DIGIT REALTÄ AUMENTATA PROMETEO 3.0 PERSONALIZZA ILTUO LIBRO ALTA ACCESSIBILITA AUDIO LIBRO CAPITOLO 2 Decameron fiiT COMPOSIZIONE 1349-1353 GENERE novella STRUTTURA cento novelle inserite in una cornice narrativa TEMI la fortuna e I'ingegno I'amore e la donna la satira antiecclesiastica la nuova borghesia 1 Umana cosa ě Favere compas-sione degli afflitti: e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro ě massimamente riche-sto li quali giä hanno di conforto avuto mestiere ed hannol trovato in alcuni; fra quali, se alcuno mai n'ebbe bisogno o gli fu caro o giä PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 1 La composizione: datazione e titolo Le date di composizione II titolo e il riferi mento a Galeotto Boccaccio cominciô a scrivere il Decameron subito dopo la fine della peste che colpi Firenze dalla primavera alľautunno dell'anno 1348. Probabilmente l'inizio del lavoro di stesura risale ai primi mesi del 1349. Per quanto riguarda la fine dell'opera, la critica oscilla fra il 1351 (che ě ľopinione prevalente) e il 1353. Quasi certamente gruppi di novelle erano giä stati composti prima del 1349 e diversi racconti dovevano circolare prima della conclusione dell'opera. Infatti nella Introduzio-ne alia Quarta giornata ľautore si difende dalle accuse di alcuni lettori, che evidentemente ne co-noscevano giä un certo numero, benché il Decameron non fosse stato ancora terminate. II titolo Decameron viene dal greco e vuol dire 'dieci giornate'. In testa all'opera compare la seguente indicazione: «Comincia il libro chiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in diece di dette da sette donne e da tre giovani uomini». II riferimento a Galeotto, in cui si awerte ľeco di un passo della Commedia (episodio di Paolo e Francesca, Inferno V, 137: «Galeotto fu 1 libro e chi lo scrisse»), introduce il tema delľamore e delle donne; come Galeotto aiutô Lancillotto a conquistare ľamore di Ginevra, cosi il libro deve aiutare e consolare le donne (alle quali, come vedremo, ě dedicato) suggeren-do comportamenti capaci di dare una soluzione positiva alle loro pene d'amore. 2 La struttura generale: la regola e le eccezioni Le rubriche II numero di cento Dopo il Proemio, in cui ľautore si rivolge alle donne per dedicare loro ľopera, comincia la Prima giornata. Essa é introdotta da una rubrica (cfr. itinerario linguistico) in cui se ne sinte-tizza il tema. II modulo della rubrica si ripete poi alľinizio di ogni giornata. Inoltre ogni novella é presentata anch'essa da una rubrica che ne riassume il contenuto. Abbiamo cosi, in totale, dieci rubriche di giornate e cento rubriche di novelle. Per quanto riguarda poi il numero di cento, considerato un numero perfetto, puö avere in-fluito anche Fesempio della Commedia, formata da cento canti. II termine "rubrica" Le dieci giornate che compongono il Decameron sono pre-cedute e introdotte da brevi riassunti detti "rubriche". II termine "rubrica", attestato in italiano a partire dal XIV secolo, viene dal latino rubrica (derivato da ruber = rosso) che significa sia 'terra rossa' (usata nella ceramica primitiva per dare il rosso alia creta) sia 'titolo della legge' (che veniva scritto in rosso, per evidenziarlo). Dal secondo si-gnificato deriva I'uso medievale di "rubrica", che nei testi giuridici dell'epoca indica il titolo della legge (e quindi la sua sintesi) e le segnature e i richiami in genere presenti in un testo; nei codici manoscritti indica i titoli, i sommari o le lettere iniziali (per lo piu scritti in rosso); nei libri divisi in capitoli, come il Decameron, la "rubrica" indica la sintesi del contenuto dei singoli capitoli a essi premessa. A partire dal XIX secolo, il significato di "rubrica" si allarga a indicare un quaderno o un registro con I'indice alfabetico posto a scaletta sul margine esterno del foglio (per esem-pio, la "rubrica" telefonica) o, per influenza del francese rubrique, le sezioni a carattere continuativo e con argo-mento fisso di giornali e riviste (e oggi anche di program-mi televisivi e radiofonici: la "rubrica" letteraria, sportiva, della posta ecc). C390 CAPITOLO 2 I II Decameron Le "super-cornice", la "cornice" e le novelle II centounesimo racconto La funzione della "cornice" Proemio ■IqiuK itton.T wtp ť Hammen» o m -icrni" cil ii> i» t IttwIp .1* ttgHUt iK|v(tir< inu |ťnit ne('iV!Tjif líoí cíti ft .ilton.1 i ijltmsiru r moi Taddeo Crivelli, MS. Holkham misc. 49, fol. 5r (Giovanni Boccaccio, Decameron, 1467). Bodleian Library, University of Oxford. Mentre nel Proemio e nella Introduzione che apre la Prima giornata ě ľautore a parlare in prima persona, le novelle sono raccontate da dieci novellatori. Accanto alia voce delľautore, che ritorna poi altre due volte, nella Introduzione alia Quarta giornata e nelle Conclusioni fi-nali, compaiono dunque quelle dei dieci narratori dei racconti. Nel complesso, l'opera risulta perciô strutturata a tre livelli. II primo ě costituito da una sorta di "super-cornice", in cui protagonista e narratore ě ľautore che espone - alľinizio, al centro e alia fine del libro - le proprie opinioni. Esso inquadra la "cornice" vera e propria, in cui protagonisti e narratori sono invece i dieci novellatori. A sua volta poi la "cornice" serve da contenitore delle cento novelle, in cui protagonisti sono i personaggi delle trame narrate. Nel libro compare tuttavia anche una novella raccontata dalľautore nella Introduzione alia Quarta giornata (cfr. DOC.Q. p. 402). Questo racconto, che fa parte della "supercornice", ě il centounesimo dell'opera. Tale eccezione infrange la regola per cui le novelle dovrebbero es-sere esposte solo dai dieci novellatori in modo da formare il numero perfetto di cento; ma non deve stupire. In realtä, come vedremo, nel vasto e vario mondo boccacciano, l'eccezione co-stantemente accompagna la regola. La "cornice" serve a collegare fra loro i racconti, secondo una tradizione araba e orientale che, dalla Spagna, era giä penetrata in Italia. Non ě un espediente estrinseco: la cornice serve a mediare, connettere o disgiungere, e talora a commentare, le varie novelle. Inoltre essa rappre-senta ľatmosfera in cui le novelle vengono raccontate, quella orribile della peste con la disgre-gazione dei costumi che essa produce, e quella, che vi si oppone, ispirata a criteri di ordine e di gentilezza, della brigata giovanile che cerca conforto e rifugio nel contado. Gli interventi del ľautore in prima persona _L INIZIO I METÁ 1 Prima giornata Indica le dedicatarie dell'opera: le donne che soffrono per amore PARTE FINALE 1 Quarta giornata Parte iniziale delľintroduzione: ľautore si rivolge ancora alle donne e descrive gli effetti della peste 1 Conclusione ďelľautore J Introduzione: • la difesa dell'opera • la giustificazione della passione per le donne e ľamore Ľautore sostiene che l'opera letteraria non deve essere valutata in base ai criteri moralistici ( 397 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 La vicenda delia "cornice" e la presentazione dei 10 novellatori L'organizzazione delle giornate Le eccezioni alle regole II tempo e i luoghi I died giovani decidono infatti di recarsi per qualche giorno fuori delia citta e di trascorrere il tempo passeggiando, cantando, scherzando e raccontando novelle. A prendere la decisione sono anzitutto sette donne, di etä compresa fra i diciotto e i ventotto anni, incontratesi nella chiesa di Santa Maria Novella mentre infuria la pestilenza; a esse si uniscono tre giovani, loro amici (essi sono anche innamorati di altrettante ragazze del gruppo), capitati poco dopo nella stessa chiesa. Si tratta di Pampinea, la piú saggia e matura, che per prima fa la proposta, e poi di Elissa, Lauretta, Neifile, Fiammetta, Filomena, Emilia; e di Panfilo, Filostrato, Dioneo. I nomi evocano talora protagonisti delle opere giovanili di Boccaccio ma possono anche contenere allusioni letterarie, come nel caso di Elissa (ě il nome fenicio di Didone, la sfortunata regina di Cartagine innamoratasi di Enea; nome assai appropriato) o di Lauretta (che evoca la Laura petrarchesca) o suggerire, attra-verso ľetimologia, tendenze del carattere: a esempio, Dioneo viene da Dione, madre di Venere, e allude infatti a un temperamento lussurioso e licenzioso, Panfilo significa "tutto amore", Neifile "nuova innamorata", Pampinea "rigogliosa" ecc. La scelta del numero di sette per le novellatrici probabilmente contiene un riferimento allusivo alle Arti liberáli o alle Muse. I dieci giovani si recano in un luogo ameno a due miglia (tre chilometri) dalla cittä, in un bel palazzo con un magnifico giardino. Vi arrivano un mercoledi mattina e restano fuori cittä per due settimane. Decidono di eleggere ogni giorno un re o una regina in modo che tutti, a tur-no, possano ricoprire questo ruolo. Sta al re o alia regina decidere l'organizzazione della gior-nata e ľargomento delle novelle, che quindi cambierä ogni giorno. Si stabilisce anche che cia-scuno dei dieci giovani racconterä una novella al giorno sul tema stabilito la sera precedente. Alia fine di ogni giornata, uno dei novellieri canterä una canzone. Fatta questa regola generále, si danno ben presto le eccezioni. Anzitutto resta senza argo-mento preciso non solo la Prima giornata (come era owio, dato che non era stato possibile scegliere il tema il giorno prima), ma anche la Nona. In secondo luogo, un novellatore, Dioneo, otterrä di non attenersi al tema scelto. Infine, sempre Dioneo, unico della brigata, si sottrarrä all'ordine casuale con cui prendono la parola i vari novellatori; e parlerä sempre per ultimo, tranne che nella Prima giornata. La brigata non resta sempre nello stesso posto. Dopo due giornate di novelle (mercoledi e gio-vedi) e due di riposo (venerdi e sabato), la mattina del quinto giorno (domenica) si trasferisce in un altro bello e ricco «palagio», dove resterä sino alia fine. Pero i racconti della Settima giornata vengono narrati nella Valle delle donne, dove giä il giorno innanzi si erano recati a fare il bagno prima le donne, poi i tre giovani. Franz Xaver Winterhalter, / dieci novellatori del Decameron, 1837. Vienna, Liechtenstein Museum. CAPITOLO 2 I II Decameron - Le interruzioni del In totale la permanenza fuori cittä dura quattordici giorni: dal mercoledi della prima settima-na al martedi della terza. Fra questi quattordici giorni solo dieci perö sono impegnati nelle novelle: infatti il novellare viene interrotto due volte (la prima e la seconda settimana) per due giorni consecutivi, il venerdi, giorno sacro della passione di Cristo, e il sabato, dedicato all'i-giene e al riposo. La struttura del Decameron X Prima giornata, Mercoledi I 1—^ Regina Pampinea I 1—^ Tema: libera. Seconda giornata, Giovedi J Regina Filomena J Tema: // potere della fortuna, con avventure a lieto fine («Si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia oltre alia sua speranza riuscito a lieto fine»). y 1 1 1 Terza giornata, Domenica J Regina Neifile J Tema: // potere dell'ingegno o dell'«industria» («Si ragiona di chi alcuna cosa molto da lui desiderata con industria acquistasse o la perduta ricoverasse»). y 1 1 1 Quarta giornata, Lunedi J Re Filostrato J Tema: Amori infelici («Si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fine»). y 1 1 1 Quinta giornata, Martedi -> Regina Fiammetta -> Tema: Amori felici («Si ragiona di ciö che a alcuno amante, dopo alcuni fieri e sventurati accidenti, felicemente J J awenisse»). y 1 1 \ Sesta giornata, Mercoledi J -> Regina Elissa J -> Tema: L'efficacia dei motti di spirito o delle argute risposte («Si ragiona di chi con alcun leggiadro motto, tentato, si riscotesse, o con pronta risposta o avvedimento fuggi perdita o pericolo o scorno»). J 1 1 1 Settima giornata, Giovedi J -> Re Dioneo J -> Tema: Beffe ai mariti («Si ragiona delle beffe, le quali o per amore o per salvamento di loro le donne hanno giä fatto a' suoi mariti, senza esserne aweduti o si»). y 1 1 1 Ottava giornata, Domenica Regina Lauretta Tema: Altre beffe («Si ragiona di quelle beffe che tutto il giorno o donna a uomo o uomo a donna o I'uno uomo all'altro si fanno»). y 1 1 1 Nona giornata, Lunedi Regina Emilia Tema: libera. 1 1 1 Decima giornata, Martedi Re Panfilo J Tema: Esempi di liberalitä e di magnificenza («Si ragiona di chi liberamente o vera magnificamente alcune cose operasse intorno a' fatti ďonore o d'altra cosa»). y ( 399 ] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 3 La funzione delia cornice e i criteri organizzativi delľopera Una struttura "ascensionale"? Struttura verticale od orizzontale? "Grappoli" tematici e blocchi narrativi giustapposti Nel paragrafe precedente sono stati giä esposti i criteri su cui ě strutturato il Decameron. II fatto che l'autore abbia awertito il bisogno di inquadrare le novelle in una cornice risponde a una esi-genza di sistematicitä e di ordine che ě tipicamente medievale. La stessa organizzazione delle novelle non ě affatto casuale: non per nulla l'opera comincia con un esempio negativo (quello di Ciappelletto) e finisce con uno positivo (quello di Griselda) e nellultima giornata si assiste a un innalzamento sia sociale che morale della materia: essa infatti ě dedicata a nobili signoři e a insigni gesti di magnificenza e di liberalita. Di qui la tesi di una struttura «ascensionale» dell'opera, sostenuta da Branca (cfr. lacritica, p. 439), che sottolinea anche il páralielismo, in questo senso, fra Decameron e Commedia dantesca. Ma che si possa parlare di una progressiva o graduale evoluzione verso 1'alto ě stato messo in discussione anche recentemente da vari critici: in realta, la Ottava o la Nona giornata non contengono certo una materia piú elevata della Prima. Se ě dunque indubbio che 1'ultima giornata vuole innalzare il tono della narrazione rispetto alle nove precedenti e rappresenta perciö una conclusione voluta dali'autore, ě difficile accet-tare la tesi di una tendenza ascensionale o verticale come quella della Commedia. In realtä la struttura del Decameron ě orizzontale: per Boccaccio, la verita, ďaltronde sempře relativa, scaturisce da un rapporto interdialogico, cioě fondato sul dialogo fra gli uomini, non da una ascesa verso Dio. E stato inoltre osservato (Asor Rosa) che i vari racconti tendono a disporsi per "grappoli" tematici, secondo leggi di contiguitä o di opposizione, in modo da costituire uno schema non evolutivo (come suppone invece Branca) ma "a blocchi narrativi giustapposti": per esempio, la Settima e 1'Ottava giornata sono legate dal tema della beífa, mentre la Terza, la Quarta e la Quinta compongono un trittico sull'amore (amore fortunato vissuto naturalisticamente; amo-re sfortunato; amore fortunato vissuto in modo nobile). © / novellatori del Decameron lasciano Firenze, miniatura dal manoscritto Fr. 239, quarto decennio del XV secolo ca. Parigi, Bibliothěque Nationale de France. Con questa miniatura si apre una fra le piú antiche traduzioni in francese del Decameron. La scéna ě divisa in tre momenti: una sintetica descrizio-ne della peste a sinistra, con ľepisodio della sepoltura dei cadaveri; llncontro fra i novellatori al centra; 1'arrivo nel giardino a destra. II miniatore traduce Boccaccio in toni fiabeschi e Firenze stessa viene descritta come una sorta di grande giardino: le guglie nere e i tetti blu le conferiscono un aspetto da illustrazione per ľinfanzia. [ 400 ) CAPITOLO 2 I II Decameron D'altra parte, anche se resta vero che la cornice rappresenta un'esigenza di ordine e di sistematicitá, questa esigenza si articola in modo assai diverso rispetto al modello dantesco. La cornice non esau-risce la propria funzione nel tessuto connettivo fra novella e novella. La funzione della cornice ě anche un'altra: i dieci giovani non solo stabiliscono dei collegamenti, ma commentano le novelle e dunque instaurano un rapporto dialettico con la materia narrativa. Di qui la differenza rispetto al Filocolo e alia Commedia delle ninfeflorentine in cui giá la cornice era stata parzialmente utilizzata. Nel Filocolo, per esempio, le «questioni d'amore» erano risolte dalla regina. Qui invece manca una soluzione. La verita non ě piú concepita in modo statico, ma come processo dialogico: nasce dal confronto e dalla discussione. D'altra parte i vari novellatori esprimono un approccio poliprospet-tico alia materia narrativa. In altri termini, anzitutto la cornice manifesta, nel suo complesso, un punto di vista diverso rispetto a quello dell'autore (circostanza su cui Boccaccio consapevolmente gioca nelle Conclusioni; cfr. § 21); in secondo luogo al suo interno si possono individuare punti di vista distinti: quello di Dioneo, per esempio, ě diverso da quello di Panfilo, che tiene fermi i valori di gentilezza e cortesia cari all'autore, ma anche da quello di Pampinea, la saggia. Anche i tre livelli della "super-cornice", della cornice e della materia novellistica esprimono modi diversi, distinti e tra loro intrecciati, di approccio alia realtá. La vivacissima commedia umana non ě piú trasfigurata alia luce di una veritá superiore: la struttura complessiva e il modello figurale della Commedia, che trasponevano la concretezza nell'astrattezza, la particolari-tá in un disegno universale, non trovano piú luogo nel Decameron. Al loro posto c'e invece la varia articolazione di un approccio sempře aperto e problematico al reale. La struttura del Decameron: i tre livelli della narrazione Super-cornice Proemio Introduzione alla Prima giornata Introduzione alla Quarta giornata Conclusione .a novella de le papere Cornice Introduzione alle giornate Commenti alle novelle raccontate Presentazioni di nuove novelle Conclusioni delle giornate con ballate Racconto Le cent0 nove||e voci dei personaggi delle novelle voci dei dieci novellatori voce dell'autore Ě stato osservato inoltre che le rubriche che sintetizzano il contenuto delle novelle non esauri-scono affatto la loro funzione nel riassunto, che a volte anzi risulta lacunoso, privo di informa-zioni essenziali: per esempio, nella rubrica della novella di Federigo degli Alberighi non si awerte che madonna Giovanna ha un figlio. Le rubriche, insomma, rispondono anche a propri criteri narrativi - di vivacitá e di incisivitá rappresentative, a esempio -, per i quali possono sacrificare aspetti rilevanti della trama. In tal modo esse finiscono per illuminare le novelle da un particolare punto di vista, contribuendo anch'esse al poliprospettivismo complessivo dell'opera. Questa sfaccettatura di posizioni spiega perché nella struttura del Decameron venga sempre lasciato uno spazio all'eccezione accanto alla regola (cfr. § 2). E venuto meno il rigido criterio gerarchico di organizzazione del mondo che era tipico della filosofia scolastica. La varieta tende a fronteggiare la fissitá e a imporle, attraverso la presenza dell'eccezione, la forza dell'inventiva umana o del caso, lasciando comunque aperta all'uomo una possibilitá a priori non prevedibile. ( 401 ) La funzione della I tre livelli della narrazione e I'approccio al reale La funzione delle rubriche Crisi delle gerarchie della filosofia scolastica PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 4 La rielaborazione delle fonti Struttura e fonti del Decameron digit ■ TESTO La novella del cuore mangiato Lintert estualitä interna digit-TESTO La novella di Messer Gentil de' Carisendi e la donna seppellita per morta La struttura del Decameron affonda le sue radici in tradizioni lontane che vanno dalla novel-listica Orientale e araba alle Metamorfosi di Apuleio (II secolo d.C.) ai Saturnalia di Macrobio (V secolo d.C.) alle satire menippee (opere miste di prosa e di poesia, di taglio satirico e spesso osceno). Come repertorio tematico delle varie novelle Boccaccio ha utilizzato poi numerose fonti medievali: ifabliaux, i lais (cfr. p. 46), le raccolte di exempla (la Novella diNastagio degli Onesti, cfr. T9, p. 487, rielabora, rovesciandolo parodisticamente, un exemplum che compare nello Specchio di verapenitenza di Jacopo Passavanti; cfr. p. 574), le vidas dei trovatori (la Novella del cuore mangiato, ha la sua fonte nella vida provenzale di un trovatore, Guillem de Cabestaing), le commedie elegiache in latino. Egli riprende talora lo stesso materiále del Novel-lino (cfr. p. 189) e qualche volta le novelle Stesse di questa raccolta, come awiene per la Novella dellepapere (cfr. DOC.©). Esistono poi dei casi di intertestualitä interna, in cui la fonte ě un'altra opera dell'autore, come nella quarta novella della Decima giornata, Messer Gentil de' Carisendi e la donna seppellita per morta, la cui fonte ě un racconto del Filocolo. Confrontando il primo testo con il secondo, ě possibile apprezzare Fevoluzione dell'arte di Boccaccio dalle opere giovanili al suo capolavo-ro: la novella del Decameron ě assai piú lunga, la narrazione ě piú distesa e indugia con maggior realismo sui particolari. Inoltre, nel Filocolo la narrazione non ě problematica, mentre nel Decameron la morale dell'autore ě divenuta piú aperta e libera. DOCUMENTO1 Confronto tra una novella del Novellino e una del Decameron Per mostrare quanto grande sia la distanza tra Boccaccio e le sue fonti, mettiamo a confronto la novella XIV del Novellino, opera che Boccaccio certamente conosceva, con la Novella delle papere, raccontata dall'autore e inserita nella sua autodi-fesa nel corso della Introduzione alia Quarta giornata. II testo del Novellino e rapidissimo. L'azione indica solo una veloce successione temporale («Allora», «Dopo», «Allora»). Nella sua sinteticita il racconto precipita verso la stupefatta battu-ta finale, con cui il re-padre riconosce il potere (anzi, la «tiran-nia») della bellezza femminile. Del re non si dice nulla, nep-pure il nome. Invece il racconto di Boccaccio e analitico, densamente articolato tanto nella sintassi quanto nella stra-tificazione narrativa, ed e ricco di dettagli concreti e di preci-sazioni. Mentre latipologia dei personaggi e dei luoghi resta nel Novellino astratta, la narrazione nel Decameron tende alia concretezza della rappresentazione e risponde a un'esi-genza realistica. Inoltre, nel Novellino, non si fa questione di educazione, ne la scelta del re e dovuta a ragioni morali (egli deve tenere il figlio all'oscuro perche non perda la vista). Invece Boccaccio insiste sui motivi educativi, morali e religiosi che inducono il padre a tenere segregate il figlio: egli decide di «darsi al servizio di Dio e il simigliante fare del suo piccol figliuolo». Insomma, mentre il racconto del Novellino e fuori del tempo e dello spazio, quello di Boccaccio e fortemente attualizzante: egli intende polemizzare contro i moralisti del proprio tempo e rivendicare la necessita di rispettare la forza della natura, la quale si manifesta anche con il «concupisci-bile appetito», cioe con I'istinto sessuale. Novellino, XIV Novelle italiane. ^ COMO UNO RE FECE NODRIRE1 UNO SUO FIGLIUOLO DIECE ANNI IN LUOGO TE- // Duecentcx NEBROSO,E PO1 LI MOSTRÖ TUTTE COSE E PIÜ LI PIACQUE LE FEMINE. // Trecento, a cura di L. Battaglia Ricci, Garzanti, Milano A. uno re nacque uno figliuolo. I savi strologi providero2 che s elli non Stesse anni diece che non 1982. vedesse il sole, che perderebbe lo vedere. Allora il re lo fece notricare e guardare3 in tenebrose spe- 1 nodrire: nutrire. 2 strologi providero: gli astrologi previdero. 3 notricare e guardare: nutrire e custodire. [ 402 ) CAPITOLO 2 > II Decameron - lonche. Dopo il tempo detto lo fece trarre fuori, e innanzi lui fece mettere molte belle gioie e di molto belle donzelle, tutte cose nominando per nome. E dettoli le donzelle essere dimoni,4 e poi li domandaro qual d'esse li fosse piu graziosa, rispuose: -1 domoni.5 - Allora lo re di cio si maravi-glio molto, dicendo: - Che cosa tirannia e bellore6 di donna! 4 dimoni: demoni. 5 domoni: diavoli. 6 che...bellore: che cosa tirannica e bellezza di donna. Si noti l'accenno misogino. Decameron, IV Giovanni Boccaccio ^ Nella nostra citta, gia e buon tempo passato, fu un cittadino il quale fu nominato Filippo Bal- Decameron, a cura j • i j- j- • • i • 2 • u • <- 3 <- n ,.,,n ' ,. ducci,' uomo di condizione assai leggiere/ ma ricco e bene inviatoJ e esperto nelle cose di V. Branca, Einaudi, 00 r Torino 1992. quanto lo stato suo richiedea; e aveva una sua donna moglie,4 la quale egli sommamente amava, e ella lui, e insieme in riposata vita si stavano, a niuna altra cosa tanto studio ponendo quanto in piacere interamente 1'uno all'altro. Ora awenne, si come di tutti awiene, che la buona donna passo di questa vita, ne altro di se a Filippo lascio che un solo figliuolo di lui conceputo,5 il quale forse6 d'eta di due anni era. Costui per la morte della sua donna tanto sconsolato rimase, quanto mai alcuno altro amata cosa perdendo rimanesse; e veggendosi di quella compagnia, la quale egli piu amava, rimaso solo, del tutto si dispose di non volere piu essere al mondo7 ma di darsi al servigio di Dio e il simigliante fare del suo piccol figliuolo. Per che, data ogni sua cosa per Dio,8 senza indugio se n'ando sopra Monte Asinaio,9 e quivi in una piccola celletta se mise col suo figliuolo, col quale di limosine10 in digiuni e in orazioni vivendo, sommamente si guardava di non ragionare, la dove egli fosse, d'alcuna temporal11 cosa ne di lasciarnegli alcuna vedere, accio che esse da cosi fatto servigio nol traessero,12 ma sempre della gloria di vita eterna e di Dio e de' santi gli ragionava, nulla altro che sante orazioni insegnandogli. E in questa vita molti anni il tenne, mai della cella non lasciandolo uscire ne alcuna altra cosa che se dimostrandogli.13 Era usato il valente uomo14 di venire alcuna volta a Firenze: e quivi secondo le sue oportu-nita dagli amici di Dio sovenuto,15 alia sua cella tornava. Ora awenne che, essendo gia il garzone d'eta di diciotto anni e Filippo vecchio, un di il domando ov'egli andava. Filippo gliele16 disse; al quale il garzon17 disse: «Padre mio, voi siete oggimai18 vecchio e potete male durar fatica; perche non mi menate voi una volta a Firenze, accio che, faccendomi cognoscere gli amici e divoti di Dio e vostri, io, che son giovane e pos- 1 Balducci: famiglia borghese fiorentina che figura tra gli agenti della Compagnia dei Bardi, cui apparteneva anche il padre di Boccaccio. 2 leggiere: modesta; cioě non nobile. 3 inviato: avviato. 4 donna moglie: espressione ridondante assai frequente con il sostantivo donna. 5 di lui conceputo: da lui generato. 6 forse: all'incirca. 7 di non...mondo: cioě di vivere isolato dal resto degli uomini, come un eremita. 8 per Dio: per amore di Dio, owero in ele-mosima. 9 Monte Asinaio: ě deformazione per Monte Senario, montagna del Mugello che ospita il convento dei serviti creato nel 1233. Nelle vicinanze si trovavano piccole celle abitate da laici eremiti. 10 limosine: elemosine. 11 temporal: terrena. 12 nol traessero: non lo distogliessero. 13 né...dimostrandogli: non facendogli vedere nessun 'altra cosa eccetto se stesso. 14 valente uomo: ě espressione tipica per significare persona di grandi meriti e pregi. 15 secondo...sovenuto: aiutato da bene-fattori secondo le sue necessitá (oportunitá). 16 gliele: glielo. "Gliele" ě forma indeclinable. 17 garzon: giovane; dal francese "garcon". 18 oggimai: ormai. ( 403 ] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 so meglio faticar di voi, possa poscia pe' nostri bisogni a Firenze andare quando vi piacera, e voi rimanervi qui?» II valente uomo, pensando che gia questo suo figliuolo era grande e era si abituato al ser-vigio di Dio, che malagevolmente19 le cose del mondo a se il dovrebbono omai poter trarre,20 seco stesso21 disse: «Costui dice bene»; per che, avendovi a andare, seco il meno. Quivi il giovane veggendo i palagi, le case, le chiese e tutte 1'altre cose delle quali tutta la citta piena si vede, si come colui che mai piu per ricordanza22 vedute no' n'avea, si comincio forte a maravigliare e di molte domandava il padre23 che fossero e come si chiamassero. II padre gliele diceva; e egli, avendolo udito, rimaneva contento e domandava d'un'altra. E cosi domandando il figliuolo e il padre rispondendo, per awentura si scontrarono24 in una briga-ta di belle giovani donne e ornate, che da un paio di nozze25 venieno: le quali come il giovane vide, cosi domando il padre che cosa quelle fossero. A cui il padre disse: «Figliuol mio, bassa gli occhi in terra, non le guatare,26 ch'elle son mala cosa». Disse allora il figliuolo: «0 come si chiamano?». II padre, per non destare nel concupiscibile appetito27 del giovane alcuno inchinevole di-siderio28 men che utile, non le voile nominare per lo proprio nome, cioe femine, ma disse: «Elle si chiamano papere». Maravigliosa cosa a udire! Colui che mai piu alcuna29 veduta non avea, non curatosi de' palagi, non del bue, non del cavallo, non dell'asino, non de' denari ne d'altra cosa che veduta avesse, subitamente disse: «Padre mio, io vi priego che voi facciate che io abbia una di quelle papere». «Oime, figliuol mio», disse il padre «taci: elle son mala cosa». A cui il giovane domandando disse: «0 son cosi fatte le male cose?» «Si» disse il padre. E egli allora disse: «Io non so che voi vi dite, ne perche queste sieno mala cosa: quanto e,30 a me non e ancora paruta31 vedere alcuna cosi bella ne cosi piacevole come queste sono. Elle son piu belle che gli agnoli32 dipinti che voi m'avete piu volte mostrati. Deh! se vi cal33 di me, fate che noi ce ne meniamo una cola su di queste papere, e io le daro beccare».34 Disse il padre: «Io non voglio; tu non sai donde35 elle s'imbeccano!» e senti incontanente36 piu aver di forza la natura che il suo ingegno;37 e pentessi38 d'averlo menato a Firenze. 19 malagevolmente: con difficolta. 20 il...trarre: avrebbero potuto attrarlo; dovrebbono, pleonastico; il condizionale esprime l'idea di futuro nel passato. 21 seco stesso: tra se e se. 22 per ricordanza: per quanto potesse ri-cordare. 23 domandava il padre: transitivo con-sueto con i verbi che esprimono richiesta. 24 si scontrarono: si imbatterono. 25 da...nozze: espressione popolare per da certe nozze. 26 guatare: guardare con insistenza; da "guaita" = sentinella, guardia. 27 concupiscibile appetito: desiderio di soddisfare i bisogni dei sensi, desiderio ses-suale. E formula ricorrente nelDecameron. 28 inchinevole disiderio: inclinazione. 29 alcuna: alcuna donna. 30 quanto e: per quanto epossibile. 31 non...paruta: non mi e ancora sem-brato di. 32 agnoli: angeli. 33 se vi cal: se vi importa. 34 darô beccare: con omissione del "da", frequente con il verbo "dare". E metafora a carattere sessuale come il successivo s'im-beccano. 35 donde: dove. 36 incontanente: subito. 37 piu aver...ingegno: ě il passaggio deci-sivo della breve e "incompiuta" novella: il potere degli impulsi sessuali e naturali risul-ta superiore a ogni tentativo programmati-co di eliminarne o di attenuarne la forza. In polemica con i suoi detrattori Boccaccio vuole il dominio della natura sull'ingegno. 38 pentessi: sipenti; dal verbo latino "pe-nitere". [ 404 ) CAPITOLO 2 I II Decameron - 5 II tempo e lo spazio, M realismo e la comicitä Distinzionetra passato e presente I due poli del Decameron La realtä del Mediterraneo Firenze, le citta toscane, il contado Precisa ambientazione storica Realismo figurativo Verosimiglianza psicologica e sociale dei personaggi Boccaccio dichiara nel Proemio di raccontare storie awenute nei «moderni tempi come negli antichi». Egli distingue dunque, con chiarezza giä umanistica, il passato dal presente. In genere alle novelle del passato vengono affidati gli esempi di nobiltä. Molto spesso, poi, all'al-lontanamento nel tempo corrisponde quello nello spazio. I due poli del libro sono da un lato Firenze e le cittä toscane, dall'altro il Mediterraneo. Piu rare sono le novelle che ci trasportano nel nord Európa (anche se la Francia e Parigi non sono infrequenti) e nelle cittä italiane lontane dalla costa, come Milano, Treviso, Pavia, Bologna, Perugia. Un polo ě dunque il Mediterraneo, con i suoi porti, le sue cittä di mare (Napoli, Venezia, Pisa, Amalfi, Gaeta, Genova, Palermo, Lipari, Ponza, Alessandria d'Egitto, Gerusalemme, Tunisi ecc), i popoli che ne abitano le coste, con le diverse consuetudini e le diverse religioni. L'altro polo ě costituito da Firenze e dalla Toscana, dalla cittä e dal contado, con il loro rapporto; e non manca il tema polemico degli inurbati contrapposti ai citta- Inurbati Gli inurbati sono coloro che dal contado, cioě dalla campagna, si sono trasferiti in cittä (urbs in latino). dini. Per la prima volta nella letteratura italiana la folia urbana diventa protagonista e vengono messi in scena gli abitanti di un intero quartiere, come nella novella di Andreuccio. E per la prima volta, sempře in questa ultima novella, compare l'awentura cittadina. La cittä e il Mediterraneo sono i due poli geografici dell'immaginario boccacciano. Essi vengono pero sempře ambientati storicamente, calati nel tempo. Se Marco Polo aveva razionalizzato lo spazio, ora a una simile razionalizzazione ě sottoposto anche il tempo. Le coordinate spa-ziali e temporali sono definite con precisione e caratterizzate con una preoccupazione di verosimiglianza che giä introduce al tema del realismo boccacciano. Un primo aspetto del realismo boccacciano va riscontrato dunque nel trattamento dello spazio e del tempo, sempre ben individuati. Luoghi e personaggi, del passato o del presente, non sono piú rappresentazioni schematiche e convenzionali. Occorre aggiungere la verosimiglianza psicologica delle situazioni e dei caratteri, e quella sociále stabilita dal rapporto di coerenza fra individuo e tipo, fra singolo personaggio e classe che esso rappresenta: si pensi a messer Cepparello-Ciappelletto e ai due usurai fiorentini che lo ospitano e alia coerenza del loro comportamento con le norme delia mercatura (cfr. T3, p. 423). La stessa attenzione di Boccaccio per tutte le categorie sociali ě indubbiamente un segno di grande realismo, perché si rivela capace di dare vita a una ampia e articolata commedia sociále. X tempo I'epoca di Boccaccio ľetä longobarda ľantichitä Tempo, luoghi, personaggi luoghi Firenze e la Toscana porti del Mediterraneo altre cittä (Milano, Parigi) X personaggi dal mondo feudale dalla societa urbana ( 405 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 II comico e il realismo umanistico Realismo e mondo comico del corpo e del sesso L'esigenza dell'«onestä» e del distacco umanistico II realismo boccacciano si esprime poi particolarmente nel comico. C'e nel Decameron un «realismo umanistico» (Muscetta), un'idea di comico inteso come "diletto" desunta da Cicerone e da Quintiliano. Ma si puö parlare di realismo umanistico anche in un altro senso: nel Decameron la comicitä realistica si accompagna sempre a un distacco, tipicamente umanistico, a un atteggiamento di sorridente superiorita che non si lascia mai completamente coin-volgere e che riflette quello analogo della brigata dei giovani. Da un lato, dunque, realismo e comicitä tendono spesso a coincidere. II comico privilegia il basso, il corporeo, il materiále, ed ě strettamente collegato alle manifestazioni concrete della vita. É del tutto naturale che una situazione di evasione e di "vacanza" dalla realtä, come quella dei giovani che lasciano la cittä e gli spettacoli terribili della peste, dia luogo a una situazione "carnevalesca", che irride le consuete ipocrisie e pone al centro dell'attenzione ciö che di solito ě oggetto di censura, vale a dire il mondo comico del corpo e del sesso. Fra la liberazione di queste forze represse (che Boccaccio chiama «forze della natura» e polemicamente pone al centro della propria opera) e la comicitä c e dunque uno stretto rapporto. Dall'altro lato, esiste anche una censura dovuta a un valore positivo, quell'«onestä» di cui varie volte parlano i dieci novellatori. Essa non ha nulla a che fare con l'ipocrisia; anzi, la brigata giovanile e l'autore stesso non esitano a mostrare il basso e l'osceno e a dichiarare il proprio rispetto per le pulsioni naturali. E tuttavia l'«onestä» ě chiamata a fare i conti con le esigenze della vita associata e della civiltä. Da questo bisogno di compromesso nascono il controllo umanistico, il superiore distacco e infine l'equilibrio compositivo del Decameron. r L'ideologia del Decameron: O fortuna, natura, ingegno e onestä Fortuna e natura La fortuna Relazione fra potere del caso e situazione storica d'instabilitä Vi sono «due ministře del mondo» spiega Pampinea (VI, 2): la fortuna e la nátura. Da esse 1'uomo ě condizionato, con esse deve fare i conti in un conflitto che dura tanto quanto la vita umana. Le vicende umane «stanno nelle mani» della fortuna, spiega ancora Pampinea in un altro luogo (II, 3). La fortuna muta le cose umane, volgendole come lei crede, «secondo il suo occulto giu-dicio», e «senza alcuno conosciuto ordine da noi». La Seconda giornata mostra questo potere della fortuna, che per esempio sottopone ai suoi «accidenti» [casi, sventure] il pověro Andreuc-cio. Non manca, fra i critici, chi interpreta la fortuna boccacciana come quella dantesca, e quindi in senso religioso e prowidenziale; mentre altri sottolineano invece come Boccaccio sciolga ogni nesso fra spiegazione teologica e casi umani. Comunque sia, la fortuna ha un peso decisivo nelle vicende umane, determinando anzitutto la condizione sociále (c'ě chi nasce pověro e chi ricco) e poi sottoponendo 1'individuo al rischio continuo delllmprevisto, sino al ribaltamento delle situazioni. Al tema carnevalesco della ruo-ta della fortuna - che girando permuta la sortě umana - si aggiunge la percezione storica di una situazione di crisi e di rapidi cambiamenti economici e sociali: ě questo il momento delle grandi bancarotte dei banchieri fiorentini, e 1'autore stesso assistette a diversi mutamen-ti, anche negativi, nelle attivitá finanziarie del padre. Inoltre la situazione di instabilitá era ac- CAPITOLO 2 I II Decameron © Miniatore francese (XV secolo), La Fortuna e la sua ruota, da De casibus virorum illustrium, MSS Hunter 371-372, vol. 1, folio 1r, 1467. La miniatura ritrae Boccaccio, sulla sinistra, che indica la dea della Fortuna, in piedi di fronte a una ruota sulla quäle girano le sue vittime. La Fortuna, che domina il secondo libro di Severino Boezio (IV secolo) dal titolo De consolatione Philosophiae, era una delle figure cen-trali della cultura medievale e in particolare nel periodo storico che fa da sfondo al Decameron, segnato da crisi economiche, pestilenze, cattivi raccolti, instabilitä e dun-que da un certo senso di precarietä. La tradizione la descrive come una donna, personifica-zione della credenza medievale che la sfortuna personale non era tanto il risultato dell'azione individuale quanto dell'inevitabile girare della sua ruota. In Boccaccio la fortuna domina la realtá ma puô essere piegata dalľintelli-genza umana e dal la sua capacitä di affrontare e supe-rare le avversitä. II rapporto tra fortuna, ingegno i natura Le «forze della natura» vanno rispettate Ľ«onestä» e la «gentilezza» cresciuta dagli eventi naturali: cattivi raccolti, carestie, infine la peste che colpiva a caso. D'altra parte questi rovesciamenti prodotti dalla fortuna possono essere negativi, ma anche positivi, e si tratta di riuscire a scampare dai primi e ad approfittare dei secondi, come nell'esempio di Andreuccio: si tratta insomma di saper utilizzare l'ingegno. L'ingegno puö servire non solo a contrastare la cattiva sortě o ad approfittare della buona, ma anche a controllare, almeno in parte, la natura. Questa determina anzitutto il temperamento individuale: se spetta alla fortuna l'origine sociale dell'individuo, ě la natura che gli da uno spe-cifico carattere (orgoglioso, timido, iracondo ecc). Cosicché natura e fortuna possono essere in conflitto. II discorso di Ghismunda (cfr. § 14, T6, p. 460) contiene un'ampia esposizione teorica dei rapporti fra fortuna e natura e considera appunto il contrasto fra l'una e l'altra: Guiscardo, l'amante, ě stato condizionato negativamente dalla fortuna che lo ha fatto nascere pověro, mentre la natura gli ha dato una nobile anima. Ma la natura condiziona l'uomo soprattutto attraverso le sue spinte corporali, materiali. Boccaccio parla piú volte, nella Introduzione alla Quarta giornata, delle «forze della natura» che bisogna imparare a riconoscere e a rispettare. I moralisti che censurano il Decameron -sostiene Fautore - chiudono gli occhi ipocritamente di fronte alla realtä (a loro ě dedicata La novella dellepapere: cfr. DOC.Q, p. 402). L'eros ě un aspetto serio e importante della vita, che merita ogni considerazione. Ciö non significa che bisogna sottoporsi incondizionatamente alla spinta dell'istinto (o «concu-piscibile appetito»). E necessaria anche una resistenza: essa assume Faspetto dell'«onestä», che ě una virtu eminentemente sociale, e della «gentilezza», che ě invece una virtu individuale. (407) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 Contro ľipocrisia e contro I'eccesso L'ingegno L'ingegno come valore strumentale Boccaccio dunque conduce una lotta su due fronti: anzitut-to, e con maggiore energia, sul fronte delia ipocrisia e del-la censura sociale, rivendicando i diritti della natura e i propri di scrittore ehe ne riconosce ľimportanza; in secondo luogo, contro ľirragionevolezza delľeccesso, in favore di una convivenza sociale a forte impronta utopica , piu libera, ma non anarchica: a favore, insomnia, di un superiore compromesso fra natura e onestä, fra rispetto delle pulsioni e «virtü» sociali e individuali, fra liberazione degli istinti e loro controllo. Utopica L'aggettivo utopico si usa per qualificare qualcosa di perfetto ma difficilmente realiz-zabile. Deriva da Utopia, I'isola immaginaria del romanzo (1516) di Tommaso Moro, che era sede di un governo ideále. II nome coniato dall'umanista inglese deriva dalle parole greche u (non) e fopos (luogo). Utopia ě dunque I'isola, I'assetto politico, la civiltá che vorremmo ci fosse ma (anco-ra) non c'e. Un altro modo di controllare fortuna e natura ě dato - giä ľabbiamo accennato - dalľingegno individuale, cioě dalľawedutezza, dalľattivitä intelligente, dalľ«industria» del singolo. Se «onestä» e «gentilezza» sono «virtü» (cfr. itinerario linguistico), ľingegno ě una forza che puö essere a disposizione sia della «virtü» che del suo contrario. Nella guerra di tutti contro tutti aperta dalla concorrenza economica della nascente borghesia, ľingegno ě una forza anzitutto neces-saria e, per čerti versi, si direbbe, amorale. Di per sé ľingegno non ha una intrinseca eticitä: ě uno strumento che puö essere utilizzato in direzioni opposte (immorali o morali), ma nella sua neutralita etica ě comunque positivo perché dä alľuomo una possibilitä in piü nel confiitto con la fortuna e con la natura. Nei confronti delľingegno ľautore ha un atteggiamento simile a quello tenuto verso le «forze della natura»: di riconoscimento e di rispetto. Anche se la preferenza delľautore va verso ľim-piego delľingegno nel senso delľonestä e della gentilezza, come mostrano soprattutto le novel-le della Decima giornata, egli non esita a celebrarlo nelle novelle di motto e di beffa, mettendo alla berlina ľingenuitä di Calandrino o la dabbenaggine bigotta e ipocrita dei mariti. La pron-tezza di spirito, le argute risposte, la capacitä di salvarsi con un espediente e di sottolineare la stupidita altrui sono per Boccaccio dei valori strumentali attraverso i quali ľindividuo puö imporsi nel confiitto sociale e in parte sottrarsi al condizionamento della fortuna e della natura. Che poi ľuomo sia in grado di subordinarli ai valori finali (onestä, gentilezza), ě lasciato alla libertä e alla responsabilitä dei singoli. II significato di "virtü" Nel Decameron Boccaccio usa la voce "virtü" con il significato laico di 'gentilezza' e 'onestä'. "Virtü" ha perö molti altri significati. Derivata da latino virtus, virtutis (da vir, viri = uomo), la voce "virtü" ne mantiene anche il significato generale di 'insieme delle doti fisiche e morali caratteristiche dell'uo-mo' (bravura, valore, capacitä ecc.) e quello particolare di 'dote militare' (coraggio, prodezza ecc). Attestata per la prima volta in italiano nel XIII secolo (in Guittone), "virtü" ha ereditato dal cristianesimo i significati di 'disposizione a fare il bene' e di 'forza morale' (e quelli teologici di 'ordine angelico', 'miracoli che testimoniano la potenza divina'; nella teologia cattolica in particolare i valori di fe-de, speranza e caritä sono definiti "virtü teologali" e quel- li di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, "virtu cardinali"). Dante usa assai spesso la parola "virtu" con significati ere-ditati sia dalla tradizione classica che da quella cristiana. Un significato particolare la parola "virtu" assume in Ma-chiavelli (1469-1527): nel Principe, lo scrittore fiorentino intende per "virtu" la capacitá dell'uomo di controllare gli aspetti imprevedibili della realtá opponendosi alla "fortuna" (cioě al caso, alla sortě), ovvero la capacitá di proget-to assistita da una ragione storica. L'ingegno individuale, che per Machiavelli ě un valore in sé e il fondamento di una nuova etica, ě inteso invece da Boccaccio come uno strumento positivo ma amorale che deve essere subordinato alle virtu, ovvero alla onestá e alla gentilezza. [ 408 ) CAPITOLO 2 I II Decameron - Nátura, fortuna e In conclusione, la concezione boccacciana del mondo appare attraversata dalle esigenze di conflitto e di nuova conciliazione fra due diversi campi: da un lato quello delia nátura e delia fortuna, dalľaltro quello delle virtú sociali e individuali, e cioě delľonestä e delia gen-tilezza. Nel mezzo sta ľingegno, come strumento positivo a disposizione delľuomo, per čerti versi forza naturale e per altri espressione delia intelligenza, delľ«industria» e delia cultura individuali. Esso puô essere piegato al servizio delia nátura e degli istinti come nelle novelle delia Settima e delia Ottava giornata, ma puô anche essere posto al servizio delle «virtú» delia gentilezza e delľonestä come nelle novelle delia Decima giornata. I temi del Decameron La fortuna -» condizione sociale; imprevisti; eventi positivi J La natura -> carattere degli uomini; forze innate e pulsioni naturali J Ľamore -> forza delia natura; diverse manifestazioni delľamore; amori felici e infelici y Ľingegno -> intelligenza delľuomo contro fortuna e natura; irónia e astuzia; beffe e motti di spirito y Ľonestä -> stile di vita sereno e decoroso; celebrazione delia nobiltä ďanimo; condanna delľeccesso e delľipocrisia ^ 7 La ragione, la morale e la poetica del Decameron La nuova etica Una morale relativa e problem atica Ľassenza di una morale organica ed esplicita nel Decameron non significa mancanza di un atteggiamento etico. Ma la nuova etica si definisce appunto in questo: nel rifiuto del carattere di rigida precettistica ehe era proprio di quella vecehia e nella proposta di un comportamento piú aperto e problematico. Consideriamo per esempio La novella di Chichibio e lágru (T11, p. 504), La novella del cuore mangiato (cfr. § 4), nonché La novella di Griselda (T17, p. 537). In tutti questi casi, non siamo di fronte a un sistema di valori precostituito ehe serva a giudicare il comportamento dei personaggi: Chichibio ha compiuto un furto ma la prontezza delia sua battuta rappre-senta un valore capace di equilibrare quel disvalore; nella Novella del cuore mangiato il mari-to ehe uccide ľamante non ě piú giudicabile e condannabile con i criteri del passato, e il comportamento di tutti e tre i protagonisti risulta, da un punto di vista etico, difficilmente elassifieabile; lo stesso atteggiamento paziente ed esemplare di Griselda potrebbe, secondo il novellatore Dioneo, essere sostituito da un altro piú spregiudicato e piú adatto a far pentire il marito del suo insensato accanimento e delia sua «matta bestialitä». In tutti questi esempi appare una morale relativa e problematica ehe non obbedisce a una precettistica giä nota e accet-tata, sia essa di tipo religioso o cortese. ( 409 ] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 Funzione poliprospettica della struttura Compromesso fra nátura e «onestä», fra valori feudáli e valori borgfiesi La poetica del Decameron Intento edonistico e utilitario digit ■ TESTO L'autodifesa dell'autore Ě in gioco qui, evidentemente, la funzione poliprospettica della struttura complessiva dell'o-pera. La Scolastica e il tomismo non forniscono piú una risposta che permetta di interpretare in modo unitario e complessivo la realtä. La loro crisi lascia un vuoto; in questo vuoto, criterio di veritä diventa un razionalismo empirico, attraverso cui ě possibile giudicare solo caso per caso. Spesso, sia nella "super-cornice" che nella cornice, la ragione ě invocata come bussola orientante. Ma non ě piu la ragione sintetica e totalizzante del tomismo, ě una ragione anali-tica, che funziona come metodo, non come visione del mondo: ě uno strumento, non una ideológia generále né un sistema di valori. In questa situazione di crisi, dominata dalla caduta dei modelli sistematici di conoscenza e dal senso di precarietä e di instabilitä prodotto dalla peste e dal tracollo economico, la ragione ě lo strumento di cui la brigata si serve per ricostituire un nucleo di civiltä nella disgregazione di ogni valore. La ragione indica le virtu delľonestä e della gentilezza, da perseguirsi tuttavia in un equilibrio sia con le forze della natura, sia con le esigenze di affer-mazione delľindividualismo borghese e mercantile. II punto di compromesso fra natura e civiltä, ma anche fra valori feudáli e valori borghesi, ě mobile e vario, non stabilito una volta per tutte: dipende dalle circostanze, dalla fortuna, dalla natura, dall'ingegno dei singo-li: e va raggiunto ogni volta in un modo diverso. Per ricostruire la poetica del Decameron bisogna rileggere gli interventi dell'autore quando prende la parola in prima persona. II Proemio, Flntroduzione alia Prima giornata, Flntroduzione alia Quarta e infine le Conclusioni (cfr. DOC.©, p. 402) sono i punti di riferimento principáli. L'intento del Decameron ě edonistico (finalizzato al piacere) e utilitario: esso ě stato scritto per "dilettare" le donne, consolandole dagli affanni d'amore, ma anche per istruirle su cosa evitare e su cosa invece «seguitare» (perseguire). Per la prima volta nella letteratura medievale il carattere edonistico ě affermato con forza: accettare e rispettare l'esigenza del piacere ě d'altronde tema costante del libro. L'intrattenimento diventa una componente séria e ne-cessaria dell'opera ďarte, che cosi viene sottratta al campo della morale e della teológia. E infatti bisogna notare che anche il carattere utilitario assegnato al Decameron non ě di tipo precettistico e religioso, come nei secoli precedenti e anche nella Commedia dantesca: piut-tosto Boccaccio vuole, divertendo, indicare una serie di comportamenti che non hanno nulla di rigidamente esemplare ma piuttosto insegnano una morale razionale e relativistica di-pendente dalla varieta delle situazioni e dalla ricerca di un equilibrio, ogni volta diverso, fra le pulsioni delle forze naturali, le vicende imposte dalla fortuna e le esigenze di "onestä" del vi-vere civile. E dalla oggettivitä della rappresentazione, dalla misura con cui essa armonizza esigenze diverse dando decoro ed eleganza al basso e alľistintuale, che deve scaturire implici-tamente un insegnamento. Cosi il carattere edonistico e quello utilitario non sono in con-traddizione ma anzi si presentano complementari: dal piacere della rappresentazione e da quello corrispondente della lettura, dal gusto di vedere squadernata davanti alia fantasia la La poetica intento edonistico e utilitario morale razionale e relativistica [ 410 ) commedia sociále e realismo rappresentazione della realtä umana in prospettiva laica pluristilismo e plurilinguismo prevalenza dello stile CAPITOLO 2 > II Decameron varieta infinita dei casi della vita e delle soluzioni trovate per raggiungere un positivo equilibrio esistenziale, deve nascere una lezione ehe puô essere utile alle donne - e, owiamente, non solo a loro. Pluristilismo e Alia varieta delle situazioni corrisponderä una materia mista. Questa materia esigerä una pluralita di stili e quindi la prevalenza di quello "comico": e infatti ľautore parla di «istilo umilissimo e rimesso [basso]» (cfr. § 7). II pluristilismo e il plurilinguismo sono teorizzati nelle Conclusioni (cfr. § 21). Alia varieta della materia deve corrispondere la varieta delle soluzioni stilistiche e linguistiche. E ľintrinseca «qualitä» o nátura delle novelle a imporre, per esempio, di volta in volta, un determinato linguaggio. 