L 'osteria delia ľctorica luna piena, al momento in cui ľoste, dopo aver messo final-mente a letto il suo avventore alticcio e loquace, indugia a guardarlo, ormai addormentato, «in quell'atto a un di pres-so ehe vien spinta Psiche quando sta a spiare furtivamente le forme del consorte sconosciuto». Lasciamo staré la cari-catura impagabile delľimmaginario neoclassico, con il car-tellino, accanto, di un furioso e irridente «pezzo ďasino». Interessa di piú, infatti, ľinserto del narratore, prima del gesto del personaggio, a chiarire ehe la sua origine va cerca-ta in «quella specie ďattrattiva, ehe alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza, al pari ehe un oggetto d'a-more, e ehe forse non é altro ehe il desiderio di conoscere ciô ehe opera fortemente sulľanimo nostro». Ľultima pro-posizíone non riguarda piú ľoste, il quale ha tutťaltro da pensare, ma colui ehe racconta e riflette. Non resta allora ehe attribuirgíi la stessa specie ďattrattiva ambivalente an-che quando ľoggetto diviene il barocco, la «scena del mon-do» cara alľanonimo. E se si continua ancora, come richie-de il testo, si deve parimenti dedurre ehe quanto piú osserva il «perpetuo ricamo di Attioni gloriose» del vecehio secen-tista, amico poi di Renzo, tanto piú il narratore dialoga con se stesso ed esplora, conosee la propria identita e il senso del suo rapporto con ľordine e il disordine del mondo. Non per nulla, a detta di Milan Kundera, uno serittore ehe ama Cervantes, Sterne e Diderot, il romanzo é un'indagine sul-ľenigma dell'io, una meditazione sull'esistenza. Capitolo sesto Le imprecazioni travestite 110 Al termine del capitolo IV dei Promessi Sposi, a conclu-sione delia storia retrospettiva di padre Cristoforo, di suono cosi opposto a quella di don Abbondio nella prima scéna del romanzo, il ritratto del personaggio interiorizza i referti fi-siognomici e analogici delľapparizione iniziale — «due oc-chi incavati [...] come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un eocehiere [...] con una buona tirata di morso» — nel-ľethos di un comportamento, di un abito Hnguistico. L'o-perazione diagnostica ha luogo in due tempi. Dapprima ě la volta del narratore con il suo ocehio critico di moralista moderno: «11 suo linguaggio era abitualmente umile e posa-to; ma, quando si trattasse di giudizio o di veritä combattu-ta, ľuomo s'ammava, a un tratto, delľimpeto antico, ehe, secondato e modificato da un'enfasi solenne, venutagli dal-ľuso del predicare, dava a quel linguaggio un carattere sin-golare. Tutto il suo contegno, come ľaspetto, annunziava una lunga guerra, tra un'indole focosa, risentita, e una vo-lontä opposta, abitualmente vittoriosa, sempre all'erta, e diretta da motivi e da ispirazioni superiori». Poi interviene, quasi a sorpresa, un testimone interno al racconto ehe ri-prende ľanalisi linguistica ma la trasforma in una compara; zione figurativa. Il fenomeno tecnico, la maschera acusticía^ • per dirla con Canetti, diviene ľimmagine profonda del personaggio, ľemblema vivente di fra Cristoforo: «Un suo] confratello, ehe lo conosceva bene, ľaveva una volta para-gonato a quelle parole troppo espressive nella loro forma naturale, ehe aleuni, anche bene educati, pronunziano, quando la passione trabocca, smozzicate, con qualche lette-ra~řhutata; parole ehe, in quel travisamento, fanno pero ri-cordare delia loro energia prirnitiva>>.J II processo di sostituzione e attenuazione assunto come nueleo forte delia similítudine ě quello ehe gli studiosi del 111 Le imprecazioni travestite Iinguaggio definiscono.eufemismo e che la voce del narran-te, per parte sua, chiama «ipocrita figura» a livello semanti-co, allorche nel capitolo