazione, il Mostro, nei modi urbani e leziosi del Giovin Signore, si rivolge a Lord Clay con «soverchio ardire» (VE, p. 72): «l’ardire» del Mostro riporta a quello della macchiolina di caffè che «ardisce irrompere nella vasta bianchezza del panciotto» di Don Fabrizio (G, p. 21). Ma se nel romanzo la strategia antifrastica e iperbolica sottende una prospettiva diversa da quella del personaggio di don Fabrizio, con l’effetto di creare una polifonia, nell’epistolario essa ribadisce la tacita alleanza tra Lampedusa e i cugini Piccolo, i quali acconsentono a ritenere vera la finzione del viaggiatore eccezionale, e, al con- 4 tempo, si associano allo scrittore nel lanciare strali avvelenati contro i più disparati personaggi della nobiltà palermitana. Anche la scansione anaforica del periodo, la riduzione olofrastica tramite aggettivazione, il ricorso a una frase relativa come modo di specificazione, sono artifici retorici che, accennati in Viaggio in Europa, verranno largamente utilizzati nelle pagine del Gattopardo. Ne sono esempio «le disperate paludi» inglesi (VE, p. 78), tanto simili, nell’antropomorfizzazione dell’oggetto attraverso un attributo, alla disperazione del paesaggio donnafughesco: «disperati dirupi che saggine e ginestre non riuscivano a consolare» (G, p. 78), «Donnafugata era deserta ed appariva disperata» (G, p. 177) . Il lettore non dovràxix voltare che poche pagine di Viaggio in Europa per trovare un periodo scandito dall’iterativo «ho visto»: Ho visto Piccadilly a Mezzogiorno e Montmartre a Mezzanotte; ho visto il Mosé di Michelangelo e ho sentito Masnata parlare di antichità; ho fatto più di una volta colazione con Pirandello e ho conversato con Raimondo Arenella; ho visto la bellezza della principessa di Jolanda e la bruttezza di suo marito (VE, pp. 37-38) Se il percorso del Mostro è costruito sulla contrapposizione iperbolica dei luoghi visitati e degli incontri fatti, le ore del viaggio verso Donnafugata sono scandite dagli alberi «assetati che si sbracciavano sul cielo sbiancato» (G, p. 57) della Sicilia arida d’agosto: Gli alberi! Ci sono gli alberi!» [...] Gli alberi, a dir vero, erano soltanto tre ed erano degli “eucaliptus” i più sbilenchi figli di madre natura; ma erano anche i primi che si avvistassero da quando alle sei del mattino, la famiglia Salina aveva lasciato Bisacquino. Adesso erano le undici e per quelle cinque ore non si erano viste che pigre groppe di colline avvampanti di giallo sotto il sole. [...] Mai un albero, mai una goccia d’acqua: sole e polverone. [...] Quegli alberi... annunziavano parecchie cose: che si era giunti a meno di due ore dal termine del viaggio. (G, pp. 57-58) Soltanto in prima battuta i due passi possono essere accostati: nel Gattopardo la ripetizione, oltre a ritmare il periodo, soggettivizza la scrittura e circuisce la realtà romanzesca avvicinandola al lettore, in Viaggio in Europa, invece, essa diventa uno strumento al servizio della strategia narrativa tendente all’esagerazione. 5 Nel gusto bozzettistico e diaristico che caratterizza la scrittura di Viaggio in Europa si palesa l’avvenimento, la riflessione e il pensiero dai quali prenderanno le mosse le pagine del Gattopardo. L’esperienza biografica rappresenta un serbatoio d’immagini che, a distanza di trent’anni, distorte dalla memoria, forgeranno la pagina del romanzo. Non si può immaginare il «fruscio delle vesti» (VE, p. 128) dell’ammaliante Belinda, al ballo dell’ambasciata francese a Londra, senza rievocare quello delle signorine di casa Salina nell’alzarsi al passaggio del principe («Al suo passaggio la seta delle loro sottane frusciò mentre esse si alzavano», G, p. 47) o nel riunirsi per la recita pomeridiana del rosario («La famiglia si andava riunendo. La seta delle gonne frusciava», G, p. 56) . Nè si puòxx leggere la descrizione della gabbia di scimmie, durante la visita allo zoo di Anversa («in un’immensa gabbia più di trecento scimmie di ogni forma di grugno e d’ogni coloritura di natiche si abbandonavano a sconcie sarabande e a lepidi inseguimenti e cercavano, invano, di farci arrossire dei nostri antenati», VE, p. 38), con la quale il Mostro allude non proprio velatamente al nobiliare circolo Bellini di Palermo, senza pensare ai «luoghi comuni, discorsi piatti» (G, p. 208) degli aristocratici al ballo di palazzo Ponteleone, di là da qualche pagina paragonati a «vecchi babbei suoi [di don Fabrizio] amici» (G, p. 211) , o al Limbo di anime esangui del caffè di via Po nella Sirena . Di scorcio suixxi xxii rapporti intratestuali in Viaggio in Europa, il circolo Bellini è equiparato al senato di Roma del 1929 («il più interessante e ben tenuto museo archeologico di Roma. Fra tutti i senatori, credo, si raccoglierebbero non più di 1000 capelli ma in compenso una vera foresta di stampelle e una montagna di cinti erniarî» VE, p. 152), e accostato per antifrasi a «un’accolta di magnanimi spiriti che onorerebbero qualsiasi Atene» (VE, p. 47): oltre al richiamo al quarto canto dell’Inferno, si può cogliere l’allusione pittorica alla Scuola d’Atene di Raffello che dalle terzine dantesche fu suggestionato. Per tornare alla deformazione in ouistiti