8 La societa del Trecento e la "posizione" del Decameron Ľindividualismo e la nuova classe dei mercanti II Decameron e il mondo mercantile Crisi della borghesia Limiti della classe cortese II nascente individualismo borghese trova indubbiamente nel Decameron riconoscimento e legittimazione. L'intraprendenza, Fintelligenza, la prontezza, l'astuzia, la ragione empirica e analitica, vale a dire le qualitá umane esaltate dalla nuova classe dei mercanti, vi trovano una considerazione che non sarebbe possibile rintracciare nella Commedia. E stato scritto che nel Decameron «per la prima volta nella letteratura europea riceve alta con-sacrazione» la «ricchissima vita mercantile fra il Duecento e il Trecento», che aveva il proprio «epicentro in Firenze» e che il giovane Boccaccio aveva direttamente sperimentato attraverso Fattivita mercantile e finanziaria svolta dal padre, socio della grande compagnia dei Bardi (Branca). Anzi il Decameron sarebbe una vera e propria «epopea dei mercanti» (ancora Branca). Questa tesi ě accettabile solo con qualche importante correzione. E fuori di dubbio il rapporto che lega Fopera all'ideologia della nuova borghesia fra Duecento e Trecento. La prospettiva pienamente laica con cui vi ě considerata la realtá umana ě in effetti inseparabile dalla nuova mentalita del ceto mercantile. Tuttavia ě anche vero che la borghesia italiana e soprattutto quella fiorentina attraversavano nel Trecento una crisi di sviluppo che raggiunse il suo momento phi grave proprio nel decen-nio immediatamente precedente Felaborazione del Decameron (1340-1350), con la bancarotta dei Bardi e dei Peruzzi, in cui fu implicato anche il padre di Boccaccio. E la peste e le sue con-seguenze economiche (cfr. p. 349) aggiunsero altri motivi di crisi, contribuendo al processo di rifeudalizzazione della societa italiana. Insomma, la borghesia dell'eta di Boccaccio non era certo in ascesa, né sembrava in grado di elaborare una nuova visione del mondo, dopo la di-sgregazione del sistema tomistico. Nessuna «epopea», dunque: venuta meno la febbre com-petitiva e accumulativa dei decenni precedenti, agli occhi di Boccaccio la borghesia mercantile si presenta piuttosto con caratteri di «avarizia» e di «alienazione» (Muscetta). E se egli non si vergogna della sua classe non ne ě neppure orgoglioso. D'altra parte, la classe cortese che ancora era portatrice di valori di onestá e di gentilezza ap-parteneva in buona misura al passato: la mancanza di iniziativa economica, la tendenza a spen-dere invece che a investire, la liberalitá condotta sino alio sperpero non sfuggivano certo all'at-tenzione di Boccaccio. Un personaggio come Federigo degli Alberighi (cfr. T10, p. 496) riflette appunto questa situazione sociále. C411 ] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 La sintesi utopica: un compromesso fra valori borghesi e aristocratici Ma proprio la soluzione di questa novella lascia intravvedere la sintesi, in buona misura utopica, a cui mirava Boccaccio. Egli aspirava in realtä a una nuova aristocrazia capace di accogliere e di equilibrare i valori cortesi delia vecchia nobiltä e lo spirito di intrapren-denza del nuovo individualismo borghese: Federigo degli Alberighi sembra porsi sulla strada giusta sposando infine una ricca borghese e divenendo «miglior massaio». L'onestä e la gentilezza cortesi dovevano divenire qualitä di un'élite borghese, secondo ľesempio della brigata dei dieci giovani novellatori. Boccaccio tendeva cosi a conciliare le due principáli esperienze della propria vita: quella cortese della giovinezza a Napoli e quella borghese delľinfanzia e della maturita fiorentine. 9 La prosa del Decameron: il linguaggio, la sintassi, le strutture narrative Retorica classica e il ricorso al ritmo metri co Caratterizzazione geolinguistica e sociolinguistica dei personaggi II bilanciamento fra linguaggio "alto" e "basso" Attraverso lo studio di Macrobio e soprattutto di Quintiliano e di Cicerone e attraverso l'espe-rienza dei volgarizzamenti (in particolare quello di Tito Livio), Boccaccio aggiunge agli elemen-ti della retorica medievale, prevalenti nelle opere giovanili, quelli della retorica classica. Sono questi ultimi, piú dei primi, a informare la prosa del Decameron. In generále Boccaccio tende ora a preferire il ritmo armonioso e concluso e le ampie volute dell'ipotassi, particolarmente nella "cornice" e nelle novelle tragiche, dove il linguaggio si innalza soprattutto nei discorsi piu impegnati dei personaggi nobilmente esemplari (un esempio: quello di Ghismunda, T6, p. 460). Frequente poi ě il ricorso al ritmo metrico, specialmente quello determinato dagli endecasilla-bi. Fanno parte di questa scelta imitante la prosa latina il verbo posto alia fine del periodo, l'uso degli iperbati, di inversioni e di disgiunzioni. Tuttavia nella prosa del Decameron non mancano aspetti diversi e opposti. Essa per esempio tende a essere frammentaria, agile, mimetica, incline al parlato o al colloquiale nelle novelle d'azione e di beffa: in questo caso non mancano gli anacoluti, le costruzioni a senso, i solecismi sintattici. Anche il linguaggio in questi casi tende a divenire piu basso, immediato e realistico, con qualche cedimento al gergale o al dialettale. Né manca la caratterizzazione geolinguistica dei personaggi: per esempio, Chichibio parla in un veneziano cantilenante a Brunetta, nella cucina di messer Currado (cfr. T11, p. 504). Si noti che comunque questa non ě una costante né, tanto meno, una regola: a esempio, nel racconto di Andreuccio, pur ambientato nella cittá partenopea, mancano i napoletanismi. Altre volte il linguaggio contribuisce alia caratterizzazione sociále dei personaggi: si veda, per esempio, il linguaggio cortese di Federigo degli Alberighi cfr. T10, p. 496). Dunque al pluristilismo corrisponde il plurilinguismo: come lo stile elevato e la sintassi ipotattica non escludono gli anacoluti e la vivacitá del parlato, cosi il linguaggio nobile si ac-compagna a quello basso e realistico. In genere la retorica e l'uso del fiorentino equilibrano la vivacitá espressiva e il realismo "comico". Si puó dire anzi che, non solo a livello generále e complessivo dell'opera, ma anche nelle singole novelle si assiste a questo bilanciamento. II ri-sultato ě un linguaggio medio elegante che tende a cercare una sintesi fra gli estremi, pur entrambi presenti, dell'alto e del basso. [ 412 ) CAPITOLO 2 I II Decameron 10 II Proemio e I'lntroduzione alia Prima giornata II proposito dell'autore La situazione eccezionale in cui i dieci giovani s'incontrano II sereno distacco e I'elegante misura La proposta di Pampinea alle sei compagne I dieci giovani si recano in un palazzo del contado II Proemio comincia con queste parole: «Umana cosa e aver compassione degli afflitti». L'au-tore si propone infatti di consolare le donne afflitte da pene d'amore. Egli ricorda d'aver sofferto, pure lui, nella giovinezza, a causa dell'amore e di essere stato consolato dai «piacevoli ragionamenti d'alcuno amico». Ora che il fuoco della passione si e smorzato, puö egli stesso essere d'aiuto ad altri e soprattutto alle donne che non hanno la pos-sibilitä di distrarsi con gli affari e con la politica, riservati agli uomini. Nello stesso tempo, egli si propone anche di insegnare loro che cosa esse devono «fuggire» e che cosa invece «se-guitare» (cioe perseguire; cfr. T1, p. 414). Comincia poi la Prima giornata. Essa e introdotta dall'autore, il quale racconta l'occasione che ha permesso ai dieci giovani di incontrarsi. Solo avendo chiara la situazione eccezionale di orrore e di disgregazione morale provocata dalla pestilenza e dal suo dilagare si puö capire, infatti, il significato del progetto intrapreso dalle sette ragazze e dai tre giovani. Essi appartengono all'agiata e ben educata borghesia citta-dina. Andandosene da Firenze, non intendono tanto evitare i rischi del contagio (che non sono meno gravi nel contado che nella cittä) quanto dimenticarlo e cosi poter continuare a ispirare la loro vita a criteri di misura, di ragionevolezza, di decoro, di «onestä», in contrasto con lo sfacelo, con la volgaritä e con la corruzione circostanti. Anche il carattere licenzioso di alcuni racconti non puö essere separate da questo clima gene-rale in cui, come dice Fautore, si erano allargate «le leggi al piacere» a causa dell'imminenza della morte; e d'altra parte i giovani godono e ridono delle situazioni scabrose che sono ogget-to di narrazione mantenendo sempre un sereno distacco e una elegante misura. L'autore e dunque costretto a un «orrido cominciamento», vale a dire alia descrizione della peste a Firenze, a cui presto seguirä «la dolcezza e il piacere» dei racconti (cfr. T2, p. 417). Dopo aver delineato il quadro generale della cittä colpita dalla pestilenza, viene rappresentato l'incontro fra le sette donne nella chiesa di Santa Maria Novella. Pampinea propone di segui-re la ragione («a niuna persona fa ingiuria chi onestamente usa la ragione») e di lasciare la cittä. Infatti la «natural ragione» suggerisce di «aiutare e conservare e difendere» la propria vita. Non ha senso restare abbandonate in una cittä dove ormai regnano violenza, volgaritä, corruzione, desolazione, e dove non e piü possibile «fare distinzione alcuna» fra «cose oneste» e «quelle che oneste non sono». Meglio recarsi nel contado e qui vivere il phi piacevolmente possibile senza perö mai «trapassare in alcun atto il segno della ragione». Le altre sei concordano con Pampinea, anche se Elissa preferirebbe che alia compagnia si aggiungesse qualche uomo. Proprio in quel momento sopraggiungono Panfilo, Filostrato e Dioneo, i quali accettano di ag-gregarsi alia brigata delle donne. All'obiezione di Neifile, la quale trova poco conveniente la convivenza in uno stesso posto di donne e uomini e teme la pubblica maldicenza, Filomena risponde che come criterio di valore in campo morale deve contare solo la voce della propria coscienza. Cosi il giorno dopo, mercoledi mattina, i dieci giovani partono e si recano in un bei palazzo collocato in un luogo ameno, con boschi e acque. Hanno portato con se alcuni servitori, ai quali spettano il rassetto delle stanze, la pulizia, Fapprowigionamento, la cottura dei cibi, il servizio in tavola. (413] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 II Proemio: dedica del Decameron alle donne OPERA Decameron CONCETTI CHIAVE • la scelta delle donne come pubblico privilegiato dell'opera • esposizione della struttura narrativa Boccaccio nel Proemio si rivolge alle donne come lettrici privilegiate del Decameron: questa scelta rivela la consapevolezza con cui Boccaccio si accinge a definire il nuovo genere narrativo della novella, destinato a un pubblico nuovo, non di specialisti, ma socialmente e culturalmente elevato, in cui le donne assumono per la prima volta un ruolo esplicitamente importante. L'appello alle donne inoltre e connesso alia materia erotica - nella tradizione cortese la donna e asso-ciata all'amore e alia gentilezza - e alia finalita dell'opera che vuole piacere e consolare, soddisfare bisogni psicologici e fantastici, particolarmente diffusi in questo tipo di pubblico. E chi negherá questo, quantunque egli si sia, non molto piú alle vaghe donne che agli uomini con-venirsi donare?1 Esse dentro a' dilicati petti, temendo e vergognando,2 tengono Famorose fiamme nascose, le quali quanto piú di forza abbian che le palesi coloro il sanno che Fhanno provate3 e oltre 5 a ció, ristrette4 da' voleri, da' piaceri, da' comandamenti de' padri, delle madri, de' fratelli e de' mariti, il piú del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora,5 seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non ě possibile che sempře sieno allegri. E se per quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopraviene nelle lor menti,6 in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragiona- 10 menti non ě rimossa:7 senza che8 elle sono molto men fořti che gli uomini a sostenere,9 il che degli innamorati uomini non awiene, si come noi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello,10 per ció che11 a loro, volendo essi, non manca Fandare a torno,12 udire e veder molte cose, uccellare,13 cacciare, pescare, cavalcare, giucare o mercatare:14 de' quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in 15 tutto o in parte, Fanimo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, con un modo o con altro, o consolazion sopraviene o diventa la noia minore. Adunque, acció che in parte per me samendi il peccato della fortuna,15 la quale dove meno era di forza,16 si come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi piú avara fu di sostegno, in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ció che alFaltre ě assai Fago e '1 fuso e Farcolaio,17 1 E chi...donare: E chi neghera che questo conforto [: il conforto che si da a chi soffre le pene d'amore], per piccolo che sia, non con-venga donarlo alle leggiadre donne molto piii che agli uomini? 2 temendo e vergognando: timide e ver-gognose. 3 le quali...provate: le quali [: le fiamme d'amore nascoste] quanta piii forza abbiano di quelle palesi lo sanno quelli che le hanno provate. 4 ristrette: oppresse. 5 volendo...ora: desiderando e nello stes-so tempo rifiutando il loro desiderio. 6 E se...menti: E se, attraverso quei pensieri, una qualche malinconia, provocata da ( 414 ) unardente passione, subentra nelle loro menti. 7 in quelle...rimossa: accade necessaria-mente che con grande dolore (malinconia) dimori nelle loro menti, se non e allontanata da nuovi ragionamenti. 8 senza che: senza dire che. 9 sostenere: sopportare. 10 da alleggiare...quello: per alleggerire o scacciare la malinconia o la gravezza dei pensieri. 11 per ció che: perché. 12 non manca...torno: non manca la possibilitá di andarsene in giro. 13 uccellare: caccia agli uccelli con falco-ni, reti e panie. 14 giucare o mercatare: giocare o com-merciare. 15 actio che...fortuna: perché in parte io possa riparare (s'amendi) alia colpa della sorte. 16 dove...forza: dove c'era meno forza. 17 quivi...arcolaio: qui [: nelle donne] fu (la sorte) piú avara di aiuto, per soccor-rere e proteggere quelle [: le donne] che amano, poiché alle altre [: altre donne] bašta il lavoro con ľago, ilfuso e ľarcolaio. Si contrappongono qui le donne di ceto basso, alle quali é sufficiente cucire e filare per vivere, alle donne dilicate, che possono vivere solo amando, secondo la tradizione cortese. CAPITOLO 2 I II Decameron 20 intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccon-tate in diece giorni da una onesta brigata18 di sette donne e di tre giovani nel pistelenzioso tempo delia passata mortalita fatta,19 e alcune canzonette dalle predette donne cantare al lor diletto.20 Nelle quali novelle piacevoli e aspri21 casi ďamore e altri fortunati22 avvenimenti si vederanno cosi ne' moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le giä dette donne, 25 che queste leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli23 cose in quelle mostrate e utile consiglio24 potranno pigliare, in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare25 le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire.26 II che se awiene, che voglia Idio che cosi sia, a Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da' suoi legami m'ha conceduto il potere attendere a' lor piaceri.27 G. Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Einaudi, Torino 1992. 18 onesta brigata: comitiva decorosa. 21 19 nel pistelenzioso...fatta: costituitasi 22 nella pestilenziosa stagione della passata 23 epidémia [: la peste del 1348], 24 20 al lor diletto: a lor piacere. 25 aspri: avversi. fortunati: avventurosi. sollazzevoli: piacevoli. consiglio: insegnamento. seguitare: seguire, imitare. 26 senza...intervenire: non credo che possano avvenire senza chepassino i loro af-fanni. 27 m'ha conceduto...piaceri: mi ha con-cesso di potermi oceupare dei loro piaceri. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TĚSTO_ Un'opera dal doppio inizio Alcune opere presentano un doppio inizio. Si pensi ai Promessi sposi di Manzoni: Yincipit ě il bráno dellAnonimo secentesco riportato dalľautore per dare al lettore ľidea che la storia raccontata ě tratta da un manoseritto ritrovato casualmente oppure la celebre deserizione del lago di Como che apre il primo capitolo? A volte ľautore si serve di un modo duplice di introdurre la propria opera, uno sulla soglia esterna di essa e ľaltro su quella interna. Spesso uno ě piú teorico e astratto, mentre ľaltro ě piú narrativo e concreto. E cosi anche con il Decameron. Da un lato, sulla soglia esterna, abbiamo il Proe-mio contenente la dediča dell'opera alle donne, dalľaltro, su quella interna, ľlntroduzione alia Prima giornata, contenente ľantefatto narrativo delle vicende che si svolgono nella cornice e che hanno come protagonisti i dieci novellatori. Tale antefatto ě costituito dalla peste che colpisce Firenze e induce la brigata dei dieci giovani a cercare rifugio in campagna e poi a passare il tempo raccontandosi cento novelle (cfr. T2, p. 417). Le donne come interlocutrici Nel Proemio, con cui si apre il Decameron, Boccaccio, in modo esplicito, chiama in causa le donne come destinatarie culturali privilegiate dell'opera e come coloro che possono trarne maggior van-taggio e diletto. Alle donne per la prima volta viene assegnato apertamente il ruolo e il valore di let-trici di riguardo nel campo della letteratura e in particolare della novellistica. Cosi, grazie a Boccaccio, le donne sono annoverate, in modo speeifico e dichiarato, tra i destinatari di un'opera letteraria e in particolare di un'opera che ha come argomento ricorrente ľamore e la sessualitä. La novella e la letteratura di consumo Boccaccio annuncia, con uno stile caratterizzato da un periodare complesso, che risente dello studio della retorica classica di Quintiliano e di Cicerone, che, per dilettare e per consolare le donne, afflitte in misura maggiore degli uomini dalla noia e dalle pene d'amore, intende «raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo». Questo ricorso alia novella quale strumento di intratteni-mento ameno ě tipico di un'epoca in cui si assiste ad un allargamento del pubblico dei lettori fra i settori (415) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 del ceto borghese colto e finanziario e anche fra le donne, che in genere conoscevano solo il volgare: il latino infatti era la lingua degli ambiti giuridici, preclusi alia categoria femminile. La laicizzazione della societa e della letteratura, a cui si assiste nel Trecento, va di pari passo con la democratizzazione della cultura. Lopera ďarte e la narrativa si aprono verso nuovi spazi e nuovi temi, rispondendo a esigenze di consumo piú ampio e di intrattenimento. Esse si svincolano progressivamente dal campo della morale tradizionale e della teológia e ai motivi edificanti della scrittura e della lettura si vanno sostituendo quel-li del puro duetto. L'evocazione di un dio pagano al fianco del Dio cristiano Boccaccio, a conclusione del Proemio, anticipa il contenuto di argomento erotico delle sue novelle («pia-cevoli e aspri casi ďamore e altri fortunati avvenimenti»). Queste ultime avranno lo scopo di procurare alle donne «diletto delle sollazzevoli cose in quelle [novelle] mostrate»; avranno inoltre il compito di dare «utile consiglio» rispetto a quanto le donne devono «fuggire», ossia evitare, e rispetto a quanto devo-no «seguitare», ossia perseguire, nelle loro esperienze personali, per trovare sollievo agli affanni d'amore. E a questo punto che Boccaccio chiama in causa Fintervento del «dio Celeste» della tradizione cristiana e del dio Amore della tradizione classica e mitologica. Ad entrambi sono attribuite prerogative forti, at-testate dai due verbi "volere" e "potere". Al "volere" del Dio celeste ě subordinato il superamento degli affanni d'amore da parte delle donne. Ma ě il dio pagano, Amore, che concede alio scrittore il «potere» di sollevare quelle Stesse donne dalle pene d'amore, procurando loro piacere. A veder bene, il Dio della tradizione cristiana ě evocato da Boccaccio non per condannare la passione terrena e sensuale dell'amo-re (non ě dunque un Dio che giudica), ma per aiutare le donne perché si liberino non dell'amore, ma dall'affanno d'amore. L'amore nel Decameron ě un bene e un valore in sé, perché risponde a una esigenza della natura, e dunque prescinde non solo dai valori attribuitigli dalla tradizione cristiana, ma anche da quelli della tradizione cortese e stilnovistica. La natura, Fistinto, il piacere vengono rivalutati; e in questo ambito ě all'Amore (Eros) della tradizione mitologica che Boccaccio sembra riconoscere una funzione autonoma e un autonomo "potere". LAVORIAMO SUL TESTO_ Comprensione e analisi 1. UeW'incipit del Decameron Boccaccio disegna il ritratto della condizione femminile nel suo tempo e nella sua cittä. Rintraccia nel passo del Proemio riportato qui di seguito: a) le parole e le espressioni che alludono alia situazione oggettiva di "chiusura" delle donne nell'ambito familiäre; b) le parole e le espressioni che indicano la situazione psicologica delle donne. «E chi neghera questo [conforto alle pene d'amore], quantunque egli si sia, non molto piü alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare? Esse dentro a' dilicati petti, temendo evergognando.tengono I'amo-rose fiamme nascose, le quali quanto piü di forza abbian che le palesi coloro il sanno che I'hanno pro-vate e oltre a ciö, ristrette da' voleri, da' piaceri, da' comandamenti de' padri, delle madri, de' fratelli e de' mariti, il piü del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oziose sedendo-si, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non ě possibile che sempře sieno allegri» (righi 1 -8). 2. Confrontare ► A contrasto con la condizione femminile, Boccaccio ritrae quella degli uomini (righi 10-16). Quale differenza rileva tra gli uomini e le donne nel gestire la sofferenza ďamore? 3. Come definisce Boccaccio le sue narrazioni? Interpretazione e commento 4. Argomentare ► «Nelle quali novelle piacevoli e aspri casi ďamore e altri fortunati avvenimenti si vederanno cosi ne' moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le giá dette donne, che queste leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare, in quanto potranno cognosces quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire». Individua nel passo citato le definizioni dei punti fonda-mentali del Decameron (argomento, destinatari, diletto e utile dell'opera) e scrivi un breve těsto. (416) CAPITOLO 2 I II Decameron T2 La descrizione della peste OPERA Decameron, I, Intr. CONCETTI CHIAVE • una rappresentazione puntigliosamente realistica • le diverse reazioni provocate dal la peste Si riporta qui un brano della Introduzione alia Prima giornata. II fine artistico e in Boccaccio evidente e persino esclusivo; e semmai egli punta sul meraviglioso e sul curioso, e sull'osservazione esatta e realistica dei costumi. Si veda I'episodio dei due maiali che muoiono appena hanno toccato i panni di un appestato, o si pensi alle considerazioni dell'autore sulla mancanza di pudore nelle donne amma-late. Si direbbe che la curiositä per gli infiniti aspetti che l'umanitä rivela in una situazione eccezionale prevalga sulla commozione. Lo spettacolo di sfacelo e di disgregazione di ogni tessuto sociale e morale attrae il suo vivissimo interesse prima di ogni altra considerazione d'ordine etico o patetico; ed e funzionale alia dimostrazione dell'«onestä» della brigata giovanile che si sforza, invece, fuggendo tale desolazione, di restare fedele a un suo ideale di decoro e di ragionevolezza. Dico1 adunque ehe giä erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio2 al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia cittä di Fiorenza,3 oltre a ogn'al-tra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenzada quale, per operazion de' corpi superioři o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mor-5 tali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata,4 quelle d'inumerabile quantitä de' viventi avendo private, senza ristare d'un luogo in un altro continuandosi, verso I'Occidente miserabilmente sera ampliata. E in quella non valendo alcuno senno né umano provedimento, per lo quale fu da molte immondizie purgata la cittä da oficiali sopra ciô ordinati e vietato ľen-trarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazion della sanita, né ancora 10 umili supplicazioni non una volta ma molte e in processioni ordinate, in altre guise a Dio fatte dalle divote persone, quasi nel principio della primavera dell'anno predetto orribilmente co-minciô i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a dimostrare. E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento ďessa a' maschi e alle femine parimente o nella angui- 15 naia e sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come un uovo, e alcune piú e alcun'altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. IparafrasiI Dico dunque che gli anni trascorsi dalla benefica Incarnazione di Cri-sto erano giunti giä al numero di 1348, quando nella nobile cittä di Fi-renze, la piú bella di tutte le cittä italiane, si diffuse l'epidemia mortale [: la peste]: la quale, inviata sugli esseri umani o per influsso degli astri (per operazion de' corpi superioři) o dalla giusta ira di Dio come punizione delle nostre colpe per correggerci, iniziata alcuni anni prima in Oriente, dopo aver sterminato un gran numero di uomini, dilagando senza arrestarsi da un luogo all'altro, si era diffusa in Occidente con terribili conseguenze (miserabilmente). E poiché contro di essa non servivano né senno né prowedimenti umani, in conseguenza dei quali la cittä fu ripulita da molte immondizie a opera di funzionari a ciô [: alľigiene pubblica] prepošti e fu vietato ai malati ľaccesso e furono dati molti consigli per conservare la salute, e ancora non servendo a nulla umili suppliche fatte a Dio non una volta ma molte dalle persone devote in processioni ordinate e in altri modi, quasi al principio della primavera dell'anno sopra ricordato orribilmente incomincio a rao-strare i suoi effetti dolorosi in modo straordinario. E [si manifesto] in modo diverso da come aveva fatto in Oriente, dove, se a qualcuno usciva sangue dal naso, era un sintomo sicuro di morte inevitabile: ma all'inizio comparivano, ugualmente negli uomini e nelle donne, alcuni gonfiori (enfiature) all'inguine (anguinaia) o sotto le ascelle (ditella), alcuni dei quali si ingrossavano come una mela di media grandezza (comunal), altri come un uovo, alcuni piu e altri meno. [Tali gonfiori] erano chiamati dalla gente del popolo (i volgari) gavaccioli. 1 Dico: é un modulo retorico, solenne. 2 fruttifera...Dio: a Firenze infatti si face-va iniziare l'anno dall'Annunciazione (25 aprile), non dal Natale. 3 Fiorenza: la elevatezza del tono giusti-fica qui l'uso della forma latineggiante «Fio-renza» al posto di "Firenze". 4 parti orientali incominciata: l'epide- mia ebbe origine in Asia, nel 1346 (alquanti anni davanti: in realtä due anni prima); navi provenienti dalla Siria la portarono in Sicilia, da dove si diffuse in tutta Europa. (417) PARTE SECONDA > Ľautunno del Medioevo 1310 -> 1380 E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciô il giä detto gavocciolo mor-tifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire e da questo appresso s'in-cominciô la qualitä delia predetta infermitä a permutare in macchie nere o livide, le quali 20 nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era cer-tissimo indizio di futura morte, cosi erano queste a ciascuno a cui venieno. A cura delle quali infermitä né consiglio di medico né virtú di medicina alcuna pareva ehe valesse o facesse profitto: anzi, o ehe nátura del malore nol patisse o ehe la ignoranza de' 25 medicanti (de' quali, oltre al numero degli scienziati, cosi di femine come ďuomini senza avere alcuna dottrina di medicina avuta giammai, era il numero divenuto grandissimo) non cono-scesse da ehe si movesse e per consequente debito argomento non vi prendesse, non solamen-te pochi ne guarivano, anzi quasi tutti infra '1 terzo giorno dalla apparizione de' sopra detti segni, chi piú tosto e chi meno e i piú senza alcuna febbre o altro accidente, morivano. E fu 30 questa pestilenza di maggior forza per ciô ehe essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s'awentava a' sani, non altramenti ehe5 faccia il fuoco alle cose secehe o unte quando molto gli sono avvicinate. E piú avanti ancora ebbe di male, ché non solamente il parlare e ľusare cogli infermi dava a' sani infermitä o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella 35 cotale infermitä nel toccator trasportare. Maravigliosa cosa ě a udire quello ehe io debbo dire: il ehe, se dagli ocehi di molti e da' miei non fosse stato veduto, appena ehe io ardissi di ereder-lo, non ehe di scriverlo, quantunque da fededegna udito ľavessi. Dico ehe di tanta efficacia fu la qualitä delia pestilenzia narrata nello appiccarsi da uno a altro, ehe non solamente ľuomo alľuomo, ma questo, ehe ě molto piú, assai volte visibilmente fece, cioe ehe la cosa delľuomo 40 infermo stato, o morto di tale infermitä, tocca da un altro animale fuori delia spezie delľuomo, non solamente delia infermitä il contaminasse ma quello infra brevissimo spazio uccidesse. IparafrasiI E [partendo] dalle due parti del corpo prima nominate [: l'inguine e le ascelle], in poco tempo (infra brieve spazio) il soprannomina-to gavacciolo mortale cominciava a nascere e a svilupparsi (venire) in ogni altra parte del corpo indistintamente: e dopo ciô (e da questo appresso) il sintomo (la qualitä) delia malattia in questione cominciava a mutarsi in macchie nere o livide, che a molti compa-rivano nelle braccia, nelle cosce e in ogni altra parte del corpo, a chi (a cui) grandi e rade e a chi piecole e numerose. E come inizialmen-te il gavocciolo era stato, e ancora era, indizio certissimo di futura morte, cosi lo erano pure queste [: le macchie] per ogni persona a cui venivano. A curare tali infermitä non pareva valere o essere utile né consiglio medico né virtú di medicina: anzi, o che la nátura del male non lo permettesse, o che ľignoranza dei medici (dei quali, oltre ai pro-fessionisti (scienziati), era divenuto grandissimo il numero, [parlo] sia di donne che di uomini che non avevano mai avuto nessuna no-zione di medicina) non conoscesse la sua causa, e di conseguenza non fosse capace di prendere adeguato rimedio (argomento), non solamente ne guarivano pochi, ma anzi quasi tutti morivano entro il terzo giorno dall'apparizione dei segni suddetti, chi piü rapidamen-te chi meno, e la maggior parte senza febbre o altro sintomo. E questa pestilenza ebbe maggiore virulenza perche si propagava, per contatto, dai malati ai sani, come (non altramente) fa il fuoco con le cose secche o unte quando gli sono avvicinate molto. E l'epidemia ebbe un'estensione ancora maggiore perche non solo il parlare o l'a-vere contatti con i malati faceva ammalare i sani ed era causa di morte comune, ma anche il toccare i panni o qualunque cosa fosse stata toccata o adoperata dai malati pareva trasferire (trasportare) la malattia in chi Ii aveva toccati. E cosa straordinaria e terribile udire ciö che debbo dire: il che, se non fosse stato veduto dagli occhi di molti e dai miei, appena ardirei di crederlo nonche di scriverlo, pur avendolo sentito da persona degna di fede (fededegna). Dico che la capacitä di contagio (appiccarsi da uno a altro) della pestilenza di cui ho parlato fu talmente potente che non soltanto l'uomo [la con-tagiava] all'uomo, ma ebbe, visibilmente, effetti ancora piü ampi, cioe che un oggetto di un uomo ammalato, o morto di tale malattia, toc-cato (tocca) da un altro animale di specie diversa dall'uomo, non solo gli contagiava la malattia, ma lo uccideva in pochissimo tempo. 5 non altramenti che: la similitudine con cose secche o unte» é in Inf. XIX, 28: «Qual la rapiditä con cui il fuoco si avventa «alle suole il fiammeggiar de le cose unte». [ 418 ) CAPITOLO 2 > II Decameron - Di che gli occhi miei, si come poco davanti ě detto, presero tra 1'altre volte un di cosi fatta esperienza: che, essendo gli stracci ďun povero uomo da tale infermitá morto gittati nella via pubblica e awenendosi a essi due porci, e quegli secondo il lor costume prima molto col grifo 45 e poi co' denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola ora appresso, dopo alcuno awolgi-mento, come se veleno avesser preso, amenduni sopra li mal tirati stracci morti caddero in terra. [...] Nel capoverso non antologizzato Boccaccio descrive i diversi modi in cui i cittadini, «variamente opi-nanti», si comportavano di fronte alia peste. Vi erano coloro che cercavano di vivere il piú sobriamente possibile, rinchiudendosi dentro case in cui non vi erano malati e quasi interrompendo ogni contatto col mondo esterno; altri che, al contrario, si davano alia pazza gioia, bevendo e mangiando smodata-mente, soddisfacendo ogni altro appetito, beffandosi di quanto accadeva ed evitando comunque gli appestati; una terza via, mediána, era seguita da coloro che non si limitavano nel mangiare quanto i primi e non si abbandonavano al bere e agli eccessi quanto i secondi e usavano, a scopo profilattico, erbe odorifere che annusavano frequentemente. Altri ancora ritenevano che contro le pestilenze non vi fosse nessuna altra medicina migliore che fuggire, per cui si rifugiavano nel contado di altre cittá o almeno della loro. E come che questi cosi variamente oppinanti non morissero tutti, non per ció tutti campa-vano: anzi, infermandone di ciascuna molti e in ogni luogo, avendo essi stessi, quando sani 50 erano, essemplo dato a coloro che sani rimanevano, quasi abbandonati per tutto languieno. |parafrasiI Della qual cosa i miei stessi occhi, come poco fa si e detto, fecero una volta questa esperienza (presero...esperienza): che, essendo [stati] gettati sulla pubblica via gli stracci di un povero uomo morto di tale malattia, ed essendosi imbattuti in (awenendosi a) essi due porci, e avendoli quei [porci] secondo la loro abitudine (costume) toccati a lungo prima con il muso (grifo) e poi, presili con i denti, agitati qua e la (scossiglisi alle guance), in breve tempo, dopo qualche convulsione (awolgimento), come se avessero pre- so del veleno, entrambi (amenduni) caddero a terra morti sopra gli stracci sventuratamente (mal) afferrati. [...] E benché di costoro dalle opinioni cosi diverse [: sul modo di evi-tare il contagio], non morissero tutti, non per questo tutti soprav-vivevano, anzi, ammalandosene di ciascuna opinione molti e in ogni luogo, avendo dato essi stessi, prima di ammalarsi (quando sani erano), esempio a coloro che rimanevano sani [: abbando-nando i malati a se stessi], languivano quasi abbandonati da tutti. © Jacopo Oddi, San Francesco e tre francescani si prendono cura delle vittime della peste (part.), miniatura dal codice detto "La Franceschina", 1474. Perugia, Biblioteca Comunale Augusta. Lepidemia di peste che si diffuse in Europa tra il 1347 e 1351 ě stata la peggiore e piu famosa della storia e ha causato mi-gliaia di vittime, che spesso si ammalarono e morirono nell'ar-co di qualche giorno o poche ore. La malnutrizione e la mancanza di norme igieniche adeguate fornirono un terreno fertile al rapido diffondersi del morbo. Agli inizi del 1348 la peste raggiunse cittá come Parigi e Lon-dra. La mortalita fu altissima e almeno un terzo della popola-zione europea mori. PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 E lasciamo stare che 1'uno cittadino 1'altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell'altro cura e i parenti insieme rade volte e non mai si visitassero e di lontano: era con si fatto spavento questa tribulazione entrata ne' petti degli uomini e delle donne, che 1'un fratello 1'altro abban-donava e il zio il nepote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e, che 55 maggior cosa e e quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano.6 Per la qual cosa a coloro, de' quali era la moltitudine inesti-mabile, e maschi e femine, che infermavano, niuno altro subsidio rimase che o la carita degli amici (e di questi fur pochi) o 1'avarizia de' serventi, li quali da grossi salari e sconvenevoli tratti servieno, quantunque per tutto cio molti non fossero divenuti: e quegli cotanti erano 60 uomini o femine di grosso ingegno, e i piu di tali servigi non usati, li quali quasi di niuna altra cosa servieno che di porgere alcune cose dagl'infermi adomandate o di riguardare quando morieno; e servendo in tal servigio se molte volte col guadagno perdeano. E da questo essere abbandonati gl'infermi da' vicini, da' parenti e dagli amici e avere scarsita di serventi, discor-se uno uso quasi davanti mai non udito: che niuna, quantunque non leggiadra o bella o gentil 65 donna fosse, infermando non curava d'avere a' suoi servigi uomo, qual che egli si fosse o giovane o altro e a lui senza alcuna vergogna ogni parte del corpo aprire non altramenti che a una femina avrebbe fatto, solo che la necessita della sua infermita il richiedesse; il che in quelle che ne guerirono fu forse di minore onesta, nel tempo che succedette, cagione.7 E oltre a questo ne seguio la morte di molti che per avventura, se stati fossero atati, campati sarieno; 70 di che, tra per lo difetto degli oportuni servigi, li quali gl'infermi aver non poteano, e per la forza della pistolenza, era tanta nella citta la moltitudine di quegli che di di e di notte morieno, che uno stupore era a udir dire, non che a riguardarlo. Per che, quasi di necessita, cose con-trarie a' primi costumi de' cittadini nacquero tra coloro li quali rimanean vivi. G. Boccaccio, Decameron, cit. IparafrasiI E lasciamo stare [il fatto che] un cittadino evitasse (schifasse) 1'altro e quasi nessun vicino avesse cura dell'altro e anche i parenti si faces-sero visita raramente o mai e [comunque rimanendo] a distanza: questa preoccupazione era entrata con cosi grande paura nei cuori degli uomini e delle donne, che un fratello abbandonava 1'altro, lo zio [abbandonava] il nipote, la sorella [abbandonava] il fratello e spesso la moglie [abbandonava] suo marito; e, cosa piu grave e quasi da non credere, i padri e le madri evitavano di visitare e accudire i figli, quasi non fossero loro. Per la qual cosa a coloro che si ammalavano, e maschi e femmine, la cui quantitä era inestimabile, non rimase nessun altro sussidio che o la caritä degli amici (e di questi furono pochi [a praticarla]) o la cupidigia dei servitori i quali servivano attirati (tratti) da salari alti e sproporzionati (sconvenevoli), sebbene per questi compiti non ne fossero sopravvissuti molti e quelli che erano rimasti erano uomini e donne di rozza mentalita (di grosso ingegno) e la maggior parte non esperti di tali incombenza, che non servivano quasi ad altro che porgere qualcosa richiesta dai malati e guardarli morire; e prestando tale servizio spesso perdevano se stessi insieme al guadagno. E da questo essere abbandonati gli ammalati dai vicini, dai parenti e dagli amici e dall'avere scarsitä di servitori si diffuse (discorse) un uso quasi inaudito prima: che nessuna donna, per quanto fosse leggiadra o bella o virtuosa (gentil), ammalandosi non si curava di avere ai suoi servigi un uomo, qualunque fosse, o giovane o altro, e di mostrare (aprire) a lui senza alcuna vergogna, solo che lo richiedesse la necessita della sua malattia, ogni parte del corpo come avrebbe fatto con una donna, il che fu forse causa, nel tempo che segui, di minore onestä in quelle che guarirono. E oltre a questo ne segui [: si verificö] la morte di molti che forse (per avventura) sarebbero sopravvissuti se fossero stati aiutati (atati); di conseguen-za, in parte (tra per) per la mancanza della necessaria assistenza, che i malati non potevano avere, in parte per la virulenza della pestilen-za, era cosi grande nella cittä la moltitudine di quelli che notte e giorno morivano che provocava una meraviglia attonita sia a sentir-ne parlare, sia ad assistervi personalmente. Per cui, quasi di necessita nacquero tra coloro che rimanevano vivi cose contrarie ai costumi precedenti la peste (ai primi costumi). 6 E...schifavano: primo quadro degli effet-ti terribili della peste, che provoca lo sciogli-mento di ogni vincolo non solo di solidarietä tra vicini, per esempio, ma anche di amore familiäre (tra marito e moglie, tra fratelli e ( 420 ) sorelle, tra genitori e figli). Questo crescendo di orrore (il climax ě la figura dominante del passo), appare come la nuda registrazione, senza chiaroscuri, di una follia, o barbarie, che ha origine dalla paura della peste. 7 fu...cagione: il venir meno di ogni pu-dore anche in ogni «leggiadra o bella o gentil donna» aggiunge una ulteriore nota di crudezza al quadro di dissoluzione morale e materiále che l'autore ě venuto delineando. CAPITOLO 2 > II Decameron ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO_ Quando, dove, cosa, perché, come, chi Dalla lunga descrizione della peste che introduce il Decameron é possibile ricostruire la particolare si-tuazione che indurrä la lieta brigata a ritirarsi in campagna a novellare. Anzitutto vengono fornite le precise coordinate temporali e spaziali della vicenda: é ľanno 1348 e siamo a Firenze. Poi vengono esposte le cause del contagio (determinato dagli astri o dalla «giusta ira di Dio»), le modalita della diffusione (da Oriente verso Occidente) e la sintomatologia (dapprima i gonfiori, poi le macchie livide). II potere del contagio é evidenziato attraverso il racconto di un episodio concreto: due porci muoiono per aver ad-dentato gli stracci di un uomo colpito dalla peste. Infine, emerge la degenerazione dei costumi provoca-ta dalla malattia: la paura di essere contagiati fa si che persino i parenti si evitino fra di loro e, addirittura, che i genitori abbandonino i figli. La sintassi ampia e il realismo Gia da questa introduzione emergono due caratteristiche fondamentali della scrittura di Boccaccio: 1) la tendenza a una sintassi ampia e ipotattica, ricca di subordinate e modellata sul latino (basti osservare il primo lunghissimo periodo, composto da ben otto proposizioni); 2) il realismo, che qui si manifesta con evidenza nella descrizione particolareggiata dei sintomi della malattia. Boccaccio intende infatti ancora-re la propria narrazione alia storia, convalidando la veridicitä dei fatti attraverso la propria diretta testi-monianza («Di che gli occhi miei... presero tra ľaltre volte un di cosi fatta esperienza»). Di qui l'attenzio-ne a indicare tempi, luoghi, cose e nomi precisi e concreti. Degrado dei costumi e paura della morte Oltre ai sintomi causati dalla malattia, ad attrarre ľattenzione delľautore é soprattutto il degrado dei costumi che accompagna il contagio dilagante: tende a sciogliersi ogni vincolo non solo di solidarietä tra vicini, ma anche di amore familiare (tra marito e moglie, tra fratelli e sorelle, e perfino tra genitori e figli). L'autore sottolinea cosi come l'incubo della morte sprigioni negli ultimi sentimenti piú folli e barbari, cancellando i valori morali fondamentali. In questo senso, la decisione dei dieci giovani di ritirarsi in campagna per sfuggire alia peste é un tentativo di ritrovare, lontano dalla degradazione cittadina, il senso della vita e la compostezza dei costumi. LAVORIAMO SUL TESTO_ Comprensione e analisi 1. Boccaccio, descrivendo la peste, e attratto dai compor-tamenti e dalle reazioni degli uomini in un momento ec-cezionale di trasgressione di tutti i principi su cui si basa la convivenza civile. Quali norme di carattere morale, so-ciale ed economico la peste mette in crisi? 2. Lingua e stile ► Quali caratteristiche della scrittura di Boccaccio risultano gia evidenti in questo brano intro-duttivo al Decameron! Interpretazione e commento 3. Confrontare ► É interessante un confronto tra la scena della brigata cortese, vittima privilegiata della Morte, nell'affresco del Trionfo della Morte di Palazzo Abatellis a Palermo (cfr. p. 365) e la scelta dei giovani del Decameron di opporre alia peste, secondo «natural ragione», ľallegrezza e il piacere. In che senso Boccaccio capovol-ge il messaggio del Trionfo della Morte? Spiegalo in una trattazione sintetica (max 10 righe). C421 ] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 11 Le novelle della Prima giornata, a tema libero Tema libero nella Prima giornata II motivo religioso digit ■ TESTO La novella til Melchisedech giudeo II motivo delle trovate astute e delle battute pronte La regina Pampinea lascia che ciascuno parli di ciö «che piü gli sarä a grado», cioé di ciö che ciascuno preferisce. La Prima giornata é dunque a tema libero. Tuttavia non é difficile tro-varvi qualche motivo dominante e un filo conduttore. II motivo dominante delle tre novelle iniziali é religioso. La prima, quella di ser Ceppa- rello o Ciappelletto, satireggia sia l'ipocrisia della borghesia mercantile che vorrebbe conciliare interesse negli affari e spirito cristiano, sia la dabbenaggine degli uomini di chiesa che santificano un solenne peccatore; e mette in luce, inoltre, il modo con cui la volontä di Dio si realizza a dispetto delle azioni degli uomini (cfr. T3, p. 423). La seconda novella (Abraam giudeo) dimostra in modo paradossale, e per assurdo, la superioritä della religione cristiana sulle altre, con ľargomento che, se essa riesce a espandersi nonostante la corruzione del clero romano che la guida, puö evidentemente contare sull'appoggio del vero Dio. La terza (Melchisedechgiudeo) implicitamente illustra ľesigenza della tolleranza religiosa mostran-do che é impossibile poter riconoscere quäle delle tre principáli religioni monoteiste - la mussulmana, ľebraica, la cristiana - sia la «verace». Ne deriva una sorta di sorridente e ironico relativismo, che resta egualmente lontano sia dallo scetticismo cinico sia da qualun-que atteggiamento dogmatico o fideistico. Anche la sesta novella (Confonde un valente uomo con un bei detto la malva-gia ipocresia de' religiosi) prende di mi-ra la corruzione e l'ipocrisia degli uomini di chiesa. Perö in questo racconto si rivela con forza anche un altro motivo, £, Li* -r^-f „tfr ..... SVli- + ehe é quello conduttore di tutta la giornata, perché é possibile intrawe-derlo in tutte le altre novelle, comprese le prime tre sopra considerate: quello delle trovate astute e delle battute pronte ehe permettono di uscire da una situazione difficile o di colpire chi non vive in modo "onesto". Alia fine della giornata Emilia can-ta una canzone ehe ben esprime il so-gno di gentilezza e di equilibrio, di una vita condotta sotto il segno della bellez-za, della grazia e delľ"onestä", ehe carat-terizza i dieci giovani della "cornice". ...... jift, ,-ft.».r-*- mi™** *ft----.1 t«t ■ J ■ r ■" iwih b'VhM-h ■■■ y, I.-U. f>--H- f" -[-"■^Äfv nc»1^* -»'in LJ f ^ .i ^. f- pájjjťfl ijhpy JS (•ĺ ^L^lr- r^rm*- i-wrw fw i™-pu■ fly i d flfli © Introduzione alia Prima giornata. Manoscritto del Decameron di Boccaccio del XV secolo. Parigi, Bibliotheque Nationale de France CAPITOLO 2 I II Decameron - T3 La novella di Ciappelletto OPERA Decameron, 1,1 CONCETTI CHIAVE • la critica alia dabbenaggine degli uomini di Chiesa • il rovesciamento ironico • l'ambiguitä di Ciappelletto e il relativismo dei valori mondani digit ■ VIDEOLETTURA digit-ALTALEGGIBI UTA digit-VIDEO Pasolini e Ser Ciappelletto (G. Rondolino) [6'40"] Ě la prima novella del Decameron. II novelliere ě Panfilo. Come era consuetudine nella cultura medievale, I'inizio deve essere consacrato a Dio; e infatti I'argomento ě religiose Tuttavia I'esaltazione della volonte divina ha qualcosa di paradossale e resta comunque estranea a qualunque intento edificante. Essa si articola su due punti: 1) gli uomini si rivolgono ai santi come mediatori nei loro rapporti con Dio; ma questi non bada affatto ai santi, i quali, essendo un'invenzione umana, possono anche essere andati all'inferno, e accoglie invece solo le buone intenzioni di coloro che, seppure servendosi di mediatori sbagliati, rivolgono a Lui le loro preghiere; 2) Dio puö convertire cosi un fatto negativo (cioě la santificazione di emeriti peccatori) in uno positive Come si puö vedere, la presa in giro della dabbenaggine degli uomini di chiesa pronti a facili santificazioni non si accompagna tanto a un atteggiamen-to irreligioso da parte dell'autore, quanto a una netta distinzione fra il piano divino e quello umano (e in ciö si puö vedere forse un'influenza dell'occamismo su Boccaccio). SER CEPPARELLO1 CON UNA FALSA CONFESSIONEINGANNA UN SANTO FRATE E MUORSI; E, ESSENDO STATO UN PESSIMO UOMO IN VITA, Ě MORTO REPUTATO PER SANTO E CHIAMATO SAN CIAPPELLETTO Convenevole cosa ě, carissime donne, che ciascheduna cosa la quale 1'uomo fa, dallo ammi-5 rabile e santo nome di Colui, il quale di tutte fu facitore, le dea principio. Per che, dovendo io al vostro novellare, si come primo,2 dare cominciamento, intendo da una delle sue mara-vigliose cose incominciare, acciö che, quella udita, la nostra speranza in Lui, si come in cosa impermutabile, si fermi e sempre sia da noi il suo nome lodato. Manifesta cosa ě che, si come le cose temporali tutte sono transitorie e mortali, cosi in sé e fuor di sé esser piene di noia, 10 d'angoscia e di fatica e a infiniti pericoli sogiacere;3 alle quali senza niuno fallo né potremmo noi, che viviamo mescolati in esse e che siamo parte ďesse, durare né ripararci, se spezial grazia di Dio forza e avvedimento non ci prestasse. La quale a noi e in noi non ě da credere IparafrasiI SER CEPPARELLO CON UNA FALSA CONFESSIONE INGAN-NA UN SANTO FRATE E MUORE; E, ESSENDO STATO UN PESSIMO UOMO IN VITA, DA MORTO Ě REPUTATO SANTO E CHIAMATO SAN CIAPPELLETTO. Ě opportuno (Convenevole cosa ě), carissime donne, che ogni cosa intrapresa dalľuomo abbia inizio nelľammirabile e santo nome di Colui che fu creatore di tutto. Pertanto, dovendo io dare inizio al nostra raccontare novelle, essendo il primo a parlare, intendo incomin- ciare da una delle sue cose meravigliose, affinché, dopo averla ascol-tata, si consolidi la nostra speranza in Lui, come cosa immodificabi-le (impermutabile), e sempre sia da noi il Suo nome lodato. Ě cosa conosciuta da tutti che, come le cose temporali sono tutte transitorie e mortali, cosi in sé e fuor di sé sono piene di dolore (noia) e d'angoscia e di fatica e soggiacciono ad infiniti pericoli; e noi, che viviamo mescolati in esse e che siamo parte d'esse, non potremmo senza nes-suno scampo resistere né difenderci se la speciale grazia di Dio non ci desse forza e discernimento (avvedimento). Non si deve credere 1 sek cepparello: si tratta di un perso-naggio reale, originario di Prato, ancora vivo nel 1304. Come attestano alcuni documen-ti duecenteschi e un suo libro di conti (tra i piü antichi in lingua volgare), egli era attivo in Francia come mercante ed esattore di im-poste per conto di Filippo il Bello e in rapporti con i fratelli Franzesi, Biccio e Mu-sciatto, loschi affaristi che compaiono proprio in questa novella. 2 si come primo: il primo a narrare é Panfilo. 