quindicesimo fa entrare in gioco per l'arresto di Renzo i «manichini», cioe le manette, tra-sfigurate per l'appunto dal milanese gergale in «manezzin». Ma nel caso del religioso non si tratta d'ipocrisia quanto di autocensura: l'alterazione fonetica e imposta da un atto vo-lontario e ostinato di «bienseance», da una «riflessione d'u-miltä». E di solito, come spiega il linguista, Pöji£misjgo.per cui mutando una lettera si attenua ciö che lap^rmäna di _ sconveniente o di pericoloso senza per questo diminuirne il valore semantko, si esercita nei confront! del lessico pitto-rescö ma abnorme delle bestemmie o delle imprecazioniT Noil sarä la stessa cosa anche per le «parole troppo espressi-ve» assimilate al «conteg.no» di padre Cristoforo? Per convertire subito il sospetto in certezza basta retro-cedere al laboratorio del Fermo e Lucia, dove l'evidenza del fatto s'impone da sc, tra racconto e commento storico. Bi-sogna solo avere la pazienza di seguire la trama copiosa e scoperta della sua pagina, ancora nel registro analitico di una esauriente informazione colloquiale: «II suo Iinguaggio come le sue azioni mostravano a chi l'avesse attentamente considerato i segni di questo spirito indebolito ad ogni momenta da uno sforzo continuo, ma non mai cancellato del tutto. Era a quei tempi comunissima a tutte le classi di per-sone d'infiorare il discorso di quelle parole delle quali quando si vogliono stampare non si pone che l'iniziale con alcuni puntini, di quelle parole che esprimono o cid che vi ha di piü sozzo o ciö che vi ha di piü riverito, di quelle parole le quali quando scappano ad un signorino nella pueri-zia, farrno fare il viso dell'arme alia mamma, e la fanno sclamare: — ohibö! dove hai tu inteso questo: nella via o dai servitori certamente — (e Pavrä inteso dal signor padre) di quelle parole che non sono sconosciute nelle sale fastose, e che formano la terza parte dei colloqui del popolo, al quale dicono alcuni sapienti che converrebbe abbandonarle; ma questi sapienti non dicono bene, perche comunque gli uo-mini sieno classificati, non vi ha alcuna classe d'uomini alla quale convenga ciö che e turpe. Quest'uso era adunque co- Le imprecazioni travestite munissimo in allora, e chi ne vuol la prova dia una occhiata alle leggi che bestemmiavano pene atroci per impedir la be-stemmia, guardi alia eura che i vescovi prendevano per to-gliere questa vergogna dal clero stesso. II signor Ludovico aveva fatto un tale uso di queste frasi che la lingua del Padre Cristoforo durava fatica a rimandarle tutte le volte che si presentavano, cioě ad ogni primo impeto di passione di qualunque genere; ma padre Cristoforo faceva stare la sua lingua. Solamente in certi casi rari, nei quali la passione era tímto viva che quasi qiiás: Ciistoforc tornava per qq memento Ludovico, veniva ad un componimento. Si proferi-vano le parole, ma ^ffrifmaTp-'aH' alcunc consonant! radi-cali n'erano sostituite altre che tog.lievano il senso ordinatio alla parola, e la lasciavano soltanto travedere una lont ana intenzione, quasi un bisogno di proferirla. Cosi mutato, ^ trasformato, temperato era Panimo, in modo pero che rite-neva alquanto dell'antica natura». —I A questo punto non sussistono piu dubbi che le «parole troppo espressive» equivalgono a «bestemmie», sottoposte alio stesso trattamento eufemistico che, nella scrittura mi-mica di un Porta, accredita la serie imprecatoria del parlato quotidiano «per brio, corpo de bio bon, corpo de mi, sanguo de mi, cisti». Ma il Iettore che non ricorra al riscontro del Fermo e Lucia deve indovinarlo per proprio conto, accet-tando la sfida dell'dlissi ironica e saogliendo, per cosi dire, la trama obliqua, l'anoolatura