di trent’anni prima, questa ricompare nella metamorfosi allucinatoria delle ragazze ospiti al ballo Ponteleone in «bertucce crinolinate» (G, p. 208): «[il principe] si aspettava di vederle [le ragazzine-scimmiette] a un tratto arrampicarsi sui lampadari e da lì, sospese per le code, dondolarsi esibendo i deretani e lanciando gusci di nocciola, stridori e digrignamenti sui pacifici visitatori» (G, p. 208). Tale paragone zoomorfi- 6 co si manifesta costante dell’opera di Lampedusa. Come è stato notato da Nunzio Zago , nelle Lezioni francesi Shakespeare e Montaigne sono accomunati dalla contemxxiii plazione e dal riso che suscita l’umanità: «smorfie e [...] capitomboli di queste povere scimmie bastonate» .xxiv Anche le descrizioni dei banchetti del Gattopardo sono prefigurati in Viaggio in Europa. Che Lampedusa fosse un buongustaio è indubbio sin dalle Lettere a Licy , dovexxv i dettagli sui pranzi e le cene a casa Piccolo parlano all’avido lettore della stessa famelica avidità del principe di Salina. Tali descrizioni si compongono degli artifici retorici della sinestesia, della metafora e della comparazione. Nell’apprezzare la nobiltà dei formaggi inglesi, il paragone con le tonalità cristalline dei minerali («signorili formaggi di Chester, rosei come l’onice, o di Stilton, verdi come l’acquamarina, o del Cheddar, trasparente e ambrato», VE, p. 60) si riverbera nei colori delle portate della cena al ballo dei Ponteleone: «coralline le aragoste lessate vive, cerei e gommosi gli chaud-froids di vitello, di tinta d’acciaio le spigole immerse nelle soffici salse, i tacchini che il calore dei forni aveva dorato, le beccacce disossate recline sui tumuli di crostoni ambrati decorati delle loro stesse viscere triturate, i pasticci di fegato grasso rosei sotto la corazza di gelatina; le galantine color d’aurora, dieci altre crudeli delizie» (G, p. 217). Il candido paragone tra organico e inorganico dell’epistolario nel Gattopardo si ripiega sull’evidenza del passaggio dalla vita alla morte e diventa barocca e macabra rappresentazione dell’ossimoro piacere / crudeltà . Più dell’attributo «cereo» o delle modalità di cucina dell’aragosta, è la parolaxxvi «tumuli» a contenere i segni della morte: essa rimanda alle prime pagine del romanzo, a quel “giardino cimiteriale” dove don Fabrizio assimila i mucchietti di terra che delimitano i canali d’irrigazione ai «tumuli di smilzi giganti» (G, p. 22) e dove si riaffaccia il ricordo del cadavere, aperto sulle viscere, di un soldato borbonico. Si può notare che nell’epistolario sussistono le prime tracce di una profana commistione tra cibo e sacro, e tra cibo e bellezza femminile, la quale avrà parte nel romanzo. Dall’unione irriverente tra la santità delle tombe di antichissimi vescovi e la «delicatezza di alcuni pasticci d’anatra non avari di tartufi» (VE, p. 141) compiuta dal Mostro, si giungerà alle riflessioni di don Fabrizio sulle «impudiche “paste delle vergini”» dalla forma 7 dei seni recisi di Sant’Agata a Palermo: «I ‘trionfi della gola’ (la gola, peccato mortale!), le mammelle di S. Agata vendute dai monasteri, divorate dai festaioli! Mah!» (G, p. 217) . E ancora, il giovane protagonista di Viaggio in Europa non esita ad abbinare glixxvii occhi dell’affascinante Belinda al sapore delle aragoste («il Mostro è costretto a mischiare l’opposta delizia delle aragoste cardinalizie e degli occhi cesi di Belinda, mentre sarebbe tanto dolce gustarle in separata sede», VE, pp. 127-128), tentativo d’abbinamento che, a distanza di tre decenni, risulterà disgustoso al nipote di don Fabrizio, Tacredi: «Tancredi, tentando di unire la galanteria alla gola, si provava a vagheggiare il sapore dei baci di Angelica, sua vicina, nel gusto delle forchettate aromatiche, ma si accorse che l’esperimento era disgustoso e lo sospese, riservandosi di risuscitare queste fantasie al momento del dolce» (G, p. 84) .xxviii Dal sapore di una mise en scène di Luchino Visconti, il motivo biografico della memoria atavica di una famiglia nobile e dell’aspirazione della classe nobiliare a rimanere eterna si esplicita nell’attenzione dello scrittore ai palazzi e al mobilio: si srotola dalla matassa delle lettere di Viaggio in Europa per riavvolgersi nei Ricordi d’infanzia, nel Gattopardo e nella parole del professor La Ciura nella Sirena . La riflessione riportataxxix ai cugini da Powis Castle che le «mille reliquie del passato rendono tanto sensibile l’antichità della famiglia» (VE, p. 86) compare modulata e variata nelle parole di istruzione di Tancredi alla bella Angelica durante la sua presentazione in società («... teniamo alle nostre case ed al nostro mobilio più che a qualsiasi altra cosa», G, p. 205) e, ritorna nell’«inferno di memorie mummificate» (G, p. 244) di Concetta ormai anziana, nell’ultimo capito del romanzo . Nelle battute scambiate tra don Fabrizio e Padre Pirrone, ilxxx principe rimarca la caducità della sua classe sociale rispetto al clero («Viviamo in una realtà mobile alla quale cerchiamo di adattarci come le alghe si piegano sotto la spinta del mare. Alla Santa Chiesa è stata esplicitamente promessa l’immortalità; a noi, in quanto classe