3 esser; sogiacere: infiniti alia latina di-pendenti da Manifesta cosa ě. (423 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 che per alcun nostro merito discenda, ma dalla sua propria benignita mossa e da' prieghi di colore impetrata ehe, si come noi siamo, furon mortali, e bene i suoi piaceri mentre furono 15 in vita seguendo ora in Lui eterni son divenuti e beati; alii quali noi medesimi, si come a pro-curatori informati per esperienza della nostra fragilita, forse non audaci di porgere i prieghi nostri nel cospetto di tanto giudice, delle cose le quali a noi reputiamo oportune gli por-giamo. E ancor piú in Lui, verso noi di pietosa liberalitä pieno, discerniamo, ehe, non po-tendo ľacume dell'occhio mortale nel segreto della divina mente trapassare in alcun modo, 20 avvien forse tal volta che, da oppinione ingannati, tale dinanzi alia sua maestä facciamo procuratore che da quella con eterno essilio ě iscacciato: e nondimeno Esso, al quale niuna cosa ě occulta, piu alia puritä del pregator riguardando che alia sua ignoranza e alio essilio del pregato, cosi come se quegli fosse nel suo cospetto beato, essaudisce coloro che '1 priegano. II che manifestamente poträ apparire nella novella la quale di raccontare intendo: manifesta- 25 mente, dico, non il giudicio di Dio ma quel degli uomini seguitando. Ragionasi adunque che essendo Musciatto Franzesi4 di ricchissimo e gran mercatante in Francia cavalier divenuto e dovendone in Toscana venire con messer Carlo Senzaterra, fra-tello del re di Francia, da papa Bonifazio5 addomandato e al venir promosso, sentendo egli li fatti suoi, si come le piu volte son quegli de' mercatanti, molto intralciati in qua e in la e non 30 potersi di leggiere né subitamente stralciare, pensö quegli commettere a piu persone e a tutti trovö modo: fuor solamente in dubbio gli rimase cui lasciar potesse sofficiente a riscuoter suoi crediti fatti a piu borgognoni. E la cagione del dubbio era il sentire li borgognoni uomini riottosi e di mala condizione e misleali; e a lui non andava per la memoria chi tanto malvagio uom fosse, in cui egli potesse alcuna fidanza avere, che opporre alia loro malvagitä si potesse. IparafrasiI che tale grazia discenda a noi e in noi per qualche nostro merito, ma, provenendo dalla sua misericordia, ě ottenuta (impetrata) dalle preghiere di coloro [: i santi] che furono mortali cosi come lo siamo noi, e, osservando perfettamente la volontá di Dio durante la loro vita, ora con Lui sono divenuti eterni e beati; ai quali noi stessi ci rivolgiamo per ottenere ció che riteniamo opportuno avere, con-siderandoli nostri portavoce (procuratori) conoscitori per esperienza della nostra fragilita, forse perché non osiamo rivolgere le nostre preghiere direttamente a Dio, sommo giudice. E ancora piu ci rendiamo conto di quanto Dio sia pieno verso noi di pietosa generosita (liberalitá), dal momenta che, non potendo l'acume dell'occhio mortale penetrare in alcun modo nel segreto della mente divi-na, avviene forse talvolta che, ingannati da falso giudizio, facciamo nostro portavoce dinanzi alia maestá di Dio qualcuno che ě scaccia-to dal Paradiso con eterno esilio; e nondimeno Dio, che tutto cono-sce, guardando piu alia purezza di chi prega che alia sua ignoranza o all'esilio di chi viene pregato, esaudisce coloro che lo pregano, cosi come se questi fosse beato al suo cospetto. Ció che ho detto potrá apparire con chiarezza (manifestamente) nella novella che ho in-tenzione di raccontare; con chiarezza intendo non seguendo il giudizio di Dio, ma quello degli uomini. Si racconta (Ragionasi) dunque che Musciatto Franzesi, essendo diventato cavaliere in Francia da ricchissimo e gran mer-cante che era, dovendo venire in Toscana con messer Carlo Senzaterra, fratello del re di Francia, richiesto e invitato a venire da papa Bonifacio, e rendendosi conto che i suoi affari, cosi come spesso sono quelli dei mercanti, erano molto imbrogliati (intralciati) in vario modo da non potersi né facilmente (di leggiere) né in fretta risolvere (stralciare), pensö di affidarli (commettere) a piu persone e per tutti trovö la soluzione; tranne che gli rimase in dubbio solamente chi potesse incaricare che fosse capace (sofficiente) di riscuotere i crediti concessi a numerosi borgognoni. E il motivo del dubbio era il sapere che i borgognoni erano uomini litigiosi (riottosi) e di cattivo carattere e falsi (misleali); e lui non riusciva a ricordare un uomo tanto malvagio, in cui porre la sua fiducia (fidanza avere), che si potesse opporre alia loro malvagitä. 4 Musciatto Franzesi: da moscia (mou-che), forma francese di "mosca" Musciatto é soprannome di Giampaolo Guidi, perso-naggio fiorentino realmente vissuto (come i successivi). Musciatto si arricchi in Francia come mercante e tesoriere di Filippo il Bel-lo. Ricordato dal Compagni nella sua Croni- ( 424 ) ca, in alcuni documenti di fine Duecento risulta in affari con Cepparello. 5 Carlo Senzaterra...papa Bonifazio: si tratta di Carlo di Valois e di papa Bonifacio VIII. Carlo, fratello di Filippo il Bello e so-prannominato Senzaterra per la mancanza di possedimenti propri e per i falliti tentati- vi di procurarsi un regno, nel 1301 intrapre-se la spedizione in Italia che porta i Neri ad avere il predominio su Firenze. Egli era in realta una pedina abilmente manovrata da Bonifacio VIII, interessato a eliminare i Bianchi dal governo del ricco Comune fiorentino. CAPITOLO 2 I II Decameron 35 E sopra questa essaminazione pensando lungamente stato, gli venne a memoria un ser Cep-parello da Prato, il quale molto alia sua casa in Parigi si riparava; il quale, per ció che piccolo di persona era e molto assettatuzzo, non sappiendo li franceschi che si volesse dir Cepparello, credendo che 'cappelloj cioě 'ghirlanda' secondo il lor volgare a dir venisse,6 per ció che piccolo era come dicemmo, non Ciappello ma Ciappelletto7 il chiamavano: e per Ciappelletto 40 era conosciuto per tutto, la dove pochi per ser Cepparello il conoscieno. Era questo Ciappelletto di questa vita: egli, essendo notaio, avea grandissima vergogna quando uno de' suoi strumenti, come che pochi ne facesse, fosse altro che falso trovato; de' quali tanti avrebbe fatti di quanti fosse stato richesto, e quegli piú volentieri in dono che al-cuno altro grandemente salariato.8 Testimonianze false con sommo diletto diceva, richesto e 45 non richesto; e dandosi a quei tempi in Francia a' saramenti grandissima fede, non curandosi fargli falsi, tante quistioni malvagiamente vincea a quante a giurare di dire il vero sopra la sua fede era chiamato. Aveva oltre modo piacere, e forse vi studiava, in commettere tra amici e parenti e qualunque altra persona mali e inimicizie e scandali, de' quali quanto maggiori ma-li vedeva seguire tanto piu d'allegrezza prendea. Invitato a uno omicidio o a qualunque altra 50 rea cosa, senza negarlo mai, volenterosamente v'andava, e piu volte a fedire e a uccidere uo-mini con le proprie mani si ritrovó volentieri. Bestemmiatore di Dio e de' Santi era grandis-simo, e per ogni piccola cosa, si come colui che piu che alcuno altro era iracundo. A chiesa non usava giammai, e i sacramenti di quella tutti come vil cosa con abominevoli parole scher-niva; e cosi in contrario le taverně e gli altri disonesti luoghi visitava volentieri e usavagli. 55 Delle femine era cosi vago come sono i cani de' bastoni; del contrario9 piu che alcuno altro tristo uomo si dilettava. Imbolato avrebbe e rubato con quella coscienza che un santo uomo offerrebbe. Gulosissimo e bevitor grande, tanto che alcuna volta sconciamente gli facea noia. |parafrasiI Ed essendo rimasto a lungo a riflettere su questa ricerca, gli venne alia memoria un certo ser Cepparello da Prato, il quale spesso a Parigi trovava rifugio (si riparava) nella sua casa. II quale, perche era piccolo di persona e molto ricercato nel vestire (assettatuzzo), non sapendo i francesi che cosa significasse Cepparello, credendo che volesse dire cappello, cioe ghirlanda, secondo la loro lingua, per il motivo che era piccolo come abbiamo detto, lo chiamavano non Ciappello, ma Ciappelletto; e per Ciappelletto era conosciuto ovun-que, la dove pochi lo conoscevano per ser Cepparello. Questo Ciappelletto conduceva una vita di questo genere: egli, essendo notaio, aveva grandissima vergogna quando uno dei suoi at-ti notarili (strumenti), per quanto pochi ne facesse, non fosse trovato falso; di questo tipo ne avrebbe fatto tanti quanti gli fosse stato richie-sto e gratuitamente, piu volentieri che un atto vero lautamente paga-to (grandemente salariato). Diceva testimonianze false con il mas-simo piacere, su richiesta o no; e dal momento che in quei tempi in Francia si dava grandissima fede ai giuramenti (saramenti), non pre-occupandosi di farli falsi, disonestamente vinceva tutte le cause in cui era chiamato a dire la veritá sotto giuramento. Aveva oltremodo piacere, e vi si applicava con passione (vi studiava), nel suscitare (commettere) tra amici e parenti e qualunque altra persona mali e inimicizie e scandali, dai quali quanto maggiori mali vedeva seguire tanto piú si sentiva contento. Invitato ad un omicidio o a qualunque altra azione malvagia (rea cosa), senza rifiutare mai era sempře disponibi-le a partecipare; e piú volte si trovó volentieri a ferire (fedire) e ad uccidere uomini con le proprie mani. Era grandissimo bestemmiatore di Dio e dei santi; e per ogni piccola cosa era iracondo come nessun altro. Non frequentava mai la chiesa e scherniva con abominevoli parole tutti i sacramenti della chiesa, come fossero cosa indegna; al contrario visitava e frequentava (usavagli) volentieri le taverně e gli altri luoghi disonesti. Delle femmine era cosi desideroso come lo sono i cani dei bastoni; dei maschi (del contrario) prendeva piacere piú di ogni altro uomo malvagio. Avrebbe rubato con astuzia (Imbolato) e con forza con la stessa determinazione con cui un sanťuomo farebbe mvbfferta (offerebbe). Era golosissimo e grande bevitore, tanto che qualche volta ció gli procurava disgusto e malessere (gli facea noia). 6 credendo...venisse: in realta Cepparello sembra derivare da Jacopo attraverso il diminutivo Ciapo. 7 Ciappelletto: pronuncia italiana del di-minuitivo di "chapel": "chapelet" "Chapel" in francese significa 'copricapo', 'ghirlanda'. 8 salariato: insomma: faceva atti notarili falsi gratuitamente e con maggiore piacere che se fosse grandemente ricompensato. Comincia qui la tecnica del rovesciamento: Cepparello e un notaio alla rovescia che si compiace di fare ciö che un normale notaio abborrisce. 9 del contrario: era, insomma, un omo-sessuale. (425) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 Giucatore e mettitore di malvagi dadi era solenne. Perché mi distendo io in taňte parole? egli era il piggiore uomo forse che mai nascesse. La cui malizia lungo tempo sostenne la potenzia 60 e lo stato di messer Musciatto, per cui molte volte e dalle priváte persone, alle quali assai so-vente faceva iniuria, e dalla corte, a cui tuttavia la facea, fu riguardato. Venuto adunque questo ser Cepparello nellanimo a messer Musciatto, il quale ottima-mente la sua vita conosceva, si pensó il detto messer Musciatto costui dovere esser tale quale la malvagitá de' borgognoni il richiedea; e perció, fattolsi chiamare, gli disse cosi: «Ser Ciap- 65 pelletto, come tu sai, io sono per ritrarmi del tutto di qui: e avendo tra gli altri a fare co' borgognoni, uomini pieni ďinganni, non so cui io mi possa lasciare a riscuotere il mio da loro piú convenevole di te. E perció, con ció sia cosa che tu niente facci al presente, ove a questo vogli intendere, io intendo di farti avere il favore della corte e di donarti quella parte di ció che tu riscoterai che convenevole sia». 70 Ser Ciappelletto, che scioperato si vedea e male agiato delle cose del mondo e lui ne vede-va andare che suo sostegno e ritegno era lungamente stato, senza niuno indugio e quasi da necessitá costretto si diliberó, e disse che volea volentieri. Per che, convenutisi insieme, rice-vuta ser Ciappelletto la procura e le lettere favorevoli del re, partitosi messer Musciatto, n'an-dó in Borgogna dove quasi niuno il conoscea: e quivi fuori di sua nátura benignamente e man- 75 suetamente cominció a voler riscuotere e fare quello per che andato v'era, quasi si riserbasse 1'adirarsi al da sezzo. E cosi faccendo, riparandosi in casa di due fratelli fiorentini, li quali quivi a usura přestáváno e lui per amor di messer Musciatto onoravano molto, avvenne che egli infermó. Al quale i due fratelli fecero prestamente venir medici e fanti che il servissero e ogni cosa oportuna alla sua 80 santá10 racquistare. Ma ogni aiuto era nullo, per ció che il buono uomo, il quale giá era vecchio e disordinatamente vivuto, secondo che i medici dicevano, andava di giorno in giorno di male in peggio come colui che aveva il male della mořte: di che li due fratelli si doléván forte. |parafrasi| Era grande giocatore ďazzardo e baro con dadi truccati (Giucatore... solenne). Ma perché uso taňte parole? In breve egli era forse il peg-giore uomo che mai fosse nato. Per lungo tempo la potenza e lo stato di messer Musciatto appoggió la sua malvagitá, per cui molte volte fu protetto (riguardato) sia dalle persone private, alle quali faceva ingiu-ria assai spesso, sia dalla corte, a cui faceva ingiuria sempře. Venuto dunque questo ser Cepperello in mentě a messer Musciatto, che conosceva benissimo la sua vita, egli pensö che costui fosse tale quale richiedesse la malvagitá dei borgognoni; e perció, fattoselo chiamare, gli disse cosi: «Ser Ciappelletto, come tu sai, io sto per andarmene definitivamente da qui, e avendo tra gli altri a che fare coi borgognoni, uomini pieni ďinganni, non so a chi piú adatto di te (piú convenevole di te) io possa affidare il compito di riscuotere da loro il mio; e perció, poiché (con ció sia cosa che) tu non ti occupi di nulla al momento, qualora tu voglia interessarti (intendere) di ció, io intendo farti avere il favore della corte e donarti quella parte che sia giu-sta per te di ció che tu riscuoterai». Ser Ciappelletto, che si vedeva disoccupato (scioperato) e in cattive condizioni economiche (male agiato...mondo) e vedeva che se ne andava colui che era stato per molto tempo suo sostegno e protezione, senza nessuno indugio e quasi costretto da necessitá, decise e disse che accettava volentieri. Pertanto, messisi ďaccordo (convenutisi insieme), ricevute ser Ciappelletto la procura e le lettere di raccomandazione (lettere favorevoli) del re, partitosi messer Musciatto, se ne andó in Borgogna dove quasi nessuno lo conosceva; e qui, contro il suo carattere, benignamente e mansuetamente cominció a voler riscuotere e fare quello per cui era andato, quasi si riservasse 1'adirarsi alla fine (al da sezzo). E cosi facendo, abitando (riparandosi) in casa di due fratelli fiorentini, i quali li přestáváno ad usura e lo onoravano molto per rispetto di messer Musciatto, avvenne che si ammaló (infermó). I due fratelli fecero tempestivamente venire medici e servi (fanti) che si occupassero di lui e facessero ogni cosa necessaria per fargli riac-quistare la salute (santá). Ma ogni aiuto era inutile, per il fatto che il buon uomo, il quale era giá vecchio e aveva disordinatamente vis-suto, secondo ció che i medici dicevano, andava di giorno in giorno di male in peggio come chi ha la malattia della mořte; e di ció i due fratelli si dispiacevano molto. 10 santá: deriva dal francese "santé" e significa 'salute! (426) CAPITOLO 2 I II Decameron E un giorno, assai vicini della camera nella quale ser Ciappelletto giaceva infermo, seco me-desimo cominciarono a ragionare. «Che farem noi» diceva ľuno alľaltro «di costui? Noi abbiamo 85 de' fatti suoi pessimo partito alle mani: per ciö che il mandarlo fuori di casa nostra cosi infermo ne sarebbe gran biasimo e segno manifesto di poco senno, veggendo la gente che noi I'avessimo ricevuto11 prima e poi fatto servire e medicare cosi sollecitamente, e ora, senza potere egli aver fatta cosa alcuna che dispiacer ci debbia, cosi subitamente di casa nostra e infermo a morte ve-derlo mandar fuori.12 D'altra parte, egli ě stato si malvagio uomo, che egli non si vorrä confessa- 90 re né prendere alcuno sagramento della Chiesa; e, morendo senza confessione, niuna chiesa vorrä il suo corpo ricevere, anzi sarä gittato a' fossi13 a guisa d'un cane. E, se egli si pur confessa, i peccati suoi son tanti e si orribili, che il simigliante n'averrä, per ciö che frate né prete ci sarä che '1 voglia né possa assolvere: per che, non assoluto, anche sarä gittato a' fossi. E se questo awiene, il popolo di questa terra, il quale si per lo mestier nostra, il quale loro pare iniquissimo e tutto il 95 giorno ne dicon male, e si per la volontä che hanno di rubarci, veggendo ciö si leverä a romore e griderä: 'Questi lombardi14 cani, li quali a chiesa non sono voluti ricevere, non ci si voglion piü sostenere; e correrannoci alle case e per awentura non solamente l'avere ci ruberanno ma forse ci torranno oltre a ciö le persone: di che noi in ogni guisa stiam male se costui muore». Ser Ciappelletto, il quale, come dicemmo, presso giacea lä dove costoro cosi ragionavano, 100 avendo l'udire sottile, si come le piü volte veggiamo aver gl'infermi, udi ciö che costoro di lui dicevano; Ii quali egli si fece chiamare e disse loro: «Io non voglio che voi d'alcuna cosa di me dubitiate né abbiate paura di ricevere per me alcun danno. Io ho inteso ciö che di me ragio-nato avete e son certissimo che cosi n'averrebbe come voi dite, dove cosi andasse la bisogna come awisate: ma ella andrä altramenti. Io ho, vivendo, taňte ingiurie fatte a Domenedio, ehe, |parafrasi| E un giorno, assai vicini alia camera nella quale ser Ciappelletto giaceva infermo, cominciarono a ragionare tra di loro (seco medesi-mi): «Che faremo noi - diceva l'uno all'altro - di costui? Noi ci trovia-mo per colpa sua in un pessimo affare (Noi...alle mani), poiche a mandarlo fuori di casa nostra cosi infermo ci verrebbe gran biasimo e pro-va evidente di poca saggezza, se la gente si accorgesse che noi l'abbia-mo accolto in casa prima della malattia, e poi fatto servire e curare con sollecitudine, e ora, senza che lui abbia potato aver fatto niente che ci debba dispiacere, cosi all'improwiso lo mandiamo fuori da casa nostra mortalmente malato. D'altra parte, egli e stato un uomo cosi malvagio che non si vorra confessare ne prendere alcun sacramento della Chiesa; e, morendo senza confessione, nessuna chiesa vorra ricevere il suo corpo, anzi sara gettato nelle fosse come (a guisa di) un cane. E, se anche si confessa, i peccati suoi sono tanti e cosi orribili che accadra la stessa cosa (il somigliante), in quanto ne frate ne prete ci sara che lo voglia ne possa assolvere; pertanto, non assolto dai peccati, sara gettato ugualmente nelle fosse. E se questo avviene, il popolo di questa cittä, il quale sia per il nostro mestiere [di usurai], che a loro sembra infamante (iniquissimo) e sempre ne parlano male, e sia per la volontä che hanno di rubarci, vedendo ciö, farä un tumulto (si leverä a romore) e griderä: "Questi cani italiani, che non sono accolti neppure in chiesa, non Ii vogliamo piü sopportare"; e correranno alle case e non solamente ci ruberanno le ricchezze, ma forse ci toglieranno anche le nostre vite; per cui noi in ogni modo (in ogni guisa) stiamo male, se costui muore». Ser Ciappelletto, il quale, come dicemmo, giaceva vicino al luo-go dove costoro cosi discutevano (ragionavano), avendo l'udito sot-tile, cosi come hanno spesso gli infermi, udi ciö che costoro dicevano di lui; li fece chiamare, e disse loro: «Io voglio che voi non temia-te di nessuna cosa a causa mia (d'alcuna...dubitiate) ne abbiate paura di ricevere per causa mia alcun danno. Io ho sentito ciö che avete detto su di me e son certissimo che avverrebbe cosi come voi dite, qualora la faccenda (la bisogna) andasse come pensate; ma essa andrä diversamente. Vivendo, io ho fatte tante offese a Dio che, 11 veggendc.ricevuto: avessimo (con-giuntivo imperfetto) introduce nel periodo unldea di eventualita. 12 vederlo mandar fuori: ě un costrutto anacolutico, probabilmente coordinato con il veggendo precedente. 13 a' fossi: nelle fosse lungo le mura della cittá in cui venivano gettati i corpi di coloro che erano morti al di fuori della grazia di Dio: ere-tici, scomunicati, suicidi, usurai, assassini ecc. 14 lombardi: dal latino tardo "longobar-dicum", la voce "lombardo" indicava per estensione gli abitanti dell'Italia setten-trionale (Toscana inclusa). In Francia e in Inghilterra questo termine rappresentava per antonomasia anche il mestiere delľu- suraio. L'ostilita nei confronti degli italiani era motivata dalla durezza delle leggi eco-nomiche che li rendeva rapaci mercanti e usurai. E, questo, uno squarcio realistico della vita mercantile, e in particolare di quella dei mercanti italiani in Francia che Boccaccio ben conosceva attraverso il padre, anch'egli mercante. (427) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 105 per, farnegli io una ora in su la mia mořte, né piü né meno ne farä; e per ciö procacciate di farmi venire un santo e valente frate, il piü che aver potete, se alcun ce ne; e lasciate fare a nie, che fermamente io acconcerö i fatti vostri e' miei in maniera che stará bene e che dovřete es-ser contenti». I due fratelli, come che molta speranza non prendessono di questo, nondimeno se n'anda- 110 rono a una religione di frati e domandarono alcuno santo e savio uomo che udisse la confes-sione d'un lombardo che in casa loro era infermo; e fu lor dato un frate antico di santa e di buona vita e gran maestro in Iscrittura e molto venerabile uomo, nel quäle tutti i cittadini grandissima e speziale divozione aveano, e lui menarono. II quäle, giunto nella camera do-ve ser Ciappelletto giacea e allato postoglisi a sedere, prima benignamente il cominciö a 115 confortare, e appresso il domandö quanto tempo era che egli altra volta confessato si fosse. AI quäle ser Ciappelletto, che mai confessato non s'era, rispose: «Padre mio, la mia usanza suole essere di confessarsi ogni settimana almeno una volta, senza che assai sono di quelle che io mi confesso piü; ě il vero che poi che io infermai, che son passati da otto di, io non mi confes-sai tanta ě stata la noia che la infermitä m'ha data». 120 Disse allora il frate: «Figliuol mio, bene hai fatto, e cosi si vuol fare per innanzi; e veggio che, poi si spesso ti confessi, poca fatica avrö ďudire o di dimandare». Disse ser Ciappelletto: «Messer lo frate, non dite cosi: io non mi confessai mai taňte volte né si spesso, che io sempre non mi volessi confessare generalmente di tutti i miei peccati che io mi ricordassi dal di che io nacqui infino a quello che confessato mi sono; e per ciö vi priego, 125 padre mio buono, che cosi puntualmente d'ogni cosa mi domandiate come se mai confessato non mi fossi; e non mi riguardate perché io infermo sia, che io amo molto meglio di dispiacere a queste mie carni che, faccendo agio loro, io facessi cosa che potesse essere perdizione dell'a-nima mia, la quäle il mio Salvátore ricomperö col suo prezioso sangue». Queste parole piacquero molto al santo uomo e parvongli argomento di bene disposta 130 mente: e poi che a ser Ciappelletto ebbe molto commendato questa sua usanza, il cominciö a domandare se egli mai in lussuria con alcuna femina peccato avesse. |parafrasi| se gli faccio unaltra offesa in punto di mořte, per Lui non vi sará differenza (né piú né meno ne fara). E per ció provvedete (procacciate) di farmi venire un santo e valente frate, il piú santo e valente che potete avere, se ce n'ě qualcuno, e lasciate fare a me, poiché cer-tamente io sistemeró (acconceró) i fatti vostri e i miei in maniera che andrá bene e che dovřete esser contentiw. I due fratelli, benché (come che) non nutrissero molta speranza, nondimeno se nandarono ad un convento (religione) di frati e domandarono di qualche santo e saggio uomo che udisse la confes-sione ďun italiano che era infermo in casa loro; e fu dato loro un vecchio frate di santa e di buona vita e gran maestro nelle Sacre Scritture e uomo molto venerabile, per il quale tutti i cittadini ave-vano grandissima e speciále devozione, e lo condussero (menarono) da lui. II frate, giunto nella camera dove giaceva ser Ciappelletto e postosi a sedere a lato, prima cominció a confortarlo benignamente, e poi gli domandó quanto tempo era passato da quando si era confessato 1'ultima volta. Al quale ser Ciappelletto, che non s'era mai confessato, rispose: «Padre mio, la mia abitudine (usanza) ě di confessarmi ogni settimana almeno una volta, senza contare che sono assai quelle in cui io mi confesso di piú; ě vero che dopo che mi sono ammalato, che ( 428 ) sono circa otto giorni, io non mi sono confessato, tanta e stata la sofferenza (noia) che la malattia mi ha data». Disse allora il frate: «Figliuolo mio, hai fatto bene, e cosi dovrai continuare a fare d'ora in poi (si vuol...innanzi); e vedo che, dato che ti confessi cosi spesso, avrö poca fatica d'udire o di domandare». Disse ser Ciappelletto: «Signor frate, non dite cosi; io non mi confessai mai tante volte ne cosi spesso, che io sempre non mi volessi fare una confessione generale di tutti i miei peccati che io mi ricordassi dal giorno in cui nacqui fino a quello in cui mi sono confessato; e per ciö vi prego, padre mio buono, che mi domandiate cosi puntualmente d'ogni cosa come se non mi fossi mai confessato. E non mi trattate con maggior rispetto perche io sono malato, perche io preferisco (amo molto meglio) dispiacere a queste mie carni piuttosto che, compiacendo loro (faccendo agio loro), fare cosa che possa essere perdizione dell'anima mia, che il mio Salvatore riscat-tö col suo prezioso sangue». Queste parole piacquero molto al santo uomo e gli sembrarono (parvongli) prova (argomento) di animo ben disposto; e poi che ebbe molto lodato a ser Ciappelletto questa sua abitudine, gli cominciö a domandare se mai avesse peccato in lussuria con qualche femmina. CAPITOLO 2 I II Decameron Al quale ser Ciappelletto sospirando rispose: «Padre mio, di questa parte mi vergogno io di dirvene il vero temendo di non peccare in vanagloria». Al quale il santo frate disse: «Di sicuramente, che il vero dicendo ne in confessione ne in 135 altro atto si pecco giammai». Disse allora ser Ciappelletto: «Poiche voi di questo mi fate sicuro, e io il vi diro: io son cosi vergine come io usci' del corpo della mamma mia». «Oh, benedetto sie tu da Dio!» disse il frate «come bene hai fatto! e, faccendolo, hai tanto piu meritato, quanto, volendo, avevi piu d'albitrio di fare il contrario che non abbiam noi e 140 qualunque altri son quegli che sotto alcuna regola son constretti». E appresso questo il domando se nel peccato della gola aveva a Dio dispiaciuto. Al quale, sospirando forte, ser Ciappelletto rispose di si e molte volte; per cio che, con cio fosse cosa che egli, oltre alii digiuni delle quaresime15 che nell'anno si fanno dalle divote persone, ogni settimana almeno tre di fosse uso di digiunare in pane e in acqua, con quello diletto e con 145 quello appetito 1'acqua bevuta aveva, e spezialmente quando avesse alcuna fatica durata o adorando o andando in pellegrinaggio, che fanno i gran bevitori il vino; e molte volte aveva disiderato d'avere cotali insalatuzze d'erbucce,16 come le donne fanno quando vanno in villa, e alcuna volta gli era paruto migliore il mangiare che non pareva a lui che dovesse parere a chi digiuna per divozione, come digiunava egli.17 150 Al quale il frate disse: «Figliuol mio, questi peccati sono naturali e sono assai leggieri, e per cio io non voglio che tu ne gravi piu la coscienza tua che bisogni. A ogni uomo avviene, quan-tunque santissimo sia, il parergli dopo lungo digiuno buono il manicare e dopo la fatica il bere». «Oh!» disse ser Ciappelletto «padre mio, non mi dite questo per confortarmi: ben sapete che io so che le cose che al servigio di Dio si fanno, si deono fare tutte nettamente e senza al-155 cuna ruggine d'animo: e chiunque altramenti fa, pecca». IparafrasiI A lui ser Ciappelletto sospirando rispose: «Padre mio, su questo mi vergogno di dirvi il vero, temendo di peccare di vanagloria». A lui il santo frate disse: «Di senza paura (sicuramente), perche dicendo il vero ne in confessione ne in altro atto si e mai peccato». Disse allora ser Ciappelletto: «Poiche voi mi assicurate questo, allora ve lo dirö: io son cosi vergine come uscii dal corpo della mia mamma». «Oh benedetto sia tu da Dio!» - disse il frate - «come hai fatto bene! e, facendolo, hai tanto piü meritato, quanto, volendo, avevi la possibilitä (albitrio) di fare il contrario piü di quanto non abbiamo noi e tutti coloro che sono costretti sotto qualche regola». E dopo questo gli domandö se nel peccato della gola avesse dispiaciuto a Dio. Alla domanda, sospirando forte, ser Ciappelletto rispose di si, e molte volte; poiche, oltre ai digiuni delle quaresime che nell'anno fanno le persone devote, ogni settimana almeno tre giorni era abituato a digiunare a pane e acqua, e aveva bevuta l'ac- qua con lo stesso piacere e con lo stesso appetito, specialmente quando faticava a lungo o pregando o andando in pellegrinaggio, che prováno i grandi bevitori col vino; e molte volte aveva desiderata d'avere quelle insalatuzze d'erbucce che le donne fanno quando vanno in campagna; e qualche volta il cibo gli era parso piu buono di quanto dovesse sembrare a chi digiuna per devozione, come lui digiunava. A ció il frate disse: «Figliuolo mio, questi peccati sono naturali e sono assai leggeri; e perció io non voglio che tu ne gravi la tua coscienza piu del necessario (piu...che bisogni). Ad ogni uomo suc-cede, quantunque sia santissimo, che dopo lungo digiuno gli sembri buono il mangiare (manicare), e dopo la fatica il bere». «Oh!» - disse ser Ciappelletto - «padre mio, non mi dite questo per confortarmi; ben sapete che io so che le cose che si fanno al ser-vizio di Dio, si devono fare tutte con purezza e senza macchia (ruggine ďanimo); e chiunque le fa diversamente, pecca». 15 quaresime: indica genericamente tutti i periodi di digiuno previsti dalla Chiesa nelle varie festivitä dell'anno. 16 insalatuzze d'erbucce: il vezzeggiati-vo, frequente nella novella, ě ambiguo: da un lato vuol suggerire la bramosia di man- giare, ma dall'altro vuole indicare che ser Cepparello si accontenta di ben poco. II vez-zeggiativo esprime il desiderio del soggetto, ma anche la pochezza e la miseria dell'og-getto desiderato. Tale ambivalenza produce un effetto ironico. 17 e alcuna volta...egli: da notare l'uso stilistico del poliptoto per cui il verbo "parere" compare ben tre volte in tre forme diverse nello stesso periodo a sottolineare il carattere ipocritamente ingenuo e contorto della confessione di Cepparello. ( 429 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310-> 1380 II frate contentissimo disse: «E io son contento che cosi ti cappia nell'animo e piacemi forte la tua pura e buona conscienza in cio. Ma dimmi: in avarizia hai tu peccato disiderando piu che il convenevole o tenendo quello che tu tener non dovesti?» Al quale ser Ciappelletto disse: «Padre mio, io non vorrei che voi guardasti perche io sia 160 in casa di questi usurieri: io non ci ho a far nulla, anzi ci era venuto per dovergli ammonire e gastigare e torgli da questo abominevole guadagno; e credo mi sarebbe venuto fatto, se Dio non m'avesse cosi visitato.18 Ma voi dovete sapere che mio padre mi lascio ricco uomo, del cui avere, come egli fu morto, diedi la maggior parte per Dio; e poi, per sostentar la vita mia e per potere aiutare i poveri di Cristo, ho fatte mie piccole mercatantie e in quelle ho disiderato di 165 guadagnare. E sempre co' poveri di Dio, quello che guadagnato ho, ho partito per mezzo,19 la mia meta convertendo ne' miei bisogni, 1'altra meta dando loro: e di cio m'ha si bene il mio Creatore aiutato, che io ho sempre di bene in meglio fatti i fatti miei». «Bene hai fatto»: disse il frate «ma come ti se' tu spesso adirato?». «Oh!» disse ser Ciappelletto «cotesto vi dico io bene che io ho molto spesso fatto; e chi se 170 ne potrebbe tenere, veggedo tutto il di gli uomini fare le sconce cose, non servare i co- mandamenti di Dio, non temere i suoi giudicii? Egli sono state assai volte il di che io vorrei piu tosto essere stato morto che vivo, veggendo i giovani andar dietro alle vanita e udendogli giurare e spergiurare, andare alle taverne, non visitar le chiese e seguir piu tosto le vie del mondo che quella di Dio». 175 Disse allora il frate: «Figliuol mio, cotesta e buona ira, ne io per me te ne saprei penitenza imporre; ma per alcun caso avrebbeti Fira potuto inducere a fare alcuno omicidio o a dire vil- lania a persona o a fare alcuna altra ingiuria?». A cui ser Ciappelletto rispose: «Oime, messere, o voi mi parete uomo di Dio: come dite voi coteste parole? o s'io avessi avuto pure un pensieruzzo di fare qualunque se l'u-180 na delle cose che voi dite, credete voi che io creda che Idio m'avesse tanto sostenuto? IparafrasiI II frate contentissimo disse: «E io son contento che tu la pensi cosi (che cosi ti cappia nelľanimo), e mi piace molto la tua pura e buona coscienza in ciö. Ma, dimmi: hai tu peccato in avarizia, desi-derando piú che il giusto (il convenevole), o conservando quello che tu non avresti dovuto conservare?» A ciö ser Ciappelletto disse: «Padre mio, io non vorrei che voi mi guardaste [con sospetto] perché io sono in casa di questi usurai: io non ho nulla a che fare con loro; anzi ci ero venuto per ammonirli e punirli e toglierli da questo abominevole guadagno; e credo che ci sarei riuscito, se Iddio non m'avesse cosi sottoposto alla prova [delia malattia]. Ma voi dovete sapere che mio padre mi lasciö uomo ricco, del cui avere, dopo la sua morte, diedi la maggior parte per amore di Dio [: in elemosina]; e poi, per sostentare la vita mia e per potere aiutare i poveri di Cristo, ho fatto i miei piccoli affari (mercatantie), e in quelli ho desiderata di guadagnare, e sempre coi poveri di Dio quello che ho guadagnato l'ho diviso a meta, una meta usandola per le mie necessitä, ľaltra meta dandola a loro; e in ciö il mio Creatore mi ha cosi bene aiutato che i miei affari sono andati di bene in meglio». «Bene hai fatto», - disse il frate - «ma ti sei tu adirato spesso?» «Oh!» - disse ser Ciappelletto - «vi dico che l'ho fatto molto spesso. E chi potrebbe trattenersi, vedendo sempre gli uomini fare cose sconce, non osservare i comandamenti di Dio, non temere i suoi giudizi? Sono stati numerosi i giorni in cui io avrei preferito essere morto che vivo, vedendo i giovani andare dietro alle vanitä e vedendoli giurare e spergiurare, andare alle taverne, non visitare le chiese e seguir piuttosto le vie del mondo che quella di Dio». Disse allora il frate: «Figliuolo mio, questa ě buona ira, né io per me te ne saprei imporre penitenza. Ma, in qualche occasione, avreb-be 1'ira potuto indurti a commettere qualche omicidio o a insultare qualcuno (dire villania a persona) o commettere qualche altra vio-lenza (ingiuria)?» A ciö ser Ciappelletto rispose: «Ohime, signore, eppure voi mi parete uomo di Dio: come dite voi queste parole? e se io avessi avuto solo un pensieruzzo di fare una qualunque delle cose che voi dite, credete voi che io creda che Iddio mi avrebbe cosi a lungo sopportato (sostenuto)? 18 se...visitato: prova ě un termine del linguaggio devoto che Cepparello usa in modo rovesciato: non a fin di bene, ma per ingannare il frate. Cepparello si dimostra ( 430 ) abilissimo nell'uso del linguaggio religioso in questo modo ipocrita. 19 ho...mezzo: ipocritamente Cepparello rappresenta una figura di mercante guelfo e di perfetto religioso, cosi implicitamente satireggiandola. CAPITOLO 2 I II Decameron Coteste son cose da farle gli scherani e i rei uomini, de'quali qualunque ora io n'ho mai vedu-to alcuno, sempre ho detto: 'Va, che Idio ti converta'». Allora disse il frate: «Or mi di, figliuol mio, che benedetto sie tu da Dio: hai tu mai te-stimonianza niuna falsa detta contra alcuno o detto male d'altrui o tolte dell'altrui cose senza 185 piacere di colui di cui sono?». «Mai messer si»,20 rispose ser Ciappelletto «che io ho detto male d'altrui; per ciö che io ebbi giä un mio vicino che, al maggior torto del mondo, non faceva altro che batter la moglie, si che io dissi una volta male di lui alii parenti della moglie, si gran pietä mi venne di quella cattivella, la quale egli, ogni volta che bevuto avea troppo, conciava come Dio vel dica». 190 Disse allora il frate: «Or bene, tu mi di' che se' stato mercatante: ingannasti tu mai persona cosi come fanno i mercatanti?». «Gnaffe»,21 disse ser Ciappelletto «messer si, ma io non so chi egli si fu: se non che, uno avendomi recati denari che egli mi doveva dare di panno che io gli avea venduto e io messigli in una mia cassa senza annoverare, ivi bene a un mese trovai ch'egli erano quatro piccioli22 195 piü che esser non doveano; per che, non rivedendo colui e avendogli serbati bene uno anno per rendergliele; io gli diedi per 1'amor di Dio». Disse il frate: «Cotesta fu piccola cosa, e facesti bene a fame quello che ne facesti». E, oltre a questo, il domandö il santo frate di molte altre cose, delle quali di tutte rispose a questo modo; e volendo egli giä procedere alia absoluzione, disse ser Ciappelletto: «Messere, 200 io ho ancora alcun peccato che io non v'ho detto». II frate il domandö quale; e egli disse: «Io mi ricordo che io feci al fante mio, un sabato do-po nona, spazzare la casa e non ebbi alia santa domenica quella reverenza che io dovea».23 «Oh!» disse il frate «figliuol mio, cotesta e leggier cosa». |parafrasi| Queste sono cose che fanno i delinquents e gli uomini malvagi, dei quali tutte le volte che io ne ho veduto qualcuno, sempre ho detto: "Va', che Dio ti converta'V Allora disse il frate: «Or dimmi, figliuolo mio, che benedetto sia tu da Dio: hai tu mai detto falsa testimonianza contro qualcuno o detto male d'altrui o tolto cose ad altri contro la volonta (senza piacere) di coloro ai quali appartenevano?» «Certo che si, signore (Mai messer si)», - rispose ser Ciappelletto - «che io ho detto male d'altrui; perche io ebbi gia un mio vicino che, al maggior torto del mondo, non faceva altro che battere la moglie, cosi che una volta io dissi male di lui ai parenti della moglie, cosi gran pieta mi venne di quella poverina (cattivella), la quale egli, ogni volta che aveva bevuto troppo, maltrattava come sol-tanto Dio ve lo potrebbe dire». Disse allora il frate: «Or bene, tu dimmi che sei stato mercante: ingannasti tu mai persona cosi come fanno i mercanti?» «Ebbene si (Gnaffe...messer si)»; - disse ser Ciappelletto - «ma 10 non so chi egli fosse, se non che uno, avendomi portato il denaro che mi doveva dare per la stoffa che gli avevo venduto, e io avendo- 11 messi in una mia cassa senza contarli, Ii dopo piü di un mese trovai che c'erano quattro soldi (piccioli) piü che non dovevano essere; per che, non rivedendo chi me li aveva dati e avendoli serbati bene un anno per renderglieli, io li diedi in elemosina». Disse il frate: «Questa fu piccola cosa; e facesti bene a fame quello che ne facesti». E, oltre a questo, gli domandö il santo frate di molte altre cose, delle quali di tutte rispose a questo modo. E volendo egli giä procedere all'assoluzione, disse ser Ciappelletto: «Signore, io ho ancora qualche peccato che io non v'ho detto». II frate il domandö quale; ed egli disse: «Io mi ricordo che un sabato dopo le tre del pomeriggio (dopo nona) feci spazzare la casa al mio domestico (fante), e non ebbi alia santa domenica quella reverenza che io dovevo». «Oh!»- disse il frate - «figliuolo mio, questo e peccato da poco». 20 Mai messer si: in italiano antico il mai era usato anche come rafforzativo. 21 Gnaffe: e interiezione del fiorentino parlato. 22 piccioli: nel sistema monetario fran-cese il "picciolo" (o "piccolo") era l'unita di valore piü bassa; dodici piccioli formavano un soldo e venti soldi la lira. Qui indica, dunque, un valore scarsissimo. 23 Io...dovea: Ciappelletto ritiene di aver mancato di rispetto al riposo della domenica (giorno consacrato a Dio) avendo fatto lavorare il suo servo un sabato pomeriggio, dopo l'ora di nona (le tre del pomeriggio), l'ora che precede il vespro dopo il quale si considerava iniziato il riposo della festa. (431] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 «Non», disse ser Ciappelletto «non dite leggier cosa, che la domenica ě troppo da onorare, 205 perö che in cosi fatto di risuscitö da mořte a vita il nostro Signore». Disse allora il frate: «O, altro hai tu fatto?». «Messer si», rispose ser Ciappelletto «che io, non avvedendomene, sputai una volta nella chiesa di Dio». II frate cominciö a sorridere e disse: «Figliuol mio, cotesta non ě cosa da curarsene: noi, 210 che siamo religiosi, tutto il di vi sputiamo». Disse allora ser Ciappelletto: «E voi fate gran villania, per ciö che niuna cosa si convien te-nere netta come il santo tempio, nel quäle si rende sacrificio a Dio». E in brieve de' cosi fatti ne gli disse molti; e ultimamente cominciö a sospirare e appresso a piagner forte, come colui che il sapeva troppo ben fare quando volea. 215 Disse il santo frate: «Figliuol mio, che hai tu?». Rispose ser Ciappelletto: «Oime, messere, che un peccato nie rimaso, del quäle io non mi con-fessai mai, si gran vergogna ho di doverlo dire; e ogni volta che io me ne ricordo piango come voi vedete, e parmi esser molto certo che Idio mai non avrä misericordia di me per questo peccato». Allora il santo frate disse: «Va via, figliuolo, che ě ciö che tu di'? Se tutti i peccati che furon 220 mai fatti da tutti gli uomini, o che si debbon fare da tutti gli uomini mentre che il mondo durerä, fosser tutti in uno uom solo, e egli ne fosse pentuto e contrito come io veggio te, si ě tanta la benignita e la misericordia di Dio, che, confessandogli egli, gliele perdonerebbe libe-ramente: e per ciö dillo sicuramente». Disse allora ser Ciappelletto sempre piagnendo forte: «Oime, padre mio, il mio ě troppo 225 gran peccato, e appena posso credere, se i vostri prieghi non ci si adoperano, che egli mi deb-ba mai da Dio esser perdonato». A cui il frate disse: «Dillo sicuramente, che io ti prometto di pregare Idio per te». Ser Ciappelletto pur piagnea e nol dicea, e il frate pure il confortava a dire; ma poi che ser Ciappelletto piagnendo ebbe un grandissimo pezzo tenuto il frate cosi sospeso, e egli gittö un 230 gran sospiro e disse: «Padre mio, poscia che voi mi promettete di pregare Idio per me, e io il vi dirö: sappiate che, quando io era piccolino, io bestemmiai una volta la mamma mia». E cosi detto ricominciö a piagner forte. |parafrasi| «No», - disse ser Ciappelletto - «non dite peccato da poco, ché la domenica ě troppo da onorare, perché in questo giorno risuscitó da mořte a vita il nostro Signorew. Disse allora il frate: «Hai fatto altri peccati?» «Si», - rispose ser Ciappelletto - «perché io, inavvertitamente, sputai una volta nella chiesa di Dio». II frate cominció a sorridere e disse: «Figliuolo mio, questa non ě cosa da curarsene: noi, che siamo religiosi, vi sputiamo semprew. Disse allora ser Ciappelletto: «E voi fate una pessima azione (gran villania), perché nessuna cosa conviene tenere pulita (netta) come il santo tempio, nel quale si rende sacrificio a Dio». E in breve di fatti del genere gliene disse molti, e infine cominció a sospirare, e dopo a piangere forte, come chi sapeva ben farlo quando voleva. Disse il santo frate: «Figliuol mio, che hai?» Rispose ser Ciappelletto: «Ohimě, signore, mi ě rimasto un peccato, del quale io non mi confessai mai, cosi gran vergogna ho di doverlo dire; e ogni volta ch'io me ne ricordo piango come voi vedete, e mi sembra di essere certissimo che Iddio non avrá mai misericordia di me per questo peccatow. Allora il santo frate disse: «Suwia (Va via), figliuolo, che ě ciö che tu dici? Se tutti i peccati che furono mai fatti da tutti gli uomini, o che si faranno da tutti gli uomini finché il mondo durerä, fossero tutti in un uomo solo, ed egli ne fosse pentito e contrito come io vedo te, ě tanta la benignita e la misericordia di Dio che, confessan-doli, glieli perdonerebbe volentieri: e perció dillo senza timore (sicuramente)». Disse allora ser Ciappelletto, sempre piangendo forte: «Ohime, padre mio, il mio ě peccato troppo grande, e a fatica posso credere, se le vostre preghiere non intercedano per esso (ci si adoperano), che mi debba mai esser perdonato da Dio». A che il frate disse: «Dillo serenamente, perché io ti prometto di pregare Iddio per te». Ser Ciappelletto continuava a piangere (pur piagnea) e non lo diceva, e il frate continuava a esortarlo a parlare. Ma dopo che ser Ciappelletto piangendo ebbe tenuto il frate cosi sospeso molto a lungo, gettó un gran sospiro e disse: «Padre mio, dal momento che (poscia che) voi mi promettete di pregare Iddio per me, io ve lo dirö. Sappiate che, quando io era piccolino, io insultai (bestemmiai) una volta la mamma mia». E cosi detto ricominciö a piangere forte. (432) CAPITOLO 2 I II Decameron - Disse il frate: «O figliuol mio, or parti questo cosi gran peccato? o gli uomini bestemmia-no tutto il giorno Idio, e si perdona Egli volentieri a chi si pente d'averlo bestemmiato; e tu 235 non credi che Egli perdoni a te questo? Non piagner, confortati, che fermamente, se tu fossi stato un di quegli che il posero in croce, avendo la contrizione che io ti veggio, si ti perdone-rebbe Egli». Disse allora ser Ciappelletto: «Oime, padre mio, che dite voi? la mamma mia dolce, che mi portö in corpo nove mesi il di e la notte e portommi in collo piü di cento volte! troppo feci 240 male a bestemmiarla e troppo e gran peccato; e se voi non pregate Idio per me, egli non mi serä perdonato». Veggendo il frate non essere altro restato a dire a ser Ciappelletto, gli fece l'absoluzione e diedegli la sua benedizione, avendolo per santissimo uomo, si come colui che pienamente credeva esser vero ciö che ser Ciappelletto avea detto: e chi sarebbe colui che nol credesse, 245 veggendo uno uomo in caso di morte dir cosi? E poi, dopo tutto questo, gli disse: «Ser Ciappelletto, con l'aiuto di Dio voi24 sarete tosto sano; ma se pure avvenisse che Idio la vostra benedetta e ben disposta anima chiamasse a se, piacevi egli che '1 vostro corpo sia sepellito al nostro luogo?». AI quäle ser Ciappelletto rispose: «Messer si, anzi non vorrei io essere altrove, poscia che 250 voi m'avete promesso di pregare Idio per me: senza che io ho avuta sempre spezial divozione al vostro Ordine. E per ciö vi priego che, come voi al vostro luogo sarete, facciate che a me vegna quel veracissimo corpo di Cristo25 il quäle voi la mattina sopra l'altare consecrate; per ciö che, come che io degno non ne sia, io intendo con la vostra licenzia di prenderlo, e appres-so la santa e ultima unzione, acciö che io, se vivuto son come peccatore, almeno muoia come 255 cristiano». II santo uomo disse che molto gli piacea e che egli diceva bene, e farebbe che di presente gli sarebbe apportato; e cosi fu. |parafrasi| Disse il frate: «O figliuolo mio, ti pare questo un cosi grande peccato? Oh! gli uomini bestemmiano tutto il giorno Iddio, ed Egli perdona volentieri a chi si pente d'averlo bestemmiato; e tu non credi che non perdoni a te questo? Non piangere, confortati, perche sicuramente (fermamente), se tu fossi stato uno di quelli che lo posero in croce, avendo la contrizione ch'io vedo in te, ti perdone-rebbe». Disse allora ser Ciappelletto: «Ohime, padre mio, che dite voi? La mamma mia dolce, che mi portö in corpo nove mesi giorno e notte e mi portö in collo piü di cento volte! ho fatto troppo male a insultarla ed e un peccato troppo grande; e se voi non pregate Iddio per me, non mi sarä perdonato». Vedendo il frate che a ser Ciappelletto non era restato altro da dire, lo assolse e gli diede la sua benedizione, considerandolo (avendolo per) un santissimo uomo, perche credeva che fosse per-fettamente vero ciö che ser Ciappelletto aveva detto. E chi sarebbe colui che non lo avrebbe creduto, vedendo un uomo in punto di morte dir cosi? E poi, dopo tutto questo, gli disse: «Ser Ciappelletto, con l'aiuto di Dio voi sarete presto guarito (tosto sano); ma se pure avvenisse che Iddio chiamasse a se la vostra benedetta e ben disposta anima, vi piacerebbe che il vostro corpo sia seppellito nel nostro convento (luogo)?» AI che ser Ciappelletto rispose: «Si; anzi io non vorrei essere altrove, dopo che voi mi avete promesso di pregare Iddio per me; senza considerare che io ho avuto sempre speciale devozione al vostro ordine. E per ciö vi prego che, non appena voi sarete al vostro convento, facciate venire quel veracissimo corpo di Cristo, il quäle voi la mattina consacrate sopra l'altare; perciö che (sebbene non ne sia degno) io intendo con il vostro permesso prenderlo, e dopo la santa ed estrema unzione, affinche io, se sono vissuto come peccatore, almeno muoia come cristiano». II santo uomo disse che gli piaceva molto e che egli diceva bene, e avrebbe subito fatto in modo che gli fosse portato; e cosi fu. 24 voi: si noti il passaggio dal tu al voi, dal tono confidenziale a quello di rispetto. II capovolgimento si e ormai realizzato: il San- to uomo si sente ormai un peccatore, men-tre Cepparello e giä diventato un santo. 