Prima lezione di retorica aAQIv ľaltro ľeccesso, la sovrabbondanza non regolata dal discernimento, dalla misura, dall'equilibrio[71]. L'idea di una deroga lecita dalle norme accettate risale alla logica giuridica: non ě una colpa contrawenire a una legge per soddisfare un dôvere piú forte delľobbligo o del divieto stabiliti da questa. Ii conflitto tra doveri si presentava, nelľuso della lingua, come contrasto fra grammatica e retorica, fra parlare «corret-to» e parlare «bene» (= con efficacia), secondo la definizione quintilianea dominante nelle scuole. Ne conseguiva che le scelte stilistiche potessero essere grammaticalmente anomale. Gli eventuali conflitti si risolvevano sul metro dei fini pragmatici e del valore dei mezzi stilistici. c) Ľornatus. Diamo la parola a Lausberg [72]: Ľornatus deve la sua definizione alle preparazioni che servono ad ornare la tavola di un banchetto: il discorso stesso viene concepito come pietanza da consumare. A questa sféra di immagini appartiene anche la definizione délYornatus come condimento (condita oratio, conditus sermo). Ad altre sfére di immagini appartengono gli altri termini abi-tuali di «fiori» del discorso (verborum sententiarumque flores) e di «lud» del discorso (lumina orationis). Anche color viene usato per definire ľornatus[73]. Nelle sistemazioni tradizionali ľornatus era applicato a due principáli raggruppamenti. Ľuno, in verbis singulis «in parole singole», comprendeva i sinonimi e i tropi; ľaltro, in verbis compositis «in gruppi o connessioni di parole», comprendeva le figure «di parola» e «di pensiero». Per la sua complessitá e il numero esorbitante degli oggetti ehe compongono i due gruppi, ľornatus richiede una trattazione separata rispetto ai cenni riservati alle altre «virtü» delľespressione nelľecono-mia di questo libro. Pagina 47 Ľaspetto piú vistoso e problematico nella dilatazione abnorme degli spazi riservati alľelocutio ě conseguenza di quella rage de nommer - di quella fúria di dare un nome - a cui Roland Barthes attribuiva la minuziosa e dispersiva caratte-rizzazione dei fenoméni linguistici imbrigliati nelle griglie della «retorica delle figure». I limiti del presente lavoro impongono una scelta drastica tra gli argomenti sviluppati in secoli di studi; e ľaccettazione di criteri ehe rispondono essenzialmente a ragioni pratiche. Sono state tralasciate figure appartenenti al bagaglio culturale medio (apostrofe, eufe-mismo, esclamazione, giochi di parole, interrogativa retorica, neologi-smo, ossimoro, e molte altre) e sono stati privilegiati i lineamenti e il valore retorico di unitä piú o meno note: una minoranza rispetto al totale di quelle ehe si trovano deseritte (con vari gradi di attendibilitä, come ě owio; ma il giudizio vale anche per i nostri elenchi...) nei dizionari e nei prontuari piú diffusi, a stampa e in rete. 3.1. Figure retoriche Comprendo sotto questo titolo le due categorie tradizional-mente distinte con criteri variabili dalľuna alľaltra classifica-zione: (A) i tropi; (B) le figure, delle cui obsolete specificazioni («di parola» e «di pensiero») non terrô conto. (A) Tropo (in greco tropos, da cui il latino tropus) vale «dire-zione»: ě la svolta di un'espressione ehe viene deviata dal suo contenuto originario, con una rottura delle attese alle quali il primitivo contesto indirizza. «Tropo e traslato sono denomina-zioni diverse per lo stesso fatto retorico: la trasposizione (il trasferimento) di significato da una a un'altra espressione». Pagina 48 31 pagine rimanenti Nella tradizione retorica variano sia il numero sia l'identifi-cazione dei tropi. La Rhetorica