sociale, no», G, p. 50), sebbene, a detta del grecista Rosario La Ciura, il vecchio professore protagonista della Sirena, la memoria di un casato nobile sia più durevole e più vicina all’eternità di quella del popolo («Io ho molta considerazione per le vecchie famiglie. Esse posseggono una memoria, minuscola è vero, ma ad ogni modo maggiore 8 delle altre. Sono quanto di meglio, voialtri, possiate raggiungere in fatto d’immortalità fisica») . Ciò che resta della nobiltà è soltanto un ricordo privo di colori come la doraxxxi tura sbiadita e consunta del mobilio del palazzo di Ponteleone («un oro consunto, pallido come i capelli di certe bambine del Nord, impegnato a nascondere il proprio valore sotto una pudicizia ormai perduta di materia preziosa […]; qua e là sui pannelli nodi di fiori rococò di un colore tanto svanito da non sembrare altro che un effimero rossore dovuto al riflesso dei lampadari», G, p. 209), associato, nel cuore dolente di don Fabrizio, alle stoppie giallo-nere, «arse e d’altronde inutili» (G, p. 209), del paesaggio donnafughesco dopo il raccolto . Palazzi e mobilio sono destinati alla distruzione: nulla perdura, neppure glixxxii dei. Una voce extradiegetica informerà il lettore del romanzo che il palazzo dei Ponteleone, con il suo soffitto affrescato di divinità immortali, verrà distrutto da un bombardamento degli alleati durante la Seconda guerra mondiale: «Nel soffitto gli Dei, reclinati su scanni dorati, guardavano in giù sorridenti e inesorabili come il cielo d’estate. Si credevano eterni: una bomba fabbricata a Pittsburg, Penn. doveva nel 1943 provar loro il contrario», G, p. 210). Lungi dall’essere eterni, anche gli dei sono mortali, insinua ironica la voce narrante nelle prime battute del romanzo: «Al di sotto di quell’Olimpo palermitano anche i mortali di casa Salina discendevano in fretta giù dalle sfere mistiche» (G, p. 24). L’equivoco è innescato dalla congiunzione «anche» la quale sposta il termine «mortali» sulle divinità affrescate nel soffitto del palazzo di don Fabrizio, a negare dunque l’eternità anche a chi dovrebbe spettare di diritto. Se al simbolismo degli dei, imperturbabili ed eterni, si richiamano le tradizioni e i riti nobiliari che, nella ripetizione e nello spezzare il giogo del tempo, aspirano all’eternità, ne consegue che divinità e nobiltà siano equiparate nella loro aspirazione di durevolezza e soprattutto nel loro destino di decadimento .xxxiii In Viaggio in Europa il motivo nobiltà s’intreccia con la constatazione della diversa ricchezza tra principi inglesi e principi siciliani: «Siamo pallide ombre dei veri signori. Siamo poveri e moriremo poveri» (VE, p. 87) scrive il Mostro dalla capitale inglese. Il motivo dello scolorire della luminosità riporta alla già citata doratura sbiadita del mobilio di casa Ponteleone e ai suoi addentellati. Non solo. Nel corsivo frettoloso delle lettere si intravede la stessa malinconia che contraddistingue il tema del trapasso di una civiltà nel 9 Gattopardo . Le parole del Mostro si fissano brevemente sulla considerazione che lexxxiv nobili signorine palermitane decadute necessiterebbero di un buon matrimonio con qualche Lord inglese («Bisognerebbe che sposasse [il figlio di un Lord inglese] qualcuna di quelle nostre signorine che muoiono d’inedia», VE, p. 87), e si proiettano sui pensieri di don Fabrizio morente sul matrimonio, di convenienza, di Tancredi («un’avventura audace e predatoria», G, p. 230). Ma queste, ancora prima di riflettersi nelle inquietudini del principe, richiamano l’ironica comparazione tra il Mostro e il circolo dei nobili inglesi da una parte, e il gatto e le tigri reali dall’altra: Immaginate un gatto, un comune “felis catus” aggirantesi fra i gabbioni del giardino zoologico. Egli sa che quelle tigri «burning bright», che quei leoni regali sono suoi vicini parenti [...]. Così un belliniano (il Mostro) quando introdotto fra questi giganti del Bellinianesimo che siedono nei circoli di qui. Postulato: un belliniano sta ai belliniani inglesi come il vostro gatto sta alla tigre reale (VE, pp. 47-48) Se il gatto è il meschinello nobile palermitano, e i più altolocati felini gli aristocratici inglesi, dietro tale postulato si potrebbe scorgere l’ironica degradazione da leopardo a gattopardo, allusa nel titolo del romanzo, dello stemma nobiliare della Gens Thomasa-Leoparda, dal quale proveniva Lampedusa . Infine, nell’epopea del gatto che demorde dalxxxv tentativo di attraversare la strada, episodio narrato in una lettera londinese del 1928, sembra affiorare una mal celata simpatia e ammirazione per il felis catus il quale, quasi trent’anni dopo, assurgerà a simbolo del tramonto dell’aristocrazia .xxxvi Per avviarsi verso la conclusione, ci si può chiedere se anche l’amore per il cinema, ribadito in numerose lettere appartenenti a Viaggio in Europa e all’epistolario a Licy, non abbia influenzato le pagine di Lampedusa . Così ciò che in gergo cinematograficoxxxvii viene chiamato “primo piano” è rintracciato da Lampedusa nell’Histoire de la peinture en Italie di Stendhal: «Stendhal ha precorso il sistema cinematografico dei primi piani fortemente delineati a scapito dei