25 corpo di Cristo: l'ostia. Ser Cepparel- lo vuole fare la comunione. Si noti anche in questo caso l'uso del linguaggio devoto. (433 ] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 Li due fratelli, Ii quali dubitavan forte non ser Ciappelletto gľingannasse, s'eran posti ap-presso a un tavolato, il quäle la camera dove ser Ciappelletto giaceva dividea da un'altra, e 260 ascoltando leggiermente udivano e intendevano ciö che ser Ciappelleto al frate diceva; e ave-ano alcuna volta si gran voglia di ridere, udendo le cose le quali egli confessava d'aver fatte, che quasi scoppiavano: e fra sé talora dicevano: «Che uomo é costui, il quäle né vecchiezza né in-fermitä né paura di morte, alla qual si vede vicino, né ancora di Dio, dinanzi al giudicio del quäle di qui a picciola ora s'aspetta di dovere essere, dalla sua malvagitä l'hanno potuto ri- 265 muovere, né far che egli cosi non voglia morire come egli é vivuto?».26 Ma pur vedendo che si aveva detto che egli sarebbe a sepoltura ricevuto in chiesa, niente del rimaso si curarono. Ser Ciappelletto poco appresso si comunicö: e peggiorando senza modo ebbe l'ultima unzione e poco passato vespro, quel di stesso che la buona confessione fatta avea, si mori. Per la qual cosa Ii due fratelli, ordinato di quello di lui medesimo come egli fosse onorevolmente 270 sepellito e mandatolo a dire al luogo de' frati, e che essi vi venissero la sera a far la vigilia se-condo ľusanza e la mattina per lo corpo, ogni cosa a ciö oportuna dispuosero. II santo frate che confessato l'avea, udendo che egli era trapassato, fu insieme col priore del luogo; e fatto sonare a capitolo,27 alli frati ragunati in quello moströ ser Ciappelletto essere stato santo uomo, secondo che per la sua confessione conceputo avea; e sperando per lui Domenedio 275 dovere molti miracoli dimostrare, persuadette loro che con grandissima reverenzia e divozione quello corpo si dovesse ricevere. Alla qual cosa il priore e gli altri frati creduli s'acordarono: e la sera, andati tutti lä dove il corpo di ser Ciappelletto giaceva, sorpr'esso fecero una grande e solenne vigilia; e la mattina, tutti vestiti co' camisci e co' pieviali,28 con Ii libri in mano e con le croci in-nanzi cantando andaron per questo corpo e con grandissima festa e solennitä il recarono alla lor 280 chiesa, seguendo quasi tutto il popolo della cittä, uomini e donne. E nella chiesa postolo, il santo frate, che confessato l'avea, salito in sul pergamo di lui cominciö e della sua vita, de' suoi digiuni, della sua virginitä, della sua simplicitä e innocenzia e santitä maravigliose cose a predicare, IparafrasiI I due fratelli, i quali temevano molto che (dubitavano forte non) ser Ciappelletto li ingannasse, si erano posti vicino a un tavolato, il quale divideva da un'altra la camera dove ser Ciappelletto giaceva, e ascoltando con facilitä (leggermente) udivano e intendevano ciö che ser Ciappelletto diceva al frate; e avevano spesso cosi gran voglia di ridere, udendo le cose le quali egli confessava d'aver fatte, che quasi scoppiavano, e fra sé talora dicevano: «Che uomo é costui, il quale né vecchiaia né infermitä né paura di morte alia quale si vede vicino, né ancora di Dio, dinanzi al giudizio del quale di qui a breve s'aspetta di dovere essere (di qui a picciola...essere), l'hanno potuto rimuo-vere dalla sua malvagitä, né far ch'egli non voglia morire cosi come é vissuto?» Ma vedendo che aveva detto che sarebbe stato sepolto in chiesa, non si curarono del resto (del rimaso). Ser Ciappelletto poco dopo si comunicö, e peggiorando a dismi-sura (senza modo), ebbe l'estrema unzione; e poco passato vespro, mori il giorno stesso in cui aveva fatto la buona confessione. Per la qual cosa i due fratelli, utilizzando i suoi soldi (ordinate...medesimo) affinché lui fosse onorevolmente seppellito, e mandate a dire al convento dei frati che essi venissero la sera a far la veglia funebre secondo ľusanza e la mattina per il trasporto della salma, fecero tutti gli opportuni preparativi. II santo frate ehe ľaveva confessato, udendo ehe egli era morte, si accordô col priore del convento, e fatto suonare per riunire il capitolo, ai frati radunati in quello mostrô ehe ser Ciappelletto era stato un sant'uomo, secondo quanto aveva intuito (conceputo avea) dalla sua confessione; e sperando ehe attraverso lui Dio dovesse mostrare molti miracoli, li persuase ehe si dovesse ricevere con grandissima reverenza e devozione la sua salma. Alla qual cosa il priore e gli altri frati creduli acconsentirono; e la sera, andati tutti lä dove giaceva il corpo di ser Ciappelletto, presso di esso fecero una grande e solenne veglia (vigilia); e la mattina, tutti vestiti coi camici e coi piviali, con i libri in mano e con le croci innanzi, cantando, andarono per questa salma e con grandissima festa e solennitä la portarono nella loro chiesa, seguiti da quasi tutto il popolo della cittä, uomini e donne. E postolo nella chiesa, il santo frate ehe ľaveva confessato, salito sul pulpito (pergamo), cominciô a predicare meravigliose cose di lui e della sua vita, dei suoi digiuni, della sua verginitä, della sua semplicitä e innocenza e santitä, 26 «Che uomo é costui...vivuto?»: sotto queste parole ammirate dei due usurai si in-travvede ľammirazione stessa del narratore (434) per la sinistra grandezza del suo personaggio. 27 capitolo: il capitolo é ľassemblea dei monaci. 28 co' camisci e co' pievali: il "piviale" é un paramente sacro usato in cerimonie li-turgiche particolari. CAPITOLO 2 I II Decameron - tra l'altre cose narrando quello che ser Ciappelletto per lo suo maggior peccato piangendo gli avea confessato, e come esso appena gli avea potuto metter nel capo che Idio gliele dovesse 285 perdonare, da questo volgendosi a riprendere il popolo che ascoltava, dicendo: «E voi, mala-detti da Dio, per ogni fuscello di paglia che vi si volge tra' piedi bestemmiate Idio e la Madre e tutta la corte di Paradiso». E oltre a queste, molte altre cose disse della sua lealtä e delia sua puritä: e in brieve con le sue parole, alle quali era dalla gente della contrada data intera fede, si il mise nel capo e nella 290 divozion di tutti coloro che v'erano, che, poi che fornito fu l'uficio, con la maggior calca del mondo da tutti fu andato29 a basciargli i piedi e le mani, e tutti i panni gli furono indosso stracciati,30 tenendosi beato chi pure un poco di quegli potesse avere: e convenne che tutto il giorno cosi fosse tenuto, acciö che da tutti potesse essere veduto e visitato. Poi, la vegnente notte, in una arca di marmo sepellito fu onorevolemente in una cappella: e a mano a mano il 295 di seguente vi cominciarono le genti a andare e a accender lumi e a adorarlo, e per conseguente a botarsi e a appiccarvi le imagini della cera secondo la promession fatta. E in tanto crebbe la fama della sua santitä e divozione a lui, che quasi niuno era che in alcuna avversitä fosse, che a altro santo che a lui si botasse, e chiamaronlo e chiamano san Ciappelletto, e affermano molti miracoli Idio aver mostrati per lui e mostrare tutto giorno a chi divotamente si racco- 300 manda a lui. Cosi adunque visse e mori ser Cepparello da Prato e santo divenne come avete udito. II quäle negar non voglio esser possibile lui esser beato nella presenza di Dio, per ciö che, come che la sua vita fosse scellerata e malvagia, egli poté in su lo stremo aver si fatta contrizione, che per awentura Idio ebbe misericordia di lui e nel suo regno il ricevette: ma per ciö che questo 305 ne occulto, secondo quello che ne puö apparire ragiono, e dico costui piü tosto dovere essere delle mani del diavolo in perdizione che in Paradiso. E se cosi é, grandissima si puö la benigni-tä di Dio cognoscere verso noi, la quäle non al nostro errore ma alla puritä della fé riguardando, IparafrasiI tra l'altre cose narrando quello che ser Ciappelletto piangendo gli aveva confessato per suo maggior peccato, e come a fatica aveva potuto convincerlo che Iddio glielo dovesse perdonare, da questo cogliendo l'occasione per rimproverare (riprendere) il popolo che ascoltava, dicendo: «E voi, maledetti da Dio, per ogni fuscello di paglia che vi capita tra i piedi bestemmiate Iddio e la Madre, e tutti i santi del Paradiso». E oltre a queste, molte altre cose disse della sua lealtä e della sua purezza; e in breve con le sue parole, alle quali la gente delle contrada prestáva fede interamente, tanto lo mise nel capo e nella devozione di tutti coloro che v'erano che, dopo che fu compiuta la funzione (fornito l'uficio), con la maggior calca del mondo tutti andarono a ba-ciargli i piedi e le mani, e tutti i panni gli furono da dosso stracciati, ritenendosi beato chi potesse avere solo un pezzetto di quelli; e fu necessario che tutto il giorno si facesse cosi, affinché da tutti potesse essere veduto e visitato. Poi, la notte successiva, in un'arca di marmo fu onorevolmente seppellito in una cappella, e a mano a mano il di seguente vi cominciarono le genti ad andare e ad accen- der lumi e ad adorarlo, e in seguito a far voti (botarsi) e ad appen-dervi le immagini di cera secondo la promessa fatta. E cosi tanto crebbe la fama della sua santitä e la devozione per lui, che non c'era quasi nessuno che, trovandosi in qualche avversitä, si votas-se ad un santo diverso da lui, e lo chiamarono e chiamano san Ciappelletto; e affermano che molti miracoli Iddio abbia mostrato per sua intercessione e mostra sempre a chi devotamente si racco-manda a lui. Cosi dunque visse e mori ser Cepparello da Prato e divenne santo come avete udito. Non voglio negare che sia possibile che lui sia beato alla presenza di Dio, per ciö che, sebbene (come che) la sua vita sia siata scellerata e malvagia, egli poté alla fine (in su lo stremo) avere una tale contrizione, che Iddio abbia avuto misericordia di lui e lo abbia ricevuto nel suo regno; ma, dato che questo é impossibile saperlo (n'é occulto), ragiono secondo quello che sembra, e dico che costui piutto-sto debba essere nelle mani del diavolo in perdizione che in Paradiso. E se cosi é, si puö conoscere la grandissima benignitä di Dio verso noi, la quäle considerando non il nostro errore, ma la purezza della fede, 29 da tutti fu andato: corrisponde alla 30 ipanni...stracciati:lasantificazioneé sorridente irónia delľautore. II climax é ar-forma latina del passivo impersonale "itum giunta al suo culmine, con questa scéna di rivato al suo compimento. esť. fanatismo religioso in cui si intravvede la (435) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 cosi faccendo noi nostra mezzano un suo nemico, amico credendolo, ci essaudisce, come se a uno veramente santo per mezzano della sua grazia ricorressimo. E per ciô, acciô ehe noi per 310 la sua grazia nelle presenti avversitä31 e in questa compagnia cosi lieta siamo sani e salvi ser-vati, lodando il suo nome nel quale cominciata Fabbiamo, Lui in reverenza avendo, ne' nostri bisogni gli ci raccomanderemo sicurissimi d'essere uditi. -E qui si tacque. G. Boccaccio, Decameron, cit. |parafrasi| facendo noi nostro intercessore (mezzano) un suo nemico, credendolo amico, ci esaudisce, come se ricorressimo per intercessore della sua grazia ad uno veramente santo. E perció, affinché noi per la sua grazia nelle presenti avversitá e in questa compagnia cosi lieta siamo conservati sani e salvi, lodando il suo nome nel quale ľabbia-mo cominciata, avendolo in reverenza, nei nostri bisogni gli ci raccomanderemo, sicurissimi ďessere uditi. E qui tacque. 31 avversitá: si riferisce alla peste. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TĚSTO_ La vicenda: da peccatore a santo Ser Cepparello da Prato, mandate in Borgogna a riscuotere i debiti di messer Musciatto, ě stato scelto per questo incarico a causa della sua disonestä, cattiveria, mancanza di caritä eristiana. In Borgogna Cepparello, chiamato dai francesi Ciappelletto, si ammala gravemente e sta per morire. I due usurai fiorentini che lo ospitano in casa propria ne sono fortemente preoceupati. Essendo Ciappelletto uomo irreligioso, bestemmiatore, famoso per la sua vita di peccatore impenitente, temono che la sua morte avvenga senza i conforti religiosi: questo fatto potrebbe provocare ľira dei borgognoni contro tutti gli italiani residenti nella regione, giä mal visti. Ciappelletto, uditi i loro discorsi, dichiara che pensem lui a risolvere le cose nel migliore dei modi. Fa chiamare come confessore un frate noto come «sanťuomo», al quale, capovolgendo la verita, si rappresenta come modello di ogni virtú eristiana; tanto che quello - «sanťuomo» forse, ingenuo e inesperto certamente - si convince di avere a che fare con un santo. Morto Ciappelletto e celebrati solenni funerali religiosi, costui viene da tutti considerato un santo. E, questo, il coronamento postumo della sua beffa. La struttura: la divisione in tre parti La novella ě racehiusa fra due momenti meditativi, collocati alľinizio e alla fine, riguardanti il rapporto fra la volontä di Dio e quella degli uomini. II racconto vero e proprio si puô suddividere in tre parti: 1. alľinizio, il ritratto di ser Cepparello e la deserizione dei costumi dei mercanti e della logica del profit-to che ispira tutte le loro scelte; 2. poi ľazione, che comincia nel momente in cui il protagonista si ammala e che si articola in due dialo-ghi: quello fra gli usurai preoceupati per le conseguenze della morte di Cepparello senza i conforti religiosi, a cui poi si unisce il protagonista che li ha uditi parlare; e quello, assai piú lungo, fra il frate confessore e Cepparello-Ciappelletto che inscena la falsa confessione; 3. infine la conclusione, con i funerali del protagonista e la sua santificazione. La stratégia del rovesciamento Tutto il racconto ě costruito secondo i procedimenti delľantifrasi e della tecnica del rovesciamento. II lungo ritratto iniziale di ser Cepparello ne costituisce ľindispensabile premessa: contrariamente alle sue abitudini, Boccaccio rappresenta a lungo il protagonista prima di metterlo in azione perché tutti i vari aspetti della sua vera personalita devono essere ben delineati in modo da essere poi rovesciati nel loro (436) CAPITOLO 2 > II Decameron - contrario attraverso la confessione-beffa. II lettore, ehe conosce la veritä, non poträ ehe trovare comico il suo ribaltamento. D'altronde anche il personaggio del frate ě sottoposto a un graduale ma irresistibile rovesciamento: presentato all'inizio come un «sant'uomo», finisce a poco a poco per assumere, nei con-fronti di Cepparello-Ciappelletto, l'aspetto di un povero peccatore (deve ammettere, per esempio, di spu-tare abitualmente in chiesa): e infatti passa dal "tu" iniziale verso il suo interlocutore a un rispettosissimo "voi". Tale doppio rovesciamento corrisponde poi, nella struttura narrativa, a un doppio climax: a mano a mano che il racconto avanza, il vizioso Ciappelletto assurge agli altari delia santitä, mentre il sant'uomo confessore sprofonda, agli occhi del lettore, nella dabbenaggine e nel ridicolo. Un'ironia inconsueta Quanto si ě detto circa lo stile della novella testimonia il carattere ironico della sua costruzione. Molte delle affermazioni contenute nella novella sono false, e si puô risalire alia versione corretta solo attraverso il loro rovesciamento. In particolare, il meccanismo riguarda la lunga scena della confessione, all'in-terno della quale ogni dichiarazione di Ciappelletto ě vera se rovesciata. II lettore lo sa grazie alia accu-rata presentazione del narratore, e si diverte perché possiede la chiave necessaria a decifrare il senso reale che si nasconde dietro l'apparenza del dialogo. Una parte del divertimento ě anzi giocata sul fatto che il lettore sa ciô che il confessore ignora. Ora, non c e dubbio che il desiderio di far divertire il lettore sia uno dei moventi di Boccaccio. Ma non ě tutto qui. L'autore vuole senz'altro anche mostrare quanto il giudizio umano possa a volte risultare infondato e ingannevole, cosi da insistere sul relativismo dei valo-ri mondani (cfr. il punto successivo). Tuttavia, risulta particolarmente significativo e inquietante il tema al quale Boccaccio applica - in questa come in altre novelle - la figura delľironia: il tema religioso. Si tratta infatti di un tema tradizionalmente interdetto alio scherzo. Evidentemente l'autore intende coin-volgere anche l'ambito religioso nella ridefinizione di valori imposta dal suo relativismo. E l'effetto ě particolarmente vistoso nel finale della novella (righi 299-306), allorché il narratore esalta la grandezza di Dio in quanto capace di servirsi anche di un peccatore incallito per realizzare i suoi disegni, e di permet-tere miracoli anche in nome di un malvagio integrále come Ciappelletto. Dopo tante affermazioni da decifrare alia luce delľironia, ě lecito sospettare la possibilitä che qui il narratore si esprima appunto iro-nicamente. Nel lettore, insomma, si ě insinuato il tarlo del sospetto che sotto le parole possa nasconder-si un significato imprevedibile. L'aspetto ideologico e morale I due momenti meditativi nel prologo e nell'epilogo sottolineano la separazione fra il livello divino e quel-lo umano, con il conseguente relativismo: l'uomo, sulla base della ragione, puô solo fare congetture e ipotesi, ma il modo con cui si manifesta la volontä divina gli resta sostanzialmente «occulto». Questo relativismo si presenta anche nel racconto vero e proprio e ne determina una costitutiva ambiguitä. In-dubbiamente Ciappelletto ě un uomo malvagio, tuttavia non ě privo di grandezza nella sua fredda e cal-colata beffa al confessore e ai borgognoni. Inoltre questa recita viene da lui messa in scena non senza un senso di gratitudine per i due usurai che ľhanno ospitato e di responsabilitä nei confronti degli italiani che abitano in Francia e che potrebbero venir danneggiati dalla sua morte senza i conforti religiosi. Attualitä della novella La lezione di relativismo implicita in questa novella risulta probabilmente meglio comprensibile al lettore moderno che non ai contemporanei di Boccaccio: la modernita ha infatti insistito da ogni punto di vista sul relativismo della conoscenza e dei valori (dal mondo della fisica a quello della psicologia e della morale). L'idea che le parole possano nascondere un meccanismo ingannevole, profondamente innova-tiva nel tempo in cui la novella ě stata scritta, risulta largamente diffusa nella cultura degli ultimi due secoli e soprattutto in quella del Novecento. Da questo punto di vista risulta garantita l'attualita della novella; noi lettori del Duemila possiamo anzi contare su strumenti di decifrazione particolarmente ade-guati. Quanto perdiamo per il minore scandalo provocato dalla scelta del tema religioso riguadagniamo forse da quest'altro punto di vista. Una interpretazione moderna e particolarmente suggestiva della novella ě proposta da Pasolini nella sua versione cinematografica del Decameron. (437) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 LAVORIAMO SUL TESTO Comprensione e analisi 1. Riassumere ► Riassumi la novella, distinguendo le parti narrative e i commenti di Panfilo. 2. Per quali caratteristiche ser Cepparello etristemente fa-moso? Come si comporta invece in Borgogna? 3. Argomentare ► Quale idea ti puoi fare del temperamen-to del personaggio dalla prima parte del racconto? 4. Quale criterio ispira a ser Cepparello la confessione al pio frate? 5. Esporre oralmente Che rapporto lega nella novella i vari piani temporali (passato, presente, futuro)? Da quali concrete scelte narrative sono concatenati nel racconto? Discutine con i compagni. 6. Lingua e lessico ► Parlando con Cepparello, il frate con-fessore si convince gradualmente di essere in presenza non di un peccatore, ma di un santo. Quali sono le spie linguistiche che dimostrano il mutato atteggiamento del frate nei confronti del suo interlocutore? Interpretazione e commento 7. Argomentare ► Che visione sembra avere Boccaccio delle vicende umane? Spiegalo in un testo di massimo dieci righe con precisi riferimenti alia novella. 8. Individuarecollegamenti ► Quali sono le caratteristiche che il narratore attribuisce a Dio? Che ruolo hanno nel rapporto fra umano e divino? Che relazione puoi istituire fra Dio e il pio frate confessore? IL TESTO E OLTRE ► Individuare collegamenti e confrontare La rappresentazione della ricchezza Questa novella ě stata interpretata in modi diversi dalla critica: c'ě chi vi ha visto un duro atto d'accusa nei confronti della logica di mercato e chi invece ha letto la beffa di ser Ciappelletto come un'esaltazione delľingegno e dell'etica laica dei mercanti. Del resto un'ambivalenza di giudizio nella rappresentazione del denaro e dei mercanti caratterizza non solo I'epoca di Boccaccio ma anche la cultura umanistica e rinascimentale. Da un lato gli artisti esaltano il pre-stigio sociále ed economico di mercanti e banchieri, dalľaltro condannano la spregiudicatezza e ľaviditä dei nuovi ricchi. Osserva le immagini delle tele / coniugi Arnolfmi di van Eyck e Gli usurai di van Reymerswaele e metti in evi-denza in un breve testo le diverse modalita di rappresentazione della ricchezza che emergono dai personaggi, dalle ambientazioni, dagli oggetti rappresentati e dai modi della rappresentazione. © Jan van Eyck, / coniugi Arnolfini, 1434. Londra, National Gallery. © Marinus van Reymerswaele, Gli usurai, 1540 ca. Firenze, Museo Stibbert. ( 438 ) CAPITOLO 2 I II Decameron - LA CRITICA Ser Ciappelletto: due diverse interpretazioni Secondo Branca, ser Ciappelletto sarebbe un esempio negativo di irreligiositá collocato a bella posta all'inizio del Decameron, neH'ambito di una prospettiva «ascensionale» che infatti si concluderebbe, neH'ultima novella dell'ulti-ma giornata, con I'opposta esaltazione dei valori cristiani in Griselda (la protagonista di X, 10). Non mancherebbero, nel racconto, giudizi di critica e di condanna nei confronti del suo protagonista e, piu in generále, delle leggi spietate della mercatura che egli difenderebbe sino all'ultimo. Questo giudizio critico spingerebbe Boccaccio ad awicinare Ciappelletto alia figura di Giuda, proprio come, nell'ultima giornata, Griselda verrebbe accostata a Maria. Insomma, la vicenda di Cepparello-Ciappelletto avrebbe il valore di una sorta di "exemplum" dantesco. Secondo Muscetta, viceversa, la beffa finale piu che atto di empietá vuole essere rovesciamento ironico di una religione ridotta a fatto convenzionale e dell'ipocrisia implicita nella figura del mercante devoto (quasi una con-traddizione in termini). Lungi dall'avere il valore polemico di una denuncia, la vicenda avrebbe quello di un «lieto exemplum alia rovescia» all'interno di una morale borghese ormai serenamente spregiudicata. II Ciappelletto di Branca Quel linguaggio stravolto e quasi antifrastico1 della prima novella punta perö a una coerenza espressiva anche su un altro piano. Percha una delle prospettive in cui si situa ľem-pia impresa di Ciappelletto é, fin dal ritratto iniziale, proprio quella dello stravolgimento morale e umano. [...] Ma lo stravolgimento, oltre che in Ciappelletto, é nella sua inesorabile vicenda. II falsario e ľingannatore a tutti i costi (e fino alľora e alia prova definitive) é alia fine ingannato e tra-dito dai suoi stessi gesti perché preci-pita in un fallimento totale e irrime-diabile, «nelle mani del diavolo in perdizione». L'empio e il bestemmia-tore, che anche negli estremi suoi momenti aveva voluto sfidare Dio con un sacrilegio e beffare un suo candido e «santo» ministro, suscita invece col suo stesso sacrilegio una vasta ondata di entusiasmo religioso, gradita a Dio e da Dio sollecitatrice di grazie e di miracoli. [...] Certo ľinteresse del Boccaccio per questo rovesciamento non é tanto religioso o morale, quanto piuttosto artistico. Anzi agisce in lui 1 antifrastico: da antifrasi, in greco 'si-gnificazione del contrario': procedimento espressivo, di solito ironico, che consiste nell'esprimere un concetto con parole o fra- probabilmente una sollecitazione soprattutto di natura e di tradizione letteraria e mediolatina e proverbiale: cioě il topos2 - insistente proprio allora nella cultura - del «mondo alla rovescia». Attraverso quelle stravolte vicende la presentazione di quel topos culmina qui nel paradosso del piü grande furfante proclamato santo e venerato per i miracoli fatti, suo malgrado, da Dio. [...] Esempio estremo, quello di Ciappelletto: che piuttosto di mette-re in pericolo il dominio dei banchie-ri italiani in Borgogna, piuttosto di ribellarsi alla «ragion di mercatura» sceglie di perdersi per Feternitä con piena coscienza della sua dannazio-ne. E questa la «ragione» che induce lui, credente (e non scettico, come ě stato detto) alla confessione sacrilega in punto di mořte: ě questo il motivo dell'ammirazione dei fratelli usurai per la sua empietä inaudita, alla Capaneo,3 per la sua forza sovruma-na o meglio disumana [...]. E allora anche il famoso bieco ritratto di Ciappelletto, che apre la novella con le sue linee fosche e senza sfumature, si che significano il contrario. 2 il topos: termine greco che significa 'luogo comune'. Qui vale: il motivo. 3 Capaneo: mitico gigante che scalö le con le sue enumerazioni cupe e taglienti, appare non indugio oratorio o pezzo di bravura ma premessa coerente e necessaria alla enorme, calcolata empietä che ě al centro del racconto; e che ě preannunciata nel brivido delle parole che concludono il sinistro profilo con l'eco dell'orrore evangelico per Giuda («Bonum erat ei si non esset natus homo ille»).4 [...] Percha al centro dell'atteggia-mento in cui il Boccaccio scopre e contempla la smisurata forza della «ragion di mercatura» sta un'esita-zione, che soltanto qualche volta (come nelle figure di Musciatto e di Ser Ciappelletto) si colora di tinte oscure e di biasimo. E un'esitazione, uno sgomento, fatto insieme di stu-pore e di orrore, che puö richiamare quello di Dante [...]. Sembra che il Boccaccio, proprio mentre innalza questa nuova epopea, awerta anche i limiti o meglio gli aspetti disumani di questa potente e prepotente civiltä. V. Branca, Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Sansoni, Firenze 1990, pp. 97-100 e pp. 158-159. mura di Tebe, sfidando Zeus e rimanendo fulminato. 4 «Bonum...ille»: sarebbe stato bene per lui se un tale uomo nonfosse nato. (439; PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310-> 1380 II Ciappelletto di Muscetta L'inopportuna canonizzazione1 e gli opinabili2 miracoli non voluti certo da ser Ciappelletto, inquadrano un exemplum il cui contenuto non ě certo dantesco. La cupiditas,3 proprio perché ě divenuta «ragione di merca-tura» (Branca), diviene la legge di un mondo estetico e morale considerato nella sua logica autonoma, dove la religione ha una dimensione di carat-tere sociale, fa parte del «convenevo-le»:4 il ben morire ě non meno impor-tante del ben vivere. Al centro della memoria mistificante e carnevalesca5 di ser Ciappelletto si colloca la sua autobiografia leggendaria che contraria tutta la sua reale esistenza. [... ] Non per nulla, a coronamento dell'orazio-ne canonizzante, il vecchio frate cele-bra la sua «lealtä e puritä» cioě le sue qualitä di pio e onesto mercante che aveva risposto in maniera esemplare alla sua domanda se avesse peccato di avarizia «desiderando piü che il conve-nevole». Proprio su questo borghese san Ciappelletto e i suoi miracoli si esercita 1'ironia immanente nello stile della novella, che lascia l'addentellato6 alle considerazioni degli ascoltanti, per cui oltre che esser «risa» ě anche «commendata».7 Altra ě la religione del mondo del «convenevole», altra ě quella che lo scrittore proietta nel novellatore, che ě di lä dai «mezzani»8 di santitä e di lä dalle permutazioni che regolano le vicende delle merci e del denaro. Dio «come cosa impermuta-bile» ě un valore eterno che conta piü \mff\t( \i tu b«jŕíiniu(H( «t hi »HUtfw^r © Ciappelletto, miniatura di MaTtre de Guillebert de Mets dal manoscritto Arsenal 5070, fine XIV secolo. Parigi, Bibliotheque Nationale de France. delle umane «oppinioni» sul futuro delle anime, la cui salvezza o danna-zione non puô dipendere da quanto i religiosi, anche se venerabili, possono aver «conceputo» in conferire cano-nizzazioni estemporanee (ehe erano frequenti prima della protesta luterána e della regolamentazione tridentina). [...] Se il narratore si diverte e ci diver-te é perché tutto si risolve in un lieto fine «convenevole» per tutti: ser Musciatto recupera i suoi erediti, i due usurai non ci rimettono neppure le spese del funerale, il santo frate benefícia il suo «luogo» ehe da convento diviene santuario, i fedeli ci rimediano reliquie e miracoli, e ser Ciappelletto se non s'e conquistato il paradiso per grazia di Dio, non si e certo perduto l'inferno per cui tanto aveva operato. II novellatore ne puö rieavare un lieto exemplum alla rovescia, e senza nulla presumere sulla salvezza o sulla dan-nazione, e intanto grato a Dio se «in questa compagnia cosi lieta» tutti saranno «sani e salvi servati» dalla peste e dalla morte. Questa religiositä non vuole essere ne cinica ne bigotta. E una morale borghese, spregiudicata, Serena. C. Muscetta, Boccaccio, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 181-182. 1 canonizzazione: santifieazione. 2 opinabili: discutibili. 3 cupiditas: termine latino: cupidigia. 4 «convenevole»: che ě conveniente fare. 5 mistificante e carnevalesca: perché falsa e rovescia grottescamente la realtä. 6 che lascia l'addentellato: che offre un 'occasione. 7 oltre...commendata: oltre che essere og-getto di riso (risa) e anche lodata (commendata). 8 «mezzani»: procuratori. LAVORIAMO SULLA CRITICA ^ 1. Branca vede nella novella un esempio di empietä, Muscetta ne sottolinea invece ľaspetto comico e giocoso. Quali interpretazione trovi piü convincente e perché? ( 440 ) CAPITOLO 2 I II Decameron . 0 Le novelle della Seconda giornata: I Z. il potere e la fortuna, con avventure a Meto fine Potere del caso e avventure a lieto fine Travestimento e agnizione Novelle d'awentura e a lieto fine digit ■ TESTO La novella til Landolfo Rufolo Lo scenario del Mediterraneo La Seconda giornata e retta da Filomena. L'argomento e il potere della fortuna o del caso che sottopongono gli uomini a incredibili avventure; pero si considerano qui solo quelle che si concludono con «il lieto fine». Non manca il tenia del travestimento, che riguarda ben tre novelle: la terza, in cui un giovane abate si rivela infine una donna, figlia del re d'Inghilterra; l'ottava, in cui il conte d'Anguersa va in esilio sotto falso nome (una parte di questa novella, quella relativa all'amore di Giachetto e di Giannetta, figlia del conte di Anguersa, si puo leggere in Prometeo); la nona, in cui una mo-glie, ingiustamente accusata di adulterio, finisce, travestita da uomo, al servizio del Sultano. Ne manca il motivo, d'altronde collaterale, del riconoscimento (o agnizione): memorabile quel-lo fra figlio e madre nella novella sesta. Le novelle piu awenturose sono la quarta e la quinta, mentre del tutto particolari sono le avventure della settima. Nella quarta si narra di un corsaro, Landolfo Rufolo, che, dopo un naufragio, si salva su una cassetta galleggiante e scopre poi, quando pensa di aver perduto ogni bene, che e piena di pietre preziose; nella quinta sono raccontati i tre «accidenti» capitati nella citta di Napoli a un giovane e inesperto perugino, Andreuccio (cfr. T4, p. 442). Quanto alia settima, ha per argomento le vicende di una bellissima fanciulla, Alatiel, che, mandata dal padre come sposa al re del Garbo, a causa di un naufragio non arriva a destinazione e passa, nel giro di quattro anni, fra le mani di nove uomini che per lei uccidono e rapinano, finche ritorna al padre, il quale, convinto che la ragazza (cosi lei gli ha detto) abbia trascorso questo periodo al sicuro in un convento, la invia di nuovo come moglie al re del Garbo, come se niente fosse successo. E questa la novella della bellezza irresistibile e tragica, causa di sangue e di lutti. In queste novelle il ritmo awenturoso della narrazione apre al lettore una serie vastissima di scenari collocati in tutto il Mediterraneo: si va da Napoli ad Alessandria dEgitto, dalla Sicilia a Genova, da Corfu a Gaeta, dalle Baleari alia Sardegna, dall'isola di Ponza al porto di Chiaren-za nel Peloponneso. I porti, i vicoli delle citta di mare, con la loro malavita e le loro prostitute, i fondaci dove i mercanti immagazzinano le loro merci, i traffici marittimi con i loro pericoli (i naufragi, i corsari), le diverse abitudini, costumi e religioni dei popoli mediterranei costituisco-no il vario, colorato e realistico fondale delle novelle, e nello stesso tempo designano lo spa-zio geografico e commerciale dell'uomo del Trecento. © Andreuccio da Perugia, miniatura dal manoscritto Fr. 239, quarto decennio del XV secolo ca. Parigi, Bibliotheque Nationale de France. C441 ] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 T4 La novella di Andreuccio da Perugia OPERA Decameron, II, 5 CONCETTI CHIAVE • la fortuna, motore delia narrazione avventurosa • I'iniziazione di Andreuccio, ehe infine aguzza I'ingegno • la compresenza di realismo ed elementi tipici delle fiabe digit-VIDEOLETTU RA digit ■ALTALEGGIBIUTÄ digit-VIDEO Pasolini e Andreuccio da Perugia (G. Rondolino) [6' 10"] E la quinta novella della Seconda giornata, narrata da Fiammetta, ed e ambientata a Napoli. Un giovane perugino, ancora inesperto (e al suo primo viaggio), si reca a Napoli per un traffico di cavalli. Ingenua-mente, lascia intravedere la propria borsa ben fornita. Cosl una bellissima siciliana che fa la prostituta gli gioca untiro: si fingesua sorella (illegittima e percio tenuta nascosta dal padre) e lo invita a casa sua. Andreuccio cade nel trabocchetto. Resta a dormire nella casa della presunta sorella e la notte, recatosi alia latrina.finisce persprofondarein un vicolotrasformato in letamaio. La falsa sorella ne approfitta per portagli via tutti i soldi, mentre Andreuccio resta solo e puzzolente in mezzo alia strada. Incontra due ladri i quali lo convincono ad accompagnarli a derubare il cadavere di un vescovo. Durante il tragitto, Andreuccio viene calato in un pozzo per lavarsi, ma rischia di restarvi a causa della fuga improvvisa dei complici. Uscito finalmente dal pozzo e ritrovati i due ladri, scende nel sepolcro del vescovo dove pero alia fine viene rinchiuso dai due complici che non vogliono dividere con lui la refurtiva. Fortunatamente sopraggiunge un'altra combriccola di ladri che aprono il sepolcro e cosl involontariamente lo liberano. Alia fine Andreuccio torna a Perugia in pari o addirittura piu ricco rispetto a quando era partito: infatti ha preso dal dito del vescovo un prezioso rubino che vale forse piu del denaro rubatogli. ANDREUCCIO DA PERUGIA, VENUTO A NAPOLI A COMPERAR CAVALLI, IN UNA NOTTE DA TRE GRAVI ACCIDENTISOPRAPRESO,1 DA TUTTI SCAMPATO CON UN RUBINO SI TORNA A CASA SUA. Le pietre da Landolfo trovate2 - cominciö la Fiammetta, alia quale del novellare la volta toc-5 cava - m'hanno alia memoria tomata una novella non guari3 meno di pericoli in sé contenente che la narrata dalla Lauretta, ma in tanto differente da essa, in quanto quegli forse in piu anni e questi nello spazio d'una sola notte addivennero, come udirete. Fu, secondo che io giä intesi, in Perugia un giovane il cui nome era Andreuccio di Pietro, cozzone4 di cavalli; il quale, avendo inteso che a Napoli era buon mercato di cavalli, messisi in 10 borsa cinquecento fiorin d'oro, non essendo mai piu fuori di casa stato,5 con altri mercatanti lä se n'andö: dove giunto una domenica sera in sul vespro,6 dall'oste suo informato la seguente mattina fu in sul Mercato, e molti ne vide e assai ne gli piacquero e di piu e piu mercato tenne,7 né di niuno potendosi accordare, per mostrare che per comperar fosse, si come rozzo e poco cauto piu volte in presenza di chi andava e di chi veniva trasse fuori questa sua borsa de' fiori- 15 ni che aveva.8 E in questi trattati stando, avendo esso la sua borsa mostrata, avvenne che una giovane ciciliana9 bellissima, ma disposta per piccol pregio a compiacer a qualunque uomo, senza vederla egli, passö appresso di lui e la sua borsa vide e subito seco disse: «Chi starebbe me- 1 tré...soprapreso: incappato in tre gravi disavventure (accidenti). 2 pietre...trovate: si riferisce alia novella precedente di Landolfo Rufolo che si conclude felicemente proprio per il ritrovamen-to di alcune pietre preziose. 3 non guari: affatto. Ě un francesismo fre-quente in espressioni negative e significa molto. ( 442 ) 4 cozzone: mediatore nelle vendite dei cavalli. La parola ě ancora in uso in alcune zo-ne della Toscana con il significato di "combi-natore di matrimoni" (ě colui che fa da mediatore tra uomo e donna per organizzarne il matrimonio). 5 mai piú...stato: senza mai essere stato prima fuori casa. 6 in sul vespro: allbra del tramonto. II vespro ě la funzione religiosa del pomerig-gio. 7 mercato tenne: entro in trattative. 8 per mostrare...aveva: per provare che era [intenzionato] a comprare, [comportan-dosi] da persona inesperta (rozzo) e poco avveduta, tirava fuori la borsa contenente i fiorini davanti a chi andava e a chi veniva. 9 ciciliana: siciliana. CAPITOLO 2 I II Decameron - glio di me se quegli denari fosser miei?» e passö oltre. Era con questa giovane una vecchia 20 similmente ciciliana, la quale, come vide Andreuccio, lasciata oltre la giovane andare, affettuosamente corse a abbracciarlo: il che la giovane veggendo, senza dire alcuna cosa, da una delle parti la cominciö a attendere. Andreuccio, alia vecchia rivoltosi e conosciutala, le fece gran festa, e promettendogli essa di venire a lui all'albergo, senza quivi tenere troppo lungo sermone,10 si parti: e Andreuccio si tornö a mercatare ma niente comperö la mattina. 25 La giovane, che prima la borsa dAndreuccio e poi la contezza11 della sua vecchia con lui aveva veduta, per tentare se modo alcuno trovar potesse a dovere aver quelli denari, o tut-ti o parte, cautamente incominciö a domandare chi colui fosse o donde e che quivi facesse e come il conoscesse.12 La quale ogni cosa cosi particularmente de' fatti dAndreuccio le disse come avrebbe per poco detto egli stesso, si come colei che lungamente in Cicilia col 30 padre di lui e poi a Perugia dimorata era,13 e similmente le conto dove tornasse14 e perché venuto fosse. La giovane, pienamente informata e del parentado di lui e de' nomi, al suo appetito forni-re con una sottil malizia, sopra questo fondö la sua intenzione;15 e a casa tornatasi, mise la vecchia in faccenda per tutto il giorno acciö che16 a Andreuccio non potesse tornare; e presa 35 una sua fanticella, la quale essa assai bene a cosi fatti servigi aveva ammaestrata,17 in sul ve-spro la mandö all'albergo dove Andreuccio tornava. La qual, quivi venuta, per Ventura lui medesimo e solo trovö in su la porta e di lui stesso il domandö.18 Alia quale dicendole egli che era desso,19 essa, tiratolo da parte, disse: «Messere, una gentil donna di questa terra, quando vi piacesse, vi parleria volentieri». II quale veden- 40 dola, tutto postosi mentě20 e parendogli essere un bel fante della persona, s'avviso questa donna dover di lui essere innamorata, quasi altro bel giovane che egli non si trovasse allora in Napoli, e prestamente rispose che era apparecchiato21 e domandolla dove e quando questa donna parlar gli volesse. A cui la fanticella rispose: «Messere, quando di venir vi piaccia, ella v'attende in casa sua». 45 Andreuccio presto, senza alcuna cosa dir nell'albergo, disse: «Or via mettiti avanti, io ti verrö appresso». Laonde22 la fanticella a casa di costei il condusse, la quale dimorava in una contrada chia-mata Malpertugio,23 la quale quanto sia onesta contrada il nome medesimo il dimostra. Ma esso, niente di ciö sappiendo né suspicando,24 credendosi in uno onestissimo luogo andare e 50 a una cara donna, liberamente, andata la fanticella avanti, se n'entrö nella sua casa; e salendo su per le scale, avendo la fanticella giä la sua donna chiamata e detto «Ecco Andreuccio», la vide in capo della scala farsi a aspettarlo. 10 senza...sermone: senza fare discorsi (sermone) troppo lunghi in quel luogo (quivi), se ne andó. 11 contezza: familiaritá. 12 cautamente...conoscesse: con pru-denza incominció a domandare [alia vecchia] chi fosse I'uomo [che aveva salutato] o da dove (donde) venisse, che cosa facesse li (quivi) e come lo (il) conoscesse. 13 si come...era: per il fatto che [si come] lei a lungo in Sicilia (Cicilia) con il padre di lui [: Andreuccio] epoi a Perugia era vissuta. 14 le conto dove tornasse: le raccontb dove alloggiava. 15 al suo appetito...intenzione: sulla base di queste [informazioni] elaborö il suo piano (intenzione) per appagare (fornire) il suo desiderio [di denaro] con una sottile astuzia. 16 acciö che: in modo che. 17 fanticella...ammaestrata: una giovane cameriera abituata a simili servizi. 18 di lui stesso il domandö: a lui (il) domandö [notizie] di lui stesso. 19 desso: esso; proprio lui. 20 tutto...persona: considerando (postosi mente) di essere un giovane (fante) di bell'aspetto (persona). 21 apparecchiato: pronto. 22 Laonde: quindi. 23 Malpertugio: era il nome di un quartiere di Napoli che conduceva, per una scor-ciatoia attraverso le mura, al mare. Si tratta-va di un quartiere noto per i traffici ma an-che per la malavita. 24 suspicando: dal latino suspicere = guardare con diffidenza. (443 ) PARTE SECONDA > Ľautunno del Medioevo 1310 -> 1380 Ella era ancora assai giovane, di persona grande e con bellissimo viso, vestita e ornata assai orrevolemente;25 alia quale come Andreuccio fu presso, essa incontrogli da tre gradi discese 55 con le braccia aperte, e avvinghiatogli il collo alquanto stette senza alcuna cosa dire, quasi da soperchia tenerezza impedita;26 poi lagrimando gli basciö la fronte e con voce alquanto rotta disse: «O Andreuccio mio, tu sii il ben venuto!». Esso, maravigliandosi di cosi tenere carezze, tutto stupefatto rispose: «Madonna, voi siate la ben trovata!». 60 Ella appresso, per la man presolo, suso nella sua sala il menö e di quella, senza alcuna altra cosa parlare, con lui nella sua camera se n'entrö, la quale di rose, di fiori d'aranci e d'altri odo-ri tutta oliva,27 lä dove egli un bellissimo letto incortinato e molte robe su per le stanghe,28 secondo il costume di lä, e altri assai belli e ricchi arnesi vide; per le quali cose, si come nuovo, fermamente credette lei dôvere essere non men che gran donna. 65 E postisi a sedere insieme sopra una cassa che appiě del suo letto era, cosi gli cominciö a parlare: «Andreuccio, io sono molto certa che tu ti maravigli e delle carezze le quali io ti fo e delle mie lagrime, si come colui ehe non mi conosci e per awentura mai ricordar non m'udi-sti.29 Ma tu udirai tosto cosa la quale piú ti farä forse maravigliare, si come ě che io sia tua sorella; e dicoti che, poi che Idio m'ha fatta tanta grazia che io anzi la mia morte ho veduto 70 alcuno de' miei fratelli, come che io disideri di vedervi tutti, io non morrö a quella ora che io consolata non muoia.30 E se tu forse questo mai piú non udisti, io tel vo' dire. Pietro, mio padre e tuo, come io credo che tu abbi potuto sapere, dimorö lungamente in Palermo, e per la sua bontä e piacevolezza vi fu e ě ancora da quegli che il conobbero amato assai. Ma tra gli altri che molto l'amarono, mia madre, che gentil donna fu e allora era vedova, fu quella 75 che piú l'amö, tanto che, posta giü la paura del padre e de' fratelli e il suo onore, in tal guisa con lui si dimesticö, che io ne nacqui e sonne qual tu mi vedi.31 Poi, sopravenuta cagione a Pietro di partirsi di Palermo e tornare in Perugia, me con la mia madre piccola fanciulla la-sciö, né mai, per quello che io sentissi, piú né di me né di lei si ricordö: di che io, se mio padre stato non fosse, forte il riprenderei avendo riguardo alia ingratitudine di lui verso mia madre 80 mostrata (lasciamo stare alio amore che a me come a sua figliuola non nata d'una fante né di vil femina dovea portare), la quale le sue cose e sé parimente, senza sapere altrimenti chi egli si fosse, da fedelissimo amor mossa rimise nelle sue mani.32 Ma che ě?33 Le cose mal fat-te e di gran tempo passate sono troppo piú agevoli a riprendere che a emendare: la cosa an-dö pur cosi. Egli mi lasciö piccola fanciulla in Palermo, dove, cresciuta quasi come io mi 85 sono, mia madre, che ricca donna era, mi diede per moglie a uno da Gergenti, gentile uomo e da bene, il quale per amor di mia madre e di me tornö a stare in Palermo; e quivi, come colui che ě molto guelfo,34 cominciö a avere alcuno trattato col nostro re Carlo.35 II quale, 25 orrevolemente: onorevolmente. 26 quasi...impedita: come sopraffatta da eccessiva (soperchia) commozione. 27 oliva:profumava; dal latino oleo = pro-fumo. 28 letto...stanghe: letto a baldacchino (incortinato) e molti abiti (robe) appesi a traverse di legno (stanghe). 29 si comc.non m'udisti: dal momento che non mi conosci neper caso (per awentura) sentisti mai parlare di me. 30 io...non muoia: qualunque sia I'ora in ( 444 ) cui dovrô morire, non potrô che morire con-tenta (consolata). La donna si riferisce al fatto che ľaver incontrato Andreuccio ľha ormai ripagata del desiderio di rivedere i fratelli. 31 in tal guisa...mi vedi: entrô in tale intimita con lui (si dimesticô) che sono nata io; ed eccomi qua, come tu mi vedi. La storia inventata da Fiordaliso ě assai verosimile. Si ricordi che anche Boccaccio era figlio, nato illegittimo, di un mercante. 32 la quale...nelle sue mani: mia madre (la quale), spinta da un amore fedelissimo, senza neppure sapere chi egli fosse aveva af-fidato nelle sue mani i suoi beni e se stessa (le sue cose e sé parimente). 33 Ma che é?: Ma a che serve [recrimi-nare\ ? 34 guelfo: cioé schierato dalla parte degli Angiô. 35 re Carlo: é Carlo II d'Angiô, detto lo Zoppo. Cacciato dalla Sicilia durante la guerra dei Vespri, tento invano fino alla morte (1309) di riconquistarla agli Angioini. CAPITOLO 2 I II Decameron - sentito dal re Federigo36 prima ehe dare gli si potesse effetto,37 fu cagione di farci fuggire di Cicilia quando io aspettava essere la maggior cavalleressa38 che mai in quella isola fosse; don-90 de, prese quelle poche cose che prender potemmo (poche dico per rispetto alle molte le qua-li avavamo), lasciate le terre e li palazzi, in questa terra ne rifuggimmo, dove il re Carlo verso di noi trovammo si grato che, ristoratici39 in parte li danni li quali per lui ricevuti avavamo, e possessioni e case ci ha date, e dä continuamente al mio marito, e tuo cognato che ě, buona provisione,40 si come tu potrai ancor vedere. E in questa maniera son qui, dove io, la buona 95 mercé di Dio e non tua, fratel mio dolce, ti veggio». E cosi detto, da capo il rabbracciö e ancora teneramente lagrimando gli basciö la fronte. Andreuccio, udendo questa favola cosi ordinatamente, cosi compostamente41 detta da co-stei, alia quale in niuno atto42 mořiva la parola tra' denti né balbettava la lingua, e ricordandosi esser vero che il padre era stato in Palermo e per se medesimo43 de' giovani conoscendo i co-100 stumi, ehe volentieri amano nella giovanezza, e veggendo le tenere lagrime, gli abbracciari44 e gli onesti basci, ebbe ciö che ella diceva piú che per vero: e poscia che ella tacque, le rispose: «Madonna, egli non vi dee parer gran cosa se io mi maraviglio: per ciö che nel vero, o che mio padre, per che che egli sel facesse, di vostra madre e di voi non ragionasse giammai, o che, se egli ne ragionö, a mia notizia venuto non sia, io per me niuna conscienza aveva di voi se non 105 come se non foste;45 e emmi46 tanto piú caro ľavervi qui mia sorella trovata, quanto io ci sono piú solo e meno questo sperava. E nel vero io non conosco uomo di si alto affare al quale voi non doveste esser cara, non ehe a me che un picciolo mercatante sono. Ma ďuna cosa vi prie-go mi facciate chiaro: come sapeste voi ehe io qui fossi?». Al quale ella rispose: «Questa mattina mel fé sapere una povera femina la qual molto me-110 co si ritiene,47 per ciö che con nostro padre, per quello che ella mi dica, lungamente e in Palermo e in Perugia stette; e se non fosse ehe piú onesta cosa mi parea che tu a me venissi in casa tua48 che io a te nell'altrui, egli ha gran pezza49 che io a te venuta sarei». Appresso queste parole ella cominciö distintamente a domandare di tutti i suoi parenti nominatamente,50 alia quale di tutti Andreuccio rispose, per questo ancora piú credendo 115 quello ehe meno di creder gli bisognava. Essendo stati i ragionamenti lunghi e il caldo grande, ella fece venir greco e confetti51 e fé dar bere a Andreuccio; il quale dopo questo partir volendosi, per ciö che ora di cena era, in niuna gui-sa il sostenne, ma sembiante fatto di forte turbarsi52 abbracciandol disse:«Ahi lassa me,53 ché as-sai chiaro conosco come io ti sia poco cara! Che ě a pensare che tu sii con una tua sorella mai piú54 36 re Federigo: si tratta del re Federigo II ďAragona, re di Sicilia dal 1296, ufficial-mente riconosciuto solo nel 1302 con il trat-tato di Caltabellotta. Nonostante la pace con gli Angioini (Federigo aveva sposato la figlia di Carlo, Eleonora) nel 1313 ripresero apertamente le ostilitä, seguite da nuove congiure, maechinazioni e contese. 37 prima che...effetto:prima che andas-se a buon fine. 38 cavalleressa: sposa di un nobile cava-liere. 39 ristoratici: risarcitici. 40 provisione: stipendio. 41 compostamente: coerentemente, op- pure scaltramente. 42 in niuno atto: in nessun gesto. 43 per se medesimo: per esperienza personale. 44 abbracciari: forma di plurále dalľinfi-nito sostantivato: abbracci. 45 per che che...foste: qualunque sia il motivo per cui (per che che) lo ha fatto, mio padre non ha mai parlato di voi e di vostra madre, o perché, se ne ha parlato (ragionö), non sia venuto a mia conoscenza (a mia notizia), io, da parte mia (per me), non sapevo niente di voi se non ilfatto ehe non esistevate. 46 emmi: mi ě. 47 mel fé...si ritiene: me lo ha detto una povera donna che ha molta confidenza con me (molto meco si ritiene). 48 casa tua: nel senso ehe la casa appar-tiene alla donna e ad Andreuccio, ai due "fratelli" 49 gran pezza: da un belpezzo. 50 nominatamente: chiamandoli per no-me. 51 greco e confetti: vino e dolci. 52 in niuna guisa...turbarsi: non lo per-mise (sostenne) in nessun modo mafingen-do (sembiante) di esserci rimasta molto male. 53 lassa me: povera me. 54 mai piú.. .non veduta: mai vista prima. ( 445 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 120 da te non veduta, e in casa sua, dove, qui venendo, smontato esser dovresti,55 e vogli di quella uscire per andare a cenare all'albergo? Di vero tu cenerai con esso meco:56 e perché mio marito non ci sia, di che forte mi grava, io ti saprö bene secondo donna fare un poco d'onore».57 Alla quäle Andreuccio, non sappiendo altro che rispondersi, disse: «Io v'ho cara quanto sorella si dee avere, ma se io non ne vado, io sarö tutta sera aspettato a cena e farö villania».58 125 E ella allora disse: «Lodato sia Idio, se io non ho in casa per cui59 mandare a dire che tu non sii aspettato! benché tu faresti assai maggior cortesia, e tuo dovere, mandare a dire a' tuoi compagni che qui venissero a cenare, e poi, se pure andare te ne volessi, ve ne potresti tutti andar di brigata». Andreuccio rispose che de' suoi compagni non volea quella sera, ma, poi che pure a grado l'era, di lui facesse il piacer suo.60 Ella allora fé vista61 di mandare a dire all'albergo che egli non 130 fosse atteso a cena; e poi, dopo molti altri ragionamenti, postisi a cena e spiendidamente di piü vivande serviti, astutamente quella menö per lunga infino alla notte obscura;62 e essendo da ta-vola levati e Andreuccio partir volendosi, ella disse che ciö in niuna guisa sofferrebbe,63 per ciö che Napoli non era terra da andarvi per entro di notte, e massimamente un forestiere; e che come che egli a cena non fosse atteso aveva mandato a dire, cosi aveva dello albergo fatto il somiglian- 135 te.64 Egli, questo credendo e dilettandogli, da falsa credenza ingannato, d'esser con costei, stette. Furono adunque dopo cena i ragionamenti molti e lunghi non senza cagione66 tenuti; e essendo della notte una parte passata, ella, lasciato Andreuccio a dormire nella sua camera con un piccol fanciullo che gli mostrasse se egli volesse nulla, con le sue femine67 in un'altra camera se n'andö. Era il caldo grande: per la qual cosa Andreuccio, veggendosi solo rimaso, subitamente si 140 spogliö in farsetto68 e trassesi i panni di gamba69 e al capo del letto gli si pose; e richiedendo il naturale uso di dovere diporre il superfluo peso del ventre, dove ciö si facesse domandö quel fanciullo,70 il quäle nell'uno de' canti71 della camera gli moströ uno uscio e disse: «Andate lä entro». Andreuccio dentro sicuramente passato, gli venne per Ventura posto il piě sopra una tavola, la quäle dalla contraposta parte sconfitta dal travicello sopra il quäle era, per la qual 145 cosa capolevando questa tavola con lui insieme se n'andö quindi giuso:72 e di tanto l'amö Idio, che niuno male si fece nella caduta, quantunque alquanto cadesse da alto, ma tutto della brut-tura, della quäle il luogo era pieno, s'imbrattö. II quäle luogo, acciö che meglio intendiate e quello che ě detto e ciö che segue, come Stesse vi mostrerö. Egli era in un chiassetto73 stretto, 55 dove...dovresti: dove, venendo a Napoli (qui) avresti dovuto alloggiare. 56 con esso meco: con me. 57 e perché...ďonore: e benché mio marito non ci sia, il che mi dispiace (grava) molto, io ti sapró ben onorare, come si con-viene a una donna (secondo donna). 58 faro villania: faro un gesto scortese. 59 per cui mandare: [una persona] per mezzo della quale. 60 che de' suoi compagni...piacer suo: che quella sera non voleva [la compagnia] dei suoi compagni, ma, visto che a lei faceva piacere (a grado l'era), facesse di lui ció che credeva. 61 fé vista: fece finta. 62 quella menó...obscura: la donna [quella] prolungb [la cena] fino a nottefonda. 63 in niuna guisa sofferebbe: in nessun modo lo avrebbe permesso. ( 446 ) 64 a cena...somigliante: cosi come aveva mandato a dire che Andreuccio non fosse atteso per cena, aveva fatto la stessa cosa ri-guardo all'albergo. 65 questo credendo...stette: credendo questo e avendopiacere di restare con lei, ingannato da una bugia (falsa credenza) [: che qualcuno fosse andato ad avvertire in albergo], rimase con lei. 66 cagione: cioě non senza un preciso scopo da parte di Fiordaliso. 67 femine: domestiche. 