bassa suggerirebbe ora I'Al-mansi, dell'eufemismo narrativo e della sua lucida malizia di secondo grado. Le notizie intorno all'inter dizione messa in pratica dai cappuccino vengono tutte rimosse e alloro posto subentra di taglio il punto di vista epigrammatico di uno che gli ě vícino e pub quindi parlare per impressione diretta, con un ruolo fiduciario del tutto simile a quello dell'anonimo alTorché, per esempio, occorre un giudizio di esperto degno di fede sul notaio in angustia che tenta di condurre Renzo in prigione: «era un furbo matricolato, dice il nostro storico, il quale pare che fosse nel numero de' suoi amici». Quanto a padre Cristoforo, la prospettiva deU'amicizia in cui viene a situarsi il «confrateIlo», anche lui, dunque, competente di morale e di retorica, produce sul piano multiplo del raccon- 112 113 Le imprecazioiii travestäe Le imprecazioni tmvestite to una sorta di distanza confidenziale, un decentramento di tipo affettivq, che rende ancor piu sottile, quasi paradossá7 le, ľidentificazione di un personaggio con i fantasmi defor-mati delle sue parole, dei suoi furori «bizzarri». E se tutto questo ě il segno inventivo dell'ironia ehe si fa humour combinatorio, spazio fluttuante di sdoppiamenti e allusioni, magari nei eunicoli di uno stesso enunciate, viene alia fine da congetturare, rivendicando anche al lettore il diritto simmetrico delia malizia, ehe le imprecazioni travestite del religioso nascondono ancora qualcosa. La splendida trovata di associare i moventi canonici delľeufemismo alia storia drammatica di un destino e di un temperamentu annuncia anche una ^stratégia romanzesca mentre rimanda segreta-mente a un paFá!3ig^a~d'eccezTone, proprio nella mappa settecentesca di una nuova, geniale prosa umoristica. Con-viene subito indicarlo e discuterlo, se non altro come una strada poco nota delľ«esprit» manzoníano nella regione, secondo la formula romantica di Jean Paul, del sublime ca-poyolto. \s\S^\r\ Tra i romanzi presentí nella biblioteca del Manzoni figura, sappiamo, il Tristram Shandy dello Sterne nelľedizione francese del 1803 «chez Jean-Francois Bastien»; e nel «si-stema shandiano» per l'appunto, dove il linguaggio ě di continuo in scena con il suo repertorio inesauribile e gioioso di metafore, buffonerie, allusioni, doppi sensi, bisticci, grotteschi, funambolismi, brachilogie, stravaganze, idee fisse, di contro all'ipocrisia della «gravitä» e dei suoi «par-rueconi», la conversazione ritorna piü volte sul tema delle bestemmie o degli improperi, soprattutto quando compare Walter Shandy, che ha sempre, infatti, «una certa asprezza di umore» e «una certa petulanza bizzarra e mordace», sia pure sul fondo di una «natura schietta e generosa». II fra-tello Tobia rappresenta invece il candore, che solo in un momento di commozione puö giungere ad imprecare, subito assolto dalla grazia affettuosa e barocca del suo cronista: «Non morrä, per Dio! — gridö lo zio Tobia. L'angiolo Ac-cusatore, che volö alla Corte del Cielo per denunciar la be-stemmia, arrossi nel consegnarla, e l'Angelo Cancelliere, nel registrarla, fece cádere una lagrima sulla parola e la cancellö 114 per sempre». Se poi si continua a sfogliare il Tristram Shandy, di episodio in episodio, ecco emergere intanto tra i capitoli 5 e 12 del volume III le «formule di Ernulfo» e le considerazioni del padre del protagonista sull'«arte del ma-ledire», e piu ancora la storia del «moccolo» di Futatorio (IV,27), unita al dialogo tra Didio, Triptolemo, Kisarcio, Yorick e zio Tobia del capitolo 29, a proposito delle parole da non alterare nel sacramento del battesimo. Qui la cita-zione diventa d'obbligo, almeno per alcuni segmenti: «Per render nullo il battesimo, sarebbe stato necessario che il prete avesse pronunciato erroneamente la prima sillaba di ciascun nome [...]