secondi e dei terzi piani sfocati» . Mentre diventa unxxxviii luogo comune per lo scrittore il paragone dell’autore della Comédie Humaine a un abilissimo regista: 10 Ho avuto l’impressione di assistere a un film. [...] Bisogna fermarsi un attimo dopo aver letto quelle sue descrizioni gustose di mobili e persone, imprimerle bene nella memoria e disporle come su di una scena. Dopo di che quando si continua a leggere si ha uno stupefacente effetto di film. E che film! Messo in scena da un regista superbo e recitato da attori che non esistono .xxxix È tuttavia nel romanzo che Lampedusa, facendo tesoro delle letture e delle analisi critiche documentate nelle lezioni di letteratura inglese e francese, si serve del metodo cinematografico . Il Gattopardo è analizzabile in termini visivi. Mi limito ad accennare allo stilexl che contraddistingue il romanzo: uno stile polifonico paragonabile al movimento della lente di una macchina da presa, il cui obiettivo a volte si avvicina alla realtà romanzesca, rendendo il lettore partecipe della realtà che il protagonista vive, e inducendolo a condividere il punto di vista, i valori, e l’ideologia del principe , altre volte, invece, si allontaxli na, proiettando il lettore al di fuori del romanzo, in un altro tempo e in un altro luogo, in un efficace processo di straniamento . E posso fare appena un cenno ai recuperi analetxlii tici, ai riferimenti prolettici, alle riprese di un vocabolo o di un motivo dal forte valore simbolico (in tutto simili alle interruzioni di continuità cronologica e all’eccesso semantico della mise en scène e della gestualità attoriale dei film), i quali non si svelano immediatamente nella loro interezza, ma chiedono di essere posti all’interno di una rete di simboli e di significati, per essere successivamente compresi in tutte le loro sfumature, accresciuti d’intensità e di valore. In questo modo l’espediente della ripetizione arricchisce il testo di risonanze che gradatamente delineano l’universo e l’ideologia del romanzo. Oltre a ciò, la scrittura del Gattopardo è attenta alle sensazioni e alle percezioni dei personaggi del romanzo e del lettore , in una sorta di estetica della ricezione che corre in paralleloxliii alle prime critiche cinematografiche. Esempi di procedimenti avvicinabili ai filmici si rintracciano però qua e là nell’intero romanzo. Su tutti, colpisce un passo dal romanzo che potrebbe essere accostato a una dissolvenza incrociata: Il vento lieve passava su tutto, universalizzava odori di sterco, di carogne e di salvie, cancellava, elideva, ricomponeva ogni cosa nel proprio trascorrere noncurante; prosciugava le goccioline di sangue che erano l’unico lascito del coniglio, molto più in là andava ad agitare la cappelliera di Garibaldi e dopo ancora cacciava il pulviscolo negli occhi dei soldati napoletani che rafforzavano in fretta i bastioni di Gaeta (G, p. 104). 11 Un vento che annulla le distanze e che contemporaneamente soffia in diversi luoghi simbolicamente associati alle guerre risorgimentali. Per tornare all’epistolario ai Piccolo, nelle pagine di Viaggio in Europa trapela la passione di Lampedusa per «le “films”». Il Mostro registra nomi di cinematografi e di film, di registi e di stelle del cinema, e racconta della sua sorpresa per il cinema sonoro. Si potrebbe pertanto proiettare nei Paramount di Londra o di Parigi, o nel cinema di Basilea dove il Mostro racconta di aver ammirato Norma Shearer, quello stesso stupore provato verso il Movietone mescolato all’ammirazione e all’angoscia per ciò che di lì a poco sarebbe diventata l’epitome della modernità: la metropoli. Tornando da Londra, dopo una visita nella campagna inglese, il Mostro, riprendendo uno dei luoghi comuni della descrizione della metropoli, paragona la grande capitale inglese alla Mala Bestia dell’Apocalisse che avanza i suoi tentacoli: «C’est la ville tentaculaire / La pieuvre ardente et l’oussaire / Et la carcasse solenelle», scriveva Émile Verhaeren . Nella Folla, scrive il Mostro,xliv italianizzando il titolo del film di King Vidor , «la crudele atmosfera delle grandi città èxlv resa con grande vigore» (VE, p. 131). In una lettera da Berlino successiva di due anni, scrive ancora che «nella sublime folla delle metropoli [...] ogni faccia, per chi voglia guardare, è un poema di dolore e di disagio...» (VE, p. 172). «Noi canteremo le grandi folle...» , aveva declamato Marinetti nel Manifesto del futurismo nel 1909, quasi duexlvi decenni prima. Il viaggio di Lampedusa si effigia degli emblemi della modernità: dalle stazioni e dalle ferrovie ai padiglioni dell’Esposizione di arti decorative a Parigi nel 1925, dai negozi che vendono radio ai cinematografi, dalla Tate Gallery alla facciata cubista dello Studio de Champs-Elysées. Il Mostro si abbandona al vagabondaggio come un flâneur e diventa compagno del Baudelaire dello Spleen de Paris e dei Tableaux Parisienne. Poeta della massa e della folla, per riprendere le parole di Walter Benjamin , Baudelaire è atxlvii tratto dagli «êtres singuliers, décrépites et charmants», dal grido stridente del vetraio che sale fino alle mansarde delle case, nel giro di una definizione, dal «sublime