68 in farsetto: ě una specie di corpetto, talora imbottito, da indossare sopra la cami-cia. 69 trassesi...gamba: si tolse cioě le brache, le mutande e le calze. 70 e richiedendo...fanciullo: epoiché la naturale abitudine richiedeva di dover libe-rarsi di ciö che aveva di troppo dentro la pancia, domandó algiovane dovefosse il ba-gno (dove ció si facesse). 71 canti: angoli. 72 Andreuccio... giuso: Andreuccio en-tró senza sospetto e gli venne per caso di ap-poggiare un piede sopra una tavola che, dalla parte opposta a dove si trovava lui (con-trapposta) era schiodata (sconfitta) dal travicello su cuipoggiava, perció la tavola si capovolse insieme ad Andreuccio, che preci-pitó in basso (giuso). La fortuna comincia qua a intervenire, giocando per la prima volta un brutto tiro ad Andreuccio. Si ricordi che nelle novelle di questa giornata si illu-stra il potere della fortuna. Daltronde ě an-che vero che, se Andreuccio non fosse cadu-to nel chiassetto, avrebbe potuto essere an-che ucciso e non solo derubato, come si ap-prenderá piú avanti. 73 chiassetto: vicolo. CAPITOLO 2 > II Decameron - come spesso tra due case veggiamo: sopra due travicelli, tra ľuna casa e ľaltra posti, alcune ta-150 vole eran confitte e il luogo da seder posto, delle quali tavole quella ehe con lui cadde era ľuna.74 Ritrovandosi adunque la giú nel chiassetto Andreuccio, dolente del caso, cominciô a chia-mare il fanciullo; ma il fanciullo, come sentito ľebbe cadere, cosi corse a dirlo alla donna. La quale, corsa alla sua camera, prestamente cercô se i suoi panni v'erano; e trovati i panni e con essi i denari, li quali esso non fidandosi mattamente75 sempře portava addosso, avendo quel-155 lo a che ella di Palermo, sirocchia ďun perugin faccendosi, aveva teso il lacciuolo, piú di lui non curandosi prestamente andô a chiuder ľuscio del quale egli era uscito quando cadde.76 Andreuccio, non rispondendogli il fanciullo, cominciô piú forte a chiamare: ma ciô era niente. Per che egli, giä sospettando e tardi dello inganno cominciandosi a accorgere, salito sopra un muretto che quello chiassolino dalla strada chiudea e nella via disceso, alľuscio del-160 la casa, il quale egli molto ben riconobbe, se n'andô, e quivi invano lungamente chiamô e mol-to il dimenô e percosse. Di che egli piagnendo, come colui che chiara vedea la sua disaventu-ra, cominciô a dire: «Oimě lasso, in come piccol tempo ho io perduti cinquecento fiorini e una sorella!». E dopo molte altre parole, da capo cominciô a battere ľuscio e a gridare; e tanto fece cosi, 165 che molti de' circunstanti vicini, dešti, non potendo la noia sofferire, si levarono; e una delle servigiali delia donna, in vista tutta sonnocchiosa, fattasi alla finestra proverbiosamente dis-se:77 «Chi picchia la giú?». «Oh!» disse Andreuccio «o78 non mi conosci tu? Io sono Andreuccio, fratello di madama Fiordaliso». 170 AI quale ella rispose: «Buono uomo, se tu hai troppo bevuto, va dormi79 e tornerai domat-tina; io non so che Andreuccio né che ciance son quelle che tu di'; va in buona ora e lasciaci dormir, se ti piace».80 «Come» disse Andreuccio «non sai che io mi dico? Certo si sai; ma se pur son cosi fatti i parentadi di Cicilia, che in si piccol termine si dimentichino, rendimi almeno i panni miei, li 175 quali lasciati v'ho, e io m'andrô volentier con Dio». AI quale ella quasi ridendo disse: «Buono uomo, e' mi par che tu sogni», e il dir questo e il tornarsi dentro e chiuder la finestra fu una cosa. Di che Andreuccio, giä certissimo de' suoi danni, quasi per doglia fu presso a convertire in rabbia la sua grande ira, e per ingiuria propose di rivolere quello che per parole riaver non 180 potea;81 per che da capo, presa una gran pietra, con troppi maggior colpi che prima fieramen-te cominciô a percuoter la porta. La qual cosa molti de' vicini avanti destisi e levatisi, cre-dendo82 lui essere alcuno spiacevole83 il quale queste parole fingesse per noiare84 quella buona femina, recatosi a noia il picchiare il quale egli faceva, fattisi alle finestre, non altramenti 74 sopra due...era ľuna: sopra due travicelli, sospesi fra ľuna e ľaltra casa, erano state inchiodate alcune tavole e posta la la-trina, e una di queste tavole era caduta insie-me ad Andreuccio. 75 mattamente: scioccamente. 76 avendo quello...quando cadde: avendo ottenuto quello [: la borsa con i fiorini] per cui lei, palermitana, fingendosi sorella (sirocchia) di un perugino, aveva teso 1'in-ganno (lacciuolo), senza piú curarsi di lui, andô subito a chiudere la porta dalla quale Andreuccio era uscito quando era caduto. 77 e tanto fece...proverbiosamente disse: e tanto fece cosi che molti vicini si sveglia-rono e, non potendo piú sopportare (sofferire) il fastidio (la noia), si alzarono; e una delle domestiche (servigiali) delia donna, dalľaspetto mezzo addormentato, andô alla f nestra e disse in tono di rimprovero. 78 o: tipica interiezione del toscano per introdurre esortazioni, espressioni di stupo-re e simili. 79 va dormi: vai a dormire. 80 se ti piace: ě il corrispettivo del france-se "sil teplait" = perpiacere. 81 Di che Andreuccio...non potea: A causa di ciô Andreuccio, ormai sicurissimo delľinganno, per dolore (doglia) mutô in rabbia la sua grande ira, e si ripromise di ot-tenere con la violenza (ingiuria) quello che non riusciva a riavere con le parole. 82 credendo: costruito con ľinfinito come in latino. 83 alcuno spiacevole: uno scocciatore. 84 per noiare: per darefastidio. (447) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 che a un can forestiere tutti quegli della contrada abbaiano adosso,85 cominciarono a dire: 185 «Questa ě una gran villania a venire a questa ora a casa86 le buone femine e dire queste ciance; deh! va con Dio, buono uomo; lasciaci dormir, se ti piace; e se tu hai nulla a far con lei,87 tor-nerai domane, e non ci dar questa seccaggine88 stanotte». Dalle quali parole forse assicurato uno che dentro dalla casa era, ruffiano della buona fe-mina, il quale egli né veduto né sentito avea, si fece alle finestre e con una boce grossa, orribile 190 e fiera89 disse: «Chi ě laggiü?». Andreuccio, a quella voce levata la testa, vide uno il quale, per quel poco che comprender poté, mostrava di dovere essere un gran bacalare,90 con una barba nera e folta al volto, e come se del letto o da alto sonno si levasse sbadigliava e stropicciavasi gli occhi: a cui egli, non senza paura, rispose: «Io sono un fratello della donna di la entro». 195 Ma colui non aspettö che Andreuccio finisse la risposta, anzi piú rigido91 assai che prima disse: «Io non so a che io mi tegno che io non vegno lä giú, e deati tante bastonate quante io ti vegga muovere, asino fastidioso e ebriaco che tu dei essere, che questa notte non ci lascerai dormire persona»;92 e tornatosi dentro serrö la finestra. Alcuni de' vicini, che meglio conoscieno la condizion di colui, umilmente93 parlando a 200 Andreuccio dissero: «Per Dio, buono uomo, vatti con Dio, non volere stanotte essere ucciso costi: vattene per lo tuo migliore».94 Laonde Andreuccio, spaventato dalla voce di colui e dalla vista e sospinto da' conforti95 di colore li quali gli pareva che da caritä mossi parlassero, doloroso96 quanta mai alcuno altro e de' suoi denar disperato,97 verso quella parte onde il di aveva la fanticella seguita, senza saper dove 205 s'andasse, prese la via per tornarsi alľalbergo. E a se medesimo dispiacendo per lo puzzo che a lui di lui veniva, disideroso di volgersi al mare per lavarsi, si torse a man sinistra98 e su per una via chiamata la Ruga Catalana99 si mise. E verso ľalto della cittä andando, per Ventura davanti si vide due che verso di lui con una lanterna in mano venieno, li quali temendo non100 fosser della fami-glia della corte o altri uomini a mal far disposti, per fuggirli, in un casolare, il qual si vide vicino, 210 pianamente ricoverö.101 Ma costoro, quasi come a quello proprio luogo inviati andassero, in quel medesimo casolare se n'entrarono;102 e quivi Fun di loro, scaricati certi ferramenti che in collo avea,103 con Faltro insieme gl'incominciö a guardare, varie cose sopra quegli ragionando. E mentre parlavano, disse Funo: «Che vuol dir questo? Io sento il maggior puzzo che mai mi paresse sentire»; e questo detto, alzata alquanto la lanterna, ebber veduto il cattivel104 d'An- 215 dreuccio, e stupefatti domandar: «Chi é lä?». 85 non altramenti...addosso: tutti quelli del quartiere cominciano ad abbaiargli ad-dosso come se fosse un cane sconosciuto. 86 a casa: ě considerata una preposizione, come nel francese "chez" = presso. 87 e se...con lei: e se hai qualcosa con lei. seccaggine: seccatura. 89 Dalle quali...fiera: Incoraggiato (assicurato) forse dalle parole dei vicini, uno de-gli abitanti della casa, che era il protettore (ruffiano) della donna, che non aveva né visto né sentito Andreuccio prima, si ajfaccio alia finestra e con una voce grossa, terribile e arrabbiata. 90 un gran bacalare: baccelliere. Nelle universita medievali il baccelliere era lo stu- ( 448 ) dente che aveva raggiunto il primo grado ne-gli studi, antecedente alia laurea. Qui indica, non senza irónia, una persona autorevole. 91 rigido: aggressivo. 92 Io non so...persona: Non soperché mi trattengo dal venire laggiu a darti tante bastonate fino a non farti muovere piu, asino fastidioso e ubriaco che sei, da non lasciare questa notte dormire nessuno (persona). 93 umilmente: a bassa voce (Branca); con bontä (Segre); in tono di consiglio o di pieta (Sapegno). 94 per lo tuo migliore: per il tuo bene. 95 conforti: consigli. 96 doloroso: addolorato. 97 dei suoi denar disperato: senza piu speranza [di recuperare] i suoi soldi. 98 si torse...sinistra: volto a sinistra. 99 Ruga Catalana: ě la Via Catalana, che collega la zona del porto alia cittá alta. 100 temendo non: temendo che (costru-zione alia latina: cfr. "timeo ne"). II soggetto ě Andreuccio. 101 pianamente ricoveró: si nascose (ri-coveró) senza far rumore. 102 Ma costoro...n'entrarono: Ma costoro, come se fossero diretti proprio nel luogo [in cui Andreuccio si era rifugiato], entraro-no in quello stesso casolare. 103 certi ferramenti...avea: certi arnesi di ferro che portava sulle spalle. 104 cattivel: poveretto. CAPITOLO 2 I II Decameron - Andreuccio taceva, ma essi avvicinatiglisi con lume il domandarono che quivi cosi brutto105 facesse: alii quali Andreuccio ciö che avvenuto gli era narrö interamente. Costoro, ima-ginando dove ciö gli potesse essere avvenuto, dissero fra sé. «Veramente in casa lo scarabone Buttafuoco fia stato questo».106 220 E a lui rivolti, disse l'uno: «Buono uomo, come che107 tu abbi perduti i tuoi denari, tu hai molto a lodare Idio che quel caso ti venne che tu cadesti né potesti poi in casa rientrare: per ciö che, se caduto non fossi, vivi sicuro che, come prima adormentato ti fossi,108 saresti stato amazzato e co' denari avresti la persona perduta. Ma che giova oggimai109 di piagnere? Tu ne potresti cosi riavere un denaio28 come avere delle stelle del cielo: ucciso ne potrai tu bene es-225 sere, se colui sente che tu mai ne facci parola».110 E detto questo, consigliatisi alquanto, gli dissero: «Vedi, a noi ě preša compassion di te: e per ciö, dove tu vogli con noi essere a fare alcuna cosa la quale a fare andiamo, egli ci pare es-ser molto čerti che in parte ti toceherä il valere di troppo piú ehe perduto non hai».111 Andreuccio, si come disperato, rispuose ch'era presto.112 230 Era quel di sepellito uno arcivescovo di Napoli, chiamato messer Filippo Minutolo,113 e era stato sepellito con riechissimi ornamenti e con un rubino in dito il quale valeva oltre a cinquecento fiorin dbro, il quale costoro volevano andare a spogliare; e cosi a Andreuccio fecer veduto. Laonde Andreuccio, piú cupido ehe consigliato,115 con loro si mise in via; e andando verso la chiesa maggiore, e Andreuccio putendo116 forte, disse l'uno: «Non potremmo noi trovar 235 modo che costui si lavasse un poco dove che sia, che egli non putisse cosi fieramente?». Disse ľaltro: «Si, noi siam qui presso a un pozzo al quale suole sempre esser la carrucola e un gran secehione; andianne lä e laverenlo spacciatamente».117 Giunti a questo pozzo trovarono ehe la fune v'era ma il secehione n'era stato levato: per ehe insieme deliberarono di legarlo alla fune e di collarlo118 nel pozzo, e egli lä giú si lavasse 240 e, come lavato fosse, crollasse119 la fune e essi il tirerebber suso; e cosi fecero. Avvenne ehe, avendol costor nel pozzo collato, aleuni delia famiglia delia signoria,120 li quali e per lo caldo e perché corsi erano dietro a aleuno avendo sete, a quel pozzo venieno a bere: li quali121 come quegli due videro, incontanente122 cominciarono a fuggire, li fami-gliari ehe quivi venivano a bere non avendogli veduti. Essendo giä nel fondo del pozzo 245 Andreuccio lavato, dimenö la fune. Costoro assetati, posti giú lor tavolacci123 e loro armi e lor gonnelle,124 cominciarono la fune a tirare eredendo a quella il secehion pien d'acqua essere appicato. Come Andreuccio si vide alla sponda del pozzo vicino, cosi, lasciata la fune, 105 brutto: sporco. 106 Veramente...questo: Senz'altro (veramente) ě accaduto in casa del ruffiano (scarabone) Buttafuoco. II termine scarabone si-gnificava anche 'ladro^ 'seroccone! Secondo le ricerche di Benedetto Croce, Francesco Buttafuoco fu capo di una compagnia di malvi-venti e ruffiani, protettori di prostitute. 107 come che: nonostante. 108 se caduto...ti fossi: daiper certo che, non appena (come prima) ti fossi addor-mentato. 109 oggimai: ormai. 110 Tu ne potresti...facci parola: Non potresti recuperare un denaro come avere le stelle del cielo:potresti essere ucciso, se colui [: Buttafuoco] sapesse che ne hai parlato [con qualeuno]. II termine denaio qui vuole indicare pochissimo valore. 111 dove tu vogli...non hai: qualora tu voglia essere nostro complice (con noi) in un affare che stiamo andando a fare, siamo čerti che la parte [di bottino] che ti toceherä sarä molto superiore a quanto hai perduto. 112 presto: pronto. 113 Filippo Minutolo: appartenente ad una fra le piú potenti famiglie del Regno di Napoli, fu arcivescovo della citta dal 1288 al 1301. Uomo di cultura e serittore, favori opere di amplia-mento e di ricostruzione nel Duomo di Napoli. 114 e cosi...veduto: e cosi esposero [il loro piano] ad Andreuccio. 115 piú cupido che consigliato: piú avi-do che saggio. 116 putendo: puzzando. 117 andianne...spacciatamente: andia-mocene la e lo laveremo alla svelta. 118 collarlo: calarlo. 119 crollasse: scrollasse. 120 aleuni...della signoria: aleune guar-die. II loro apparire sulla scéna ě un altro tiro della fortuna. 121 li quali: ě complemento oggetto; il soggetto ě quegli due, cioě i due ladri. 122 incontanente: immediatamente. 123 tavolacci: scudi di legno. 124 gonnelle: sopravvesti. Sono indu-menti lunghi con cappuccio e cintura. ( 449 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 con le mani si gittö sopra quella. La qual cosa costor vedendo, da subita125 paura presi, senza altro dir lasciaron la fune e cominciarono quanto piü poterono a fuggire: di che Andreuccio 250 si maravigliö forte, e se egli non si fosse bene attenuto,126 egli sarebe infin nel fondo caduto forse non senza suo gran danno o morte; ma pure uscitone e queste arme trovate, le quali egli sapeva che i suoi compagni non avean portate, ancora piü s'incominciö a maravigliare. Ma dubitando e non sappiendo che,127 della sua fortuna dolendosi, senza alcuna cosa toc-car quindi128 diliberö di partirsi: e andava senza saper dove. Cosi andando si venne scontrato129 255 in que' due suoi compagni, Ii quali a trarlo del pozzo venivano; e come il videro, maraviglian-dosi forte, il domandarono chi del pozzo l'avesse tratto. Andreuccio rispose che non sapea, e loro ordinatamente disse come era awenuto e quello che trovato aveva fuori del pozzo. Di che costoro, avvisatisi come stato era,130 ridendo gli contarono131 perche s'eran fuggiti e chi stati eran coloro che sü l'avean tirato. E senza piü parole fare, essendo giä mezzanotte, n'an-260 darono alla chiesa maggiore, e in quella assai leggiermente entrarono e furono all'arca,132 la quäle era di marmo e molto grande; e con lor ferro il coperchio, chera gravissimo,133 solleva-ron tanto quanto uno uomo vi potesse entrare, e puntellaronlo. E fatto questo, cominciö l'uno a dire: «Chi entrerä dentro?». A cui l'altro rispose: «Non io». 265 «Ne io» disse colui «ma entrivi Andreuccio». «Questo non farö io» disse Andreuccio. Verso il quäle ammenduni134 costoro rivolti dissero: «Come non v'enterrai? In fe di Dio, se tu non v'entri, noi ti darem tante d'uno di questi pali di ferro sopra la testa, che noi ti farem cader morto». 270 Andreuccio temendo v'entrö, e entrandovi pensö seco: «Costoro mi ci fanno entrare per ingannarmi, per ciö che, come io avrö loro ogni cosa dato, mentre che io penerö a uscir dal-l'arca, essi se ne andranno pe' fatti loro e io rimarrö senza cosa alcuna». E per ciö s'avisö di farsi innanzi tratto la parte sua;135 e ricordatosi del caro136 anello che aveva loro udito dire, come fu giü disceso cosi di dito il trasse all'arcivescovo e miselo a se;137 e poi dato il pasturale 275 e la mitra138 e' guanti e spogliatolo infino alla camiscia, ogni cosa die loro dicendo che piü niente v'avea. Costoro, affermando che esser vi doveva l'anello, gli dissero che cercasse per tutto: ma esso, rispondendo che noi trovava e sembiante faccendo di cercarne,139 alquanto gli tenne in aspettare. Costoro che d'altra parte eran si come lui maliziosi, dicendo pur che ben cercasse, preso tempo,140 tiraron via il puntello che il coperchio dell'arca sostenea, e fuggen- 280 dosi lui dentro dall'arca lasciaron racchiuso. La qual cosa sentendo Andreuccio, quäle egli allor divenisse ciascun sei puö pensare.141 Egli tentö piü volte e col capo e con le spalle se alzare potesse il coperchio, ma invano si faticava: per che142 da grave dolor vinto, venendo meno cadde sopra il morto corpo dell'arcive- 125 subita: improvvisa. 126 ben attenuto: tenuto ben saldo. 127 Ma dubitando e non sappiendo che: Ma temendo pur senza sapere bene che cosa. 128 quindi: di qui. 129 si venne scontrato: si imbatte. 130 awisatosi...era: compreso ciö che era awenuto. 131 contarono: raccontarono. ( 450 ) 132 assai leggiermente...all'arca: vi entrarono molto facilmente e raggiunsero il sarcofago. 133 gravissimo: pesantissimo. 134 ammenduni: entrambi. 135 E per ciö...parte sua: Epercib decise di riservarsi anzitutto la sua parte. Andreuccio, dopo tante sventure, comincia a divenire furbo. 136 caro: prezioso. 137 cosi...a se: lo sfilö dal dito dell'arcive-scovo e se lo mise al suo. 138 il pasturale e la mitra: il [bastone] pastorale e il copricapo. 139 sembiante...cercarne: facendo finta di cercarlo. 140 preso tempo: al momentogiusto. 141 quäle egli...pensare: come si sentisse Andreuccio ciascuno se lo puö immaginare. 142 per che: finche. CAPITOLO 2 > II Decameron scovo; e chi allora veduti gli avesse malagevolmente avrebbe conosciuto143 chi piú si fosse 285 morto, o 1'arcivescovo o egli. Ma poi che in sé fu ritornato, dirottissimamente cominció a pia-gnere, veggendosi quivi senza dubbio allun de' due fini dover pervenire:144 o in quella area, non venendovi aleuni piú a aprirla, di fame e di puzzo tra' vermini del morto corpo convenirlo morire, o vegnendovi aleuni e trovandovi lui dentro, si come ladro dovere essere appiccato. E in cosi fatti pensieri e doloroso molto stando, senti per la chiesa andar genti e parlar 290 molte persone, le quali, si come egli avvisava, quello andavano a fare che esso co' suoi com-pagni avean giá fatto: di che la paura gli crebbe forte. Ma poi che145 costoro ebbero 1'arca aperta e puntellata, in quistion caddero146 chi vi dovesse entrare, e niuno il voleva fare: pur dopo lunga tencione147 un přete disse: «Che paura avete voi? credete voi che egli vi ma-nuchi?148 Li morti non mangian gli uomini: io ventreró dentro io». E cosi detto, posto il pet- 295 to sopra 1'orlo dellarca, volse il capo in fuori e dentro mando le gambe per doversi giuso ca-lare. Andreuccio, questo vedendo, in piě levatosi prese il přete per 1'una delle gambe e fé sem-biante di volerlo giú tirare. La qual cosa sentendo il přete mise uno strido grandissimo e presto dellarca si gittó fuori; della qual cosa tutti gli altri spaventati, lasciata 1'arca aperta, non altramente a fuggir cominciarono che se da centomilia diavoli fosser perseguitati. 300 La qual cosa veggendo Andreuccio, lieto oltre a quello che sperava, subito si gittó fuori e per quella via onde era venuto se ne usci della chiesa; e giá avvicinandosi al giorno, con quello anello in dito andando allawentura,pervenne alla marina e quindial suo albergo si abbat-té;149 dove li suoi compagni e 1'albergatore trovó tutta la notte stati in sollecitudine150 de' fatti suoi. A quali ció che avvenuto gli era raccontato, parve per lo consiglio dellbste loro che costui 305 incontanente si dovesse di Napoli partire; la qual cosa egli fece prestamente e a Perugia tor-nossi, avendo il suo151 investito in uno anello, dove per comperare cavalli era andato. G. Boccaccio, Decameron, cit. 143 e chi...conosciuto: e chi li avesse visti allora avrebbe difficilmente riconosciuto. 144 veggendosi...pervenire: vedendosi in quella situazione andare incontro a una delle due morti (fini). 145 poi che: appena. 146 in quistion caddero: si misero a di-seutere. 147 tencione: discussione. Dopo lunga tencione e espressione dantesca (Inf. VI, 64). 148 vi manuchi?: vi mangi? Dal verbo tardo lat. "manicare" o "manucare" 149 andando...si abbatte: andando a caso, arrivo al mare e da qui capito al suo albergo. Andreuccio trova per caso l'alber-go: la sorte, da negativa, e divenuta quindi favorevole. Si ricordi che in questa giornata si raccontano novelle a lieto fine in cui la fortuna si dimostra, nella conclusione, pro-pizia. 150 in sollecitudine: in ansia. 151 il suo: i suoi soldi. Andando a Napoli, Andreuccio ha fatto comunque un buon in-vestimento, ě cioě tomato piú ricco. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO_ La struttura della novella e il mito della discesa agli inferi La struttura della novella ě determinata dagli «accidenti»in cui incorre il protagonista. Questi eventi sono essenzialmente tre: la caduta nel chiassetto, la calata nel pozzo, la discesa dentro il sepolcro del vescovo. Tutte e tre queste awenture sono caratterizzate da una "discesa" pericolosa e da una "risalita" salvifica. Vi si puó scorgere lo schema di un vero e proprio "racconto di formazione", basato sul "rito di iniziazione" di Andreuccio che ogni volta precipita per poi risorgere rinnovato. Nella tradizione dei riti di iniziazione c e una discesa agli inferi, un incontro con la degradazione e la morte, a cui segue la rinascita, la quale rappre-senta Fingresso nella vita adulta. La nascita stessa, in termini naturali e biologici, ě, d'altronde, un percorso in salita. Andreuccio compie per tre volte la risalita. Essa rappresenta una sorta di "nascita" verso una nuo- (451] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 va condizione: da quella di giovane ingenuo e sprovveduto a quella di uomo furbo ed esperto, capace di trarsi ďimpaccio nei casi ehe la sorte gli prepara. La novella, nella sua struttura, puô essere dunque letta come un esempio di apprendistato mercantile, ma anche esistenziale del personaggio. La poetica e lo stile: il realismo di Boccaccio La novella di Andreuccio da Perugia lascia ampio spazio alia dimensione realistica. La descrizione della cit-tä di Napoli della meta del Trecento ě fatta con grande veridicitä storica e con notevole precisione topono-mastica. La rappresentazione dei luoghi, dei personaggi e dei dettagli della vita cittadina nei vari momenti della giornata ě puntuale e suggestiva: si pensi alia descrizione della bella siciliana, del mercato e della vita notturna, animata da ladri e prostitute. Non ě un caso che a narrare sia Fiammetta, omonima della donna napoletana amata da Boccaccio: ciô infatti puô concorrere a spiegare ľambientazione del racconto, dal momenta che proprio a Napoli ľautore aveva trascorso la sua giovinezza e, come Andreuccio, vi si era recato con il padre a far «pratica di mercatura». II realismo di Boccaccio ě evidente inoltre nella varieta dei linguag-gi (plurilinguismo) e degli stili (pluristilismo) adottati, cosi da rappresentare la realtä cittadina nei suoi aspetti multiformi: i vari personaggi si esprimono infatti secondo un proprio caratteristico registro. La fortuna e ľingegno: espressione di una nuova morale laica La fortuna e ľingegno sono le due forze che si confrontano nei corso della novella. La fortuna qui corrisponde al "caso" (imprevisto) che rovescia la sorte di Andreuccio ma che, proprio per questa sua imprevedibilitä, ha il merito di attivare ľingegno del protagonista. Si afferma ľidea preumanistica dell'uomo che con il suo inge-gno puô sottrarsi ai tiri della sorte e del caso, i quali sono si imprevedibili e incomprensibili, ma non di natura trascendente. Alio stesso modo, ľingegno (inteso come abilitä individuale), ľastuzia, la capacitä di trarre pro-fitto dalle situazioni awerse, tipiche del nuovo mondo mercantile, sono ormai espressione di una nuova morale relativistica concentrata sulla dimensione terrena, che prelude al mondo umanistico ormai prossimo. Andreuccio, eroe moderno o antimoderno? La lotta che Andreuccio affronta in una societa regolata da leggi spietate del mercato e del profitto fa del personaggio un eroe moderno. A prevalere ě ľindividualismo borghese: il protagonista si trova da solo a combattere contro forze non piú magiche o divine, ma economiche. Non meno spietate di quelle del pas-sato, esse sono espressione di un nuovo "dio": il "dio" del denaro, di una societa che giä prelude, con secoli di anticipo, alia realtä odierna, in cui si assiste alia mercificazione di ogni aspetto della vita, compresi i rap-porti umani e i sentimenti. Anche nella novella di Andreuccio da Perugia, a guardar bene, i sentimenti di fratellanza (quelli fra il protagonista e la bella siciliana) sono subordinati al "dio" denaro e lo sono, nella scena della profanazione della tomba del vescovo, anche i sentimenti religiosi e quelli relativi alia morte. Non mancano dunque elementi di attualitä e di corrispondenza con una societa, la nostra, in cui anche la morte ha perso il diritto al rispetto umano e morale. E tuttavia si potrebbe dare una interpretazione persi-no antiborghese e antimoderna del protagonista di questa novella. É il caso di Pier Paolo Pasolini che nelľepisodio ispirato ad Andreuccio del suo film tratto dal Decameron ha esaltato il vitalismo autentico e immediato del personaggio in contrapposizione alia societa dei consumi che si andava affermando nei corso degli anni Sessanta del Novecento. II suo Andreuccio diventa cosi un eroe antimoderno. LAVORIAMO SUL TESTO_ Comprensione e analisi 1. Riassumere ► Scandisci, tappa per tappa, i momenti salienti dell'avventura di Andreuccio. 2. Quali sono le cause delle disawenture del personaggio? Da quale punto di vista? 3. Lingua e stile ► Con quali tecniche sono presentate dal narratore le vicende di Andreuccio? 4. Quando e per quali ragioni Andreuccio inizia a rinsavire? 5. Individuare collegamenti ► Che relazione esiste fra lo spazio esteriore e I'evoluzione del personaggio? 6. Argomentare ► Ti sembra verosimile che la metamor-fosi di Andreuccio awenga nell'arco di una nottata? 7. Confrontare ► Paragona Andreuccio dopo la meta-morfosi ai vari personaggi truffaldini della novella; trova analogie e differenze. (452) CAPITOLO 2 I II Decameron - 8. Lingua e lessico ► Andreuccio ě un mercante giovane e inesperto. Sottolinea nel těsto i termini relativi al cam-po semantico del commercio. 9. Lingua e stile ► Madama Fiordaliso rivela una buona eloquenza. II suo lungo discorso mostra una rigorosa pianificazione, con una sintassi ben articolata. Si co-glie, in particolare, la frequenza di subordinate relative: rintracciane tutti gli esempi presenti. Interpretazione e commento 10. Argomentare ► Nella novella sono presenti due temi fondamentali del Decameron: la fortuna e I'ingegno. Fa-cendo riferimenti puntuali al testo esponi il significato che I'autore assegna ai due concetti e come sono svi-luppati in questa novella. 11. Per la novella di Andreuccio si puö parlare di racconto di formazione. Spiega perché, con opportuni riferimenti al testo, in un breve elaborato (max 10 righe). ( IL TESTO E OLTRE ► Confrontare II Decameron di Pasolini Guarda I'episodio di Andreuccio nel Decameron di Pasolini; indivídua le principáli differenze tra testo narrativo e testo filmico. Dialogando con i compagni, cerca di spiegare le ragioni degli "scarti" che Pasolini compie rispetto alia novella boccacciana. Riassumi poi le tue riflessioni in un breve testo. 13 Le novelle della Terza giornata: il potere delľingegno o delľ«industria» II tema erotico Eros e mondo ecclesiastico La teória della democrazia amorosa La Terza giornata ě retta da Neifile. II tema - il raggiungimento dell'oggetto del desiderio attraverso ingegno o «industria» - si presta a una trattazione erotica, presente in tutti i rac-conti, tranne il nono. In quattro novelle (la prima, la terza, la quarta e 1'ottava) sono protagonisti trati e monache, che si adoperano anche loro per soddisfare i loro desideri sessuali o, in un caso, con la loro dabbe-naggine, favoriscono le tresche erotiche di una moglie (nella terza, infatti, il frate confessore finisce per fare da mezzano fra la donna e 1'amante). Se si aggiunge che anche la decima novella, pur essendo al solito fuori tema, narra di come un santo eremita insegni a una ingenua giovane come mettere il diavolo nell'inferno (metafora erotica che utilizza il linguaggio cristia-no solo per giocare sul doppio senso), e che nella settima Tedaldo pronuncia una lunga tirata contro i frati, si puó concludere che ben sei racconti su dieci contengono riferimenti al mondo religioso, ora per biasimarne la corruzione, ora per riconoscere, al suo interno, Fine-luttabilitá delle forze della nátura che spingono Fuomo alFamore. NelFultimo racconto Dioneo svolge anche una teoria della democrazia amorosa; 1'eros ě tendenzialmente egualitario: anche se preferisce la nobiltá e ama i «palagi» non disdegna affatto le «povere capanne» dei poveri e le «deserte spelunche» in cui si rifugiano gli eremiti. Che Famore faccia valere i propri diritti in ogni classe sociále ě confermato dalla seconda novella, in cui lo stalliere del re longobardo Agilulfo giace con la regina. In questo racconto compare anche un altro tipo di democrazia: quella dell'ingegno. II re e lo stalliere vi ga-reggiano alia pari, con le armi dell'astuzia e dell'intelligenza; alia fine lo stesso Agilulfo rico-nosce al suo rivale che «quantunque di bassa condizione sia, ben mostra ďessere ďalto senno» (cfr. T5, p. 454). (453 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 T5 La novella dello stalliere del re Agilulfo OPERA Decameron, III, 2 CONCETTI CHIAVE • la democrazia dell'eros • la democrazia dell'ingegno • il peso della fortuna nelle vicende umane AWIAMENTO ►La vicenda della novella ě ambientata alia corte longobarda di re Agilulfo, per le cui notizie storiche ALLA LETTURA Boccaccio poteva awalersi della Historia Langobardorum [Storia dei Longobardi] di Paolo Diacono. Lo stalliere del re, per quanto di umili condizioni, e furbo e assennato e grazie a queste doti puö entrare in competizione (erotica e intellettuale) con il proprio re. Essendo innamorato della regina Teodolin-da, e animato da una forte ambizione sociale, finisce infatti per imitare il re stesso, mettendosi nei suoi panni e sostituendosi a lui nel letto e neH'amore con la regina. La gara d'astuzia tra lo stalliere e il re, deciso a scoprire e punire I'amante della moglie, terminera alia pari. La fortuna, come Boccaccio la intende (ossia come "caso" o "sorte"), ha un peso decisivo nelle vicende umane. In questo caso, la fortuna insieme all'ingegno puö capovolgere una situazione. Come av-viene in molte novelle del Decameron, la fortuna viene corretta o contenuta grazie alia forza dell'ingegno dei singoli individui. Se la sorte ha dato umili natali alio stalliere di Agilulfo, non gli ha impedito di essere ingegnoso e intelligente, di possedere la moglie del re e di sottrarsi anche alia punizione. Questa novella tocca inoltre, come awiene anche nella novella di Tancredi e Ghismunda (cfr. T6, p. 460), il tema della democrazia dell'eros. A questo aspetto perö qui si associa quello della democrazia dell'ingegno e dell'«industria». Non solo lo stalliere appare sessualmente piü prestante del re stesso, ma e proprio Agilulfo a riconoscerne alia fine anche l'«alto senno». La situazione, a ben vedere, e mol-to simile a quella che si verifica nella novella di Chichibio e la gru (cfr. T11, p. 504): anche qui, alia fine, il padrone apprezzerä il valore della battuta intelligente e spiritosa di un servo, rinunciando a punirlo. II dibattito critico relativo a questa novella ha sottolineato il significato ideologico che essa assume nell'ambito della democrazia dell'eros. In questa prospettiva, la novella dell'ingegnoso stalliere, che riesce con un abile inganno a introdursi nel letto della regina e a sottrarsi alia vendetta del re, sembra farsi quasi «simbolo del vecchio mondo feudale che cede il passo ad un mondo nuovo, dove anche chi non ha sangue aristocratico nelle vene puö farsi strada, se I'ingegno gli da ala. L"'industria" non solo mette alia pari, anzi rende superiore lo stalliere al proprio sovrano» (M. Alicata). UN PALLAFRENIERE1 GIACE CON LA MOGLIE DAGILULFO RE, DI CHE AGILULFO TACITAMENTE SACCORGE; TRUOVALO E TONDALO;2 IL TONDUTO TUTTI GLI ALTRITONDE, E COSICAMPA DELLA MALA VENTURA.3 Essendo la fine venuta della novella di Filostrato, della quäle erano alcuna volta un poco le 5 donne arrossate4 e alcuna altra se n'avean riso, piacque alla reina che Pampinea novellando seguisse: la quäle con ridente viso incominciando disse: - Sono alcuni si poco discreti nel voler pur5 mostrare di conoscere e di sentire quello che per loro non fa di sapere,6 che alcuna volta per questo, riprendendo i disaveduti difetti in al-trui7, si credono la lor vergogna scemare8 lä dove essi l'acrescono in infinito: e che ciö sia vero 10 nel suo contrario, mostrandovi l'astuzia d'un forse di minor valore tenuto che Masetto, nel senno d'un valoroso re, vaghe donne, intendo che per me vi sia dimostrato.9 1 pallafkenieke: stalliere. 2 tondalo: gli taglia i capelli. 3 campa...Ventura: scampa alla mala fortuna. 4 arrossate: arrossite. 5 pur: in ogni modo. ( 454 ) 6 per...sapere: che loro e bene non sap-piano. 7 riprendendo...altrui: rimproverando negli altri i difetti nascosti (disaveduti). 8 scemare: ridurre. 9 e che cio...dimostrato: e che questo sia vero, amabili (vaghe) donne, intendo io di-mostrarvi con il caso opposto, con la saggez-za di un valoroso re, mostrandovi l'astuzia di una persona ritenuta di minore valore ri-spetto a Masetto. CAPITOLO 2 I II Decameron - Agilulfo, re de' longobardi, si come i suoi predecessori, in Pavia, cittä di Lombardia, avevan fatto, fermö il solio10 del suo regno, avendo presa per moglie Teudelinga, rimasa vedova d'Aut-tari,11 re stato similmente de' longobardi: la quale fu bellissima donna, savia e onesta molto 15 ma male avventurata in amadore.12 E essendo alquanto per la vertu e per lo senno di questo re Agilulfo le cose de' longobardi prospere e in quiete, adivenne che un pallafreniere della detta reina, uomo quanta a nazione13 di vilissima condizione ma per altro da troppo piü che da cosi vil mestiere,14e della persona bello e grande cosi come il re fosse,15 senza misura della reina s'innamorö. E per ciö che il suo basso stato non gli avea tolto che egli non conoscesse 20 questo suo amore esser fuori d'ogni convenienza,16 si come savio17 a niuna persona il palesa-va18 ne eziandio a lei19 con gli occhi ardiva discoprirlo. E quantunque senza alcuna speranza vivesse di dover mai a lei piacere, pur seco si gloriava che in alta parte avesse allogati i suoi pensieri,20 e, come colui che tutto ardeva in amoroso fuoco, studiosamente21 faceva, oltre a22 ogni altro de' suoi compagni, ogni cosa la qual credeva che alia reina dovesse piacere. Per che 25 intervenia23 che la reina, dovendo cavalcare, piü volentieri il pallafreno24 da costui guardato25 cavalcava che alcuno altro: il che quando avveniva, costui in grandissima grazia sei reputava26 e mai dalla staffa non le si partiva, beato tenendosi qualora pure i panni toccar le poteva. Ma come noi veggiamo assai sovente avvenire, quando la speranza diventa minore tanto 1'amor maggior farsi, cosi in questo povero pallafreniere avvenia, in tanto che gravissimo gli 30 era il poter comportare27 il gran disio28 cosi nascoso come facea, non essendo da alcuna speranza atato;29 e piü volte seco,30 da questo amor non potendo disciogliersi, diliberö di morire. E pensando seco del modo, prese per partita31 di volere questa morte per cosa per la quale apparisse lui morire32 per l'amore che alia reina aveva portato e portava: e questa cosa propose di voler che tal fosse, che egli in essa tentasse la sua fortuna in potere33 o tutto o parte aver 35 del suo disidero. Ne si fece34 a voler dir parole alia reina o a voler per lettere far sentire il suo amore, che sapeva che invano o direbbe o scriverebbe,35 ma a voler provare se per ingegno36 con la reina giacer potesse; ne altro ingegno ne via c'era se non trovar modo come egli in persona del re,37 il quale sapea che del continuo38 con lei non giacea, potesse a lei pervenire e nella sua camera entrare. Per che, acciö che vedesse39 in che maniera e in che abito il re, quan- 40 do a lei andava, andasse, piü volte di notte in una gran sala del palagio del re, la quale in mezzo era tra la camera del re e quella della reina, si nascose: e intra Faltre una notte vide il re uscire della sua camera inviluppato in un gran mantello e aver dall'una mano un torchietto40 acceso e dall'altra una bacchetta, e andare alia camera della reina e senza dire alcuna cosa 10 fermö il solio: stabill la reggia. 11 Teudelinga...Auttari: i personaggi di questa novella giungono a Boccaccio attra-verso la Historia Langobardorum [Storia dei Longobardi] di Paolo Diacono (VIII sec). Teodolinda era principessa di Baviera, moglie e poi vedova di re Autari. Alia morte del marito, sposa Agilulfo, successore al trono. 12 male...amadore: sfortunata in amore. 13 quanto a nazione: quanto a origine. 14 ma per...mestiere: ma per il resto piü nobile e intelligente di quanto convenisse a cosi umile mestiere. 15 cosi...fosse: cosi come se fosse il re. 16 per ciö che...convenienza: poiche la sua bassa condizione sociale non gli aveva impedito di riconoscere che questo amore era fuori di ogni convenienza. 17 si come savio: da persona saggia. 18 palesava: rivelava. 19 ne...lei: e neppure a lei. 20 pur...pensieri: tuttavia era orgoglioso di se stesso per aver collocato i suoi pensieri d'amore in una donna di cosi alto rango (in alta parte). 21 studiosamente: con premura. 22 oltre a: piü che. 23 intervenia: accadeva. 24 pallafreno: cavallo. 25 guardato: custodito. 26 in...reputava: lo considerava un gran-dissimo favore. 27 comportare: sopportare. 28 disio: desiderio. 29 atato: aiutato. 30 seco: tra se. 31 prese per partito: decise. 32 per...morire: in modo che apparisse che moriva. 33 la sua...in potere: la possibilitä di. 34 si fece: si diede. 35 o direbbe o scriverebbe: avrebbe det-to o avrebbe scritto. 36 per ingegno: con un'astuzia. 37 in...re: fingendosi il re. 38 del continuo: continuamente. 39 acciö che vedesse: per vedere. 40 torchietto: piccola torcia. ( 455 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 percuotere una volta o due 1'uscio della camera con quella bacchetta e incontanente41 essergli 45 aperto e toltogli di mano il torchietto. La qual cosa veduta, e similmente vedutolo ritornare, pensó di cosi dover fare egli altressi: e trovato modo d'avere un mantello simile a quello che al re veduto avea e un torchietto e una mazzuola,43 e prima in una stufa44 lavatosi bene acció che non forse 1'odor del letame la reina noiasse45 o la facesse accorgere dello inganno, con queste cose, come usato era, nella gran 50 sala si nascose. E sentendo che giá per tutto46 si dormia47 e tempo parendogli o di dovere al suo disiderio dare effetto o di far via con alta cagione alia bramata morte,48 fatto con la pietra e con Facciaio49 che seco portato avea un poco di fuoco, il suo torchietto accese e chiuso e awiluppato nel mantello se n'ando all'uscio della camera e due volte il percosse con la bacchetta. La camera da una cameriera tutta sonnacchiosa fu aperta e il lume preso e occultato:50 55 laonde51 egli, senza alcuna cosa dire, dentro alia cortina52 trapassato e posato il mantello, se n'entro nel letto nel quale la reina dormiva. Egli disiderosamente in braccio recatalasi,53 mo-strandosi turbato, per ció che costume del re esser sapea che quando turbato era niuna cosa voleva udire, senza dire alcuna cosa o senza essere a lui detta piú volte carnalmente la reina cognobbe.54 E come che55 grave gli paresse il partire, pur temendo non56 la troppo stanza57 gli 60 fosse cagione di volgere 1'avuto diletto in tristizia, si levó e ripreso il suo mantello e il lume, senza alcuna cosa dire, se nando e come piú tosto poté si torno al letto suo. Nel quale appena ancora esser potea,58 quando il re, levatosi, alia camera andó della reina, di che ella si maraviglió forte; e essendo egli nel letto entrato e lietamente salutatala, ella, dalla sua letizia preso ardire, disse: «0 signor mio, questa che novitá ě stanotte? voi vi partite 65 pur teste da me59 e oltre 1'usato modo di me avete preso piacere, e cosi tosto da capo ritornate? Guardate ció che voi fate». II re, udendo queste parole, subitamente presunse60 la reina da similitudine61 di costumi e di persona essere stata ingannata, ma come savio62 subitamente pensó, poi63 vide la reina accorta non se ne era64 né alcuno altro, di non volernela fare accorgere:65 il che molti sciocchi 70 non avrebbon fatto ma avrebbon detto: «Io non ci fui io: chi fu colui che ci fu? come andó? chi ci venne?» Di che molte cose nate sarebbono,66 per le quali egli avrebbe a torto contristata la donna e datale materia di disiderare altra volta quello che giá sentito avea: e quello che tacendo niuna vergogna gli poteva tornare, parlando s'arebbe vitupero recato.67 Risposele adunque il re, piu nella mente che nel viso o che nelle parole turbato: «Donna, 75 non vi sembro io uomo da poterci altra volta essere stato e ancora appresso68 questa tornarci?» A cui la donna rispose: «Signor mio, si; ma tuttavia io vi priego che voi guardiate alia vostra salute». 41 incontanente: subito. 42 egli altressi: anche lui. 43 mazzuola: piccolo, mazza. 44 stufa: bagno caldo. 45 noiasse: desse fastidio. 46 giá per tutto: dappertutto. 47 si dormia: dormiva. 48 o di...morte: o di fare strada alia morte desiderata con cosi alta ragione. 49 acciaio: acciarino, strumento per pro-vocare la scintilla e per accendere l'esca. 50 occultato: nascosto. 51 laonde: dopo di che. ( 456 ) 52 cortina: si tratta delle tende poste in-torno al letto. 53 recatalasi: recandosela. 54 carnalmente...cognobbe: ebbe rap-porti sessuali con la regina. 55 E come che: Benché. 56 pur temendo non: tuttavia temendo che. 57 la troppo stanza: il troppo trattenersi. 58 Nel quale...potea: Nel quale poteva appena essere arrivato. 59 voi...me: voi siete andato via da me qualche momento fa. 60 presunse: capi. 61 similitudine: somiglianza. 62 come savio: da saggio. 63 poi: poiché. 64 la reina...era: che la regina non se ne era accorta. 65 di non...accorgere: di fare in modo che non se ne accorgesse. 66 sarebbono: sarebbero. 67 e quelle..recato: e ció che, tacendo, non poteva recargli vergogna, gli avrebbe procurato disonore se avesse parlato. 68 appresso: vicino [: nel tempo]. CAPITOLO 2 > II Decameron - 85 90 95 100 105 110 Allora il re disse: «E egli mi piace di seguire il vostro consiglio, e questa volta senza darvi piú impaccio me ne vo' tornare». E avendo 1'animo giá pieno d'ira e di maltalento69 per quello che vedeva gli era stato fatto, ripreso il suo mantello, s'usci della camera e pensó di voler chetamente70 trovare chi questo avesse fatto, imaginando lui della casa dovere essere71 e, qualunque si fosse, non esser potu to di quella uscire. Preso adunque un picciolissimo lume in una lanternetta, se n'ando in una lunghissima casa72 che nel suo palagio era sopra le stalle de' cavalli, nella quale quasi tutta la sua famiglia73 in diversi letti dormiva; e estimando che, qualunque fosse colui che ció fatto avesse che la donna diceva,74 non gli fosse potuto ancora il polso e '1 battimento del cuore, per lo durato affanno, potuto riposare,75 tacitamente, cominciato dall'un de' capi della casa, a tutti cominció a andar toccando il petto per sapere se gli battesse. Come che76 ciascuno altro dormisse forte, colui che con la reina stato era non dormiva ancora; per la qual cosa, vedendo venire il re e avvisandosi77 ció che esso cercando andava, forte cominció a temere, tanto che sopra78 il battimento della fatica avuta la paura n'agiunse un maggiore; e awisossi fermamente che, se il re di ció s'awedesse, senza indugio il facesse79 morire. E come che varie cose gli andasser per lo pensiero di doversi fare, pur vedendo il re senza alcuna arme diliberó di far vista80 di dormire e d'attender quello che il81 far dovesse. Avendone adunque il re molti cerchi82 né alcun trovandone il quale giudicasse essere stato desso, pervenne a costui e trovandogli batter forte il cuore seco disse: «Questi ě desso».83 Ma si come colui che di ció che fare intendeva niuna cosa voleva che si sentisse,84 niuna altra cosa gli fece se non che con un paio di forficette,85 le quali portate avea, gli tondé86 alquanto dall'una delle parti i capelli, li quali essi a quel tempo portavan lunghissimi, acció che87 a quel segnale la mattina seguente il riconoscesse; e questo fatto, si diparti e tornossi alia camera sua. Costui, che tutto ció sentito88 avea, si come colui che malizioso89 era, chiaramente s'aviso90 perché cosi segnato era stato: laonde egli senza alcuno aspettar si levó, e trovato un paio di forficette, delle quali per awentura v'erano alcun paio91 per la stalla per lo servigio de' cavalli, pianamente andando92 a quanti in quella casa ne giacevano, a tutti in simile maniera sopra 1'orecchie taglió i capelli; e ció fatto, senza essere stato sentito, se ne torno a dormire. II re, levato93 la mattina, comandó che avanti che le porti94 del palagio s'aprissono,95 tutta la sua famiglia gli venisse davanti; e cosi fu fatto. Li quali96 tutti, senza alcuna cosa in capo davanti standogli, esso cominció a guardare per riconoscere il tonduto da lui; e veggendo la maggior parte di loro co' capelli a un medesimo modo tagliati, si maraviglió, e disse seco stesso: «Costui, il quale io vo cercando, quantunque di bassa condizion sia, assai ben mostra d'essere d'alto senno». Poi, veggendo che senza romore97 non poteva avere quel ch'egli cercava, disposto a non volere per piccola vendetta acquistar gran vergogna, con una sola parola98 69 maltalento: rancore. 70 chetamente: in segreto. 71 imaginando.. .essere: immaginando che quello dovesse essere qualcuno della casa. 72 lunghissima casa: casamento. 73 famiglia: servitu. 74 che ció...diceva: che avesse fatto ció che la donna riferiva. 75 battimento...riposare: il battito del cuore e del polso, per il lungo affanno, non gli sarebbe di nuovo potuto divenire tranquillo. 76 Come che: Sebbene. 82 cerchi: cercati. 83 desso: proprio lui. 84 niuna...sentisse: non voleva sapesse niente. 85 forficette-.forbicette. 86 gli tondé: taglió. 87 acció che: ajfinché. 77 avvisandosi: accorgendosi. 78 sopra: oltre. 79 il facesse: lo avrebbefatto. 80 far vista-.farfinta. 81 il: egli. che se ne 88 sentito: capito. 89 malizioso: astuto. 90 s'aviso: si rese conto. 91 v'erano alcun paio: ve n'era un paio. 92 pianamente andando: avvicinandosi piano. 93 levato: alzatosi. 94 porti: porte. 95 s'aprissono: s'aprissero. 96 Li quali: si riferisce ai servitori. 97 romore: scalpore. 98 con...parola: in pocheparole. PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 ďamonirlo e di mostrargli ehe avveduto se ne fosse" gli piacque; e a tutti rivolto disse: «Chi '1 fece nol faccia mai piú, e andatevi con Dio». 115 Un altro gli avrebbe voluti far collare,100 martoriare, essaminare e domandare; e ciö faccendo avrebbe scoperto quello ehe ciascun dee andar cercando di ricoprire, e essendosi scoperto, ancora ehe101 intera vendetta n'avesse preša, non iscemata102 ma molto eresciuta n'avrebbe la sua vergogna e contaminata ľonestä delia donna sua. Coloro ehe quella parola udirono si maravigliarono e lungamente fra sé essaminarono ehe avesse il re voluto per quella103 dire, ma 120 niuno ve ne fu ehe la 'ntendesse se non colui solo a cui toccava. II quale, si come savio, mai, vivente il re, non la seoperse,104 né piú la sua vita in si fatto atto commise alla fortuna.105 G. Boccaccio, Decameron, cit. 99 che...fosse: che se ne era accorto. 100 collare: sottoporre alla tortura della colla. La "colla" era una fune che si faceva scorrere sopra ad una carrucola posta in alto; ad un lato veniva legata la persona con le braccia dietro la schiena, alľaltro si faceva tirare la corda per sollevare, a strappi, 1'im-putato fino ad ottenere la confessione. 101 ancora che: anche se. 102 iscemata: diminuita. 103 per quella: con quella \frase]. 104 non la seoperse: non ne fece rivela-zione. 105 né piú...fortuna: non mise piú in pe-ricolo la sua vita ripetendo la stessa azione. COMPRENDERE EANALIZZARE PER INTERPRETARE 1. Confrontare ► I due protagonisti, il re e il suo stalliere, sono agli antipodi della scala sociále e non si scontrano mai direttamente, tuttavia per aleune caratteristiche si misurano alla pari. Scrivi facendo riferimento a termini ed espressioni presi dal těsto gli elementi di disuguaglian-za e quelli di somiglianza fra i due personaggi. 2. Argomentare ► La novella puó essere interpretata come esemplare per quanto riguarda il terna della "demoeraticitá", owero delľindipendenza di čerti valori umani dallo stato sociále. Lo stalliere infatti puó rivaleggiare col re su diversi piani. Quali? 14 La Quarta giornata: ľautodifesa delľautore e le novelle di amori infelici Ľautore si difende dalle eritiche La novella delle papere e la risposta alle eritiche [ 458 ] Nelľlntroduzione alla Quarta giornata ľautore prende di nuovo la parola in prima persona per difendersi dalle seguenti critiche: a) di badar troppo alle donne, di prender troppo dilet-to a consolarle, lodarle ed esaltarle; b) di occuparsi di argomenti troppo frivoli nonostante ľetä non piú giovanile; c) di star troppo con le donne e troppo poco con le Muse; d) di dedicarsi a sciocchezze invece di pensare a guadagnare soldi e a fare una vita agiata. Ľautore decide di difendersi da queste accuse, e, per farlo, racconta anzitutto La novella delle papere (cfr. DOC.