. «Gastrifere, per esempio», prosegui Kisarcio, «battezza il figlio di Caio "in Gomine gatris etc. etc" invece che "in Nomine patris etc. etc.". E un battesimo? No, rispondono i piu valenti canonisti, in quanto cosi si la-cera la radice delle parole, se ne altera il valore e significato [...]. Invece, nel caso citato», continuó Kisarcio, «in cuipa-triae sta per patris, filia per}ilii e cosi via, se le desinenze so-no errate, le radiči restano integre, perció le distorsioni della declinazione in qua o in la non invalidano affatto il battesimo, in quanto il senso delle parole permane». Ma l'episodio di maggiore effetto, tanto da esser men-zionato anche dal nostra Leopardi in una nota dello^ib^h done del 1° agosto 1820,_e sicuramente quello della badessa delle Andouillettes e della sua novizia, che viene raccontato nei capitoli 21-25 del volume VII per trascrivere le imprecazioni necessarie con i cavalli francesi senza pronunciarle per esteso, facendo uso dello stesso «stratagemma» ideato dalle due monache nei confronti delle loro mule recalci-tranti. A dirla in breve, mentre sono in viaggio per «i bagni caldi di Bourbon» sul calesse affidato al giardiniere del con-vento, la badessa e la sua giovane compagna, Margherita, si trovano d'improvviso senza aiuto, giacehé l'uomo ě caduto ubriaco e le mule non ne vogliono piu sapere di andare avanti. La novizia sa che vi sono certe parole «peccaminose» e «mortali» da far «salire alia faccia tutto il sangue che si ha in corpo», capaci di smuovere «qualsiasi cavallo, asino o mulo». Ma come riferirle «con labbra immacolate»? Tocca alla madre badessa, «diventando casista per forza» e argo- 115 Lc imprecazioni tyavestitc mentando che un peccato veniale, se «dimezzato», viene «diluito» al punto «da non essere piu nemmeno peccato», di superare la difficolta. II segreto consiste nello scomporre le «orride parole» in monosillabi a voci alterne: «... io non ve-do alcun peccato nel dire bou, bou, bou, bou, bou, cento volte di seguito; ne vi e alcuna turpitudine nel pronunciare la sillaba gre, gre, gre, gre fosse pur da mattutino a vespro. Percio, mia cara figliuola, io diro bou, e tu dirai gre; e poi, invertendo 1'ordine, siccome non c'e piu peccato in bou che in fou, tu dirai fou ed io entrero con ire, come facciamo a compieta con fa, sol, la, re, mi, do». Ma ci vuole altro per le mule, tutto resta come prima, e il duetto finisce sulla nota lunga di un'amarezza comica e accigliata: «'Esse non ci ca-piscono', disse Margherita. 'Ma ci capisce il diavolo', con-cluse la badessa delle Andouillettes». Dopo aver preso contatto con pagine di cosi robusta ed erratica «drolerie», in cui la retorica agilissima e enciclope-dica di un Rabelais irlandese che ha letto Locke si prende beffa del decoro retorico e delle sue convenzioni e sowerte gli artifici, le trappole del linguaggio con un riso capriccioso ma filosofico «sub specie ludi», diventa difficile, quando se ne isolano certi motivi o strutture, sottrarsi alia sensazione pungente che le «paroIe troppo espressive» dei Promessi Sposi abbiano qualche rapporto con il «sistema shandiano» e con la vena giocosa della sua matrice predicatoria. L'im-pressione si precisa e acquista poi f orza induttiva allorche si passa al Tristram Shandy francese, che non solo ha una orga-nizzazione in quattro tomi, a capitoli di partitura diversa rispetto all'originale, ma presenta anche, mentre sopprime o contrae passi e battute, modifiche, adattamenti, interpola-zioni di gusto, quasi che il tradurre debba essere un