d’en bas» .xlviii Parigi è un essere pulsante nelle cui vene scorrono umori, spettri e misteri , un «fourxlix - 12 millant tableau» che blandisce e respinge contemporaneamente. Non molto diversamenl te, in una lettera del 1930 da una Berlino «crudelmente metropoli» (VE, p. 172), il Mostro scrive di essere affetto dal pathos della grande città, il «Grosstadt Pathos» (VE, p. 172): attratto da ogni singolo aspetto della città tedesca, come le «112 corse di aereoplani al giorno» (VE, p. 172) o «il Landwehr-Kanal nel quale ogni settimana si trova una cadavere» (VE, p. 172). Nella stessa lettera da Berlino, riporta che la ferrovia sopraelevata, sotto la quale scorrono fiumi di luce, gli ricorda una New York molto simile al profilo della Metropolis di Fritz Lang (1926). Il Mostro non andò mai negli Stati Uniti, e la sua è la New York proiettata nelle sale cinematografiche: rietrando nella ferrovia che è in parte elevata come a New York [il Mostro] vede sotto di sé chilometri di strade vuote, inondate di pioggia, come la fila interminabile delle lampade e ogni tanto una stazione di smistamento col groviglio delle rotaie e i lumi verdi, rossi e bianchi(VE, p. 172). «Come to the city» è gridato negli intertitoli di Sunrise di Friedrich Murnau (1927), dove la seduzione della città sull’uomo di campagna si mescola all’erotismo della donna. Si conclude con una considerazione sul viaggio. Sulla scrivania le cartine geografiche con gli itinerari del giovane Lampedusa. Tante rette che uniscono i punti delle città ammirate, visitate e vissute dal Mostro. La geografia delle lettere si congiunge alla storia europea prima della seconda Guerra Mondiale e ai cambiamenti inarrestabili che stavano sconvolgendo la società e la vita degli uomini. Nella sala cinematografica il Mostro si abbandona al piacere di vedere e di ascoltare la modernità che quasi ogni giorno gli si propone sfacciatamente. La città diventa la sala cinematografica: iniziano i nuovi viaggi nel moderno .li Daniela Shalom Vagata Università di Bologna 13 GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, Viaggio in Europa, da qui in avanti indicato con la sigla VE.i Quest’ultima lettera inizialmente ritenuta del 1927, e ora datata 1930 (cfr. VE, p. 167), è riportata framii mentata e interpolata dai commenti della curatrice anche nelle prime pagine delle Lettere a Licy, cfr. CATERINA CARDONA, Lettere a Licy, pp. 30-33. Parte dell’epistolario di Lampedusa alla fidanzata e futura moglie Alessandra Wolff Stomersee è contenuiii to in CATERINA CARDONA, Lettere a Licy, e in Licy e il Gattopardo. L’intero carteggio tra i due, che consta di più di quattrocento lettere, è stato messo a disposizione della psicologa Silvana Miceli e dell’Aspi (Archivio storico della psicologia italiana) da Gioacchino Tomasi Lanza. Un «approccio schermato» alle emozioni più intense, CATERINA CARDONA, Lettere a Licy, pp. 24-25, 55-iv 56. Che l’ostacolo all’amore per la Wolff non fossero soltanto gli impedimenti familiari a un futuro matrimonio, ma anche le resistenze psicologiche dello scrittore all’abbandono amoroso, emerge dalla lettera terza dell’epistolario a Licy, una sorta di diario della genesi d’amore, dove compaiono espressioni quali «barriera interiore» (ivi, pp. 28-33) e il termine, di ascendenza psiconalitica «resistenze» (ivi, p. 65). Vale la pena soffermasi ancora sulla lettera terza, nella quale lo scrittore adotta la bellissima similitudine del “tempo del pettine”: l’amore «ammassato» di Lampedusa è come l’acconciatura di Alessandra Wolff sciolta dal gesto di liberarsi dal pettine (cfr. ivi, pp. 114-117). Con il nomignolo Muri a sua volta Lampedusa chiamava Alessandra Wolff: «vado alla Posta a ricevere ov a non ricevere notizie da Muri» (ivi, p. 46), e anche «E Muri sarà sempre intorno a me. Muri cara, la buona, la bella, la adorata. Muri che è l’amore stesso» (Licy e il Gattopardo, p. 37), dove Muri è la destinataria della lettera. Cfr. GIOACCHINO LANZA TOMASI, Palermo anni ’50, p. 535.vi Ma dove il Mostro sente il fascino della metropoli è soprattutto a Berlino: «Berlino riesercita sul Mostrovii cosmopolita il suo fascino perverso» (VE, p. 164) e soprattutto la lettera XXIX (cfr. VE, pp. 169-174). Per riprendere le parole di Salvatore Nigro, il Mostro «entra ed esce dai costumi e dalle maschere che laviii biblioteca gli fornisce», cfr. SALVATORE SILVANO NIGRO, Il Principe fulvo, p. 26. Lo humor grottesco e canzonatorio e l’impianto narrativo, scandito da brevi episodi e quadretti che unifica le lettere di Viaggio in Europa, rinviano all’ipotesto dei Pickwick Papers di Charles Dickens; cfr. ivi, pp. 25-29, 96-97 e FRANCESCA ORESTANO, Alla ricerca di Virginia Woolf, p. 167. Un documento prezioso sulle letture e le preferenze letterarie di Lampedusa è riportato nel ritratto delloix scrittore eseguito da Francesco Orlando, cfr. FRANCESCO ORLANDO, Ricordo di Lampedusa. Molto del lavoro filologico di svelamento delle fonti e di decifrazione dei riferimenti letterari è statox compiuto dal curatore dell’epistolario Salvatore Nigro, ed è riportato nell’introduzione e nelle glosse del testo, e nel primo capitolo del Principe fulvo, dal