©, p. 402), volutamente lasciata inconclusa nello svolgimento della vicenda cosi da non essere in concorrenza con quelle dei dieci novellatori e non superare il numero perfetto di cento. Qui ľautore intende mostrare ai suoi critici ehe é vano voler ignorare le pulsioni naturali e le donne che ai suoi occhi le rappresentano. E cosi ha giä risposto alla prima critica (a). Quanto all'obiezione di essere troppo vecchio per occuparsi d'amore (b), egli replica di se-guire l'esempio di Guido Cavalcanti, Dante Alighieri e Cino da Pistoia. Alla critica di trascura- CAPITOLO 2 I II Decameron La necessitä di rispettare gli istinti naturali Un trittico tragico II carattere democratico dell'eros Motivi comici e awenturosi re le Muse (c), risponde che «le Muse son donne» e che le donne sono per lui motivo di ispira-zione poetica, quindi, occupandosi di loro, non si allontana affatto dalle Muse. AH'ultima criti-ca (d) obietta infine che la vita dei poeti e piü longeva di quanti rischiano di morir giovani per desiderio di guadagni, e che comunque e pronto, se necessario, a sopportare la miseria. II re della Quarta giornata, in cui si raccontano amori infelici, non puö che essere Filostrato, r'abbattuto d'amore", che vive e vede solo il lato triste, patetico o tragico delle vicende d'amore. Per certi aspetti, in queste novelle, e soprattutto owiamente, per ragioni di contiguitä, nella prima, si riprendono i temi ideologici della autodifesa dell'autore nella Introduzione. La rivendicazione della necessitä di rispettare il «concupiscibile disidero» e infatti fermamente teorizzata dall'eroina della prima novella, Ghismunda. La novella di Tancredi e di Ghismunda che apre la giornata e la prima di un trittico tragico di racconti che hanno donne come protagoniste. Questi racconti sono distanziati fra loro secon-do una cadenza probabilmente calcolata: si tratta delle novelle prima, quinta, nona. In tutte e tre, la donna e posta di fronte al cuore o alla testa deH'amante ucciso dai familiari: nella prima, e il padre che fa avere una coppa con il cuore deH'innamorato a Ghismunda, la quäle si suicida bevendovi dentro un veleno (cfr. T6, p. 460); nella quinta, Ellisabetta nasconde la testa dell'a-mante ucciso dai fratelli in un vaso di basilico e si lascia morire di dolore quando esso le viene portato via (cfr. T7, p. 472); nella nona, e il marito, messer Guiglielmo Rossiglione, a presenta-re alla moglie, cotto e cucinato, il cuore deH'amante da lui ucciso, provocando il suicidio di lei. Ghismunda, Ellisabetta, la moglie di messer Rossiglione sono tre eroine tragiche, con cui l'autore vuole celebrare la nobiltä e la fierezza d'animo delle donne. In queste novelle, nobiltä d'amore, nobiltä d'animo e nobiltä di sangue coincidono. Fa eccezione la quinta, quella di Ellisabetta, la quäle con la sesta e la settima apre un breve ciclo di novelle in cui l'autore intende svolgere la tesi (giä sostenuta nella decima novella della Terza giornata) del carattere democratico dell'eros che puö rendere nobili d'animo anche borghesi e popolani. La seconda e la terza novella introducono motivi comici con la vicenda di frate Alberto, che finge d'essere l'arcangelo Gabriele per giacersi con una donna, e motivi awenturosi con quella di tre coppie di amanti rifugia-tesi a Creta: a causa della gelosia, che provo-ca vari delitti, solo una coppia soprawive ed ě costretta a una nuova fuga a Rodi. Questo inserimento di motivi diversi ě funzionale a un'esigenza di varieta e di movimento. D'al-tra parte, com'era logico attendersi dopo tanti amori infelici, anche Dioneo, nella decima, fornisce il proprio contributo alla varieta tematica, mostrando come un amante scampi alla forca e chiudendo cosi con un lieto fine una giornata altrimenti uniforme-mente caratterizzata in senso tragico o triste. © Miniatura del Decameron, Ms. 5070, XV secolo. Parigi, Bibliothěque de 1'Arsenal. * » i .1 k. L *. k.LU ...hl ( 459 ] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 La novella di Tancredi e Ghismunda OPERA Decameron, IV, 1 CONCETTI CHIAVE • la nobiltä d'animo del la donna innamorata • la naturalitä degli istinti • la democrazia dell'eros Questa grande novella - uno dei capolavori di Boccaccio - riprende alcuni motivi dell'autodifesa dell'au-tore svolta nella Introduzione a questa stessa giornata. Non casualmente la novellatrice e Fiammetta, la protagonista infelice della giovanile Elegia di Madonna Fiammetta, esperta della passione d'amore nelle donne. La novella intende infatti celebrare la nobilta e la fierezza d'animo delle donne innamora-te, smentendo cosi i critici di Boccaccio che lo avevano accusato di frivolezza perche si occupava di donne. Ghismunda e invece un notevolissimo esempio di elevatezza tragica: sorpresa dal padre men-tre ama un valletto, non solo non si pente ma ne sfida I'ira e sostiene con forza le ragioni deH'amore. E quando il padre le manda in una coppa il cuore deH'amato, non esita ad uccidersi bevendovi dentro un veleno. Da questo punto di vista, la novella intende fornire una risposta anche a quanti si oppongono alia forza naturale degli istinti, che invece - secondo Ghismunda ma anche secondo Boccaccio - va accettata e rispettata. TANCREDI, PRENZE1 DI SALERNO, UCCIDE LAMANTE DELLA FIGLIUOLA E MAN-DALE IL CUORE IN UNA COPPA D'ORO; LA QUALE, MESSA SOPR'ESSO ACQUA AV-VELENATA, QUELLA SI BEE E COSI MUORE. Fiera materia di ragionare n'ha oggi il nostro re data,2 pensando che, dove per rallegrarci ve-5 nuti siamo, ci convenga raccontar 1'altrui lagrime, le quali dir non si possono che chi le dice e chi 1'ode non3 abbia compassione. Forse per temperare alquanto la letizia avuta li giorni pas-sati 1'ha fatto: ma che che4 se 1'abbia mosso, poi che a me non si conviene di mutare il suo piacere, un pietoso accidente,5 anzi sventurato e degno delle nostre lagrime, raccontero. Tancredi, prencipe di Salerno, fu signore assai umano e di benigno ingegno,6 se egli nel- 10 Famoroso sangue7 nella sua vecchiezza non s'avesse le mani bruttate;8 il quale in tutto lo spazio della sua vita non ebbe che una figliuola, e piu felice sarebbe stato se quella avuta non avesse. Costei fu dal padre tanto teneramente amata, quanto alcuna altra figliuola da padre fosse giammai: e per questo tenero amore, avendo ella di molti anni avanzata 1'eta del dovere avere avuto marito,9 non sappiendola da se partire,10 non la maritava: poi alia fine a un figliuolo del 15 duca di Capova11 datala, poco tempo dimorata con lui, rimase vedova e al padre tornossi.12 1 pkenze: principe, prenze ě un france-sismo usato di solito in riferimento a nobili angioini, napoletani e greci. Boccaccio adot-ta anche la forma prencipe (vedi rigo 6). 2 Fiera...data: a parlare ě Fiammetta per ordine di Filostrato, re della Quarta giornata dedicata agli amori infelici. Ben lo testimo-nia l'aggettivo Fiera dell'incipit nel signifi-cato di dolorosa, altamente tragica: tale ě l'atmosfera complessiva della novella, che descrive un amore tragicamente interrotto dalla morte. 3 non: in correlazione con il che precedente: senza che. ( 460 ) 4 che che: qualunque cosa. 5 un pietoso accidente: un evento dolo-roso e malinconico. 6 ingegno: indole naturale. 7 nell'amoroso sangue: nel sangue dei due amanti. 8 bruttate: imbrattate. 9 l'etä...marito: si intende, all'incirca, un'etä compresa fra i quattordici e i diciotto anni. 10 non...partire: non riuscendo ad al-lontanarla da se, nel senso di non poter sopportare la sua lontananza. In questa ec-cessiva manifestazione di amore paterno pare, in realtá, evidenziarsi un motivo ana-lizzato dalla critica psicoanalitica, ricon-ducibile, in sostanza, alia gelosia inconscia che Tancredi nutrirebbe nei confronti della figlia. 11 Capova: Capua. 12 al padre tornossi: se ne torno dal padre. Da notare come quest'ultima frase («ri-mase vedova e al padre tornossiw) sia un en-decasillabo, cosi spesso usato da Boccaccio in fine di periodo per sostenere armoniosa-mente la scrittura, soprattutto nelle novelle piu elevate e drammatiche. CAPITOLO 2 I II Decameron Era costei bellissima del corpo e del viso quanta alcuna altra femina fosse mai, e giovane e gagliarda e savia piu che a donna per awentura non si richiedea.13 E dimorando col tenero padre, si come gran donna, in molte dilicatezze,14 e veggendo che il padre, per 1'amor che egli le porta-va, poca cura si dava di piu maritarla,15 ne a lei onesta cosa pareva il richiedernelo, si penso16 di 20 volere avere, se esser potesse, occultamente un valoroso amante. E veggendo molti uomini nella corte del padre usare, gentili e altri,17 si come noi veggiamo nelle corti, e considerate le maniere e' costumi di molti, tra gli altri un giovane Valletta del padre, il cui nome era Guiscardo, uom di nazione assai umile ma per vertu e per costumi nobile,18 piu che altro le piacque, e di lui tacitamente, spesso vedendolo, fieramente19 s'accese, ognora piu lodando i modi suoi. E il gio- 25 vane, il quale ancora non era poco aweduto,20 essendosi di lei accorto, 1'aveva per si fatta ma-niera nel cuor ricevuta,21 che da ogni altra cosa quasi che da amar lei aveva la mente rimossa. In cotal guisa22 adunque amando 1'un 1'altro segretamente, niuna altra cosa tanto diside-rando la giovane quanto di ritrovarsi con lui, ne vogliendosi di questo amore in alcuna persona fidare, a dovergli significare il modo seco penso una nuova malizia.23 Essa scrisse una let- 30 tera, e in quella cio che a fare24 il di seguente per esser con lei gli mostro; e poi quella messa in un bucciuolo25 di canna, sollazzando26 la diede a Guiscardo e dicendo: «Fara'ne27 questa sera un soffione28 alia tua servente, col quale ella raccenda il fuoco». Guiscardo il prese, e awisando costei non senza cagione dovergliele29 aver donato e cosi detto, partitosi, con esso se ne torno alia sua casa: e guardando la canna e quella vedendo 35 fessa,301'aperse, e dentro trovata la lettera di lei e lettala e ben compreso cio che a fare avea, il piu contento uom fu che fosse gia mai e diedesi a dare opera31 di dovere a lei andare secondo il modo da lei dimostratogli. Era allato al palagio del prenze una grotta cavata nel monte, di lunghissimi tempi davanti fatta,32 nella qual grotta dava alquanto lume uno spiraglio fatto per forza33 nel monte, il qua- 40 le, per cio che34 abbandonata era la grotta, quasi da pruni e da erbe di sopra natevi era ritu-rato;35 e in questa grotta per una segreta scala, la quale era in una delle camere terrene del palagio la quale la donna teneva,36 si poteva andare, come che37 da uno fortissimo uscio ser-rata fosse. E era si fuori delle menti38 di tutti questa scala, per cio che di grandissimi tempi davanti usata non sera, che quasi niuno che ella vi fosse si ricordava: ma Amore, agli occhi 45 del quale niuna cosa e si segreta che non pervenga,391'aveva nella memoria tornata alia inna- 13 savia...richiedea: saggiapiu di quanto normalmente si richiedesse a una donna (e ne avremo splendida prova, in effetti, nel suo dialogo con il padre, al centro della novella). 14 dilicatezze: raffinatezze. 15 di piu maritarla: di farla sposare di nuovo. E ancora l'incestuosa, inconscia ge-losia del padre il fulcro psicologico del suo rapporto con la figlia, la chiave di volta del-la tensione narrativa. 16 si penso: "pensarsi" ha valore attivo. 17 gentili e altri: nobili e non. 18 uom...nobile: Guiscardo e figura pa-rallela alio stalliere di Agilulfo incontrato nella seconda novella della Terza giornata: di nascita (di nazione) umile e modesto anch'esso. La sua nobilta d'animo, che lo ha portato ad acquisire vertii e gentilezza, e tuttavia superiore. 19 fieramente: ardentemente. 20 ancora...aweduto: inoltre non era sciocco. 21 1'aveva...ricevuta: si era cosi innamo-rato di lei. 22 guisa: modo, dal francese "guise" 23 nuova malizia: un inedito accorgi-mento. 24 ciö...fare: che cosa dovessefare. 25 bucciuolo: e il tratto della canna tra un nodo e 1'altro. 26 sollazzando: scherzando. 27 Fara'ne: Ne farai. 28 soffione: canna in ferro per ravvivare il fuoco. 29 dovergliele: doverglielo; gliele e inde- clinabile in toscano antico. 30 fessa: spaccata; e participio passato di "fendere" 31 diedesi...opera: si applied per fare in modo. 32 di...fatta: fatta moltissimo tempo prima; uso assai raro di "davanti" con il "di" (e talora anche con "da"). Cfr. poche righe sot-to «di grandissimi tempi davantiw. 33 per forza: artificialmente. 34 per cio che: poiche. 35 riturato: otturato. 36 la quale...teneva: che la donna occu-pava. 37 come che: benche. 38 delle menti: del ricordo. 39 agli occhi...pervenga: si noti il pas-saggio sentenzioso. (461] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310-> 1380 morata donna. La quale, acciö che niuno di ciö accorger si potesse, molti di con suoi ingegni40 penato avea anzi che venir fatto le potesse d'aprir quello uscio: il quale aperto e sola nella grotta discesa e lo spiraglio veduto, per quello aveva a Guiscardo mandato a dire che di venir s'ingegnasse, avendogli disegnata41 l'altezza che da quello infino in terra esser poteva. Alia 50 qual cosa fornire42 Guiscardo prestamente ordinata una fune con certi nodi e cappi da potere scendere e salire per essa a sé vestito d'un cuoio che da' pruni il difendesse, senza fame alcu-na cosa sentire a alcuno, la seguente notte alio spiraglio n'andö, e accomandato43 bene I'uno de' capi della fune a un forte bronco44 che nella bocca dello spiraglio era nato, per quella si collö45 nella grotta e attese la donna. La quale il seguente di, faccendo sembianti46 di voler dormire, mandate via le sue damigelle e sola serratasi nella camera, aperto I'uscio nella grotta discese, dove, trovato Guiscardo, in-sieme maravigliosa festa si fecero; e nella sua camera insieme venutine, con grandissimo pia-cere gran parte di quel giorno si dimorarono; e dato discrete ordine47 alii loro amori acciö che48 segreti fossero, tornatosi nella grotta Guiscardo, e ella,49 serrato I'uscio, alle sue damigelle 60 se ne venne fuori. Guiscardo poi la notte vegnente, sú per la sua fune sagliendo,50 per lo spiraglio donde era entrato se n'usci fuori e tornossi a casa; e avendo questo cammino appreso piú volte poi in processo di tempo vi ritornö. Ma la fortuna, invidiosa di cosi lungo e di cosi gran diletto, con doloroso awenimento la letizia de' due amanti rivolse in tristo pianto.51 65 Era usato Tancredi di venirsene alcuna volta tutto solo nella camera della figliuola e quivi con lei dimorarsi e ragionare alquanto e poi partirsi. II quale un giorno dietro mangiare52 la giu venutone, essendo la donna, la quale Ghismunda aveva nome,53 in un suo giardino con tutte le sue damigelle, in quella senza essere stato da alcuno veduto o sentito entratosene, non volendo lei torre54 dal suo diletto, trovando le finestre della camera chiuse e le cortine del 70 letto abbattute55 a pie di quello in un canto56 sopra un carello57 si pose a sedere; e appoggiato il capo al letto e tirata sopra sé la cortina, quasi come se studiosamente58 si fosse nascoso, quivi s'adormentö. E cosi dormendo egli, Ghismunda, che per isventura59 quel di fatto aveva venir Guiscardo, lasciate le sue damigelle nel giardino, pianamente se ne entrö nella camera: e quella serrata, senza accorgersi che alcuna persona vi fosse, aperto I'uscio a Guiscardo che 75 ľattendeva e andatisene in su il letto, si come usati erano, e insieme scherzando e sollazzan-dosi, awenne che Tancredi si svegliö e senti e vide ciö che Guiscardo e la figliuola facevano. E dolente di ciö oltre modo, prima gli60 voile sgridare, poi prese partito di tacersi e di starsi nascoso, s'egli potesse,61 per potere piu cautamente fare e con minor sua vergogna quello che 40 ingegni: attrezzi. 41 disegnata: iudicata. 42 Alia...fornire: Per compiere cid. 43 accomandato: assicurato, fissato. 44 bronco: sterpo, arbusto. Ě un termine dantesco (cfr. Inf. XIII, 26). 45 si collö: si cald. 46 faccendo sembianti: fingendo. 47 discreto ordine: accorta disposizio-ne. 48 acciö che: ajfinché. 49 e ella: ecco ehe lei. 50 la notte...sagliendo: sopravvenendo la notte, salendo lungo la corda. 51 Ma...pianto: periodo (concluso da un settenario: «risolse in tristo pianto») che preannuncia e commenta, con effetto di suspence, gli avvenimenti luttuosi che stan-no per verificarsi. II ritorno in scena di Tancredi ci introduce all'interno dell'a-zione. 52 dietro mangiare: dopo aver mangiato. Cfr. piü avanti, con lo stesso significato: ap-presso mangiare. 53 Ghismunda aveva nome: Boccaccio rivela solamente a questo punto il nome della donna; ma, del resto, e proprio a partire da qui che la vicenda comincia a coinvolgere tragicamente i suoi protagonisti. 54 torre: togliere. 55 abbattute: abbassate. 56 canto: angolo. 57 carello: una specie di sgabello basso con cuscino e con ruote, per inginocchiarsi o sedersi, da tenersi sotto il letto. 58 studiosamente: a bella posta. 59 per isventura: la cattiva sorte favori-sce il precipitare degli eventi e risulta superiore alia pur astuta cautela degli amanti. 60 gli: li. 61 s'egli potesse: qualora riuscisse afar-lo [a stare zitto e nascosto]. (462) CAPITOLO 2 > II Decameron Nel quadra secentesco di Mei Ghismunda ě interpretata come un grande personaggio tragico attraversato da forze contrastanti: da un lato stringe il pugno intorno al cuore dell'amato, dall'altro distoglie lo sguardo; da un lato si prepare al suicidio, dall'altro esprime una fisicitá piena di desiderio. L'eroina di Hogarth stringe al petto una coppa d'oro con il cuore dell'amato, chetocca con I'indice della mano. La posa © William Hogarth, Sigismunda piange sul cuore di Guiscardo, 1759. Londra, Tate Britain. Q Bernardino Mei, Ghismunda, 1650-1659. Siena, Pinacoteca Nazionale. malinconica ed il pugnale posto a fianco della coppa voglio-no rendere piu esplicito il destino della donna (anche se in Boccaccio il suicidio avviene con il veleno). II tentativo di Hogarth di risultare convincente nel trattare un tema stori-co alia stregua dei grandi maestri italiani non piacque alia critica, tanto da fargli abbandonare quasi completamente la pittura per gli ultimi anni della sua vita. giágli era cadutonellanimo didover fare.621 due amantistetteroper lungo spazio insieme, si 80 come usati erano, senza accorgersi di Tancredi; e quando tempo lor parve63 discesi del letto, Guiscardo se ne torno nella grotta e ella susci della camera. Della quale Tancredi, ancora che vecchio fosse, da una finestra di quella64 si caló nel giardino e senza essere da alcun veduto, dolente a mořte, alla sua camera si torno. E per ordine dalui dato, alluscir dello spiraglio la seguente notte in sul primo sonno Gui-85 scardo, cosi come era nel vestimento del cuoio65 impacciato, fu preso da due e segretamente a Tancredi menato; il quale, come il vide, quasi piagnendo disse: «Guiscardo, la mia benignita66 verso te non avea meritato 1'oltraggio e la vergogna la quale nelle mie cose fatta m'hai, si come io oggi vidi con gli occhi miei». 62 gli...fare:gli era venuto in mentě di dover fare. 63 quando...lor parve: cioě quando ri-tennero di essersi intrattenuti abbastanza e forse giunto il momento di separarsi. 64 di quella: riprende il Della quale con costruzione anacolutica e si riferisce alla camera. 65 del cuoio: di cuoio. Ě il complemento di materia con la preposizione articolata. 66 benignita: benevolenza. (463 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 Al quale Guiscardo niuna altra cosa disse se non questo:«Amor puo troppo piu che ne voi 90 ne io possiamo».67 Comando adunque Tancredi che egli chetamente in alcuna camera di la entro guardato68 fosse; e cosi fu fatto. Venuto il di seguente non sappiendo Ghismunda nulla di queste cose, avendo seco Tancredi varie e diverse novita69 pensate, appresso mangiare secondo la sua usanza nella camera 95 n'ando della figliuola: dove fattalasi chiamare e serratosi dentro con lei, piangendo le comin-cio a dire: «Ghismunda, parendomi conoscere la tua vertu e la tua onesta, mai non mi sareb-be potuto cader nell'animo, quantunque mi fosse stato detto, se io co' miei occhi non 1'avessi veduto, che tu di sottoporti a alcuno uomo, se tuo marito stato non fosse, avessi, non che fatto, ma pur pensato; di che io, in questo poco di rimanente di vita che la mia vecchiezza mi 100 serba, sempre saro dolente di cio ricordandomi.70 E or volesse Idio che, poi che a tanta diso-nesta conducer71 ti dovevi, avessi preso uomo che alia tua nobilta decevole72 fosse stato; ma tra tanti che nella mia corte n'usano73 eleggesti Guiscardo, giovane di vilissima condizione, nella nostra corte quasi come per Dio74 da piccol fanciullo infino a questo di allevato; di che tu in grandissimo affanno d'animo messo m'hai, non sappiendo io che partito di te mi piglia- 105 re.75 Di Guiscardo, il quale io feci stanotte prendere quando dello spiraglio usciva, e hollo76 in prigione, ho io gia meco preso partito che fame; ma di te sallo77 Idio che io non so che farmi. Dall'una parte mi trae 1'amore il quale io t'ho sempre piu portato che alcun padre portasse a figliuola, e d'altra mi trae giustissimo sdegno preso per la tua gran follia: quegli vuole che io ti perdoni e questi vuole che io contro a mia natura in te incrudelisca: ma prima che io parti- 110 to prenda, disidero d'udire quello che tu a questo dei dire78». E questo detto basso79 il viso, piagnendo si forte come farebbe un fanciul ben battuto.80 Ghismunda, udendo il padre e conoscendo non solamente il suo segreto amore esser disco-perto ma ancora preso Guiscardo, dolore inestimabile senti e a mostrarlo con romore81 e con lagrime, come il piu82 le femine fanno, fu assai volte vicina: ma pur questa vilta83 vincendo il suo 115 animo altiero, il viso suo con maravigliosa forza fermo,84 e seco, avanti che a dovere alcun prie-go per se porgere, di piu non stare in vita dispose, awisando gia esser morto il suo Guiscardo. Per che, non come dolente femina o ripresa85 del suo fallo, ma come non curante e valo-rosa, con asciutto viso e aperto e da niuna parte turbato cosi al padre disse:86 «Tancredi, ne a 67 Amor...possiamo: la risposta di Guiscardo ě un doppio settenario in cui si sinte-tizza la forza ineluttabile del sentimento d'a-more. Da notare che sono le uniche parole da lui pronunciate nel corso del racconto. 68 guardato: tenuto prigioniero. 69 novitá: cose insolite; dal latino 'novus' = strano, straordinario. 70 Ghismunda...ricordandomi: Tancredi mostra veramente di parlare «in grandissimo affanno ďanimow: non puó sfuggi-re, in effetti, il periodare concitato che pro-cede per accumulazione asindetica. 71 conducer: dal latino 'conducere' = con-durre. 72 decevole: conveniente, dal latino "de-cibilem"= che si addice. 73 riusano-.frequentano. ( 464 ) 74 per Dio: per amor di Dio, per elemosina. 75 chc.pigliare: che decisioneprendere nei tuoi confronti. 76 hollo: I'ho, lo tengo. 77 sallo: lo sa; con enclisi del pronome atono. 78 Dall'una...dire: il discorso di Tancredi si arresta sull'orlo del dubbio tra il desi-derio di perdono e la necessitá della vendetta. Tancredi, infatti, ě combattuto tra oppo-sti sentimenti: eliminare Guiscardo significa ripristinare il rapporto di esclusivitá affetti-va con la figlia, ma, in un certo senso, ě an-che prendere atto di una distanza insanabi-le nei suoi confronti: Ghismunda ama e ha amato un altro. 79 basso: abbassb. 80 piagnendo...battuto: ě una similitu- dine tratta dalla Vita nuova XII, 2: «m'ad-dormentai come un pargoletto battuto la-grimandow. 81 con romore: con grida e con urla. 82 il piú: di solito. 83 viltá: debolezza. Ě complemento og-getto rispetto ad animo altiero. 84 ma...fermó: il carattere fiero e risolu-to di Ghismunda comincia a manifestarsi, facendone una vera eroina tragica. 85 ripresa: ravveduta. 86 Per che...disse: amplificazione del ri-tratto precedente volta a sottolineare la "classica" statuarietá del personaggio. Non sfugga, inoltre, neltesordio del suo discorso, il rivolgersi al padre chiamandolo per nome, nel segno di un confronto che Ghismunda sente e vuole orgogliosamente paritario. CAPITOLO 2 I II Decameron - negare ne a pregare son disposta, per ciö che ne Fun mi varrebbe ne l'altro voglio che mi va- 120 glia;87 e oltre a ciö in niuno atto88 intendo89 di rendermi benivola la tua mansuetudine e '1 tuo amore: ma, il vero confessando, prima con vere ragioni difender la fama90 mia e poi con fatti fortissimamente seguire la grandezza dell'animo mio.91 Egli e il ver che io ho amato e amo Guiscardo, e quanto io viverö,92 che sarä poco, l'amerö, e se appresso la morte s'ama, non mi rimarrö d'amarlo:93 ma a questo non m'indusse tanto la mia feminile fragilitä, quanto la tua 125 poca sollecitudine del maritarmi e la virtü di lui.94 Esser ti dove, Tancredi, manifesto, essendo tu di carne, aver generata figliuola di carne e non di pietra o di ferro; e ricordar ti dovevi e dei, quantunque tu ora sie vecchio, chenti e quali95 e con che forza vengano le leggi della giova-nezza: e come che96 tu, uomo, in parte ne' tuoi migliori anni nell'armi essercitato ti sii, non dovevi di meno conoscere quello che gli ozii e le dilicatezze possano ne' vecchi non che ne' 130 giovani.97 Sono adunque, si come da te generata, di carne, e si poco vivuta, che ancor son gio-vane, e per l'una cosa e per l'altra piena di concupiscibile disidero,98 al quäle maravigliosissime forze hanno date99 l'aver giä, per essere stato100 maritata, conosciuto qual piacere sia a cosi fatto disidero dar compimento. Alle quali forze non potendo io resistere, a seguir quello a che eile mi tiravano, si come giovane e femina, mi disposi e innamora'mi. E certo in questo oppo- 135 si ogni mia vertu di non volere a te ne a me di quello a che natural peccato mi tirava, in quanto per me si potesse operare, vergogna fare.101 Alla qual cosa e pietoso Amore e benigna fortuna assai occulta via102 m'avean trovata e mostrata, per la quäle, senza sentirlo alcuno, io a' miei disideri perveniva: e questo, chi che103 ti se l'abbia mostrato o come che tu il sappi, io nol nego. Guiscardo non per accidente104 tolsi, come molte fanno, ma con diliberato consi- 140 glio105 elessi innanzi a ogni altro e con avveduto pensiero a me lo 'ntrodussi e con savia perse-veranza di me e di lui lungamente goduta sono106 del mio disio. Di che egli107 pare, oltre all'amorosamente108 aver peccato, che tu, piü la volgare opinione che la veritä seguitando, con piü amaritudine109 mi riprenda, dicendo, quasi turbato esser non ti dovessi se io nobile uomo avessi a questo eletto, che io con uomo di bassa condizion mi son posta: in che110 non t'accor- 87 mi vaglia: mi valga. 88 in niuno atto: in nessun modo. Ghi-smunda, insomma, non si abbassa, secondo lo schema del discorso retorico, fino alla captatio benevolentiae del suo interlocutore perché, tra l'altro, ha giä formulate il propo-sito di suicidarsi (cfr. sopra: «di piu non stare in vita disposew). 89 intendo: regge gli infiniti rendermi, difender e seguire. 90 fama: reputazione. 91 seguire...mio: tenere fede alla mia magnanimita [: alla elevatezza e alla nobiltä dei miei sentimenti]. 92 viverô: vivrd. 93 non...d'amarlo: non cesserô di amarlo. E un topos della retorica d'amore (cfr. l'epi-sodio di Paolo e Francesca neWInferno dan-tesco). 94 ma a questo...di lui: sono esposte le due argomentazioni principáli con le quali Ghismunda sostiene la propria argomenta-zione: 1) il suo sentimento d'amore é sorto per colpa di Tancredi ehe non si é preoccu-pato di trovarle un nuovo marito in grado di soddisfare i suoi naturali desideri di donna (fatta «di carne e non di pietra o di ferro», come dice subito dopo); 2) esso é stato ali-mentato anche dalla consapevolezza della virtíi, cioé della innata gentilezza di Guiscardo, ehe é riuscita di fatto a riscattare l'u-miltä delle sue origini. 95 chenti e quali: quante e di qual natura. 96 come ehe: benché. 97 con che forza...giovani: il tema della forza incontrollabile dell'amore, che coin-volge e sconvolge gli uomini di tutte le eta, é uno dei motivi fondamentali esposti nella Introduzione a questa giornata. 98 concupiscibile disidero: é lo stesso sintagma che compare nella Novella delle papere (cfr. DOC. Q, p. 402) (concupiscibile appetito) per indicare il bisogno del-l'appagamento sensuale. 99 date: attrazione sul participio dal fem-minile forze. 100 essere stato: essere stata; stato ě spesso usato come forma invariabile nei ver-bi composti. 101 in questo...fare: nel compimento del mio desiderio (in questo) cercai, per quanto lopotessi, di nonprocurare vergogna a tee a me assecondando un istinto peccaminoso, eppur naturale. 102 occulta via: maniera segreta. 103 chi che: chiunque. 104 per accidente: per caso. 105 diliberato consiglio: ě concetto si-nonimo di quello subito successivo (awe-duto pensiero): esprime l'autonomia di giudizio di Ghismunda, il suo volitivo atteg-giamento da protagonista, soprattutto in amore. 106 goduta sono: costruzione alla latina con il verbo essere posposto. 107 egli: soggetto pleonastico. 108 amorosamente: per averfatto I'amore. 109 amaritudine: amarezza. 110 in che: nella qual cosa. ( 465 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 145 gi che non il mio peccato ma quello della fortuna riprendi, la quäle assai sovente Ii non degni a alto leva, abbasso lasciando i degnissimi.111 Ma lasciamo or questo, e riguarda alquanto a' principii delle cose: tu vedrai noi d'una massa di carne tutti la carne avere e da uno medesimo Creatore tutte l'anime con iguali forze, con iguali potenze, con iguali vertu create. La vertu primieramente noi, che tutti nascemmo e nasciamo iguali, ne distinse; e quegli che di lei mag- 150 gior parte avevano e adoperavano nobili furon detti, e il rimanente rimase non nobile. E ben-che contraria usanza poi abbia questa legge nascosa, ella non e ancor tolta via ne guasta112 dalla natura ne da' buon costumi; e per ciö colui che virtuosamente adopera, apertamente se mostra gentile,113 e chi altramenti il chiama, non colui che e chiamato ma colui che chiama commette difetto. Raguarda tra tutti i tuoi nobili uomini e essamina la lor vita, i lor costumi 155 e le loro maniere, e d'altra parte quelle di Guiscardo raguarda: se tu vorrai senza animositä giudicare, tu dirai lui nobilissimo e questi tuoi nobili tutti esser villani.114 Delle virtü e del valor di Guiscardo io non credetti al giudicio d'alcuna altra persona che a quello delle tue parole e de' miei occhi. Chi il commendö115 mai tanto quanto tu commendavi in tutte quelle cose laudevoli che116 valoroso uomo dee essere commendato? E certo non a torto; che, se' miei 160 occhi non m'ingannarono, niuna laude da te data gli fu che io lui operarla,117 e piü mirabil-mente che le tue parole non poteano esprimere, non vedessi: e se pure in ciö alcuno inganno ricevuto avessi, da te sarei stata ingannata.118 Dirai dunque che io con uomo di bassa condizion mi sia posta? Tu non dirai il vero: ma per awentura se tu dicessi con povero, con tua vergogna si potrebbe concedere, che cosi hai saputo un valente uomo tuo servidore mettere in buono 165 stato; ma la povertä non toglie gentilezza a alcuno ma si avere.119 Molti re, molti gran prenci-pi furon giä poveri, e molti di quegli che la terra zappano e guardan le pecore giä ricchissimi furono e sonne.120 Lultimo dubbio che tu movevi, cioe che di me far ti dovessi, caccial del tutto via: se tu nella tua estrema vecchiezza a far quello che giovane non usasti, cioe a incru-delir,121 se' disposto, usa in me la tua crudeltä, la quäle a alcun priego porgerti disposta non 170 sono,122 si come in prima cagion di questo peccato, se peccato e;123 per ciö che io t'acerto che quello che di Guiscardo fatto avrai o farai, se di me non fai il simigliante,124 le mie mani me-desime il faranno. Ora via, va con le femine a spander le lagrime, e incrudelendo, con un medesimo colpo, se cosi ti par che meritato abbiamo, uccidi».125 111 non...degnissimi: ě la chiave di volta dell'argomentazione: non ci si puö op-porre al natural peccato se alia base di questa condanna sussiste una discrimina-zione sociale operata dalla fortuna [: sorte, caso] (ě una vox media). In sostanza, so-stiene Ghismunda, l'umile condizione di Guiscardo non deve essergli ascritta a col-pa. Ě questo il punto di partenza per le di-chiarazioni seguenti sull'uguaglianza di na-scita e sulle differenziazioni operate sol-tanto dalla virtü. 112 guasta: corrotta. 113 colui...gentile: sono i temi della vulgáta stilnovistica, qui espressi con due en-decasillabi, di cui il primo tronco. 114 villani: ignobili [: non nobili]. 115 il commendö: lo lodb. ( 466 ) 116 che: nelle quali. 117 che io lui operarla: in relazione a non vedessi: che io non mi rendessi conto che lui la metteva in atto (operarla). 118 se pure...ingannata: si noti l'abilita retorica di Ghismunda nella simmetria chiastica del periodo, imperniata con forza sul da te centrále per porre ancor piu sotto accusa la figura del padre: inganno...da te...ingannata. 119 avere: I'avere [: la ricchezza]. 120 sonne: ne sono. 121 incrudelir: infierire con crudeltá. 122 la quale...non sono: ě lo stesso concetto presentato alfinizio: «né a negare né a pregare son dispostaw. 123 si come...peccato ě: questa parte conclusiva del discorso, rispettando la di- spositio retorica, riprende i motivi sin qui esposti formulandoli in sintesi: Ghismunda non si appella alla benevolenza del padre perché lo ritiene causa principále («si come in prima cagionw) di questo peccato ďamo-re, ammesso, ma non concesso, che esso sia davvero peccato. Lo scopo di tutto il suo ra-gionamento, infatti, non ě stato altro che il tentativo di dimostrare il contrario. 124 per ció...simigliante:perció io ti as-sicuro (ťacerto) che se di me non farai la stessa cosa [: uccidermi] che hai fatto o farai a Guiscardo, lo faro con le mie stesse mani. 125 uccidi: di straordinaria efficacia espressiva questo imperativo in fine di frase, nella cui risonanza di mořte si chiudono le tragiche e appassionate parole della donna. CAPITOLO 2 > II Decameron - Conobbe il prenze la grandezza dell'animo della sua figliuola ma non credette per ció in 175 tutto lei si fortemente disposta a quello che le parole sue sonavano, come diceva;126 per che, da lei partitosi e da sé rimosso di volere in alcuna cosa nella persona di lei incrudelire,127 pen-so con gli altrui128 danni raffreddare il suo fervente amore, e comandó a' due che Guiscardo guardavano che senza alcun romore lui la seguente notte strangolassono;129 e trattogli il cuo-re a lui il recassero. Li quali, cosi come loro era stato comandato, cosi operarono. 180 Laonde,130 venuto il di seguente, fattasi il prenze venire una grande e bella coppa ďoro e messo in quella il cuor di Guiscardo, per un suo segretissimo famigliare131 il mando alia figliuola e imposegli che quando gliele132 desse dicesse: «11 tuo padre di manda questo per consolarti di quella cosa133 che tu piú ami, come tu hai lui consolato di ció che egli piú amava». Ghismunda, non smossa dal suo fiero proponimento, fattesi venire erbe e radici velenose, 185 poi che partito fu il padre, quelle stilló e in acqua redusse, per presta134 averla se quello di che ella temeva avvenisse.135 Alia quale venuto il famigliare e col presento136 e con le parole del prenze, con forte viso137 la coppa prese; e quella scoperchiata, come il cuor vide e le parole intese, cosi ebbe per certissimo quello essere il cuor di Guiscardo; per che,138 levato il viso verso il famigliar, disse: «Non si convenia sepoltura men degna che ďoro a cosi fatto cuore 190 chente139 questo ě: discretamente140 in ció ha il mio padre adoperato». E cosi detto, appressatoselo alia bocca, il basció,141 e poi disse: «In ogni cosa sempře e in-fino a questo stremo142 della vita mia ho verso me trovato tenerissimo del mio padre 1'amore, ma ora piu che giá mai; e per ció Fultime grazie, le quali render gli debbo giá mai,143 di cosi gran presento, da mia parte gli renderai». 195 Questo detto, rivolta sopra la coppa la quale stretta teneva, il cuor riguardando disse:«Ahi! dolcissimo albergo di tutti i miei piaceri, maladetta sia la crudeltá di colui che con gli occhi della fronte or mi ti fa vedere.144 Assai m'era145 con quegli della mente riguardarti a ciascuna ora. Tu hai il tuo corso fornito,146 e di tale chente la fortuna tel concedette ti se' spacciato:147 venuto se' alia fine alia qual ciascun corre: lasciate hai le miserie del mondo e le fatiche e dal 200 tuo nemico medesimo quella sepoltura hai che il tuo valore ha meritata. Niuna cosa ti manca-va a aver compiute148 essequie, se non le lagrime di colei la qual tu vivendo cotanto amasti; le quali acció che tu 1'avessi, pose Idio nell'animo al mio dispietato padre che a me ti mandasse, e io le ti149 daró, come che150 di morire con gli occhi asciutti e con viso da niuna cosa spaventato proposto avessi; e dateleti,151 senza alcuno indugio faro che la mia anima si congiugnerá con 126 non credette...diceva: il padre, cioě, non crede che la figlia abbia veramente in-tenzione di uccidersi. 127 da sé...incrudelire: allontanato il propositi) (rimosso) di vendicarsi sulla figlia. Evidentemente, almeno in parte, il di-scorso di Ghismunda ha ottenuto un qual-che effetto. 128 altrui: dell'altro [: di Guiscardo]. 129 strangolassono: strangolassero. 130 Laonde: Quindi. 131 famigliare: servitore. 132 gliele: glielo, indeclinabile. 133 cosa: cioě Guiscardo. 134 presta: pronta. 135 avvenisse:/osse avvenuto. 136 presento: dono, regalo; dal francese 'present'. 137 con forte viso: ě quasi tratto fisio-gnomico di Ghismunda. 138 per che: per ció. 139 chente: quale. 140 discretamente: saggiamen te, avendo considerate il suo grande valore. 141 il basció: lo bacib. 142 stremo: momento estremo. 143 giá mai: ě pleonastico, oppure col si-gnificato di ormai. 144 Ahi!...vedere!: l'ultima parte del di-scorso di Ghismunda si apre con due set-tenari, un novenario tronco, un endecasil-labo e un settenario finale: l'accrescersi del- la tensione emotiva innalza la ricercatezza stilistica della frase. 145 Assai m'era: Mi era sufficiente; dal latino 'ad satis' = abbastanza. 146 fornito: concluso. 147 di tale...spacciato: ti sei liberato di tale corso [: della vita] cosi come la sorte te I'ha concesso. 148 compiute: perfette. 149 le ti: te le; con inversione pronominale. 150 come che: sebbene, in unione con proposto avessi, collocato in fine di frase con costrutto latineggiante. 151 dateleti: participio con accento sulla quartultima e con valore assoluto: una volta che io te le abbia date[: abbia versato le lacrime]. (467) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 205 quella, adoperandol tu,152 che tu gia tanto cara guardasti.153 E con qual compagnia ne potre' io andar piu contenta o meglio sicura a' luoghi non conosciuti154 che con lei? Io son certa che ella e ancora quincentro155 e riguarda156 i luoghi de' suoi diletti e de' miei e, come colei che ancora son certa che mama, aspetta la mia157 dalla quale sommamente e amata». E cosi detto, non altramenti che se una fonte d'acqua nella testa avuta avesse, senza fare alcun 210 feminil romore,158 sopra la coppa chinatasi piagnendo comincio a versar tante lagrime, che mi-rabile cosa furono a riguardare, basciando infinite volte il morto cuore. Le sue damigelle, che da torno159 le stavano, che cuore questo si fosse o che volesson160 dir le parole di lei non intendevano, ma da compassion vinte tutte piagnevano e lei pietosamente della cagion del suo pianto doman-davano invano e molto piu, come meglio sapevano e potevano, s'ingegnavano di confortarla. 215 La qual poi che quanto le parve ebbe pianto, alzato il capo e rasciuttisi gli occhi, disse: «0 molto amato cuore, ogni mio uficio verso te e fornito,161 ne piu altro mi resta a fare se non di venire con la mia anima a fare alia tua compagnia». E questo detto, si fe dare 1'orcioletto nel quale era 1'acqua che il di davanti aveva fatta, la quale mise nella coppa ove il cuore era da molte delle sue lagrime lavato; e senza alcuna pau- 220 ra postavi la bocca, tutta la bewe e bevutala con la coppa in mano se ne sali sopra il suo letto, e quanto piu onestamente seppe compose il corpo suo sopra quello e al suo cuore accosto quello del morto amante: e senza dire alcuna cosa aspettava la morte.162 Le damigelle sue, avendo queste cose e vedute e udite, come che esse non sapessero che acqua quella fosse la quale ella bevuta aveva, a Tancredi ogni cosa avean mandato a dire; il 225 qual, temendo di quello che sopravenne, presto nella camera scese della figliuola, nella qual giunse in quella ora che essa sopra il suo letto si pose; e tardi con dolci parole levatosi a suo conforto, veggendo ne' termini ne' quali era,163 comincio dolorosamente a piagnere. Al quale la donna disse: «Tancredi, serbati coteste lagrime a meno disiderata fortuna che questa, ne a me le dare, che non le disidero. Chi vide mai alcuno altro che te piagnere di quello 230 che egli ha voluto? Ma pure, se niente164 di quello amore che gia mi portasti ancora in te vive, per ultimo don mi concedi che, poi165 a grado non ti fu che io tacitamente e di nascoso con Guiscar-do vivessi, che166 '1 mio corpo col suo, dove che tu te Fabbi fatto gittare, morto palese167 stea». L'angoscia del pianto168 non lascio rispondere al prenze; laonde la giovane, al suo fine esser venuta sentendosi, strignendosi al petto il morto cuore, disse: «Rimanete con Dio, che io mi 235 parto». E velati gli occhi e ogni senso perduto, di questa dolente vita si diparti. Cosi doloroso fine ebbe 1'amor di Guiscardo e di Ghismunda, come udito avete: li quali Tancredi dopo molto pianto e tardi pentuto169 della sua crudelta, con general dolore di tutti i salernetani, onorevolmente ammenduni170 in un medesimo sepolcro gli fe sepellire. G. Boccaccio, Decameron, cit. 152 adoperandol tu: con il tuo aiuto. 153 guardasti: custodisti [dentro di te]. 154 luoghi non conosciuti: intende ľal-dilä, la vita ultraterrena. 155 quincentro: qui dentro; nel Medioevo, infatti, si riteneva che ľanima avesse sede nel cuore. 156 riguarda: riconsidera. 157 aspetta la mia: sottinteso "anima". 158 senza...romore: pur piangendo, non tradisce tuttavia il temperamente altero, gridando o lamentandosi. ( 468 ) 159 da torno: intorno. 160 volesson: volessero. 161 fornito: compiuto. 162 e quanto...morte: il tono e alto e so-lenne, come mostrano i riferimenti espliciti alia Didone virgiliana (Eneide IV, 641 e sgg.) e la solenne scansione dei due endecasillabi: «e quanto piu onestamente seppe / compose il corpo suo sopra quellow. 163 veggendo...era: vedendo lo stato in cui si trovava. 164 niente: qualcosa, una piccola parte. 165 poi: dato che. 166 che: congiunzione ripetuta e pleona-stica, ma usuale dopo proposizione di-chiarativa. 167 palese: palesemente, davanti a tutti. 168 L'angoscia del pianto: ě espressione dantesca dalla Vita nuova XXIII, 19: «Era la voce mia si dolorosa / e rotta si da l'angoscia del piantow. 169 pentuto: pentito; participio passato da "pentere" (latino paenitere'). 170 ammenduni: entrambi. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO_ Collocazione del testo É la prima novella della Quarta giornata, «nella quale, sotto il reggimento di Filostrato, si ragiona di colore Ii cui amori ebbero infelice fine». Per ragioni di affinitä tematica ě strettamente connessa ad altre due novelle, la quinta (cfr. T7, Ellisabetta da Messina) e la nona (la Novella del more mangiato). Le tre novelle compongono dunque un trittico tragico. La struttura della novella Nella parte iniziale si distinguono un prologo con la presentazione dei due personaggi principali, Tancredi e Ghismunda, e un antefatto in cui si narrano gli amori della donna con un Valletta, Guiscardo, e i loro in-contri in una grotta sotterranea cui si accede sia dal palazzo reale, sia dalla campagna circostante. L'azione vera e propria comincia dopo una pausa in cui il narratore awisa del cambiamento che volge in contraria una fortuna sino allora favorevole ai due amanti. L'azione si articola in tre nuclei narrativi fondamentali: 1) Tancredi sorprende gli amori dei due giovani e fa arrestare Guiscardo; 2) dialogo fra Tancredi e la figlia, la quale replica alle accuse del padre con un lungo e appassionato discorso, che occupa la parte centrale e piú rilevante del racconto; 3) uccisione di Guiscardo, il cui cuore ě mandato da Tancredi in una coppa d'oro alia figlia, che si suicida bevendovi un mortale veleno: ě questo il momento culminante della narrazione, che prelude alio scioglimento finale. Segue, infatti, la conclusione, occupata dallültimo dialogo fra il padre e la figlia morente e dalla decisione di Tancredi di far seppellire insieme i due infelici amanti. II complesso rapporto tra Ghismunda e Tancredi Ghismunda ě un'eroina tragica, dotata di nobiltä d'animo e di appassionato carattere ma anche di fermo raziocinio. II suo lungo discorso con cui replica alle accuse del padre ě una dimostrazione serrata e coe-rentemente argomentata di alcune teorie fondamentali dell'ideologia boccacciana, su cui torneremo piu avanti. Ma particolare attenzione merita anche il padre, il principe Tancredi. Viene subito presentato come «signore assai umano e di benigno ingegno». Come si giustifica allora la sua crudeltä? E inoltre: come spiegare il suo comportamento incerto e contraddittorio (ordina di uccidere Guiscardo ma fa fati-ca a nascondere le lacrime quando gli viene condotto davanti il prigioniero, manda il cuore deH'amante alia figlia ma piange dinanzi a lei e infine finisce per pentirsi di quello che ha fatto e fa seppellire insieme i due amanti)? La critica ha avanzato un'ipotesi di tipo psicologico: Tancredi, rimasto vedovo molto presto, concepisce, senza esserne consapevole, una passione incestuosa per la figlia: per questo, pur essendo vedova, non vuole farla sposare di nuovo e condanna a morte Guiscardo che sente come rivale. Proprio a causa di tale inconscia passione morbosa, egli ě preso da sentimenti contrastanti che non riesce a do-minare: di qui il carattere contraddittorio del suo comportamento (cfr. la critica, p. 470). L'ideologia: desiderio e peccato Sul piano ideologico ě fondamentale il discorso di Ghismunda, che occupa il centre della novella. I pun-ti principali sono i seguenti: 1) ě impossibile resistere al «concupiscibile disidero» e sfidare «le leggi della giovanezza» che reclama il soddisfacimento dei sensi (per cui Tancredi, che non ha voluto dare un nuovo marito a Ghismunda, rimasta vedova, ha commesso l'errore di opporsi alia natura); 2) ě dunque problematico giudicare se l'amore per Guiscardo ě peccato, ma, ammesso che lo sia (Ghismunda su ciö ha qualche dubbio), esso ě pur sempre un «natural peccato», di cui Ghismunda si assume la responsabi-litä senza alcun pentimento; 3) inoltre, nel caso specifico, l'amore si ě unito alia gentilezza d'animo dei due innamorati, e questa gentilezza va giudicata, di per sé, una «vertu»; 4) ě vero che Guiscardo ě di umi-li origini, ma ciö ě dipeso dalla fortuna o dal caso che lo ha fatto nascere pověro: Dio ha dato a tutti egua-li possibilitä e Guiscardo ha avuto il merito di svilupparle sino a diventare un uomo nobile e gentile, an-zi piu nobile di quanti lo sono per nascita (viene ribadita cioě la concezione borghese della nobiltä d'animo contro quella feudale della nobiltä di sangue). Come si vede, Ghismunda chiama in causa i concetti di natura e di fortuna, di nobiltä e di virtu. Rivaluta la natura e l'ingegno umano (opposto alia cieca fortuna) e pone in discussione la stessa nozione medievale di peccato, facendo coincidere virtu e gentilezza. ( 469 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 LAVORI AM O SUL TĚSTO Comprensione e analisi Riassumere ► Sintetizza levarie fasi della novella. 2. Quali considerazioni spingono Ghismunda a scegliere Guiscardo come amante? Quali valori rendono affini e legano i due amanti? 3. Descrivere ► Caratterizza la figura del principe Tan-credi. 4. Quale atteggiamento tiene Ghismunda davanti al padre? Quali gli argomenti che oppone al suo biasimo? 5. Lingua e lessico ► Con quali sceltestilisticheelessicali Boccaccio connota la figura della donna? 6. Esporre oralmente ► Fra le parole di Ghismunda, quali ti sembrano piú valide ancora oggi? Discutine con i com-pagni. Interpretazione e commento 7. Confronts re ► La novella di Tancredi e Ghismunda pre-senta alcuni elementi in comune con la novella delle pápeře (cfr. DOC.O, P- 402); riporta in un breve těsto analogie e differenze relativamente alla figura del padre e alla nátura del desiderio amoroso. IL TĚSTO E OLTRE ► Compito di realtá Libere di amare In questa novella una donna infrange le regole innamo-randosi di un uomo di bassa condizione. Addirittura Ghismunda prende la parola, rivendica la validita delle sue ragioni e si ribella al padre, accusandolo di seguire piú la «volgare opinione che la veritá». La sua rivolta pero ě inefficace e la novella ha un esito tragico. Questa conclusione senza "Meto fine" mette in evidenza la chiu-sura della societa del Trecento, in cui le donne sono condannate alla subalternitá e all'obbedienza. II conflitto fra amore e regole sociali ě un tema che non solo ricorre nel Decameron, ma ě presente neH'immagi-nario di tutti i tempi. Metti a confronto le eroine di Boccaccio con altre figure femminili (donne realmente esi-stite o personaggi di favole, come per esempio Cene-rentola, o ancora protagonisté di canzoni, di opere liri-che, di testi teatrali e di commedie romantiche), che, spinte dalla forza dell'amore, hanno saputo sfidare le convenzioni sociali; rifletti sulla differenza tra la societa chiusa e repressiva del Trecento e quella piú mobile e aperta di oggi; crea quindi una presentazione multime-diale che affronti con ironia il tema Amore e leggi sociali: da Ghismunda a Cenerentola. LA CRITICA Un'interpretazione psicoanalitica: ľincestuoso sentimento di Tancredi Nella pagina che segue, Carlo Muscetta analizza il comportamento di Tancredi. Dopo aver sostenuto la tesi che in questa novella per la prima volta ľamore non ě visto sotto la dimensione del sesso ma nella sua dinamica di pas-sione moderna, con i suoi turbamenti e sottintesi psicologici, passa a considerare la psicologia del protagonista, vedendovi ľinfluenza determinante di un «incestuoso sentimento inconscio». Tancredi e un uomo incline alla bonta. Come mai si sporca le mani di «sangue amoroso»? Alcuni critici, non essendo riusciti a spiegarsi il suo dramma, dicono che e un personag-gio mal riuscito. Russo dice che e «un pover'uomo» e che il suo carattere consiste nel non aver carattere. Ma «sangue amoroso», io credo voglia (470 ) dire sangue versato per amore: che non ě solo ľamore delle due vittime, ma di lui, del padre, innanzi tutto. La tragédia di Tancredi ě nella sua stessa tenerezza, ed egli si perderä nel delit-to perché i casi della vita hanno voluto che lui e la sua unica figlia siano rimasti prematuramente vedovi. Avendo concentrato in Ghismonda tutti i suoi affetti, egli reprime una carica di morbosa passione nel pro-fondo del suo essere e non ne e con-sapevole. Quando scoprirä che la figlia ha un amante, un moto irrepa-rabile di folle gelosia lo trascina in un vortice di debolezza puerile e di senile crudeltä. Finora nel Decameron l'a-more non era stato analizzato come CAPITOLO 2 I II Decameron passione ma piuttosto come impulso del sesso, la cui inevitabilitä si muo-veva quasi sempre nel meccanismo di un gioco, accompagnata e smussa-ta dal complice sorriso dei novellato-ri. Qui, nella novella di apertura, abbiamo dei personaggi di una gran-dezza drammatica moderna, degni di Shakespeare. In tutta la prima parte del racconto campeggia Ghismunda, con la pienezza di un amore di cui «fieramente s'accese» nel rigoglio dei suoi sensi maturi. Dalla sorpresa di Guiscardo, quando legge la lettera in cui la donna ha preso quelľiniziativa ch'egli non osava, fino «alla maravi-gliosa festa» del loro convegno, chi narra segue con la fantasia e assapora tutto il piacere di questo amore clandestine, attraverso certe grotte aper-te nel monte che (pur essendo un probabile elemento realistico del paesaggio circostante Salerno) si tra-sfigurano in una misteriosa scénografia erotica, dove ogni ostacolo superato rawiva il desiderio e molti-plica il piacere. II consenso del narra-tore ě intero, cosi come incondizio-nata sarä la sua pieta, quando «la fortuna invidiosa» rivolgerä tanta letizia «in triste pianto». II capovolgimento delľazione occupa tutto il secondo atto del dramma. Che cosa porta il padre alia scoperta di questi amori? II suo stesso costume di amante incon-sapevole: «Era usato1 Tancredi di venirsene alcuna volta tutto solo nella camera della figliuola, e quivi con lei dimo-rarsi e ragionare alquanto, e poi par-tirsi; il quale un giorno dietro man-giare2 laggiu venutone, essendo la donna, la quale Ghismonda aveva nome, in un suo giardino con tutte le sue damigelle, in quella,3 senza essere stato da alcuno veduto o sentito, entratosene, non volendo lei torre dal suo diletto, trovando le finestre della camera chiuse e le cortine del letto abbattute,4 a pie di quello in un canto sopra un carello5 si pose a sedere; appoggiato il capo al letto e tirata sopra se la cortina, quasi come se stu-diosamente6 si fosse nascoso, quivi s'addormento». Come il suo personaggio, lo stesso autore non varca la soglia di questo incestuoso sentimento inconscio. Boccaccio si sprofonda in Tancredi, aderisce alia sua situazione, lo segue con estrema cautela di linguaggio in quella visita innocente e pur diletto-samente abitudinaria, in quella sua rispettosa discrezione per i semplici svaghi della figlia, in quel suo conten-tarsi di dormire accanto al letto di lei, per non si sa quale (si direbbe) «nuova malizia». II parallelismo tra questa azione e il furtivo procedere dei due amanti conferisce un'ambi-guitä estrema ad ogni suo gesto. Ma il Boccaccio si limita ad incidere un ambiguo commento («quasi come se studiosamente si fosse nascoso»). II fatto che Tancredi assista non veduto all'amplesso dei due amanti scatena in lui forze occulte che (represso il primo impulso a reagire in un grido) si manifestano in una energia fisica pari all'intensitä del mortale dolore da cui e stato ferito. La sua reazione di fronte a Guiscardo, preso e segre-tamente menato al suo cospetto, rivela smarrimento e gelosia infantile. A stento non piange. Di fronte alia figlia non riuscirä piü a frenare il pianto. Le dice parole che hanno sembianza di virtuosi ragionamenti: l'accusa di «gran follia», quando e tutto il suo agire che e sconvolto e irrazionale. C. Muscetta, Giovanni Boccaccio e i novellieri, in AA.VV., II Trecento, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Cecchi e N. Sapegno, Garzanti, Milano 1987, pp. 420-421. 