ad Herennium ne annovera e ne descrive died; altrettanto fa Lamy[74]; Fontanier[75] distingue tre «tropi veri e propri» da altri «impropriamente detti»; Arbusow ne classifica sedici; Lausberg nove (metafora, metonimia, sineddoche, antonomasia, enfasi, iperbole, ironia, lito-te, perifrasi). Quintiliano ne aveva catalogati tredici (metafora, sineddoche, metonimia, antonomasia, onomato-pea, catacresi, metalepsi, epiteto, allegoria, ironia, perifrasi, iperbato, iperbole), dopo avere osservato saggiamente: sul conto [dei tropi] vi ě un inspiegabile conflitto sia dei grammatici fra loro sia con i filosofi relativo ai generi, alle specie, al numero, alia dassificazione. Noi, lasciando da parte i cavilli [...] tratteremo quelli piú necessari e accolti nell'uso, accontentandoci di osservare al loro proposito solo queste cose: che alcuni si adottano per intensificare il significato, altri per conferire eleganza, e che alcuni consistono in parole proprie, altri in traslati, e che il mutamento riguarda la forma non solo delle parole, ma anche del significato e dell'ordine[76]. Per chiudere con un'arguzia (prodotta, come ě cifra del suo autore, da spericolati intrecci di giochi di parole): Cera una volta un topo / di professione proto, / prese una topica per un tropo / ma ormai ci vedeva poco. (Toti Scialoia, Unavespa! Chespavento [1969-74], in Id., Versi del senso perso, Einaudi, Torino 2009, p. 41) Nelle pagine che seguono, tropi e figure sono elencati, per comoditá del lettore, in ordine alfabetico. I primi sono illu-strati, per la maggior parte, da esempi ďautore, senza l'ag-giunta di spiegazioni. Delle tradizionali «figure» si daranno definizioni semplificate, accompagnate per lo piú da brevi esempi [77]. Dividerô in due raggruppamenti i tropi elencati da Lausberg; il primo (che comprende la metafora, la metonimia e la sineddoche) risponde non a caso alle scelte classificatorie dei principáli fra gli studiosi moderni. Anche a questi, come agli antichi, non sono sfuggiti i légami interní che hanno potuto favorire, nelle varie teorie delia metafora, ipotesi di derivazione di questa da procedimenti o metonimici o sined-dochici. Sia per quella che ě stata considerata la «regina» delle figure retoriche sia per gli altri tropi (due esclusi) del cata-logo lausberghiano evito di dare definizioni riassuntive. Mi limito a proporre esempi. Per la metafora: Galileo Galilei che meriterebbe d'esser famoso come felice inven-tore di metafore fantasiose quanto lo ě come rigoroso ragionatore scientifico, tra le molte metafore di cui infiora le discussioni sul moto della Terra intorno al Sole nel Dialogo dei Massimi Sistemi, ne ha una in cui si parla d'una nave, ďuna penna e ďuna linea. Una nave parte da Venezia per Alessandretta: s'immagini sulla nave una penna che lasci il segno del suo percorso in una linea continua che si prolunghi attraverso il Mediterraneo Orientale. [...] Questa linea sarä un arco di cerchio perfettamente regolare, anche se[78] «dovepiu e dove meno flessuosa, secondo che il vassello fusse andato or piú or meno fluttuan-do» [...] «Quando dunque un pittore nel partirsi dal porto avesse cominciato a disegnar sopra una carta con quella penna, e continuato il disegno sino in Alessandretta, avrebbe potuto cavar dal moto di quella un'intera storia di molte figure perfettamente dintornate e tratteggiate per mille e mille versi [...], se ben tutto il vero, reale ed essenzial movimento segnato dalla punta di quella penna non sarebbe stato altro che una ben lunga ma semplicissima linea...» La vera linea, che corrisponde al moto della nave, non resta sulla