titolo Il romanzo di un turista, cfr. SALVATORE SILVANO NIGRO, Il principe fulvo, pp. 9-31. Interni al testo vi sono anche riferimenti a statue e pitture (quanto al Gattopardo, cfr. Galleria, ivi, pp. 78-79), non ultimo ai paesaggisti inglesi: «si vede che la natura ci si è messa di buona voglia ed è riuscita ad imitare alla perfezione i quadri dei grandi paesisti inglesi e scozzesi» (VE, pp. 63-64) e «il cielo fa grandi sforzi per rassomigliare a un Turner» (VE, p. 129). L’accostamento tra la natura e la sua proiezione dipinta, non fa solo eco al più comune topos della natura che imita l’artificio, e alla diffusione della fotografia, ideale forma di riproduzione della natura che isola l’attimo nel fluire del tempo, ma potrebbe alludere, almeno nella seconda citazione, alla trascrizione pittorica delle nuvole del dipinto di Joseph Mallord William Turner Il Campo Santo a Venezia (1842) da parte di John Ruskin nello Studio di nuvole (1859-1860). A Ruskin, d’altronde, Lampedusa aveva dedicato una delle sue lezioni di letteratura inglese, cfr. GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, Letteratura inglese, pp. 1122-1125. 14 I meccanismi della metafora e del paragone, della litote, dell’antifrasi e dell’allusione letteraria, nonché ilxi ricorso a un lessico e a una sintassi alta (ne sono esempi il sintagma «il mio corpo pargoleggiò» VE p. 108, o l’impiego dell’avverbio davanti al verbo a inizio di periodo «Benignamente sorrise» VE, p. 72), sono coinvolti nella strategia dell’esagerazione al servizio dell’auto-parodia dello scrittore. La lettera di Casimiro Piccolo è detta «ricca di sale attico» (VE, p. 71).xii Il mostro «calza i sandali di Ulisse» secondo Salvatore Nigro, cfr. VE, p. 24.xiii Ironica deformazione del «Tutto ei provò» del Cinque Maggio (v. 43) di Alessandro Manzoni.xiv E per terminare l’elenco, il Mostro ha «subito tutte le sorti» (VE, p. 38), «tutto ha provato in questi giornixv il Mostro errabondo» (VE, p. 57), ha affrontato «le peripezie di una esplorazione di terre incognite e oscure» (VE, p. 69), e ha aggiunto «nuove gemme ai ricchissimi forzieri delle sue esperienze» (VE, p. 111). A mo’ di giunta, occorre notare che l’immagine di un Mostro «viaggiatore pensoso» (VE, p. 142) e «solo, ramingo» (VE, p. 69) emula il vagabondare «Solo et pensoso» di Francesco Petrarca (Canzoniere XXXV, v. 1). La vecchiaia, i lunghi e bianchi baffi e le folte sopracciglia rappresentano i caratteri tradizionali dellaxvi rappresentazione pittorica di Caronte, i quali sono riconosciuti dal Mostro in Lord Clay, cfr. VE, p. 72. Lord Clay, tuttavia, diversamente da Caronte, è un «saggio Mentore» (VE, p. 74). E a proposito di allusioni dantesche, come indicato dal curatore, a causa del carattere infernale Lampadusa riconosce nella Conca d’Oro e nella città di Palermo Malebolge e la Città di Dite, mentre il Circolo Bellini, un circolo di nobili palermitani, è parodisticamente descritto come «un’accolta di magnanimi spiriti» (cfr. VE, pp. 47, 51 n. 1, 108 e n. 7). Un richiamo alla Commedia dantesca è contenuto anche nella rappresentazione del poliziotto londinese paragonato, nella fermezza dei gesti, a Farinata degli Uberti: «Il Mostro si aggira per queste vie misurate e ammira i poliziotti dirigenti il traffico dall’alto di superflue impalcature (o chi canterà degnamente la classica semplicità di Lui, del più che umano “policeman” di Londra che se gli domandi la strada non piega sua costa né batte ciglio» (VE, p. 146). La posa, la fermezza statuaria, e il gesto della mano paragonato a quello del Padreterno nel giorno del Giudizio universale, assimilano a un’unica immagine “michelangiolesca” il ritratto dei poliziotti visti dallo scrittore in Inghilterra e in Germania. Se ne leggano le altre descrizioni: «e il “policeman”, quel tale “policeman” che al giorno del Giudizio sarà certamente scelto per far passare, col gesto della mano a destra gli eletti col Mostro in testa, a sinistra i Reprobi capeggiati dal Tasio Spettro» (VE, p. 54); «ossequente agli ordini paterni del “policeman» (VE, p. 71); «gli “schupo” fermi come statue sotto il diluvio» (VE, p. 173). Cfr. FRANCESCO ORLANDO, L’intimità e la storia, p. 46, e anche EZIO GOLINO, Il Gattopardo? Gulliverxvii in Sicilia, pp. 400-402. Ezio Golino trova una chiave di lettura del Gattopardo nella dialettica grande / piccolo, dialettica che considera riflesso della sproporzione fisica e morale tra il principe Don Fabrizio e tutto ciò che lo circonda. Alcuni cenni sulla strategia retorica messa in atto nel Gattopardo, in EDUARDO SACCONE, Quel che resta del viaggio. I ritorni del principe, in particolare pp. 53-60. GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, Il Gattopardo, qui riportato secondo l’edizione dei Meridiani Monxviii dadori, e indicato con la sigla G. Si aggiunga che le rose di York sono «orgogliosissime» (VE, p. 59) quanto le mentucce di Palermo sonoxix «cautelose» (G, p. 93). Sui richiami letterari contenuti nel personaggio di Belinda, cfr. VE, p. 132, note n. 6 e 9, e anche SALVAxx TORE SILVANO NIGRO, Il principe fulvo, pp. 26-27. Salvatore Nigro coglie la somiglianza tra il Circolo Bellini e il Circolo