1 Era usato: Era abitudine (di Tancredi). 2 dietro mangiare: dopo mangiato. 3 in quella: nella camera. 4 e...abbattute: e abbassate le tende del letto. 5 in...carello: in un angolo, sopra uno sg 6 studiosamente: a bella posta. LAVORIAMO SULLA CRITICA ^ 1. L'espressione «sangue amoroso» ha avuto piü interpretazioni: quale altro studioso cita Muscetta? In che cosa differi-scono i due studiosi? ^ 2. Tancredi prende a pretesto I'inferiore condizione di Guiscardo per condannare I'amore di Ghismunda, celando a lei e a se stesso le vere ragioni che muovono le sue azioni: una gelosia folle della figlia che per Muscetta ha tracce di amore incestuoso. Rintraccia nel testo le parti che possono avvalorare questa tesi. (471] PARTE SECONDA > Ľautunno del Medioevo 1310 -> 1380 T7 La novella di Ellisabetta da Messina OPERA Decameron, IV, 5 CONCETTI CHIAVE • democrazia del I'eros • contrapposizione fra leggi mercantili e leggi dell'amore • elementi mitico-simbolici digit -VIDEOLETTU RA digit-VIDE0LEZI0NE Ellisabetta e le altre (a eura di R. Luperini) digit - ALTA LEGGIBIUTÄ Questa novella, ispirata anch'essa al tema degli amori infelici, trae spunto da una canzone popolare. Ellisabetta fa parte di una famiglia di ricchi mercanti, ma s'innamora di un sottoposto, Lorenzo. I fratelli, temendo le ripercussioni negative che questa relazione sconveniente avrebbe per i loro commerci, lo uccidono. A Ellisabetta (o Lisabetta), che non capisce il motivo della sua troppo prolungata assenza, I'a-mante compare in sogno, rivelandole il luogo dove ě stato seppellito. La ragazza vi si reca con una do-mestica, decapita il cadavere e poi ne nasconde la testa in vaso di basilico. I fratelli si accorgono pero delle lacrime che ella versa sul vaso di basilico, e glielo sottraggono. Allora lei muore di dolore. I FRATELLI D'ELLISABETTA UCCIDON LAMANTE DI LEI: EGLILAPPARISCE IN SOGNO E MOSTRALE DOVE SIA SOTTERRATO; ELLA OCCULTAMENTE1 DISOTTER-RA LA TESTA E METTELA IN UN TESTO2 DI BASSILICO, E QUIVI SU PIAGNENDO OGNI DI PER UNA GRANDE ORA,31 FRATELLI GLIELE TOLGONO, E ELLA SE NE 5 MUORE DI DOLOR POCO APPRESSO. Finita la novella d'Elissa e alquanto dal re commendata,4 a Filomena fu imposto che ragionas-se:5 la quale, tutta piena di compassione del misero Gerbino e della sua donna,6 dopo un pietoso sospiro incominciö: - La mia novella, graziöse donne, non sarä di genti di si alta condizione come costor fu- 10 rono de' quali Elissa ha raccontato, ma ella per awentura7 non sarä men pietosa: e a ricordar-mi di quella mi tira Messina8 poco innanzi ricordata, dove 1'accidente avvenne. Erano adunque in Messina tre giovani fratelli e mercatanti, e assai ricchi uomini rimasi9 dopo la morte del padre loro, il quale fu da San Gimignano;10 e avevano una loro sorella chiamata Elisa-betta, giovane assai bella e costumata,11 la quale, che che se ne fosse cagione,12 ancora maritata non 15 avevano. E avevano oltre a ciö questi tre fratelli in un lor fondaco13 un giovinetto pisano chiamato Lorenzo, che tutti i loro fatti guidava e faceva;14 il quale, essendo assai bello della persona e leggiadro molto, avendolo piü volte Lisabetta guatato,15 awenne che egli le incominciö stranamente16 a pia-cere. Di che Lorenzo accortosi e una volta e altra, similmente, lasciati suoi altri innamoramenti di fuori, incominciö a porre Fanimo a lei;17 e si andö la bisogna18 che, piacendo Funo alFaltro igual- 20 mente, non passö gran tempo che, assicuratisi,19 fecero di quello che piü disiderava ciascuno. 1 occultamente: di nascosto. 2 těsto: vaso, termine toscano per "vaso di terracotta", ricalcato sul latino testum. 3 per una grande ora: per molto tempo. 4 commendata: lodata. 5 che ragionasse: di parlare. 6 del misero Gerbino e della sua donna: sia Gerbino che la sua innamorata, la figlia del re di Tunisi, infelici protagonisti della precedenza novella narrata da Elissa, erano stati uccisi, l'uno dallo zio, re di Sicilia, ľaltra dai Saraceni. 7 per awentura: forse. (472) 8 mi tira Messina: mi spinge Messina, la cittá siciliana era stata evocata nella precedente novella, e ció suggerisce a Filomena di raccontare una novella ambientata appunto in essa. 9 rimasi: divenuti. 10 San Gimignano: cittadina nel senese, i cui mercanti avevano nel Duecento e nel Trecento magazzini e negozi a Messina. 11 costumata: ben educata. 12 che che se ne fosse cagione: che, qua-lunquefosse la causa. 13 fondaco: magazzino. 14 che tutti...faceva: gestiva tutti i loro affari (fatti); guidava e faceva vogliono qui dire la stessa cosa. 15 guatato: guardato con insistenza. 16 stranamente: in modo straordinario. 17 Di che...ľanimo a lei: Accortosi piu volte (e una volta e altra) di questo, Lorenzo, lasciati alio stesso modo [: come Elisabetta] altri amori all'infuori di quello, cominciô a dimostrare il suo amor e (porre ľanimo) a lei. 18 bisogna: faccenda. 19 assicuratesi: rassicuratesi [l'uno dell'amore delľaltro e di non poter essere scoperti]. CAPITOLO 2 I II Decameron E in questo continuando e avendo insieme assai di buon tempo e di piacere, non seppero si segretamente fare, che una notte, andando Lisabetta la dove Lorenzo dormiva, che il mag-gior de' fratelli, senza accorgersene ella, non se ne accorgesse.20 II quale, per cio che savio21 giovane era, quantunque molto noioso22 gli fosse a cio sapere, pur mosso da piu onesto con- 25 siglio,23 senza far motto o dir cosa alcuna, varie cose fra se rivolgendo intorno a questo fatto, infino alia mattina seguente trapasso. Poi, venuto il giorno, a' suoi fratelli cio che veduto aveva la passata notte d'Elisabetta e di Lorenzo racconto; e con loro insieme, dopo lungo consiglio24 dilibero di questa cosa, accio che ne a loro ne alia sirocchia alcuna infamia ne se-guisse, di passarsene tacitamente e d'infignersi del tutto d'averne alcuna cosa veduta o saputa 30 infino a tanto che tempo venisse nel quale essi, senza danno o sconcio di loro, questa vergogna, avanti che piu andasse innanzi, si potessero torre dal viso.25 E in tal disposizion dimorando,26 cosi cianciando e ridendo con Lorenzo come usati erano, avvenne che, sembianti facendo d'andare fuori della citta a diletto tutti e tre, seco menaron Lorenzo;27 e pervenuti in un luogo molto solitario e rimoto, veggendosi il destro,28 Lorenzo, che 35 di cio niuna guardia prendeva,29 uccisono e sotterrarono in guisa che niuna persona se n'accor-se. E in Messina tornatisi dieder voce30 d'averlo per loro bisogne31 mandato in alcun luogo; il che leggiermente32 creduto fu, per cio che spesse volte eran di mandarlo da torno usati.33 Non tornando Lorenzo, e Lisabetta molto spesso e sollecitamente i fratei domandandone, si come colei a cui la dimora lunga34 gravava, avvenne un giorno che, domandandone ella 40 molto instantemente,35 che 1'uno de' fratelli disse: «Che vuol dir questo? che hai tu a far di Lorenzo, che tu ne domandi cosi spesso? Se tu ne domanderai piu, noi ti faremo quella rispo-sta che ti si conviene».36 Per che la giovane dolente e trista, temendo e non sappiendo che,37 senza piu domandar-ne si stava e assai volte la notte pietosamente il chiamava e pregava che ne venisse; e alcuna 45 volta con molte lagrime della sua lunga dimora si doleva e senza punto rallegrarsi sempre aspettando si stava. Avvenne una notte che, avendo costei molto pianto Lorenzo che non tornava e essendosi alia fine piagnendo adormentata Lorenzo 1'apparve nel sonno, pallido e tutto rabbuffato38 e co' panni tutti stracciati e fracidi: e parvele che egli dicesse: «0 Lisabetta, tu non mi fai altro 50 che chiamare e della mia lunga dimora t'atristi e me con le tue lagrime fieramente39 accusi; e 20 non seppero...se ne accorgesse: non seppero essere cosi prudenti da evitare che, una sera in cui Elisabetta era diretta verso la camera di Lorenzo, ilfratello maggiore se ne accorgesse, mentre Elisabetta non si accorse di nulla. Che ripete il che precedente ed ě dunque retto anch'esso da non seppero... fare. 21 savio: dotato di buon senso. 22 molto noioso gli fosse: fosse molto in-fastidito. 23 piu onesto consiglio: pensiero piu prudente. II comportamento dei fratelli -qui, quello del maggiore - ě sempre ispirato al calcolo prudente dei mercanti che badáno insieme all'onore familiäre e ai loro interessi economici. Ledere il primo vorrebbe dire anche colpire i secondi. 24 dopo lungo consiglio: dopo aver ri- flettuto a lungo. 25 acciö che...dal viso: affinché né loro né la sorella (sirocchia) venissero disonorati [: a causa di questa storia], decise di far pas-sare sotto silenzio [ľaccaduto] e di fare com-pletamente finta (infignersi) di non aver visto nésaputo nullafino al momento in cui essi [: i tre fratelli], senza proprio danno o di-sonore (sconcio), potessero togliersi dalla vista (torre dal viso) questa vergogna prima che procedesse. 26 E in tal...dimorando: E restandofermi su questa decisione. 27 sembianti...Lorenzo: facendo finta (sembianti facendo) di andare tutti e tre fuori cittä per piacere [: per una gita], porta-rono con loro (seco) Lorenzo. 28 veggendosi il destro: vedendo I'occa-sione favorevole. 29 niuna guardia prendeva: non aveva alcun sospetto [e dunque non vigilava]. 30 dieder voce: sparsero la notizia. 31 per lor bisogne: per dei loro affari. 32 leggiermente: facilmente. 33 eran...usati: erano soliti mandarlo in giro [: per lavoro]. 34 dimora lunga: lungo ritardo. 35 molto instantemente: con molta insi-stenza. 36 Se tu...conviene: Se ce ne chiederai ancora (piu), noi ti daremo la risposta che meriti (conviene). 37 non sappiendo che: temendo enonsa-pendo la ragione [delproprio timore]; Elisabetta teme per Lorenzo, ma non sa nulla di preciso sulla sua scomparsa. 38 rabbuffato: spettinato. 39 fieramente: ostinatamente. (473) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 per ció sappi che io non posso piú ritornarci, per ció che 1'ultimo di che tu mi vedesti i tuoi fratelli m'uccisono». E disegnatole40 il luogo dove sotterato 1'avevano, le disse che piú nol chiamasse né 1'aspettasse, e disparve. La giovane, destatasi e dando fede alla visione, amaramente pianse. Poi la mattina levata, non 55 avendo ardire di dire alcuna cosa a' fratelli, propose di volere andare al mostrato luogo e di vedere se ció fosse vero che nel sonno Fera paruto.41 E avuta la licenzia ďandare alquanto fuor della terra a diporto,42 in compagnia ďuna che altra volta con loro era stata e tutti i suoi fatti sapeva, quanto piú tosto43 poté lá se nando; e tolte via foglie secche che nel luogo erano, dove men dura le parve la terra quivi cavó;44 né ebbe guari cavato,45 che ella trovó il corpo del suo misero amante in niuna 60 cosa ancora guasto né corrotto:46 per che47 manifestamente conobbe essere stata vera la sua visione. Di che piú che altra femina dolorosa,48 conoscendo che quivi non era da piagnere, se aves-se potuto volentier tutto il corpo navrebbe portato per dargli piú convenevole sepoltura: ma veggendo che ció esser non poteva, con un coltello il meglio che poté gli spiccó dallo 'mbusto la těsta, e quella in uno asciugatoio inviluppata,49 e la terra sopra Faltro corpo gittata, messala in 65 grembo alla fante,50 senza essere stata da alcun veduta, quindi si diparti e tornossene a casa sua. Quivi con questa těsta nella sua camera rinchiusasi, sopra essa lungamente e amaramente pianse, tanto che tutta con le sue lagrime la lavó, mille basci dandole in ogni parte. Poi prese un grande e un bel těsto, di questi ne' quali si pianta la persa51 o il basilico, e dentro la vi mise fasciata in un bel drappo; e poi messavi sú la terra, sú vi piantó parecchi piedi52 di 70 bellissimo bassilico salernetano,53 e quegli da niuna altra acqua che o rosata o di fior ďaranci o delle sue lagrime non innaffiava giammai.54 E per usanza aveva preso di sedersi sempře a 40 disegnatole: indicatole. 41 l'era paruto: le era apparso. 42 la licenzia...a diporto: ilpermesso di andare a passeggio (a diporto) lontano dal-la cittä. 43 quanto piu tosto: appena. 44 cavö: scavö. guari cavato: scavato molto. 46 in niuna cosa...corrotto: ancora non decomposto. 47 per che: [motivo] per il quäle. 48 Di che...dolorosa: Meglio di qualsiasi altra donna addolorata. 49 gli spiccö...inviluppata: gli staccb dal busto la testa e la avvolse in un asciuga-mano. 50 fante: domestica, e la donna che l'aveva accompagnata, definita sopra una che altra volta con loro era stata: evidentemente era stata alla dipendenza della famiglia come fantesca o ancella. 51 persa: maggiorana. 52 parecchi piedi: parecchiepiantine. Qui Ellisabetta appare giá dominata da una dolce follia: non obbedisce piú alla ragione, ma all'immaginario, che prima le fa apparire in visione l'innamorato e ora le suggerisce fequiva-lenza testa-basilico. Facendo crescere il basilico ě come se mantenesse in vita 1 amante, la cui testa si trasforma in una pianta e quasi, si di-rebbe, in un figlio da allevare amorosamente. 53 salernetano: salernitano. La canzone popolare a cui si ispira la novella parla di basilico «selemontano», non salernitano. 54 e quegli...giammai: e quello [il basilico] non annaffiava con mai nessuna altra acqua che non fosse o distillata dalle rose o da fori d'arancio o \formata] dalle sue lacrime. © John White Alexander, Lisabetta da Messina, 1897. Boston, Museum of Fine Art. Linteresse del pittore americano John White Alexander non va in generale alla storia narrata nella novella di Boccaccio, ma al dolore e alla solitudine del per-sonaggio. Isolata e addossata sul margine del dipinto, Lisabetta e colta in una specie di trance, nel gesto di accarezzare il vaso che contiene la testa dell'ama-to Lorenzo: su tutti gli aspetti della novella prevale quello psicologico. E proba-bile che questa interpretazione della storia sia dovuta anche al successo del poemetto Isabella, or The Pot of Basil di John Keats. (474) CAPITOLO 2 I II Decameron questo testo vicina e quelle- con tutto il suo disidero vagheggiare,55 si come quello che il suo Lorenzo teneva nascosto: e poi che molto vagheggiato 1'aveva, sopr'esso andatasene comin-ciava a piagnere, e per lungo spazio, tanto che tutto il basilico bagnava, piagnea. II basilico, si per lo lungo e continuo studio,56 si per la grassezza della terra precedente dalla testa corrotta57 che dentro vera, divenne bellissimo e odorifero58 molto; e servando la giovane questa maniera del continuo,59 piu volte da' suoi vicin fu veduta. Li quali, maravigliandosi i fratelli della sua guasta60 bellezza e di ció che gli occhi le parevano della testa fuggiti,61 il disser lore: «Noi ci siamo accorti che ella ogni di tiene la cotal maniera». II che udendo i fratelli e accorgendosene, 80 avendonela alcuna volta ripresa e non giovando,62 nascosamente da lei fecero portar via questo testo; il quale non ritrovando ella con grandissima instanzia63 molte volte richiese, e non essendo-le renduto, non cessando il pianto e le lagrime, infermó,64 né altro che il testo suo nella infermitá domandava. I giovani si maravigliavan forte di questo adimandare, e per ció voliéro vedere che dentro vi fosse; e versata la terra, videro il drappo e in quello la testa non ancora si consumata, che 85 essi alia capellatura crespa65 non conoscessero lei essere quella di Lorenzo. Di che essi si maravi-gliaron forte e temettero non questa cosa si risapesse: e sotterrata quella, senza altro dire, cauta-mente di Messina uscitisi e ordinato come di quindi si ritraessono,66 se n'andarono a Napoli. La giovane non restando67 di piagnere e pure il suo testo adimandando, piagnendo si mori, e cosi il suo disaventurato amore ebbe termine. 90 Ma poi a certo tempo divenuta questa cosa manifesta a molti, fu alcun che compuose quella canzone la quale ancora oggi si canta, cioě: Qual esso fu lo malo cristiano, che mi furó la grasta,68 etcetera.69 - G. Boccaccio, Decameron, cit. 55 quello...vagheggiare: e di contemplar-lo [vagheggiare] con tutto ilsuo desiderio. 56 studio: cura. 57 corrotta: decomposta. 58 odorifero molto: profumatissimo. 59 e servando...del continuo: e, tenendo la giovane questo comportamento di continuo. 60 guasta: sciupata. 61 gli occhi...fuggiti: gli occhi sembrava-no lefossero scomparsi dalla faccia [tanto erano infossati] (dalla testa fuggiti). 62 avendola... giovando: avendo rimpro-verato [lasorella] (ripresa) alcune volte senza ottenere risultato. 63 instanzia: insistenza. 64 infermö: si ammald. 65 capellatura crespa: capigliatura ric-cia. 66 ordinate...si ritraessero: predisposto il modo con cui ritirarsi da li [: sistemando prima la loro attivitä commerciale]. 67 restando: cessando. 68 Qual esso...grasta: Chifu I'uomo cat-tivo che mi derubö del vaso (grasta). Si tratta di una domanda. La fanciulla che canta nella canzone popolare, da cui la novella trae spunto, chiede chi ě stato a derubarla del vaso in cui aveva fatto crescere una pianta di «bassilico selemontano». Grasta ě termine siciliano, corrisponde al toscano "testo"= vaso di coccio. 69 et cetera: si allude al seguito della canzone, non riportato nella novella. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO_ Collocazione del testo La novella ě la quinta della Giornata Quarta del Decameron, dedicata agli amori infelici. E narrata da Fi-lomena. II re della giornata ě Filostrato. Si trova in posizione di equidistanza da due novelle che hanno lo stesso tema macabro: la prima (quella di Tancredi e di Ghismunda: cfr. T6, p. 460) e la nona (quella di messer Rossiglione e del cuore mangiato). Suddivisione della novella II testo contiene una premessa (righi 1-5), un antefatto (righi 6-11), lo svolgimento dell'azione (righi 12-87), una conclusione che ne rivela ľorigine da una canzone popolare (righi 88-93). Lo svolgimento dell'azione ě costituito da quattro blocchi narrativi, di cui sono protagonisti, alternativa-mente, o Ellisabetta o i fratelli. Precisamente, dal rigo 21 al rigo 37, corrispondenti al primo blocco, sono (475) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 protagonisti i fratelli; dal rigo 38 al rigo 74, corrispondenti al secondo blocco, ě protagonista Ellisabetta; dal rigo 75 al rigo 87, corrispondenti al terzo blocco, sono protagonisti ancora i fratelli; dal rigo 88 al rigo 89, corrispondenti al quarto e brevissimo blocco, ě protagonista di nuovo la ragazza. La conclusione rivela che la genesi del testo lo awicina alle razo, racconti provenzali che espongono la "ragione" (razo, appunto) di una poesia, spiegandone la nascita e gli sviluppi. La novella infatti sembra voler spiegare come ě nata la canzone popolare da cui trae spunto. II sistema dei personaggi e I'opposizione di valori che lo regola II racconto ě fondato sulla opposizione fratelli-Ellisabetta. La struttura stessa del racconto, in cui questi personaggi si alternano come protagonisti, mostra che fra loro non c e alcun dialogo. A parlare sono i fratelli, mentre la fanciulla rivolge solo domande che restano senza risposta o ě costretta a obbedire in silenzio. Ellisabetta ha una adiuvante, la donna che Faccompagna a ritrovare il cadavere dell'innamorato. Dalla sua parte sta anche Lorenzo, cosicché nel racconto ai tre fratelli, dotati di potere economico e di prestigio sociale (sono ricchi commercianti), si contrappongono specularmente tre personaggi subalterni, a loro sottoposti per ra-gioni di lavoro (la domestica e Lorenzo, loro dipendente) o per inferiorita familiäre e sessuale (Ellisabetta). Questo rapporto di potere spiega anche il comportamento dei tre fratelli, determinate dall'intreccio fra onore familiäre e interesse economico: uno scandalo infatti avrebbe indebolito la loro posizione econo-mica a Messina, cittä straniera (essi provengono da San Gimignano, in Toscana). Viceversa gli altri tre personaggi (Ellisabetta, la domestica, Lorenzo) obbediscono esclusivamente a sentimenti disinteressati, Famore e la devozione. Anche se i tre fratelli prevalgono imponendo la loro violenza, Famore fra Ellisabetta e Lorenzo ne sconvolge tuttavia la vita e gli affari: alia fine i loro piani falliscono ed essi sono co-stretti ad abbandonare la cittä siciliana per Napoli. I temi e il collegamento con la novella di Tancredi e Ghismunda Per il motivo macabro la novella si collega a quella di Tancredi e Ghismunda (cfr. T6, p. 460) e a quella del cuore mangiato (cfr. in Prometeo), tutte collocate nella quarta giornata. In tutt'e tre infatti la donna ě posta di fronte al cuore o alia testa dell'uomo amato, staccati dal resto del corpo. Inoltre la novella si collega, ancora, a quella di Tancredi e Ghismunda per il motivo del carattere democratico dell'eros che puö ren-dere nobili d'animo anche borghesi e popolani. La novella ě costruita inoltre su due temi centrali. II primo oppone le ragioni mercantili a quelle dell'amore. II secondo ě un tema mitico-simbolico: quello della fe-conditä. Infatti la testa di Lorenzo, assimilata alia pianta di basilico e fecondata dalle lacrime di Elisabet-ta, viene da lei vissuta come un figlio da allevare e da far crescere amorevolmente. L'interpretazione psicoanalitica Essa riguarda due aspetti del testo: il comportamento dei fratelli e quello della ragazza. II primo sembra determinate non solo da ragioni economiche e sociali, ma anche da una gelosia quasi incestuosa nei confronti della sorella (un elemente incestuoso ě stato colto dalla critica anche in Tancredi, nella novella di Tancredi e Ghismunda) e da un senso di rivalita e forse d'inferiorita nei confronti di Lorenzo, che, per quanta loro dipendente, gestisce tutti i loro affari. Quanto alia ragazza, nella sua immaginazione la testa di Lorenzo si trasforma in un figlio, la morte si converte in vita, il capo dell'amato in una pianta da far crescere e allevare amorosamente. L'interpretazione mitico-simbolica Le lacrime di Ellisabetta fanno crescere il basilico. Si rinnova il mito di Iside, il cui pianto diventa una pioggia fecondatrice. Iside ricompose il corpo smembrato di Osiride (suo marito e fratello), facendolo vivere eternamente. Si ricordi inoltre che Osiride ě il dio egizio della vegetazione. Parallelamente Ellisabetta sconfigge la morte e mantiene in vita Famato facendo crescere la pianta di basilico. L'interpretazione storico-ideologica: la storicizzazione o contestualizzazione La novella si collega a quella di Tancredi e Ghismunda: mentre quest'ultima critica il punto di vista feudale del principe, questa invece prende di mira la logica esclusivamente economica dei borghesi e dei mercanti. Contro la vecchia e la nuova classe, Boccaccio rivendica una morale piu libera, svincolata sia dai vecchi pre-giudizi ideologici rappresentati dal principe Tancredi, sia dalle spietate norme economiche dei mercanti seguite dai tre fratelli. Pretendere di soffocare le leggi dell'amore e della Natura ě comunque sbagliato. Si (476) CAPITOLO 2 I II Decameron noti poi ehe a rappresentare la forza e la legittimitä delle pulsioni naturali é di nuovo un personaggio fem-minile. La donna infatti, obbedendo piu direttamente e immediatamente alia passione amorosa, appare piü spregiudicata dei maschi (siano essi nobili come Tancredi o borghesi come i fratelli di Ellisabetta), che re-stano invece prigionieri delle convenzioni sociali. Sono le donne a infrangere le regole sociali innamoran-dosi di uomini di condizione inferiore. E a loro infatti, non casualmente, é dedicato il Decameron. Con que-sta critica al mondo feudale e a quello borghese Boccaccio vuole suggerire ľesigenza di un nuovo ordine sociale ed etico, ehe non solo sappia far tesoro delle qualitä migliori delle due classi, ma sappia anche rifiu-tarne quelle negative. Da questo punto di vista Boccaccio appare un autore delľ'autunno del Medioevo" e delľetä tardogotica: un autore capace doe di sintetizzare in un ordine utopico (quello perseguito dai dieci novellatori) ľetä dei cavalieri e quella dei mercanti, il mondo del passato e quello del presente. Ľattualizzazione e la valorizzazione Boccaccio indica al lettore un ordine utopico, fondato su un equilibrio fra rispetto delle leggi di natura e regole delia vita civile. Le seconde non dovranno venir meno né essere distrutte dagli impulsi anarchici delle passioni; ma dovranno tuttavia tener conto delia forza delia Natura, riconoscerla e rispettarla. Tra-scurare le pulsioni naturali e limitarsi e reprimerle brutalmente, come fanno qui i fratelli di Ellisabetta, é dunque profondamente sbagliato. D'altra parte Ellisabetta non rappresenta solo ľamore come pura energia istintuale; rappresenta anche ľamore come sublimazione e delicatezza, rito, simbolo divenuto forma e civiltä. Viceversa i fratelli, apparentemente cosi rispettosi delle convenzioni sociali, mettono la loro ra-gione al servizio della forza bruta, del calcolo economico, del sopruso sociale. I fratelli, insomma rappre-sentano una barbarie della civiltä che va corretta. Quando la civiltä diventa "ragione di mercatura" e viene regolata solo dagli interessi economici e dai pregiudizi sociali distorce profondamente i rapporti umani. Questa é una lezione attuale del testo, espressa non solo dai suoi contenuti ideologici ma dalľimmaginario che lo sottende e cioé dal gioco dei simboli e dalľelemento mitico. Proprio la congiunzione fra un massimo di concretezza realistica (si pensi alia precisione con cui é rappresentata la condizione sociale della fami-glia di Ellisabetta) e una straordinaria capacitä di suggestione delľimmaginario e dunque della componen-te mitico-simbolica (ľanalogia fra la testa delľamato, la pianta di basilico e ľimmagine di un figlio da alle-vare; il mito di Iside e della fecondazione) danno poi alia novella un notevole valore estetico. LAVORIAMO SUL TESTO Comprensione e analisi 1. Chi ě Ellisabetta? Come ě descritta da Boccaccio? 2. In quali spazi si svolge la storia? 3. Individua gli elementi che caratterizzano in senso mercantile • il comportamento dei fratelli • la descrizione dell'ambiente 4. Argomentare ► «e avevano una loro sorella chiamata Ellisabetta, [...] la quale, [...] ancora maritata non aveva-no». Che concezione del matrimonio ě qui sottesa? 5. Lingua e lessico ► Sottolinea sul testo le parole di Elli- sabetta, poi quelle di Lorenzo e quelle dei fratelli. Quale valore ha la parola in questa novella? 6. Quale significato puo avere il vaso di basilico? Interpretazione e commento 7. Commentare ► Ellisabetta vittima dei fratelli; Ellisabetta vincitrice sui fratelli. Quale affermazione e perte vera? (Puoi decidere anche che sono vere tutte e due). Spiega perche. 8. Confrontare ► Confronta la novella di Ellisabetta con quella di Ghismunda (T6, p. 460). La struttura e simile? In che cosa si assomigliano e in che cosa sono diverse le due donne? IL TESTO E OLTRE ► Confrontare i Tdigit ~| |_videolezioneJ [iAJRJ Ellisabetta e le altre Ascolta la videolezione che Romano Luperini dedica all'analisi della novella. Per lo studioso quali altre no-velle della Quarta giornata possono essere collegate a questa? Quali sono gli elementi comuni? Istituisci confronti con altre novelle citate nella lezione di Luperini e spiega, con riferimenti ai testi, quale idea dell'a-more ispira il Decameron. (477) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 [!_dERI di leggere Un amore osteggiato, un omicidio, una testa sepolta in un vaso di basilico: la novella che ha per protagonista Ellisabetta da Messina ě una delle piCi appassionanti e compatte del Decameron. A raccontarla qui ě Andrea Camilleri, che riscrive il testo di Boccaccio nel "suo" siciliano, mantenen-do nella versione originále la rubrica e I'introduzione alia vicenda narrata da Filomena (vedi p. 472). Nel testo di Camilleri risuona la stessa nota macabra e malinconica dell'originale. In questa traduzione d'autore la vicenda tragica delia "povera picciotta" Ellisabetta rivela tutta la sua modernita. Lasciati tra-sportare dal piacere della lettura per scoprire come una storia vecchia di se-coli sia capace di commuoverci ancora oggi mettendo in scena un conflitto attualissimo: quello tra ľautenticitä di un amore puro, capace di superare le barriere sociali, e il potere violento di chi ě disposto perfino a uccidere per tutelare ľ'onore" della famiglia e i propri interessi. Andrea Camilleri Ellisabetta da Messina I FRATELLI D'ELLISABETTA UCCIDON LAMANTE DI LEI: EGLI LAPPARISCE IN SOGNO E MOSTRALE DOVE SIA SOTTERRATO; ELLA OCCULTAMENTE DISSOTTERRA LA TESTA E METTELA IN UN TESTO DI BASSILICO, E QUIVI SU PIAGNENDO OGNI DI PER UNA GRANDE ORA, I FRATELLI GLIELE TOLGONO, E ELLA SE NE MUORE DI DOLOR POCO APPRESSO. Finita la novella d'Elissa e alquanto dal re commendata, a Filomena fu imposto che ragio-nasse: la quale, tutta piena di compassione del misero Gerbino e della sua donna, dopo un pietoso sospiro incomincio: - Lu me cunto, amiche care, non sara di genti di accussi alta condizione come a quella di cui ora ora conto Elisa, ma non sara lo stisso meno piatuso, e ad arricordarmelo e stato che poco fa si nomino Messina, indove 'nfatti la me storia capito. Ci stavano a Messina tri frati picciotti, mercanti, ristati ricchissimi dopo la morti del loro patre che viniva da San Gimignano; e tinivano 'na soro che di nomi faciva Lisabetta, picciotta beddra assa e seria, alia quali, senza che ce ne fusse ragioni, non avivano ancora attrovato un marito. 1. soro: sorella. 478 CAPITOLO 2 I II Decameron Ora bisogna sapiri che 'sti tri frati possidivano un magazzino e che a reggiri in tutto e per tutto 'sto magazzino avivano mittuto un picciotto di Pisa, chiamato Lorenzo, il quali era di bellissimo pirsonali. A Lisabetta, che l'incontrava spisso, capitö che 'sto picciotto accomenzö a piacirle assä assä. Lorenzo si nni addunö e a picea a picea, mentri che abban-nunava l'altri so 'nnamuramenti, principio a sintirisi attratto da lei e accussi la faccenna anno che, piacennosi all'istisso modo l'uno all'altra, non passö tempo che, pigliate le debite pricauzioni, ficiro quello di cui avivano cchiü desiderio. E annanno avanti accussi e sempri cchiü abbannunanossi al loro piaciri, ai du gli vinni d'agiri meno segretamenti, sieche 'na notti, mentri che Lisabetta caminava verso la cammara indove Lorenzo dormiva, la vitti il cchiü granni dei so frati, ma senza che lei lo vidisse. II picciotto, che era di caratteri assennato, a malgrado che quello che aviva viduto l'avissi disturbato assä, arriflitti che la meglio era di non rapriri per il momento vucca e passö tutta la nottata 'nsino alia matina pinsanno e ripinsanno alia faccenna. Po, vinuto il jorno, conto ai so frati quello che aviva viduto la notti passata e tutti 'nzemmula, dopo averci ragionato a longo, addecisero, al fini di non essiri 'nfamati ne loro ne la loro soro, di ristarisinni muti facenno finta di non aviri viduto o saputo nenti, fino a quanno non s'ap-presentava 1'occasioni bona con la quali, senza corriri pericolo, si potivano livari dalla facci 'sta vrigogna prima che troppo avanti annasse. E stannosinni fermi nel proposito, ridenno e babbianno con Lorenzo come usavano fari, vinni il jorno che, dicenno che tutti e tri si nni volivano annare fora citä per spassarisilla, si portarono appresso a Lorenzo e arrivati in un loco solitario e sperso, capenno che quello era il momento giusto, ammazzaro a Lorenzo che non sospittava le loro 'ntinzioni, e lo sotterraro senza che nisciuno si nni addunasse. E tornati a Messina ficiro girari la voci d'avirlo fatto annare in un'altra citä a sbrogliari un affare, e la cosa vinni facilmenti criduta pirchi era giä capitata altre volti. Lisabetta, non videnno tornari a Lorenzo, e dato che il ritardo assä 1'angustiava, spisso 2 ai so frati ne spiava nove, e accussi successi che un jorno, avenno troppo 'nsistuto con le dimanne, uno dei so frati le disse: «Che veni a diri? Che chiffare hai tu con Lorenzo? Pirchi addimanni di lui tanto spisso? Attenta, che se tu contini, finisce che avrai quella risposta che ti meriti». La povira picciotta addulorata, scantannosi senza sapiri di cosa, si nni stetti senza cchiü addimannare e spisso la notti a Lorenzo chiamava prigannolo di tornari presto e certe volti a longo si lamentiava per la so mancanza, sempri 'ntristuta ristanno ad aspittarlo. Ora capitö che 'na notti, dopo che la picciotta aviva chiangiuto assä per Lorenzo che non 3 tornava, ed essennosi addrummisciuta chiangenno, 1'amanti le comparse 'n sonno, giarno 'n facci e tutto arruffato, coi vistiti strazzati e fräcichi e le parse che accussi le diciva: «O Lisabetta, tu che non fai altro che chiamare a mia e rattristariti della me longa assenzia e che a mia duni tutta la colpa delle tö lagrime, sappi che io non pozzo cchiü tornari pirchi nell'urtimo jorno che tu mi vidisti coi to frati loro m'ammazzaro». E addisegnatole il loco indove che era stato sippelluto, le disse di non chiamarlo e di non aspittarlo cchiü, e scomparse. La picciotta, arrisbigliatasi e fattasi pirsuasa della viritä di quello che s'era insognata, amaramenti chiangi. Po' alia matina susutasi, non avenno cori di diri nenti ai frati so, fici il 2. ne spiava nove: chiedeva notizie di lui. 3. giarno: pallido. PARTE SECONDA > Ľautunno del Medioevo 1310 -> 1380 proposito di annare nel loco che le era stato ammostrato e di controllari se era vero quello che in sogno aviva viduto. Ottinuto il pirmisso di nesciri fora citä per farisi 'na passiata, 'n compagnia d'una fimmina che era stata cammarera al loro sirvizio e che tutto sapiva di lei, si nni parti prima ehe potí e arrivata sul loco e livata 'na gran quantitä di fogli sicchi, si misi a scavari indove la terra era meno dura e dopo tanticchia attrovö il corpo del sö disgraziato amanti, in nisciuna parti ancora guastato e arrovinato dalla morti. Accussi ottinni la cirtiz-za delia viritä del sogno. Pur essenno la chiü addulurata tra le fimmine, si fici subito pirsuasa ehe non era tempo di chiangiri, se avissi potuto volanteri tutto il catafero si sarebbe portata appresso per dar- 4 gli onorata sepoltura, ma capenno che questo non era possibili, con un cuteddro meglio che poti gli tagliö la testa e arrotolatata dintra a 'na mappina, la misi supra le ghinocchia della cammarera, ricummigliö con la terra il resto del corpo, e appresso si nni tornö a la so casa senza che nisciuno Favissi viduta. Po' 'nchiusasi nella so cammara con la testa dell'amanti, supra di essa accussi a longo e amaramenti chiangi tanto da lavarla con le lagrime e ogni tanto la cummigliava in ogni indove di vasate. Appresso pigliö 'na granni e bella grasta, di quelle dintra alle quali si chianta la majorana o il vasalicö, dintra ci misi la testa fasciata con una pezza priziosa, la inchi tutta di terra e supra ci chiantö 'na poco di piduzzi di un bellissimo vasalicö spiciali. E con nisciun altra acqua, nemmanco di rosa o ďarancio, ľinnaffiava che non fussero le sö süsse lagrime. E aviva pigliato la bitudini ďassittarisi sempri vicina a 'sta grasta, e quan-no non potiva sempri alla grasta pinsava pirchi c'era ammucciata la testa di Lorenzo sö e appena che le era possibili tornava vicina alla grasta tanto addisidirata e supra d'issa princi-piava a chiangiri accussi tanto e a longo che il vasalicö, tutto vagnato dalle lagrime, pariva essiri isso stisso a chiangiri. 4. cuteddro: coltello. 5. piduzzi: piedini, cioé 'piantine'. Ellisabetta é qui in preda all'immaginario ohe le suggerisce I'equivalenza testa-basili-co. Facendo crescere il basilico é come se mantenesse in vita I'amato. © William Holman Hunt, Lisabetta e il vaso di basilico, 1868. Wilmington, Delaware Art Museum. Nel quadra di William Holman Hunt si dá ampio spazio ai dettagli preziosi, esotici, medievali: I'im-magine di Lisabetta appare come il pretesto per una evocazione compiaciuta della cultura artistica italiana tipica della pittura inglese della seconda metá dell'Ottocento. ( 480 ) CAPITOLO 2 > II Decameron II vasalico, sia per tutta 'st'attinzioni,6 sia per la grassizza della terra prodotta dalla testa che dintra vi si sfaciva, addivinto bellissimo e assa sciaurioso, ma la picciotta che continua-menti lo curava vinni notata dai vicini. I quali dissero ai frati, che per parti loro gia erano ammaravigliati di come si fusse guastata la biddrizza della soro, tanto che pariva che Focchi le erano scappati dalla facci: "Noi nni semo addunati che vostra soro ogni jorno fa accussi e accussi". Allura i frati, sintenno queste paroli e assicurannosi che erano vere, prima la rimpro-virarono 'na poco di volti, ma videnno che non ottinivano nisciun risultato, ammucciuni dalla picciotta ficiro portari via la grasta. Lisabetta, non arritrovannola cchiu, con gran-nissima 'nsistenza ne spio ai so frati e non vidennosela restituiri, senza mai arristarisi di chiangiri, cadi malata, e nent'altro addimannava mentri che era 'nferma se non la grasta. I picciotti, maravigliati assa di 'sto continuo addimannare, volliro vidiri che c'era dintra alia grasta e, livata la terra, vittiro la pezza e dintra 'na testa non ancora conzumata che arri-conobbiro per i capilli crespi essiri quella di Lorenzo. Di cio s'appagnarono assa, scantan-nosi che la cosa si vinissi a sapiri. Allura sippillero la testa e quatelosamente si nni scappa-ro da Messina facenno sapiri che 1'abbannunavano per sempri e si nni annarono a Napoli. La picciotta, non arriniscenno a firmare le lagrime e sempri addimannanno la grasta, morse chiangenno e accussi il so sbinturato amori ebbi fini. Ma dopo un certo tempo, vinuta a canuscenza di tanti 'sta storia, ci fu chi fici quella canzoni che ancora oggi si canta e che principia accussi: "Cu fu lo malo cristiano che mi furo la grasta"... 6. 'st'attinzioni: e la cura con cui la donna fa crescere il basilico. 7. ammucciuni: di nascosto. QPD ITTURA EATIVA Camilleri non si discosta dal testo di Boccaccio, ma la sua riscrittura in siciliano conferisce alia novella un aspetto nuovo. ^ Mettiti alia prova in prima persona. Riscrivi a modo tuo la novella di Ellisabetta da Messina in un massimo di 2500 parole. Scegli il tempo e lo spazio in cui ambientare la tua riscrittura; scegli il linguaggio e lo stile; scegli la voce narrante e il punto di vista da cui condurre la narrazione. Utilizza il genere che preferisci: puoi trasformare la storia di Ellisabetta in un horror, in un giallo, in un racconto fantastico, psicologico, sentimen-tale ecc. Puoi adottare il formato che preferisci: per esempio puoi decidere di realizzare un racconto in prosa, una narrazione in versi, uno storytelling digitale, un testo misto di parole e musica. Ma attenzione! La tua fantasia deve lavorare sui vincoli: la creativita non nasce dal nulla, ma e sempre atti-vata da un ostacolo da superare, da un problema da risolvere. • Hai gia un vincolo di misura: la lunghezza del testo. • Dovrai osservare anche un vincolo di contenuto. Rispetta il montaggio del testo di Boccaccio prevedendo, come nell'originale, una premessa, uno svolgimento dell'azione che veda I'alternarsi di sequenze in cui si avvicendano a turno Ellisabetta o i fratelli, una conclusione che spiega come la novella sia nata da una canzone popolare. Ora sai tutto: libera la tua creativita! C481 ] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 15 Le novelle della Quinta giornata: amori felici I meccanismi dell'awentura e dell'agnizione digit ■ TESTO La novella til Cimone Questa giornata, retta da Fiammetta, e destinata a vicende ďamore inizialmente contrastate ma poi concluse con un lieto fine (dunque a novelle in opposizione tematica e a esito capo-volto rispetto a quelle della giornata precedente), contiene racconti giustamente famosi come quelli di Nastagio degli Onesti (cfr. T9, p. 487, INF.©> p. 494) e Federigo degli Alberighi (cfr. T10, p. 496), peraltro uniti dal tema economico dello sperpero dei beni. Inoltre, vi incontriamo novelle ideologicamente interessanti (per esempio, quella di Cimone) e delicatamente poetiche per trepida e ingenua sensualitá, come quella dell'usignolo. Se si esclude questo gruppo di quattro novelle, di cui ě consigliabile la lettura, le altre si possono suddividere sulla base dello svolgimento delFazione. Questa ě eminentemente awenturosa in due (la seconda e la terza), mentre ě fondata sul meccanismo delFagnizione, o riconoscimento, nelle tre centrali (quinta, sesta, settima) che sono anche le piú deboli sul piano della validita artistica. La novella delťusignolo OPERA Decameron, V, 4 CONCETTI CHIAVE • il borghese buon senso di Lizio • I'ingenua sensualitá dell'amore adolescenziale ALLA LETTURA AVVIAMENTO ► Questa novella fa parte della Quinta giornata ed e raccontata da Filostrato. II tema e quello dell'eros adolescenziale, caratterizzato da una sensualita ingenua e delicata e comunicato da immagini (quella dell'usignolo) che diventano metafore erotiche di un richiamo (quello dell'amore) a cui la natura non puo sottrarsi. L'eros si concilia in questa novella con una sorridente bonomia borghese: quando messer Lizio, il savio borghese padre di Caterina, scopre teneramente addormentati la figlia con I'innamorato non si scan-dalizza, cerca piuttosto una soluzione che concili I'amore dei due giovani, I'onesta e il tornaconto economico, esprimendo un equilibrio borghese che indubbiamente sta a cuore all'autore, perche e egual-mente lontano dal rigore moralistico di altri padri (si ricordi quello di Tancredi contro la figlia: cfr. T6, p. 460) e dalla licenziosita ignara delle esigenze sociali dell'«onesta» borghese. Quando madonna Giacomina vorrebbe «gridare e dirgli [a Ricciardo] villania» e proprio messer Lizio a impedirlo. Tutto il suo discorso (cfr. righi 93-97) e improntato a un borghese buon senso: frenando il risentimento della moglie cerca di ottenere il miglior vantaggio dalla situazione, di favorire, cioe, il ma-trimonio con Ricciardo, «gentile uomo e ricco giovane», in grado di procurare un'ottima posizione per la figlia. Lo stile scherzosamente metaforico delle sue parole assolve a una duplice funzione: da un lato attenua la logica utilitaristica di fondo (Lizio di fatto approfitta della situazione per "forzare la ma-no" a Ricciardo e imporgli un matrimonio che egli, da parte sua, e il primo a desiderare), dall'altro e un segno della sua equilibrata benevolenza verso gli innamorati. RICCIARDO MANARDI E TROVATO DA MESSER LIZIO DA VALBONA CON LA FI-GLIUOLA, LA QUALE EGLI SPOSA E COL PADRE DI LEI RIMANE IN BUONA PACE. Tacendosi Elissa,1 le lode2 ascoltando dalle sue compagne date alia sua novella, impose la reina3 a Filostrato che alcuna ne dicesse egli; il quale ridendo incomincio: 1 Elissa: e la narratrice della novella precedente. 3 la reina: la regina; si tratta di Fiammetta. 2 lode: forma plurale da "loda". ( 482 ) CAPITOLO 2 > II Decameron - - Io sono stato da taňte di voi taňte volte morso4 perché io materia da crudeli ragionamenti e da farvi piagner v'imposi,5 che a me pare, a volere alquanto questa noia ristorare,6 esser te-nuto di dover dire alcuna cosa per la quale io alquanto vi faccia ridere; e per ció uno amore, non da altra noia che di sospiri e ďuna brieve paura con vergogna mescolata a lieto fin per-venuto, in una novelletta assai piccola intendo di raccontarvi. 10 Non ě adunque, valorose donne, gran tempo passato che in Romagna fu un cavaliere assai da bene e costumato, il quale fu chiamato messer Lizio di Valbona,7 a cui per ventura vicino alla sua vecchiezza una figliuola nacque ďuna sua donna8 chiamata madonna Giacomina. La quale oltre a ogni altra della contrada crescendo divenne bella e piacevole; e per ció che sola era al padre e alla madre rimasa, sommamente da loro era amata e avuta cara e con maravi- 15 gliosa diligenza guardata,9 aspettando essi di far di lei alcun gran parentado.10 Ora usava molto nella casa11 di messer Lizio, e molto con lui si riteneva,12 un giovane bello e fresco13 della persona il quale era de' Manardi da Brettinoro, chiamato Ricciardo,14 del quale niuna altra guardia15 messer Lizio o la sua donna prendevano che fatto avrebbon ďun lor figliuolo. II quale, una volta e altra veggendo la giovane bellissima e leggiadra e di laudevoli maniere e 20 costumi e giá da marito, di lei fieramente16 s'innamoró, e con gran diligenza il suo amore te-neva occulto. Del quale avvedutasi la giovane, senza schifar punto il colpo,17 lui similmente cominció a amare, di che Ricciardo fu forte18 contento. E avendo molte volte avuta voglia di doverle alcuna parole dire e dubitando taciutosi,19 pure una,20 preso tempo21 e ardire, le disse: «Caterina, io ti priego che tu non mi facci morire 25 amando».22 La giovane rispose subito: «Volesse Idio che tu non facessi piú morir me!» Questa risposta molto di piacere e ďardire aggiunse a Ricciardo, e dissele: «Per me non stará mai cosa che a grado ti sia,23 ma a te sta il trovar modo allo scampo24 della tua vita e della mia». 30 La giovane allora disse: «Ricciardo, tu vedi quanto io sia guardata, e per ció da me non so veder come tu a me ti possi venire: ma se tu sai veder cosa che io possa senza mia vergogna fare, dillami,25 e io la faró». Ricciardo, avendo piú cose pensate, subitamente disse: «Caterina mia dolce, io non so alcuna via vedere, se tu giá non dormissi o potessi venire in sul verone26 che ě presso27 al giar- 4 morso: rimprovemto, criticato. 5 materia...v'imposi: vi ho costretto ad ascoltare argomenti dolorosi e tali da farvi piangere. 6 questa noia ristorare: rimediare alfa-stidio che vi hoprovocato. 7 messer Lizio di Valbona: ě un perso-naggio storico ricordato da Dante nel XIV canto del Purgatorio. Nei documenti del tempo ě presentato come uomo di grande liberalitá e cortesia. 8 d'una sua donna: da sua moglie. 9 maravigliosa...guardata: custodita con gelosa attenzione. 10 parentado: matrimonio. 11 usava...casíi:frequentava molto la casa. 12 si riteneva: si intratteneva. 13 fresco: vigoroso. 14 Ricciardo: per quanto si abbiano noti-zie della famiglia Manardi di Bertinoro, man-cano tuttavia riferimenti a un Ricciardo. 15 guardia: difesa, protezione. I due co-niugi, insomma, non temono pericoli da parte sua e lo considerano un figlio. 16 fieramente: ardentemente. 17 senza...colpo: senza schivare il colpo [: non opponendo resistenza]. Questo slan-cio immediato della ragazza e un segno della sua freschezza adolescenziale. 18 forte: molto. 19 dubitando taciutosi: avendo taciuto per timore. Anche questo e un indizio di gio-vinezza e di inesperienza, comune ai due innamorati. 20 pure una: finalmente una volta. 21 preso tempo: cogliendo il momento opportuno. 22 non mi...amando: espressione quasi iperbolica e tipica della poesia d'amore. Da questo punto, tra l'altro, la novella assume la forma di un dialogo vivace e realistico che rende dinamici i personaggi e li fa agire in una sorta di piccola messa in scena teatrale. 23 Per me...sia: Non tralascerb mai di fare cib che ti sia gradito, [: faro quello che piu ti piaccia]. 24 allo scampo: alla salvezza. 25 dillami: dimmela. Da notare in tutto il periodo il rincorrersi delle forme prono-minali come per evidenziare l'affannosa ri-cerca di una modalita di incontro. 26 verone: e una terrazza con loggia. 27 presso: sopra. ( 483 ) PARTE SECONDA > Ľautunno del Medioevo 1310 -> 1380 35 dino di tuo padre;28 dove se io sapessi che tu di notte fossi, senza fallo io m'ingegnerei di venirvi quantunque molto alto sia». A cui la Caterina rispose: «Se quivi ti dä il cuor29 di venire, io mi credo ben far si che fatto mi verrä di dormirvi». Ricciardo disse di si: e questo detto una volta sola si basciarono alia sfuggita30 e andar via.31 40 II di seguente, essendo giä vicino alia fine di maggio,32 la giovane cominciö davanti alia madre a ramaricarsi ehe la passata notte per lo soperchio33 caldo non aveva potuto dormire. Disse la madre: «O figliuola mia, che caldo fa egli?34 Anzi non fu egli caldo veruno».35 A cui la Caterina disse: «Madre mia, voi dovreste dire 'a mio parerej e forse vi direste il vero; ma voi dovreste pensare quanto sieno piü calde le fanciulle che le donne attempate».36 45 La donna disse allora: «Figliuola mia, cosi é il vero; ma io non posso fare caldo e freddo a mia posta,37 come tu forse vorresti. I tempi si convegnon pur sofferir fatti come le stagioni gli danno;38 forse quest'altra notte sarä piü fresco, e dormirai meglio». «Ora Idio il voglia», disse la Caterina «ma non suole essere usanza che andando verso la state39 le notti si vadano rinfrescando». 50 «Dunque», disse la donna «che vuoi tu che si faccia?» Rispose la Caterina: «Quando a mio padre e a voi piacesse, io farei volentier fare un letti-cello40 in sul verone ehe é allato alia sua camera e sopra il suo giardino e quivi mi dormirei: e udendo cantar ľusignuolo41 e avendo il luogo piü fresco, molto meglio starei che nella vostra camera non fo».42 La madre allora disse: «Figliuola, confortati: io il dirö a tuo padre, e come egli vorrä cosi faremo». Le quali cose udendo messer Lizio dalla sua donna, per ciö che vecchio era e da questo43 forse un poco ritrosetto,44 disse: «Che rusignuolo45 é questo a che ella vuol dormire? Io la farö ancora adormentare al canto delle cicale».46 60 II che la Caterina sappiendo, piü per isdegno che per caldo non solamente la seguente notte non dormi ma ella non lasciö dormir la madre, pur47 del gran caldo dolendosi; il che avendo la madre sentito, fu la mattina a messer Lizio e gli disse: «Messere, voi avete poco cara questa giovane: che vi fa egli perché48 ella sopra quel veron si dorma? Ella non ha in tutta notte trovato luogo di caldo;49 e oltre a ciö maravigliatevi voi perché egli le sia in piacere Fudir cantar ľusi- 65 gnuolo, ehe é una fanciullina?501 giovani son vaghi delle cose simiglianti a loro». 28 «Caterina... padre: «L'appassionata preghiera di Ricciardo si compone qui in una eccezionale sequenza di quattro ende-casillabiw (Branca). 29 il cuor: il coraggio. 30 si basciarono alia sfuggita: si bacia-rono rapidamente, in fretta, per il timore di essere scoperti. 31 andar via: andarono via. 32 alia...maggio: e il periodo topico, an-che nel Decameron, per l'ambientazione delle vicende amorose. 33 soperchio: eccessivo. 34 egli: pleonastico, di uso toscano. 35 non...veruno: nonfu perniente caldo. 36 Madre...attempate: questa era l'opi- ( 484 ) nione delia medicina antica, ma non deve sfuggire il gioco ironico del linguaggio che sembra invitare a cogliere i significati in es-so maliziosamente sottintesi. 37 a mia posta: a mia volontä. 