inter-pretare, piu una variante che una copia. Nel testo parigino, infatti, si possono leggere frasi come «c'etoit le mot le plus energique, le plus expressif...» (11,91), al principio Hell'av-ventuta tragicomica di Futatorio e del suo «zounds!» («Fourche!...c'est ainsi que Gastripheres qui entendoit un peu le francois, le traduisit tout de suite dans cette langue en le parodiant») oppure, nel «dialogue» sul battesimo, «chaque mot reste intact. Les branches sont mal taillees a la 116 Le imprecazhni tntvtstite verite: mais la racine n'est point alteree; elle reste intacte. Je l'avoue. Mais, au moins, faut-il que 1'intention du pretre soit claire». Quando infine si approda alia «Historie de l'abbesse des Andouillettes», che occupa i capitoli 7-11 del torao IV, si puo ricavare dopo la premessa interrogativa del narratore («Comment glisser sur la prononciation de deux mots si etranges? Comment les amener de maniere a ce que le lecteur n'en perde rien, et de maniere, en meme-temps, a ce que roreille la plus delicate n'en soit pas blessee?») l'in-sieme sintagmatico «la vertu toute-puissante de deux mots energiques, qu'on ne cesse de lui repeter avec une complaisance infatigable», «deux certains mots, qui sont d'une energie tout puissante», «ils sont criminels au plus haut degree, «il y auroit de quoi f aire monter au visage tout le sang que Ton auroit dans le corps», «il est impossible de les pro-noncer», «les horribles mots», «il n'est personne un peu in-struite qui ne sache ce que repondoit Marguerite*. Non resta ora che ricordare il doppio testo manzoniano e le sue cellule verbali, dal «senso ordinario» e dalla «lonta-na intenzione» del Fermo alle «parole espressive», al «ben educati, pronunziano», alia «lettera mutata», alia «energia primitiva» dei Promessi Sposi. La costellazione delle corri-spondenze che s'intensificano da una stesura all'altra, pro-prio a partire dal termine mediatore di «mot expressij>>. e cosi omogenea da dare un corpo anche fitolo^glco a^ipofesi narrativa che nel «travisamento» dell'eloquenza di padre Cristoforo si depositi, trasformato ma riconoscibile, un pa-linsesto del prodigioso umorismo sterniano. D'altro canto, se si prosegue nella lettura, le tracce di questo dialogo in-tertestuale affiorano anche nell'mcontro con don Rodrigo al «palazzotto», dove la sequenza «questa parola fece venir le fiamme al viso del frate» suona omologa ai vari «le rouge montoit au visage de mon oncle Tobie a chaque mot que disoit Trim» o «un seul mot a ce sujet lui faisoit monter su-bitement le sang au visage», mentre la gestualita fiera ma teatrale di «dando indietro due passi, postandosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull'anca, alzando la sinistra con l'indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi infiammati» non si discosta molto dalla lo- 117 Uimprecoziomtravestite Le imprecaťioiii travesiite gica scenografica, che poi ě una costante del Tristram Shandy, di «c'est un soin qu'il avoií confié ä sa main gauche"" tanclis que son bras droit tomboit négligemment le long de son cóté, selon les lois de la nature et de la gravité; et il laut remarquer que cetre main étoit ouverte, tournée vers ses auditeurs et préte, au besoin, ä aider le sentiment* e «maintenant, — dit le caporal, en posant sa main gauche suť sa hanche, et animant son geste de la main droite, avec un air qui garantissoit presque le succes». E in fondo anche il vecchio bestemmiatore convertito, non appena «l'uomo vecchio» torna «d'accordo col nuovo», ha da scagliare, mi-naccioso e solenne, la sua maledizione: «Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta sopra sospesa. State a vedere che la giustizia di Dio