dei nobili nei Gattini Ciechi, cfr.xxi VE, p. 44, e SALVATORE SILVANO NIGRO, Il principe fulvo, p. 25. GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, La sirena.xxii NUNZIO ZAGO, I Gattopardi e le Iene, p. 78.xxiii 15 GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, Letteratura francese, p. 1464.xxiv A titolo esemplificativo, cfr. CATERINA CARDONA, Lettere a Licy, pp. 63-67.xxv Tipico dello stile del Gattopardo è l’impiego di un’aggettivazione dal valore ossimorico e temporalexxvi che relativizza l’oggetto. A quanto riportato da Leonardo Sciascia, il canonico Mongitore, qualificatore del Sant’Uffizio, annovexxvii rava le memmelle di Sant’Agata tra i memorabilia siciliani, e raccontandone la storia il canonico «sconfina nelle pagine della Mythologie du sein se non addirittura nelle immagini di “Playboy”» (LEONARDO SCIASCIA, La corda pazza, p. 1040). Non diversamente, nell’elogio tessuto sulla città di York tra la magnificenza delle vetrate gotiche e laxxviii leggiadria delle dattilografe spuntano «i prosciutti insigni» (Cfr. VE, pp. 61-63), mentre le prelibatezze pietanze della cucina russa sono dette avere lo stesso valore della lettura di Dostoewskj: «certi manicaretti russi a base di anatre, sedano e pasta sfoglia che per il pancino del mostro furono rivelazioni importanti quanto per il suo spirito Dostoiewski» (VE, p. 164). Il motivo della memoria e dell’estinzione della classe nobiliare è affrontato nel capitolo intitolato Ilxxix mare, la morte, l’immortalità in SALVATORE SILVANO NIGRO, Il principe fulvo, pp. 32-54). Si legga la descrizione della camera di Concetta, cfr. G, pp. 243-245.xxx GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, La sirena, p. 406. Per un’analisi del racconto di Lampedusa, cfr.xxxi BASILIO REALE, Sirene siciliane. Che l’accostamento dei colori giallo e nero si associ al lutto, al vecchio e all’inutilità emerge anchexxxii dalle prime pagine del romanzo: il giardino luttuoso ospita la statua di flora «chiazzata di lichene giallonero» (G, p. 23), mentre la vecchia e ormai inservibile scrivania di Don Fabrizio è una «mole di legno giallo e nero» (G, p. 42). Per riprendere parole e concetti tratti da uno studio di Luperini, lo scrittore traspone in termini esistenxxxiii ziali, riflettendola sul personaggio del principe, la crisi storica della nobiltà. Tuttavia il desiderio di permanenza e di congelamento del tempo da parte di don Fabrizio non può che condurre all’estinzione, cfr. ROMANO LUPERINI, Il «gran signore» e il dominio della temporalità, pp. 138-140. Un mondo «sulla soglia della propria scomparsa» nelle parole di Lucio Piccolo (in realtà scritte daxxxiv Lampedusa) che accompagnarono il biglietto di presentazione delle poesie di Piccolo inviate a Eugenio Montale, cfr. LUCIO PICCOLO, Gioco a nascondere. Canti barocchi e altre liriche, p. 106. ANDREA VITELLO, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pp. 40-42. Di diverso parere è Luigi Tassoni che,xxxv abbracciando la tesi di Gilmour, ritiene che lo stemma della famiglia Salina derivi dalla denominazione in dialetto locale «Gattopardu» (cfr. LUIGI TASSONI, La memoria familiare, pp. 63-63, e DAVID GILMOUR, L’ultimo Gattopardo, p. 153) A mio parere si tratta di una degradazione linguistica pari alla storpiatura dialettale dei nomi di «Marvuglia» e «Serenario» mutati in «Marruggia» e «Sorcionero» da parte di don Calogero Sedara (cfr. G, p. 129, e, sui due artisti Gaspare Serenario e Giuseppe Venanzio Marvuglia, cfr. SALVATORE SILVANO NIGRO, Il principe fulvo, p. 57). Cfr. VE, pp. 126-127. Si aggiunga, in questa rapida disamina sui motivi in comune tra l’epistolario e ilxxxvi romanzo, la consonanza tra l’imponenza del Duomo di York che «domina tutto [...], occupa l’orizzonte, e lo fa santo» (VE, p. 58), e la smisurata mole dei conventi di Palermo i quali, alterando il profilo dell’orizzonte della città, rendono lugubre e mortuario il cielo notturno di Palermo («ma erano essi, i conventi, a conferire alla città la cupezza sua e il suo carattere, il suo decoro e insieme il senso di morte…» (G, p. 33). In entrambi i testi i volumi delle chiese e dei conventi danno l’impronta all’immagine di una città. Sulla passione cinematografica di Lampedusa cfr. ANDREA VITELLO, Giuseppe Tomasi di Lampedusa,xxxvii p. 189. 16 GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, Lezioni su Stendhal, p. 22.xxxviii CATERINA CARDONA, Lettere a Licy, p. 86. Si aggiunga anche quanto riportato da Lampedusa sullaxxxix differenza tra la scrittura di Stendhal e quella di Balzac: «Stendhal non dispone della minuzia necessaria a descrivere edifici e mobili con la meticolosità da regista cinematografico dalla quale a volte Balzac ha saputo estrarre grandiosi effetti poetici» (GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, Lezioni su Stendhal, p. 54). Cfr. GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, Letteratura inglese, e IDEM, Letteratura francese.xl Ciò è realizzato su un piano narrativo attraverso l’impiego del discorso diretto e indiretto libero, e deixli monologhi interiori, i quali a volte costituiscono un vero e proprio motore della narrazione, e su un piano più