carta perché il moto della nave ě comune alia carta e alia penna, men- Pagina 49 Pagina 50 29 pagine rimanenti Prima lezione di retorica aA Q tre i movimenti della mano del pittore lasciano il loro segno: quelli tracciati durante la navigazione alio stesso modo che se la nave fosse ferma. Questo esempio serve a Galileo a dimostrare che stando sulla Terra non ci accorgiamo del moto della Terra intorno al Sole perché tutto ciö che sta sulla Terra partecipa dello stesso suo moto. (Italo Calvino, La penna in prima persona, in Id., Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e societa, Einaudi, Torino 1980, pp. 298-299) Giusto in quel tempo - gli anni Sessanta stavano per terminare -un'altra casa editrice, di proporzioni imponenti, cominciö ad affiancare [...] il piccolo scafo incatramato e rattoppato della vecchia casa editrice fio-rentina. Cioě, affiancö me. (Anna Maria Ortese, Corpo celeste, Adelphi, Milano 1997, p. 82) Non siamo in crisi perché il bicchiere e mezzo vuoto, siamo in crisi perché il bicchiere ě rotto. I rimedi alia crisi non stanno quindi nel riempire il bicchiere ma nel sostituirlo. Per progettare questa sostituzione ě necessa-rio lo sforzo congiunto degli scienziati sociali, dagli economisti agli storici, dai sociologi ai giuristi. (Mario Deaglio, La crisi economica globale. Radiči, evoluzioni e possibili esiti, prolusione all'inaugurazione dell'anno accademico 2010-2011, Universita degli Studi di Torino, 31 gennaio 2011) Per la metonimia: Vedi Segnor cortese / Di che lievi cagion che crudel guerra. / E i cor ch'endura et serra / Marte superbo et fero / Apri tu padre, e 'nteneri-sci, et snoda. (Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta, edizione critica di Giuseppe Savoca, Olschki, Firenze 2008, CXXVIII, w. 10-14) Non si pareggi a lei qual piú s'aprezza, / [...] No la bella romana che col ferro/ apre il suo casto, et disdegnoso petto. (ivi, CCLX, w. 9-10) Che sarebbe awenuto, in ordine alia parola italiana, se I'ltalia si fosse potuta mettere [...] per una via non disforme da quella che la Germania ha percorso? (Graziadio Isaia Ascoli, Proemio all'«Archivio Glottologico Italiano» [1873]; ora in Id., Scritti sulla questione della lingua, a cura di Corrado Grassi, Einaudi, Torino 1975, p. 17) Per la sineddoche: «Or se' tu quel Virgilio e quella fonte / che spandi di parlar si largo fiume?» / rispuos'io lui con vergognosa fronte. (Inferno, I, 79-81) Come suole il genere umano, biasimando le cose presenti, lodare le passate, cosi la piú parte dei viaggiatori, mentre viaggiano, sono amanti del loro soggiorno nativo, e lo preferiscono con una specie d'ira a quelli dove si trovano. Tornati al luogo nativo, colla stessa ira lo pospongono a tutti gli altri luoghi dove sono stati. (Giacomo Leopardi, Pensieri, XXX, in Id., Poesie e prose, vol. II, Prose cit., p. 302) Per l'antonomasia e per l'enfasi si veda l'elenco delle figure, piú avanti in (B). Per l'iperbole: [...] vita e non morte aspetto, / né giudice sever né legge grave, // ma benigně accoglienze, ma complessi / licenzi'osi, ma parole sciolte / da ogni fren, ma risi, vezzi e giochi; // ma dolci baci, dolcemente impressi / ben mille e mille e mille e mille volte; / e, se potran contarsi, anche fien pochi. Pagina 51 Pagina 52 27 pagine rimanenti (Ludovico Ariosto, Avventuroso carcere soave, in Le cento piú belle poesie d'amore italiane. Da Dante a De André, a eura di Guido Davico Bonino, Interlinea, Novara 2010, p. 52) Vidi Tape e la per la / seppi dirle: «Oh, vera perla!» / Mi rispose: «Come fa / questa iperbole a saperla?» (Toti Scialoia, Una vespa! Che spavento