avrä riguardo a quattro pietre, e suggezione di quattro sgherri». La voce dell'«indegnazione» non ha ombre, ma dietro il pathos del personaggio e l'«en-fasi» del suo «predicare», in contrappunto con la «rabbia e la maraviglia» del «gentiiuomo», s'intravede vigile e mobi-lissimo, nel succedersi dei punti di vista, il riso prospettico del narratore. Nella sua bibUoteca di cattolico lombardo, in apparenza cosi schiva e remota, l'ironia di Sterne, la sua re-torica sulla retorica, non ě davvero passata invano. Certo, se proprio nella fondazione dell'universo mentale di padre Cristoforo, nella sua poetica quotidiana delle «pa-role troppo espressive», fermenta Tumore del Tristram Shandy come senso sorridente ma profondo del mistero umano e dei suoi labirinti («Qu'est-ce, grands dieux! que la vie ďun hommeP.Une agitation perpetuelle! un passage continuel d'un chagrin ä un autre!...»), non si pub piü in-terpretare I'antagonista di don Abbondio alia stregua di un eroe positivo e agiografico della Controriforma perché il suo idealismo, il suo «sistema» di «proteggere oppressi», ě at-traversato sin daU'inizio dal grot.tescp de! reale e il narratore ne prende atto con la consapevolezza delle contraddizioni immanenti alle forze collettive della storia. Ii conflitto e i'ambiguitä del sublime capovolto restano l'altra faccia della certezza."Cosi sulla linea deU'antiromanzo sterniano posso-no schierarsi tanto ]acques le Fataliste, che confessa spaval-do e beffardo la sua ascendenza («Voici le second paragra- phe, copié de la vie de Tristram Shandy, ä moins que ľen-tretient de Jacques le Fataliste et de son maitre ne soit an-térieur ä cet ouvrage, et que le ministre Sterne ne soit le plagiaire, ce que je ne crois pas...»), quanto il libro dei Pro-fíiessi Sposi, anche se in quesťultimo i giochi vengono tutti coperti e la tensione fra racconto e pensiero, fra veritä e letteratura, si flette nella reticenza, nelľordine imposto di un pudore con cui ľironia si difende dalľ«energia primiti-va» di una visione implacabile, mascherandola sotto le divise comuni di una affabilitä didascalica ed esatta. Dopo Scott, il metodo shandiano puó divenire un modo di lettura, un'ermeneutica dialogica della parola narrativa che esplora se stessa e la propria dualita, la propria finitudi-ne, a mano a mano che registra e rilancia le finzioni, gli im-pulsi, le commedie, le diavolerie, i capricci, i grovigli del linguaggio e delle sue voci giustapposte, sino alia dissonanza improvvisa, enigmatica e oscura, del silenzio. E vale allora anche per chi trascrive la «bella storia» di un anonimo, a un tempo ingenuo e ingegnoso, ľavviso di Sterne e la sua etica^ che ci é gia nota, della conversazione: «tln homme de bon sens ne dit jamais ce qu'il pense en causant, et un auteur, qui connoit les limites de la décence et de la politesse, sait aussi ou il doit s'arréter. U doit respecter la penetration et le jugement du lecteur, et lui laisser toujours le plaisir d'ima-giner et de deviner quelque chose. Je déteste un Iivre qui me dit tout, et ľon voit bien que j'écris le mien d'aprés ma maniere de penser. J'ai toujours soin de laisser ä ľimagination de ceux qui me lisent, un aliment propre ä la soutenir dans une activité qui égale la mienne». Di qui la conseguenza, come aveva giä intuito Pirandello nel suo Umorismo legando insieme II Tristram Shandy e i Promessi Sposi, che il sorriso ačcomodanté e borghese del narratore, sulla scena visibile dei suoi «venticinque» lettori, non deve essere scambiato con la forza ironica del racconto, con ciô che bisogna «devi-ner» nel teatro, tanto piu ambiguo, della scrittura. Le cita-zioni segrete ne sono in fondo una prova. 119 118