strettamente linguistico e stilistico attraverso il ricorso ad aggettivi portatori di una prospettiva interno al personaggio, l’uso di vezzeggiativi, accrescitivi e diminutivi, la mimesi linguistica di alcuni personaggi e il ricorso alla toponomastica, l’utilizzo di flashback e di Leitmotif, la presenza di simbolismi e di correlati oggettivi che interiorizzano lo spazio. Contribuiscono all’effetto di straniamento l’ironia, il ricorso a una voce extradiegetica, spesso postaxlii all’interno di proposizioni parentetiche e portatrice di una temporalità diversa rispetto a quella della realtà romanzesca, gli appelli al lettore, la forzatura semantica di alcuni vocaboli e l’allontanamento dal lessico alto e marcatamente letterario predominante nel testo. Come i segni che indicano il trascorrere del tempo all’interno della realtà romanzesca, cfr. GIUSEPPExliii TOMASI DI LAMPEDUSA, Lezioni su Stendhal, pp. 46-47: «Occorre invece suggerire la stessa cosa [il trascorrere del tempo] mediante impercettibili colpi che colpiscono il pre-conscio: leggete con attenzione Anna Karenina: noterete con quanta sagacia Tolstoi indica che tale episodietto si è svolto durante l’arsura dell’estate («essa rientrò accaldata nel salotto e si tolse il cappello di paglia») […]. Nel fuoco della prima lettura […] questi minimi particolari non saranno neppure notati, presi come si sarà dalla dialettica sentimentale che va contemporaneamente svolgendosi. Ma un sedimento sarà rimasto nel pre-conscio. A libro chiuso non saprete ma sentirete che sono trascorsi parecchi mesi». Il corsivo nel testo. «Lontano appare l’aurora boreale: è Londra. La Mala Bestia spinge avanti i suoi tentacoli» (VE, p. 129).xliv Forse nell’affermazione di Lampedusa un’eco da alcuni versi di La ville del poeta belga Émile Verhaeren, cfr. EMILE VERHAEREN, La ville, p. 24. King Vidor, The crowd (1928).xlv FILIPPO TOMMASO MARINETTI, Manifeste du Futurisme.xlvi WALTER BENJAMIN, Baudelaire e Parigi, pp. 87-160.xlvii CHARLES BAUDELAIRE, Les petites vieilles, in Opere, p. 183.xlviii Cfr. IDEM, Les sept vieillards, in Opere, p. 178: «Fourmillante cité, cité pleine de rêves, / Où le spectrexlix en plein jour raccroche le passant! / Les mystères partout coulent comme des sèves / Dans les canaux étroits du colosse puissant». IDEM, Les petites vieilles, in Opere, p. 185.l GIULIANA BRUNO, Atlante delle emozioni, p. 41: «La sala cinematografica ospita la città, che è essa stessali una sala cinematografica, il teatro dei viaggi della modernità». 17 Elenco delle opere citate BAUDELAIRE CHARLES, Opere, a cura di Giovanni Raboni Giuseppe Montesano, introduzione di Giovanni Macchia, Milano, Mondadori. BENJAMIN WALTER, Baudelaire e Parigi, in IDEM, Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di Renato Solmi, con un saggio di Fabrizio Desideri, Torino, Einaudi, 1995, pp. 87-160. BRUNO GIULIANA, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, Milano, Mondadori, 2006. CARDONA CATERINA, Lettere a Licy. Un matrimonio epistolare. 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(Una nuova edizione rivista e accresciuta dei Racconti, contenente la ricostruzione integrale di Ricordi d’infanzia, in GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, I racconti, a cura di Nicoletta Polo, Milano, Fetrinelli, 2017). LAMPEDUSA DI TOMASI GIUSEPPE, Letteratura francese, in IDEM, Opere, introduzione e premesse di Gioacchino Lanza Tomasi, I racconti, Letteratura inglese, Letteratura francese a cura di Nicoletta Polo, Milano, Mondadori, 1995, pp. 1331-1846. LAMPEDUSA DI TOMASI GIUSEPPE, Letteratura inglese, in IDEM, Opere, introduzione e premesse di Gioacchino Lanza Tomasi, I racconti, Letteratura inglese, Letteratura francese a cura di Nicoletta Polo, Milano, Mondadori, 1995, pp. 525-1330. LAMPEDUSA DI TOMASI GIUSEPPE, Lezioni su Stendhal, introduzione di Philippe Renard, Palermo, Sellerio, 1977. 18 LAMPEDUSA DI TOMASI GIUSEPPE, Viaggio in Europa. Epistolario 1925-1930, a cura di Gioacchino Lanza Tomasi e Salvatore Silvano Nigro, Milano, Mondadori, 2006. (Viaggio in Europa è stato tradotto in inglese nel 2010, cfr. GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, Letters from London and Europe, Edited and with an Introduction by Gioacchino Lanza Tomasi, Translated by J.G. Nichols, Foreword by Francesco da Mosto, London, Alma Books, 2010). LANZA TOMASI GIOACCHINO, Palermo anni ’50, in GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA, Opere, introduzione e premesse di Gioacchino Lanza Tomasi, I racconti, Letteratura inglese, Letteratura francese a cura di Nicoletta Polo, Milano, Mondadori, 1995, pp. 527-549. Licy e il Gattopardo. Lettere d’amore di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a cura di Sabino Caronia, Roma, Edizioni Associate, 1995. LUPERINI ROMANO, Il «gran signore» e il dominio della temporalità. Saggio si Tomasi di Lampedusa, in IDEM, Controtempo. Critica e letteratura fra moderno e postmoderno: proposte, polemiche e bilanci di fine secoli, Napoli, Liguori, 1999, pp. 133-146. MARINETTI FILIPPO TOMMASO, Manifeste du Futurisme, Le Figaro, 20 Fevrier 1909. 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