cit., p. 75) Per l'ironia: Polemizzando con un letterato poeta che carduccianamente mal-tratta, il Carducci rimprovera il tapino d'avergli attribuito la celebra-zione di un matrimonio eteróclito quale «sposo l'ingegno al coraggio». «Non ho mai fatto il cozzone di matrimonii», protesta, «e tanto meno fra maschi». Ora, nel primo sonetto del Ca ira, prima quartina, ce sta scritto: «11 riposato suol piccardo attende / L'aratro che l'inviti a nuova prole», dove il suol piccardo, che ě un maschio, attende dall'aratro, che ě un altro maschio, d'essere elicitato alia proliferazione. Codesto appuntamento ě tanto meno laudabile se si ricordi 1'uso del verbo «arare» sulla lingua di certi aratori del Boccaccio [...]. Dei fidanzati in genere piagnucola Don Abbondio, con voce tremo-lante, ai due bravi: «...fanno i loro pasticci fra loro, e poi... e poi ven-gono da noi, come s'andrebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servi tori del comune». Una tal carica di ironia narrativa ě stata certamente accumulata dalle labbra e dal naso goccioloso di un cura-tone brianzolo, di un «dialettale». I due bravi del signorotto sono diventati «il comune». II dialetto ha in piú, e non in meno, sulla migra-gna perbenistica, [...] sulla pompa oratoria, sulla magnanimitá decla-matoria, sulla bugia storiografica, ha in piú la vivezza e la urgenza espressiva o la felicitá naturale, oltreché l'interesse pragmatico immediate, di chi lo parla e lo crea. (Carlo Emilio Gadda, La battaglia dei topi e delle rane, in «L'illustra-zione italiana», LXXXVI, 11, 1959; ora in Id., Il tempo e le opere, a cura di Dante Isella, Adelphi, Milano 1982, pp. 71-72; 78-79) Pagina 53 Per la litote: La litote semplice - negare il contrario di quel che si intende affer-mare - e gentile e civilissima figura. Molto redditizia al microfono e in ogni forma di discettazione ragionata o di esposto critico o storico, attenua la troppo facile sicurezza o l'asprezza eccessiva di chi afferma: crea un distacco ironico dal tema, o dal giudizio proferito: «Questa lirica non e malvagia». «La prosa del Barbetti non e delle piü consolanti». Ferale risulta invece all'ascolto la catena di litoti. Alia seconda negazione la mente per quanto salda e agguerrita del-l'ascoltatore si smarrisce nella giungla dei «non». Ogni «non» della tor-mentosa trenodia precipita dal cielo del nulla a smentire il precedente, per essere a sua volta smentito dal seguente. Una doppia litote e, le piü volte, un problema di secondo grado. Difficile risolvere mental-mente un problema di secondo grado, impossibile risolvere un problema di terzo grado. Sara bene vincere pertanto la seguente catena di tentazioni: «Non v'ha chi non creda che non riuscirebbe proposta inaccettabile a ogni persona che non fosse priva di discernimento, il non ammettere che [...] (Carlo Emilio Gadda, Un radiodramma per modo di dire e scritti sullo spettacolo, a cura di Claudio Vela, il Saggiatore, Milano 1982, pp. 101-112) Per la perifrasi (o circonlocuzione): II fatto e che ogni domenica di quel maggio e poi di quel giugno, alle due precise, quel giovinotto si imbarcava la Jole sulla sua pazza 521 e qualche volta erano perfino in quattro, due ragazze e due «giovi-notti»! [...] Alia contessa la cosa fu raccontata con infiniti riguardi [...], e a quelle doloranti circonlocuzioni la contessa interrompeva il ricamo di una meravigliosa tovaglia d'altare: e guardava con disdegno muto la bocca deH'informatrice, tutta rugiadosa dallo sciroppo delle perifrasi. Nella penombra della gran sala, il racconto pareva un cavallo in un pantano. Pagina 54 25 pagine rimanenti