38 I tempi...danno: Occorre sopportare il tempo cosi come ci viene dato dalle stagioni; con la costruzione personale di "convenire" 39 la state: I'estate. 40 letticello: letto provvisorio. 41 cantar ľusignuolo: é apparentemente notazione marginale, ma acquisterä signifi-cato, non piü letterale e non solo metafori-co, nello svolgersi degli avvenimenti. 42 fo: faccio, in toscano. 43 da questo: per questo. 44 ritrosetto: scontroso. 45 rusignuolo: é una forma dal proven-zale 'rosinhoľ (cíľ. francese 'rossignoľ). 46 Io...cicale: Lafarô dormire digiorno. II padre, tuttavia, pare cogliere il senso na-scosto nella frase di Caterina e risponde, in-fatti, contrapponendole una maliziosa e, nello stesso tempo, bonaria irónia ehe si estende a tutta la novella. 47 pur: sempre, continuamente. 48 perché: ehe; uso consueto dopo le lo-cuzioni "ehe fa", "ehe giova", "ehe importa" e quasi con valore concessivo. 49 luogo di caldo: riposo, requie dal caldo. 50 ehe...fanciullina?: dato ehe é ancora una bambina? CAPITOLO 2 > II Decameron - Messer Lizio udendo questo disse: «Via, faccialevisi51 un letto tale quale egli vi cape52 e fallo fasciar da torno ďalcuna sargia:53 e dormavi e oda cantar ľusignuolo a suo senno». La giovane, saputo questo, prestamente vi fece fare un letto; e dovendovi la sera vegnen-te dormire, tanto attese che ella vide Ricciardo e fecegli un segno posto54 tra loro, per lo 70 quale egli intese ciô che far si dovea. Messer Lizio, sentendo la giovane essersi andata a letto, serrato uno uscio che della sua camera andava sopra '1 verone, similmente s'andô a dormire. Ricciardo, come d'ogni parte senti le cose chete, con ľaiuto ďuna scala sali sopra un muro, e poi di 'n su quel muro appiccandosi a certe morse55 d'un altro muro, con gran fatica e pericolo se caduto fosse, pervenne in sul verone, dove chetamente56 con grandis- 75 sima festa dalla giovane fu ricevuto; e dopo molti basci si coricarono insieme e quasi per tutta la notte diletto e piacer presono ľun dell'altro, molte volte faccendo cantar ľusignuolo.57 E essendo le notti piccole e il diletto grande e giä al giorno vicino,58 il che essi non credevano, e si ancora riscaldati si dal tempo e si dallo scherzare, senza alcuna cosa ados-so s'adormentarono, avendo la Caterina col destro braccio abracciato sotto il collo Ricciar- 80 do e con la sinistra mano presolo per quella cosa che voi59 tra gli uomini piu vi vergognate di nominare. E in cotal guisa dormendo, senza svegliarsi60 sopravenne il giorno, e messer Lizio si levo; e ricordandosi la figliuola dormire61 sopra '1 verone, chetamente ľuscio aprendo disse: «La-sciami vedere come ľusignuolo ha fatto questa notte dormire la Caterina».62 E andato oltre 85 pianamente levo alto la sargia della quale il letto era fasciato, e Ricciardo e lei vide ignudi e iscoperti dormire abbracciati nella guisa di sopra mostrata; e avendo ben conosciuto Ricciardo, di quindi63 s'usci e andonne alia camera della sua donna e chiamolla, dicendo: «Su tosto, donna, lievati e vieni a vedere che tua figliuola ě stata si vaga64 dell'usignuolo, che ella ľha preso e tienlosi in mano». 90 Disse la donna: «Come puô questo essere?» Disse messer Lizio: «Tu il vedrai se tu vien tosto». La donna, affrettatasi di vestire, chetamente seguitô messer Lizio; e giunti amenduni65 al letto e levata la sargia, poté manifestamente vedere madonna Giacomina come la figliuola avesse preso e tenesse ľusignuolo il quale ella tanto disiderava d'udir cantare. 95 Di che la donna, tenendosi66 forte di Ricciardo ingannata, voile gridare e dirgli villania:67 ma messer Lizio le disse: «Donna, guarda che per quanto tu hai caro il mio amore tu non facci motto, ché in veritä, poscia che ella ľha preso, egli si sarä suo. Ricciardo ě gentile uomo e ricco giovane; noi non possiamo aver di lui altro che buon parentado: se egli si vorrä a buon concio68 da me partire, e' gli converrä che primieramente la sposi, si che egli si troverä aver 51 faccialevisi: le si faccia ivi. 52 vi cape: vi entra. 53 sargia: stoffa colorata in lana per ten-daggi. 54 posto: prestabilito. 55 appiccandosi...morse: afferrandosi ad alcune pietre sporgenti. 56 chetamente: in silenzio. 57 molte...ľusignuolo: ě ormai aperta-mente chiarito il significato sessuale della metafora. 58 al giorno vicino: ě retto da essendo: avvicinandosi 1'alba. 59 voi: ě riferito alle donne. 60 senza svegliarsi: senza che essi si sve-gliassero. 61 ricordandosi...dormire: costruzione all'infinito come in latino: ricordandosi che la figlia dormiva. 62 «Lasciami...Caterina»: série ritmica di endecasillabo («vedere come 1'usignuolo ha fatto»), settenario («questa notte dormi- re») e quinario («la Caterinaw). Le parole di Lizio giocano ancora su quelle della figlia, ma con un'accentuata, inconsapevole irónia proprio per il fatto di essere pronunciate un attimo prima della loro pratica conferma. 63 di quindi: dili[: dalla camera]. 64 vaga: desiderosa. 65 amenduni: entrambi. 66 tenendosi: considerandosi. 67 dirgli villania: rivolgergli offese. 68 a buon concio: in buon accordo. ( 485 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 100 messo 1'usignuolo nella gabbia sua e non nell'altrui».69 Di che la donna racconsolata, veggen-do il marito non esser turbato di questo fatto e considerando che la figliuola aveva avuta la buona notte70 e erasi ben riposata e aveva 1'usignuol preso, si tacque. Né guari dopo queste parole stettero,71 che Ricciardo si sveglió; e veggendo che il giorno era chiaro si tenne morto e chiamó la Caterina dicendo: «Oime, anima mia, come faremo, che 105 il giorno ě venuto e hammi72 qui colto?» Alle quali parole messer Lizio, venuto oltre73 e levata la sargia, rispose: «Faren bene74». Quando Ricciardo il vide, parve che gli fosse il cuore del corpo strappato; e levatosi a sedere in su il letto disse: «Signor mio, io vi cheggio mercé per Dio. Io conosco, si come disleale e malvagio uomo, aver meritata morte, e per ció fate di me quello che piú vi piace: 110 ben vi priego io, se esser puó, che voi abbiate della mia vita mercé e che io non muoia». A cui messer Lizio disse: «Ricciardo, questo non meritó 1'amore il quale io ti portava e la fede75 la quale io aveva in te; ma pur, poi che cosi ě e a tanto fallo t'ha trasportato la giovan-ezza, acció che76 tu tolga a te la morte e a me la vergogna, sposa per tua legittima moglie la Caterina, acció che, come ella ě stata questa notte tua, cosi sia mentre ella viverá. E in questa 115 guisa puoi e la mia pace77 e la tua salvezza acquistare: e ove tu non vogli cosi fare, raccoman-da a Dio 1'anima tua».78 Mentre queste parole si dicevano la Caterina lasció 1'usignuolo, e ricopertasi cominció fortemente a piagnere e a pregare il padre che a Ricciardo perdonasse; e d'altra parte pregava Ricciardo che quel facesse che messer Lizio volea, acció che con sicurtá79 e lungo tempo potes- 120 sono80 insieme di cosi fatte notti avere. Ma a ció non furono troppi prieghi bisogno: per ció che d'una parte la vergogna del fallo commesso e la voglia dello emendare81 e d'altra la paura del morire e il disidero dello scampare, e oltre a questo 1'ardente amore e 1'appetito del posse-dere la cosa amata, liberamente82 e senza alcuno indugio gli fecer dire sé essere apparecchiato83 a far ció che a messer Lizio piaceva. 125 Per che, messer Lizio fattosi prestare a madonna Giacomina uno de' suoi anelli, quivi, senza mutarsi,84 in presenzia di loro Ricciardo per sua moglie sposó85 la Caterina. La qual cosa fatta, messer Lizio e la donna partendosi dissono:86 «Riposatevi oramai, ché forse maggior bisogno n'avete che di levarvi». Partiti costoro, i giovani si rabracciarono insieme, e non essendo piu che sei miglia cam- 130 minati la notte, altre due anzi che si levassero ne camminarono87 e fecer fine alia prima 69 «Donna...altrui»: il discorso di Lizio ě improntato a un borghese buon senso: frenan-do il risentimento della moglie, cerca di otte-nere il miglior vantaggio dalla situazione, di favorire, cioě, il matrimonio (parentado) con Ricciardo, «gentile uomo e ricco giovanew, in grado di procurare un'ottima posizione per la figlia. Lo stile scherzosamente metaforico del-le sue parole assolve a una duplice funzione: da un lato, pare attenuare la logica utilitaristi-ca di fondo, dall'altro ě un segno della sua equilibrata benevolenza verso gli innamorati. 70 aveva...notte: ě espressione prover-biale nel Decameron, ma, calata nella tipo-logia di questi personaggi, conferma il ca-rattere tutto allusivo e concreto delle loro parole. ( 486 ) 71 Né...stettero: Non aspettarono molto (guari) dopo queste parole. 72 hammi: mi ha. 73 oltre: avanti. 74 «Faren bene»: Lizio riprende l'inter-rogazione di Ricciardo e la volge in ironia: la prontezza di spirito ě la maniera indul-gente per allentare il culmine della tensione. E anche per questo motivo che il discorso di Ricciardo, subito dopo, acquista di fatto un aspetto enfatico e solennemente ironico. 75 fede: fiducia. 76 acció che: affinché. 77 pace: perdono. 78 e ove...tua»: consueta chiusura del discorso con una certa ricercatezza stilistica: in questo caso si tratta di due endecasillabi. 79 con sicurtá: con sicurezza; dal lat. "se-curitatem" 80 potessono: potessero. 81 dello emendare: di correggerlo. 82 liberamente: volentieri. 83 sé essere apparecchiato: che lui era pronto. E costruzione alia latina dipendente da dire. 84 senza mutarsi: senza muoversi da li. 85 sposó: qui ě da intendersi come fece promessa di matrimonio: si tratta, in effetti, di una cerimonia a carattere privato, diversa dalle «nozze», evento pubblico con solenne festeggiamento. 86 dissono: dissero. 87 camminati...camminarono: l'espres-sione allude al rapporto sessuale. CAPITOLO 2 I II Decameron giornata. Poi levati e Ricciardo avuto piu ordinate-88 ragionamento con messer Lizio, pochi di appresso, si come si conveniva, in presenza degli amici e de' parenti da capo89 sposo la giova-ne e con gran festa se ne la meno a casa e fece onorevoli e belle nozze; e poi con lei lungamen-te in pace e in consolazione uccello agli usignuoli90 e di di e di notte quanto gli piacque. G. Boccaccio, Decameron, cit. 88 piíi ordinato: cioě piú sereno e pre-ciso grazie alia felice risoluzione della vi-cenda. 89 da capo: di nuovo. 90 uccellö agli usignuoli: alia lettera: andô a caccia di usignoli; il senso metafo- rico ě stato ampiamente chiarito nel corso della novella. COMPRENDERE EANALIZZARE PER INTERPRETARE 1. Argomentare ► Rifletti sul tema amoroso della novella: come e presentata la rottura dei tabu sessuali? In che rapporto si pone con la famiglia e la morale borghese? 2. Confrontare ► Confronta questo racconto con la novella di Tancredi e Ghismunda (T6, p. 460) e cerca di spiegare perche la libera scelta amorosa delle due donne ha esiti cosi diversi. T9 La novella di Nastagio degli Onesti OPERA Decameron, V, 8 CONCETTI CHIAVE • la crudeltä femminile • il rovesciamento del topos della caccia infernale: la valorizzazione della legge deH'amore Nastagio, ricco borghese, ama in modo infelice una donna nobile di sangue, che per alterigia lo rifiuta. Invano egli spende e sperpera per mostrarsi degno dell'amore di lei (questo tema economico unisce la novella alia successiva di Federigo degli Alberighi, T10, p. 496). Un venerdi, nella pineta di Ravenna, vede una fanciulla nuda inseguita da due cani e da un cavaliere. Vorrebbe difenderla, ma il cavaliere lo informa che questa "caccia" ě voluta da Dio. Essendosi suicidato per amore ed essendo morta senza pentirsi anche la donna che lo ha rifiutato, ora ě condannato a inseguirla e a trapassarla con la spada, mentre lei, sempre per punizione divina, deve fuggire lacerata dai cani. II venerdi successivo Nastagio organizza nello stesso luogo una cena a cui invita molti amici e la donna che lo respinge. Quando co-stei assiste alia scena della "caccia", cambia immediatamente atteggiamento nei confronti di Nastagio e accetta di sposarlo. NASTAGIO DEGLI ONESTI,1 AMANDO UNA DE' TRAVERSARI,2 SPENDE LE SUE RIC-CHEZZE SENZA ESSERE AMATO; VASSENE PREGATO DA SUOI A CHIASSI;3 QUIVI VEDE CACCIARE A4 UN CAVALIERE UNA GIOVANE E UCCIDERLA E DIVORARLA DA DUE CANI; INVITA I PARENTI SUOI E QUELLA DONNA AMATA DA LUI A UN 5 DESINARE, LA QUALE VEDE QUESTA MEDESIMA GIOVANE SBRANARE E TEMEN-DO DI SIMILE AWENIMENTO PRENDE PER MARITO NASTAGIO. 1 nastagio degli onesti: abbiamo notizie di questa famiglia nobile di Ravenna ma nessuna traccia di un Anastasio o di un Anastagio. 2 traversari: nobilissima famiglia raven- nate di parte guelfa, amministratrice dei beni ecclesiastici e assai potente. Dante (in Purg. XIV, 107 sgg.) la cita insieme alia rivale ghibel-lina degli Anastagi (cui appartiene in questa novella il protagonista della "visione" Guido). 3 chiassi: si tratta di Classe, localitä ri-cordata da Dante in Purg. XXVIII, 19-29: «tal qual di ramo in ramo si raccoglie / per la pineta in su '1 lito di Chiassi». 4 a: da. (487) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 Come la Lauretta si tacque, cosi per comandamento della reina5 comincio Filomena: - Amabili donne, come in noi e la pieta commendata,6 cosi ancora in noi e dalla divina giustizia rigidamente la crudelta vendicata: il che accio che7 io vi dimostri e materia vi dea di 10 cacciarla del tutto da voi, mi piace di dirvi una novella non meno di compassion piena che dilettevole. In Ravenna, antichissima citta di Romagna, furon gia assai nobili e gentili uomini, tra' quali un giovane chiamato Nastagio degli Onesti, per la morte del padre di lui e d'un suo zio, senza stima8 rimase ricchissimo. II quale, si come de' giovani avviene, essendo senza moglie 15 s'innamoro d'una figliuola di messer Paolo Traversaro, giovane troppo9 piu nobile che esso non era, prendendo speranza con le sue opere di doverla trarre a amar lui.10 Le quali, quantun-que grandissime, belle e laudevoli fossero, non solamente non gli giovavano, anzi pareva che gli nocessero, tanto cruda e dura e salvatica11 gli si mostrava la giovinetta amata, forse per la sua singular bellezza o per la sua nobilta si altiera e disdegnosa divenuta, che ne egli ne cosa 20 che gli piacesse le piaceva.12 La qual cosa era tanto a Nastagio gravosa a comportare,13 che per dolore piu volte dopo essersi doluto gli venne in disidero d'uccidersi; poi, pur tenendosene,14 molte volte si mise in cuore di doverla del tutto lasciare stare, o se potesse d'averla in odio come ella aveva lui. Ma invano tal proponimento prendeva, per cio che pareva che quanto piu la speranza mancava, tanto piu multiplicasse15 il suo amore. 25 Perseverando adunque il giovane e nello amare e nello spendere smisuratamente,16 parve a certi suoi amici e parenti che egli se e '1 suo avere parimente fosse per17 consumare; per la qual cosa piu volte il pregarono e consigliarono che si dovesse di Ravenna partire e in alcuno altro luogo per alquanto tempo andare a dimorare, per cio che, cosi faccendo, scemerebbe 1'amore e le spese. Di questo consiglio piu volte fece beffe Nastagio; ma pure, essendo da loro 30 sollecitato, non potendo tanto18 dir di no, disse di farlo; e fatto fare un grande apparecchia-mento,19 come se in Francia o in Ispagna o in alcuno altro luogo lontano andar volesse, mon-tato a cavallo e da' suoi molti amici accompagnato di Ravenna usci e andossen a un luogo fuor di Ravenna forse tre miglia, che si chiama Chiassi; e quivi fatti venir padiglioni e trabacche,20 disse a color che accompagnato Faveano che starsi21 volea e che essi a Ravenna se ne tornas- 35 sono. Attendatosi adunque quivi Nastagio comincio a fare la piu bella vita e la piu magnifica che mai si facesse, or questi e or quegli altri invitando a cena e a desinare, come usato s'era.22 Ora avvenne che, venendo quasi all'entrata di maggio,23 essendo un bellissimo tempo e egli entrato in pensiero della sua crudel donna, comandato a tutta la sua famiglia24 che solo il lascias-sero per piu poter pensare a suo piacere, piede innanzi pie se medesimo trasporto pensando 5 reina: regina; ě Fiammetta. 6 commendata: lodata; in rima con il successivo vendicata come se si trattasse di un'espressione proverbiale. 7 acció che: affinché. 8 senza stima: in modo inestimabile. 9 troppo: molto. 10 prendendo...lui: sperando, con la sua gentilezza e generosita, di convincere la ra-gazza ad amarlo. 11 salvatica: ritrosa. Da notare la serie eccezionale degli aggettivi. 12 né...piaceva: la frase ha il sapore di un proverbio anche per effetto della paranoma- ( 488 ) sia (piacesse...piaceva). 13 comportare: sopportare. 14 tenendosene: trattenendosi. 15 multiplicasse: aumentasse. 16 spendere smisuratamente: insieme al sentimento irrefrenabile, ě questo ľaltro elemento che caratterizza il protagonista e lo avvicina al nobile Federigo degli Alberi-ghi (ma il comportamento di Nastagio ě ancor piú incomprensibile, essendo egli un borghese). Su Federigo, cfr. T10, p. 496. 17 per: sulpunto di. 18 tanto: troppo. 19 un...apparecchiamento: grandi pre- parativi, ma e parola significativa perche «di solito e usata per spedizioni e guerrew (Branca). 20 padiglioni e trabacche: tende e barac-che. 21 starsi: fermarsi. 22 come...s'era: come era abituato. Di nuovo la conferma di un tenore di vita im-prontato alia piu sfarzosa e dispendiosa li-beralita. 23 maggio: momento topico per le vicen-de e per le visioni d'amore. 24 famiglia: servitu; dal significato latino. CAPITOLO 2 I II Decameron - 40 infino nella pigneta.25 E essendo giä passata presso che la quinta ora26 del giorno e esso bene un mezzo miglio per la pigneta entrato, non ricordandosi di mangiare né d'altra cosa, subitamente gli parve udire un grandissimo pianto e guai altissimi messi27 da una donna; per che, rotto28 il suo dolce pensiero, alzö il capo per veder che fosse e maravigliossi nella pigneta veggendosi. E oltre a ciö, davanti guardandosi, vide venire per un boschetto assai folto d'albuscelli e di pruni,29 45 correndo verso il luogo dove egli era, una bellissima giovane ignuda, scapigliata e tutta graffiata dalle frasche e da' pruni, piagnendo e gridando forte mercé;30 e oltre a questo le vide a' fianchi due grandi e fieri mastini, li quali duramente31 appresso correndole spesse volte crudelmente dove la giugnevano32 la mordevano; e dietro a lei vide venire sopra un corsier nero un cavalier bruno, forte nel viso crucciato, con uno stocco in mano,33 lei di morte con parole spaventevoli 50 e villane34 minacciando. Questa cosa a un'ora35 maraviglia e spavento gli mise neH'animo e ulti-mamente compassione della sventurata donna, dalla qual nacque disidero di liberarla da si fatta angoscia e morte, se el potesse. Ma senza arme trovandosi, ricorse36 a prendere un ramo d'albero in luogo di bastone e cominciö a farsi incontro a' cani e contro al cavaliere. Ma il cavaliere che questo vide gli gridö di lontano: «Nastagio, non t'impacciare,37 lascia 55 fare a' cani e a me quello che questa malvagia femina ha meritato». E cosi dicendo, i cani, presa forte la giovane ne' fianchi, la fermarono, e il cavaliere sopra-giunto smontö da cavallo; al quale Nastagio awicinatosi disse: «Io non so chi tu ti se' che me cosi cognosci, ma tanto38 ti dico che gran viltä ě ďun39 cavaliere armato volere uccidere una femina ignuda e averle i cani alle coste messi come se ella fosse una fiera salvatica: io per cer- 60 to la difenderö quant'io potrö». II cavaliere allora disse: «Nastagio, io fui ďuna medesima terra teco,40 e eri tu ancora piccol fanciullo quando io, il quale fui chiamato messer Guido degli Anastagi,41 era troppo piú in-namorato di costei che tu ora non se' di quella de' Traversari; e per la sua fierezza e crudelta ando si la mia sciagura, che io un di con questo stocco, il quale tu mi vedi in mano, come di- 65 sperato m'uccisi,42 e sono alle pene eternali dannato. Né stette poi guari43 tempo che costei, la qual della mia morte fu lieta oltre misura, mori, e per lo peccato della sua crudeltä e della letizia avuta de' miei tormenti, non pentendosene, come colei che non credeva in ciö aver peccato ma meritato,44 similmente fu e ě dannata alle pene del Ninferno.45 Nel quale come ella discese, cosi ne fu e a lei e a me per pena dato, a lei di fuggirmi davanti e a me, che giä 25 piede...pigneta: vuol dire che i suoi passi, mentre e assorto e pensieroso, lo con-ducono inconsapevolmente dentro la pine-ta. L'espressione piede innanzi pie e dante-sca (Purg. XXVIII, 54), ma tutto il contesto rinvia all'ingresso di Dante nella selva dell'E-den: «Gia m'avean trasportato i lenti passi / dentro alia selva antica tanto, ch'io / non po-tea rivedere ond'io mi 'ntrassiw (ivi, 22-24). 26 quinta ora: sono passate da poco le undid del mattino e ci si awicina al mezzogior-no, altro momenta canonico e simbolico. 27 guai...messi: grida altissime emesse. 28 rotto: interrotto. 29 d'albuscelli e di pruni: di arbusti e di rovi. 30 merce: pieta. 31 duramente: rabbiosamente; dal fran- cese antico "durement" 32 giugnevano: raggiungevano. Tutta la descrizione rinvia alia dantesca selva dei suicidi in cui, non a caso, sono puniti anche gli scialacquatori, cioě i violenti contro i propri averi: «Ed ecco due dalla sinistra co-sta, / nudi e graffiati, fuggendo si forte, / che della selva rompieno ogni rosta» (Inf. XIII, 115-117). 33 bruno...mano: vestito di scum, assai adirato in volto, con una spada corta in ma-no. 34 villane: per il mondo cortese si tratta del massimo dell'ingiuria. 35 a un'ora: nello stesso tempo. 36 ricorse: «si adatto» (Contini). 37 non t'impacciare: non ti intromettere. 38 tanto: soltanto. 39 d'un: da parte di un. 40 d'una...teco: della tua stessa cittä. 41 Guido degli Anastagi: cfr. nota 2. 42 m'uccisi: Guido ha portato a termine il proposito suicida che Nastagio ha sola-mente formulato come tentazione (cfr. pre-cedentemente: «per dolore piú volte dopo essersi doluto gli venne in disidero d'ucci-dersi»); ě un altro motivo di somiglianza tra le due figure e, nello stesso tempo, di diver-genza, e rafforza la tragica esemplaritä della "visione" 43 guari: molto. 44 meritato: acquistato meriti. 45 Ninferno: «Forma scherzosa e popo-laresca, nata dall'agglutinazione della lette-ra n tratta dalla preposizione in che molto spesso precede "inferno"» (Branca). ( 489 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 70 cotanto Famai, di seguitarla46 come mortal nemica, non come amata donna; e quante volte io la giungo,47 tante con questo stocco, col quale io uccisi me, uccido lei e aprola per ischiena,48 e quel cuor duro e freddo, nel qual mai ne amor ne pietä poterono entrare, con 1'altre interio-ra insieme, si come tu vedrai incontanente, le caccio di corpo e dolle mangiare49 a questi cani. Ne sta poi grande spazio che ella, si come la giustizia e la potenzia di Dio vuole, come se 75 morta non fosse stata, risurge e da capo incomincia la dolorosa fugga,50 e i cani e io a seguitarla. E awiene che ogni venerdi51 in su questa ora io la giungo qui e qui ne fo lo strazio che vederai; e gli altri di non credere che noi riposiamo, ma giungola in altri luoghi ne' quali ella crudelmente contro a me pensö o operö; e essendole d'amante divenuto nemico, come tu vedi, me la conviene in questa guisa tanti anni seguitar52 quanti mesi ella fu contro a me cru- 80 dele.53 Adunque lasciami la divina giustizia mandare a essecuzione, ne ti volere opporre a quello a che tu non potresti contrastare». Nastagio, udendo queste parole, tutto timido divenuto e quasi non avendo pelo addosso che arricciato54 non fosse, tirandosi adietro e riguardando alia misera giovane, cominciö pauroso a aspettare quello che facesse il cavaliere; il quale, finito il suo ragionare, a guisa d'un cane rab- 85 bioso55 con lo stocco in mano corse addosso alia giovane, la quale inginocchiata e da' due mastini tenuta forte gli gridava merce, e a quella con tutta sua forza diede per mezzo il petto e passolla dall'altra parte.56 II qual colpo come la giovane ebbe ricevuto, cosi cadde boccone sempre pia-gnendo e gridando: e il cavaliere, messo mano a un coltello, quella apri nelle reni, e fuori tratto-ne il cuore e ogni altra cosa da torno, a' due mastini il gittö, li quali affamatissimi incontanente57 46 seguitarla: inseguirla. 47 giungo: raggiungo. 48 aprola per ischiena: la squarto nella schiena. 49 dolle mangiare: le db da mangiare; le e concordato con interiora; l'infinito non e pre-ceduto da preposizione come e normale con il verbo "dare" Nella tipologia dell'espiazione si puö rawisare l'applicazione della legge dan-tesca del contrappasso; la donna, infatti, viene ferita e punita proprio nel «cuor duro e freddo, nel qual mai ne amor ne pietä poterono entrare», per il suo negarsi all'amore. fugga: fuga; esemplato su "fuggo". 51 venerdi: e il giorno dedicate alia peni-tenza in ricordo della passione di Cristo. 52 me la conviene...seguitar: mi tocca inseguirla in questo modo. 53 quanti.. .crudele: non sembra una pu-nizione eterna, ma una condanna purgato-riale che contraddice quanto detto in prece-denza (pene del Ninferno). E probabile che Boccaccio recuperi semplicemente quanto sostenuto nelle fonti oppure che la "caccia" costituisca solo una forma preliminare di espiazione. 54 arricciato: a causa della paura. 55 finito...rabbioso: finito di parlare, © Rockwell Kent, ...two mastiffs... snapping cruelly at her..., illustrazione da The Decameron of Giovanni Boccaccio Translated by Richard Aldington, Illustrated by Rockwell Kent, Garden City Publishing Company Inc., New York 1949. Mentre alia fine del Quattrocento la scelta di soggetti boccacciani da parte di artisti come Botticelli aveva rappresentato I'occasione per una rilettura colta ed aristocratica delle novelle, nel corso del XIX e del XX secolo la pubblicazione di edizioni tradotte e illustrate dei grandi classici ha consentito la diffusione del Decameron presso il grande pubblico. Qui I'illustratore e pittore americano Rockwell Kent cita i dipinti di Botticelli dedicati alia novella di Nastagio degli One-sti, ma, adottando uno stile limpido e chiaro, li traduce quasi in una versione fumettistica, perfetta per il lettore americano degli anni Cinquanta. rabbioso come un cane; rabbioso e attributo del soggetto. 56 diede...parte: colpi attraverso il petto e la trapassb da parte a parte. 57 incontanente: subito. ( 490 ) CAPITOLO 2 I II Decameron - 90 il mangiarono. Né stette guari58 che la giovane, quasi niuna di queste cose stata fosse,59 subita-mente si levö in piě e cominciö a fuggire verso il mare, e i cani appresso di lei sempre laceran-dola: e il cavaliere, rimontato a cavallo e ripreso il suo stocco, la cominciö a seguitare, e in pic-ciola ora si dileguarono in maniera che piú Nastagio non gli poté vedere.60 II quale, avendo queste cose vedute, gran pezza61 stette tra pietoso e pauroso: e dopo al-95 quanta gli venne nella mente questa cosa dovergli molto poter valere,62 poi che ogni venerdi awenia; per che, segnato il luogo, a' suoi famigliari se ne tornö, e appresso, quando gli parve, mandato per piú63 suoi parenti e amici, disse loro: «Voi m'avete lungo tempo stimolato che io d'amare questa mia nemica mi rimanga e ponga fine al mio spendere, e io son presto di farlo dove voi una grazia m'impetriate,64 la quale ě questa: che venerdi che viene voi facciate si che 100 messer Paolo Traversari e la moglie e la figliuola e tutte le donne lor parenti, e altre chi65 vi piacerä, qui sieno a desinar meco. Quello per che io questo voglia, voi il vedrete allora». A costor parve questa assai piccola cosa a dover fare; e a Ravenna tornati, quando tempo fu, coloro invitarono li quali Nastagio voleva, e come che dura cosa66 fosse il potervi menare la giovane da Nastagio amata, pur v'andö con 1'altre insieme. Nastagio fece magnificamente 105 apprestar da mangiare e fece le tavole mettere sotto i pini dintorno a quel luogo dove veduto aveva lo strazio della crudel donna; e fatti metter gli uomini e le donne a tavola, si ordinö,67 che appunto la giovane amata da lui fu posta a seder di rimpetto al luogo dove doveva il fatto intervenire. Essendo adunque giä venuta l'ultima vivanda,68 e il romor disperato della cacciata giovane 110 da tutti fu cominciato a udire.69 Di che maravigliandosi forte ciascuno e domandando che ciö fosse e niuno sappiendol dire, levatisi tutti diritti e riguardando che ciö potesse essere, videro la dolente giovane e '1 cavaliere e' cani; né guari stette che essi tutti furon quivi tra loro. II romore fu fatto grande e a' cani e al cavaliere,70 e molti per aiutare la giovane si fecero innanzi; ma il cavaliere, parlando loro come a Nastagio aveva parlato, non solamente gli fece indietro tirare 115 ma tutti gli spaventö e riempié di maraviglia; e faccendo quello che altra volta aveva fatto, quan-te donne v'aveva71 (ché ve ne aveva assai che parenti erano state e della dolente giovane e del cavaliere e che si ricordavano dell'amore e della morte di lui) tutte cosi miseramente piagneva-no come se a se medesime quello avesser veduto fare. La qual cosa al suo termine fornita,72 e andata via la donna e '1 cavaliere, mise costoro che ciö veduto aveano in molti e varii ragiona-120 menti. Ma tra gli altri che piú di spavento ebbero, fu la crudel giovane da Nastagio amata, la quale ogni cosa distintamente veduta avea e udita e conosciuto che a sé piú che a altra persona che vi fosse queste cose toccavano,73 ricordandosi della crudeltä sempre da lei usata verso Nastagio; per che giä le parea fuggire dinanzi da74 lui adirato e avere i mastini a' fianchi. 58 Né...guari: cfr. per 1'identica espres-sione la nota 43. 59 stata fosse: fosse avvenuta. 60 non...vedere: settenario che chiude 1'episodio della visione, organizzato come un vero e proprio racconto nel racconto, con estrema rapiditá, quasi a sottolineare il ve-loce (in picciola ora: rapidamenté) dile-guarsi delle immagini. 61 gran pezza: molto tempo. 62 questa...valere: che questo episodio avrebbepotuto giovargli molto. 63 mandato per piú: avendo mandato a chiamare molti. 64 d'amare...impetriate: smetta di ama-re questa donna a me nemica e ponga fine alle spese, e sono disposto a farlo qualora voi mi otteniate una grazia. Come si puó notáre, sono ancora strettamente congiunti i due motivi enunciati alllnizio: 1'amore e la libe-ralitá, giudicati eccessivi dai parenti di Nastagio. La grazia che lui richiede ě volta a recuperare entrambi e a ristabilire 1'equili-brio economico-affettivo. 65 altre chi: qualunque altra. 66 come...cosa: sebbene difficile. 67 si ordino: cosi predispose [i commensali]. 68 vivanda: portata. 69 e...udire: ecco che tutti (e ha valore pa-raipotattico) cominciarono a sentire le urla disperate della giovane cui si dava la caccia. 70 II romore...cavaliere: Si fece un gran gridare sia contro i cani sia contro il cavaliere. 71 v'aveva: c'erano; come in francese "ily avait". 72 al suo...fornita: giunta a termine. 73 a se...toccavano: queste cose si riferi-vano a leipiu che a chiunque altro. 74 dinanzi da: davanti a. ( 491 ) PARTE SECONDA > Ľautunno del Medioevo 1310 -> 1380 E tanta fu la paura che di questo le nacque, che, acciö che75 questo a lei non awenisse, prima 125 tempo non si vide, il quale quella medesima sera prestato le fu, che ella,76 avendo Fodio in amor tramutato,77 una sua fida cameriera segretamente a Nastagio mandö, la quale da parte di lei il pregö che gli dovesse piacere d'andare a lei, per ciö che ella era presta78 di far tutto ciö che fosse piacer di lui. Alia qual Nastagio fece rispondere che questo gli era a grado molto, ma che, dove le piacesse, con onor di lei voleva il suo piacere, e questo era sposandola per moglie. La giovane, 130 la qual sapeva che da altrui che da lei rimaso non era79 che moglie di Nastagio stata non fosse, gli fece risponder che le piacea. Per che, essendo ella medesima la messaggera,80 al padre e alia madre disse che era contenta d'essere sposa di Nastagio, di che essi furon contenti molto. E la domenica seguente Nastagio sposatala e fatte le sue nozze,81 con lei piü tempo lieta-mente visse.82 E non fu questa paura cagione solamente di questo bene, anzi si tutte le ravi-135 gnane donne83 paurose ne divennero, che sempre poi troppo84 piü arrendevoli a' piaceri degli uomini furono che prima state non erano. G. Boccaccio, Decameron, cit. 75 acciô ehe: affinché. 76 prima...ella: non appena vide il mo-mento opportuno, e le sipresentô quella sera stessa, ella. 77 avendo...tramutato: é un endecasil-labo ehe ben evidenzia il mutare repentino delia situazione nelľanimo delia donna. 78 presta: pronta. 79 ehe...era: non era dipeso da altri se non da lei. 80 messaggera: era lei stessa, cioé, a fare domanda di matrimonio: il capovolgimento é davvero radicale. 81 sposatala...nozze: il primo termine si riferisce alla promessa di matrimonio, men-tre il secondo alle nozze vere e proprie. 82 e fatte...visse: da notare la sequenza di settenario e di endecasillabo che suonano come rasserenamento nel lieto fine di una novella per altro fortemente drammatica e "dantesca" (in senso espressionistico). 83 le ravignane donne: le donne di Ravenna. 84 troppo: molto. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO_ Uno "spettacolo" spaventoso La novella inizia con una premessa in cui Filomena espone il principio generale che la vicenda di Nastagio servirä a illustrare: se e vero che la pietä va lodata, e altrettanto vero che la crudeltä e severamente punita dalla giustizia divina (righi 1-6). La vicenda narrativa vera e propria si articola in due parti. Nella prima (ri-ghi 7-93) si racconta Fantefatto: Famore non ricambiato di Nastagio per la figlia di Paolo Traversaro, il suo «spendere smisuratamente», il suo allontanarsi da Ravenna dietro consiglio di amici e parenti, Forribile spettacolo della caccia infernale nella pineta di Classe, il colloquio con lo spirito di Guido degli Anastagi. Nella seconda (righi 94-136) Nastagio, passata la paura, mette in atto un piano che utilizza lo spettacolo terribile a cui ha assistito per rendere piü arrendevole la donna che ama: cosa che puntualmente awiene. II successo della "sceneggiata" orchestrata da Nastagio e cosi totale che e solo la sua onestä a impedirgli di ap-profittare subito della piena disponibilitä della donna a «far tutto ciö che fosse piacer di lui». II tema della caccia infernale... Questa novella, raccontata da Filomena, riprende il tema della "caccia infernale", trattato anche da Dante, neW'Inferno, subito dopo Fepisodio di Pier delle Vigne (XIII, 109-129) quando appaiono, nel bosco delle Ar-pie, due scialacquatori inseguiti dai cani che Ii fanno a pezzi. II motivo degli amanti adulteri puniti nell'aldila attraverso una feroce "caccia" era presente nelle prediche religiose che lo attingevano dagli exempla rivolti a consigliare la morigeratezza dei costumi, e in tal chiave compare nello Specchio di verapenitenza di Jaco-po Passavanti (cfr. cap. 3, p. 574). ...e il suo rovesciamento Boccaccio assume si questo topos ma ne rovescia il senso: la donna e colpevole non perche ha amato, ma perche ha rifiutato Famore. Cosi facendo egli riprende in modo spregiudicato uno spunto presente nel ( 492 ) CAPITOLO 2 > II Decameron De Amore di Andrea Cappellano, giungendo pero sino a un capovolgimento polemicamente intenziona-le dell'exemplum: alla fine le donne di Ravenna - osserva sorridendo il narratore - imparano a divenire anche troppo «arrendevoli a' piaceri degli uomini». Una paródia de\Yexemplum medievale La novella di Nastagio degli Onesti ě dunque «una paródia dell 'exemplum medievale». Molto utili, a questo proposito, sono le osservazioni che fa Césare Segre: «Riesaminiamo il procedimento boccac-ciano. Punto di partenza ě il racconto di una visione abbastanza tipica, basata sulle pene sofferte, nelľal-dilä, da una coppia di adulteri. Ideológia cristiana in forma medievale. Boccaccio fa si che la pena cada, piú che sulľuomo, suicida, sulla donna; inoltre, la donna non tanto ě punita come responsabile del suicidio delľuomo, quanto per la mancanza di rimorso, per aver considerato merito quello che era una colpa. Boccaccio ribadisce insomma con forza ľuscita delia novella dai binari delľideologia cristiana (su cui avrebbe potuto mantenerla insistendo sul suicidio e sulla responsabilita indiretta per il suicidio): il peccato delia donna ě la pervicacia nel rigettare il principio che «Amor [...] a nullo amato amar perdona». [...] L'exemplum, di solito, agisce lentamente nelle coscienze, le scava pian piano con le sue minacce, le agita con la forza dei suoi simboli. Esso deve sussistere nelle memorie, operare alla presenza di analogie. Qui la visione, che vale come exemplum, travolge la destinataria, subito pronta ad accogliere nel suo letto ľuomo sino allora detestato (sarä lui a volere la legalita delle nozze). II contenuto delia dottrina e ľimmediatezza del suo successo svolgono, congiunti, una bella paródia dell 'exemplum medievale. In questo disegno parodistico diventano molto piú saporose le fittissime riprese dantesche, notate gia dai commentatori: facendo intrawedere dietro la caccia tragica varie bolge infernali, Boccaccio cosparge di tocchi paurosi o angosciosi una vicenda che la spregiudicatezza della morale potrebbe far declinare troppo presto in direzione del malizioso e del comico: ai quali, del resto, approda. [...] Nelľampia stratégia boccacciana di svuotamento delle concezioni medievali, la spregiudicatezza di questa novella ha un suo posto, anche se non eclatante». LAVORIAMO SUL TĚSTO_ Comprensione e analisi 1. Riassumere ► Riscrivi in maniera piú esauriente ma sempře sinteticamente il contenuto della "rubrica". 2. Individuarecollegamenti ► La stessa visione si artico-la in due tempi: nel primo, Nastagio vede la scéna della caccia infernale; nel secondo, Nastagio la mostra alla brigata e alla donna amata. Nel primo caso la visione ě quasi un sogno, una proiezione inconscia dello stato ďanimo tormentato del protagonista; nel secondo essa diventa spettacolo ed ě usata a fini persuasivi. Metti in rilievo come alla diversa funzione della scéna corrispon-dano diverse tecniche di narrazione. Interpretazione e commento 3. Argomentare ► II centro della novella ě ľexemplum della "caccia" infernale, di cui Boccaccio capovolge messag-gio e valori. La visione non ha piú nulla di sacro e nella incredibile rapidita degli effetti rivela un intento comico e parodistico: analizza la visione e dimostrane il carattere laico e profano. Quale morale, completamente diversa da quella religiosa tradizionale, viene proposta? (493 ) Descrivere ► Boccaccio fornisce diverse informazioni sulľappartenenza sociale, sul comportamento e sullo stato ďanimo del protagonista, ma lascia intuire, solo attraverso ľazione, ľelemento piú importante del carattere di Nastagio, quello che gli permette di soddisfare i suoi desideri. Ricostruisci il ritratto del personaggio. ILTESTO E OLTRE ► Compito di realtä La novella per immagini Botticelli e altri pittori hanno tradotto in immagini la novella di Nastagio degli Onesti (cfr. i dipinti riprodotti in INF.©, p. 494 e I'illustrazione di Rockwell Kent ripor-tata a p. 490). Ora tocca a te. Crea una galleria di immagini per illustrare i diversi momenti della novella. Af-fianca a ciascuna immagine, come didascalia, una ci-tazione dal testo di Boccaccio. Poi, mostra alla classe latua presentazione. PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 -^J Q)—(La novella di Nastagio degli Onesti illustrata da Botticelli > Botticelli ha illustrato la novella di Nastagio in quattro pannelli del 1483, in occasione delle nozze del ricco mer-cante Giannozzo Pucci con Lucrezia Bini. Questi pannelli erano destinati a decorare le pareti, secondo un uso diffuse nei palazzi fiorentini. L'illustrazione di questa novella e di quella di Cimone da parte di Botticelli testimonia un cambiamento del pubblico del Decameron, fino ad allora costituto essenzialmente da mercanti. Per esempio, Boccaccio stesso, rivolgendosi a un pubblico borghese, aveva illustrato i suoi codici con una tecnica simile al "genere" fumetto e fino al tardo Quattrocento il Decameron era stato confinato in questa umile tradizione figurativa. Alia fine del Quattrocento I'accesso alia tradizione figurativa nobile di Botticelli e dei grandi artisti rinascimentali dimostra che ormai I'opera di Boccaccio ě letta e apprezzata anche negli ambienti colti. Botticelli reinterpreta Boccaccio alia luce della nuova sensibilita umanistico-rinascimentale. Riprende dal Decameron il tono laico e mondano, ma inserisce la scena in un'ampia prospettiva spaziale. Mentre in Boccaccio lo spazio e strettamente funzionale all'azione narrativa, qui ha la sua autonomia. La pineta acquista profondita, luce, si apre su una serena distesa marina, inquadra e ordina razionalmente gli eventi. Gli alberi, come le quinte di un palcoscenico, scandiscono la storia e mettono in rilievo i dettagli piu ricercati: la drammaticita delle scene e neu-tralizzata dalla ricerca di equilibrio e di eleganza. II primo dipinto della serie e relativo a tre episodi: la figu-ra di Nastagio, infatti, vi compare tre volte. II dipinto va letto da sinistra a destra. L'episodio all'estrema sinistra e relativo alia decisione di Nastagio, dopo una delusione amorosa, di allontanarsi da Rimini per vivere di cene e di O Sandro Botticelli, Nastagio assiste alia "caccia infernale", 1484 ca. Madrid, Museo del Prado. 0 Sandro Botticelli, Nastagio fugge di fronte alľuccisione della donna, 1484 ca. Madrid, Museo del Prado. ( 494 ) CAPITOLO 2 I II Decameron ospitalitä insieme ai suoi amici. II secondo raffigura un Nastagio pensieroso e nostalgico che si inoltra nella pi-neta. Nel terzo episodio Nastagio cerca di difendere con un bastone improvvisato una donna nuda che viene inse-guita in una "caccia infernale" da un cavaliere, un antena-to di Nastagio, suicida per I'amore non corrisposto dalla donna. II secondo dipinto della serie raffigura due episodi. Guido degli Anastagi, il cavaliere, dopo aver spiegato a Nastagio le ragioni della "caccia infernale", estrae il cuore dal corpo della donna per darlo in pasto ai mastini. Ma subito dopo la donna si rialza e ricomincia a correre. Nella scena sullo sfondo Guido e i cani la inseguono di nuovo. Anche il terzo dipinto raffigura due episodi e va letto da sinistra a destra. L'episodio piü rilevante e il banchetto al-lestito nel luogo dove sarebbe avvenuta la caccia inferna- le. Li I'amata di Nastagio pub vedere quali conseguenze siano sorte dall'amore non corrisposto fra la donna e Guido degli Anastagi. Nella scena Nastagio compare di spal-le, mentre chiede ai convitati di non intervenire. Sul mar-gine destro del dipinto, infine, la cameriera della donna amata da Nastagio gli dice che la padrona e disposta ad amarlo. La serie si completa con il quarto dipinto, in cui e raffigurato il sontuoso banchetto allestito sotto una serie di archi di trionfo per i festeggiamenti delle nozze tra Nastagio e la ragazza. II dipinto celebra la ricca borghesia fiorentina, e alio sfarzo architettonico fa da cornice I'al-trettanto sfarzoso allestimento, dove viene dato rilievo a particolari che denotano ricchezza e lusso come le pre-ziose stoviglie da parata sistemate sul tavolino al centro, I'abbondanza delle vivande, I'eleganza delle vesti di servi-tori e invitati. © Sandro Botticelli, Nastagio fa in modo che la sua amata assista alia "caccia infernale", 1484 ca. Madrid, Museo del Prado. © Sandro Botticelli, // banchetto nuziale, 1484 ca. Collezione privata. ( 495 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 T10 La novella di Federigo degli Alberighi OPERA Decameron, V, 9 CONCETTI CHIAVE • crisi della vecchia nobiltá • ricerca di un equilibrio fra i valori cortesi e il nuovo spirito economico dei mercanti digit-VIDEOLETTURA digit-ALTALEGGIBI LITÁ Questa novella, narrata da Fiammetta, ha per argomento la decadenza della vecchia nobiltá feudale. La famiglia degli Alberighi ě ricordata da Dante nel Paradiso come giá decaduta ai tempi del suo trisa-volo Cacciaguida. II motivo ě economico: le eccessive spese, d'altronde coerenti con I'ideologia della liberalitá cortese, conducevano alia rovina i vecchi ceti nobiliari. Federigo si ě impoverito pertentare invano di conquistare una ricca borghese, madonna Giovanna (il tema era giá presente nella novella precedente di Nastagio degli Onesti, come rischio implicito nella sua vita troppo dispendiosa; ma Nastagio era un borghese, non un nobile di sangue come Federigo). Si ě ridotto a vivere in campagna, umilmente ma dignitosamente; a ricordo del suo splendore passato gli resta solo un magnifico falco-ne. Monna Giovanna, rimasta vedova con un figlio, passa Testate in villa non lontano da lui e, poiché il figlio ammalato vorrebbe avere il falcone, va a pranzo da Federigo per chiederglielo. Non sapendo la ragione della visita e non avendo nulla di prelibato da offrirle per pranzo, il nobile decaduto decide di uccidere il falcone e di servirlo in tavola alia donna. Perció, quando viene a conoscenza del motivo della visita, non puó accontentare monna Giovanna. Morto il figlioletto, la donna, indotta a sposarsi dai fratelli, sceglie come marito Federigo, il quale da pověro diventa ricco e da scialacquatore «miglior massaio» (miglior amministratore). Puoi leggere due diverse versioni della novella nell'italiano di oggi in Prometeo (T La novella di Federigo degli Alberighi riscritta da Piero Chiara e Aldo Busi). FEDERIGO DEGLI ALBERIGHI1 AMA E NON Ě AMATO, E IN CORTESIA SPENDENDO SI CONSUMA2 E RIMANGLI UN SOL FALCONE, IL QUALE, NON AVENDO ALTRO, DA A MANGIARE ALL A SUA DONNA VENUTAGLIA CAS A; LA QUAL, CIO SAPPIEN-DO, MUTATA DANIMO, IL PRENDE PER MARITO E FALLO RICCO. 5 Era giá di parlar ristata3 Filomena, quando la reina,4 avendo veduto che piú niuno a dover dire, se nonDioneo per lo suo privilegio,5 vera rimaso, conlieto viso disse: - A me omai appartiene di ragionare; e io, carissime donne, da6 una novella simile in parte alia precedente il faro volentieri, non acció solamente che7 conosciate quanto la vostra vaghezza8 possa ne' cuor gentili, ma perché apprendiate d'essere voi medesime, dove si con-10 viene, donatrici de' vostri guiderdoni9 senza lasciarne sempře esser la fortuna guidatrice, la qual non discretamente ma, come s'aviene, smoderatamente il piu delle volte dona. Dovete adunque sapere che Coppo di Borghese Domenichi,11 il quale fu nella nostra cittá, e forse ancora ě,12 uomo di grande e di reverenda auttoritá ne' di nostri, e per costumi e per vertu molto piu che per nobiltá di sangue chiarissimo e degno d'eterna fama, essendo giá 15 d'anni pieno, spesse volte delle cose passate co' suoi vicini e con altri si dilettava di ragionare: 1 federigo degli alberighi: appar- tenente all'antica famiglia fiorentina degli Alberighi, ricordata in decadenza da Cacciaguida nel Paradiso dantesco e giá estinta al tempo di Giovanni Villani. 2 si consuma: si rovina. 3 Era... ristata: Aveva giáfinito di parlare. 4 reina: regina; Fiammetta. 5 per...privilegio: Dioneo ha ottenuto da Pampinea, nella conclusione della Prima ( 496 ) giornata, di poter trattare ogni volta argo-menti svincolati dal tema prefissato e di es-sere l'ultimo narratore. 6 da: per mezzo di. 7 non...che: non soltanto affinche. 8 vaghezza: bellezza. 9 guiderdoni: doni, ricompense. E una pa-rola di origine franca e usata di frequente nel lessico cortese come molte altre presen-ti in questa novella. 10 senza...dona: senza lasciare che ad as-sumere 1'iniziativa sia la fortuna, la quale dona non con discernimento ma, come ac-cade il piú delle volte, senza misura. 11 Coppo...Domenichi: personaggio re-almente vissuto, morto poco prima del 1353 dopo aver ricoperto, con autorevolezza e ri-spetto, importanti cariche nel Comune. 12 forse ancora ě: riferimento alla deva-stante attualitá della peste. CAPITOLO 2 I II Decameron - la qual cosa egli meglio e con piu ordine e con maggior memoria e ornato parlare che altro uom seppe fare.13 Era usato di dire, tra Faltre sue belle cose, che in Firenze fu gia un giovane chiamato Federigo di messer Filippo Alberighi, in opera d'arme14 e in cortesia pregiato sopra ogni altro donzel15 di Toscana. II quale, si come il piu16 de' gentili uomini awiene, d'una gentil 20 donna chiamata monna Giovanna s'innamoro, ne' suoi tempi tenuta delle piu belle donne e delle piu leggiadre che in Firenze fossero; e accio che egli 1'amor di lei acquistar potesse, gio-strava, armeggiava,17 faceva feste e donava, e il suo senza alcun ritegno spendeva; ma ella, non meno onesta che bella, niente di queste cose per lei fatte ne di colui si curava che le faceva. Spendendo adunque Federigo oltre a ogni suo potere molto e niente acquistando,18 si 25 come di leggiere adiviene,19 le ricchezze mancarono e esso rimase povero, senza altra cosa che un suo poderetto piccolo essergli rimasa, delle rendite del quale strettissimamente20 vivea, e oltre a questo un suo falcone de' miglior del mondo. Per che, amando piu che mai ne parendo-gli piu potere essere cittadino come disiderava,21 a Campi,22 la dove il suo poderetto era, se n'ando a stare. Quivi, quando poteva uccellando23 e senza alcuna persona richiedere,24 pazien- 30 temente la sua poverta comportava.25 Ora avvenne un di che, essendo cosi Federigo divenuto alio stremo,26 che27 il marito di monna Giovanna infermo, e veggendosi alia morte venire fece testamento; e essendo ricchis-simo, in quello lascio suo erede un suo figliuolo gia grandicello e appresso questo,28 avendo molto amata monna Giovanna, lei, se avvenisse che il figliuolo senza erede legittimo morisse, 35 suo erede substitui,29 e morissi. Rimasa adunque vedova monna Giovanna, come usanza e delle nostre donne, 1'anno di state30 con questo suo figliuolo se n'andava in contado a una sua possessione assai vicina a quella di Federigo. Per che avvenne che questo garzoncello s'incomincio a dimesticare31 con Federigo e a dilettarsi d'uccelli e di cani; e avendo veduto molte volte il falcon di Federigo 40 volare e stranamente32 piacendogli, forte disiderava d'averlo ma pure non s'attentava33 di domandarlo, veggendolo a lui esser cotanto caro. E cosi stando la cosa, avvenne che il garzoncello infermo; di che la madre dolorosa molto, come colei che piu no' n'avea34 e lui amava quanta piu si poteva, tutto il di standogli dintorno non restava35 di confortarlo e spesse volte il domandava se alcuna cosa era la quale egli disiderasse, pregandolo gliele36 dicesse, che per 45 certo, se possibile fosse a avere, procaccerebbe come 1'avesse.37 13 la qual...faře: messer Coppo ě un vero "retore": nel suo parlare esercita al massimo grado le qualita della sapienza retorica: di-spositio, memoria, elocutio. 14 in opera ďarme: negli esercizi caval-lereschi. 15 donzel: giovane nobile; dal provenzale "donsel" a sua volta derivato dal latino "do-minicellum" (diminutivo di "dominus" = signore). 16 il piú: per lo piu. 17 armeggiava: maneggiava le armi [per tornei e spettacoli]. 18 niente acquistando: non ricavando nessun vantaggio [perché la donna continua ad ignorarlo]. 19 di...adiviene: facilmente accade. 20 strettissimamente: in grandi ristret- tezze. 21 essere...disiderava: vivere in cittä se-condo il suo desiderio, e cioe in modo signo-rile e agiato. 22 Campi: Campi Bisenzio, paese vicino a Firenze fra Prato e Peretola. 23 uccellando: andando a caccia di uc-celli [con il suo falcone]. Si ricordi che il falcone era simbolo di nobiltä nel mondo feudale (Federico II proprio su questo argumenta aveva scritto un famoso trattato). 24 senza...richiedere: senza chiedere aiu-to a nessuno. In questa notazione si puö co-gliere una traccia di orgoglio nel comporta-mento di Federigo che vuol mantenersi fede-le al proprio passato aristocratico nonostante la decadenza economica di cui e vittima. 25 comportava: sopportava. 26 divenuto alio stremo: ridotto in mise-ria. 27 che: ripetizione del "che" dopo un'in-cidentale. 28 appresso questo: dopo di lui. 29 lei...substitui: nominb erede Giovanna qualora ilfiglio fosse morto senza eredi. 30 l'anno di state: ogni anno, in estate. 31 a dimesticare: aprendere confidenza. 32 stranamente: moltissimo, al di fuori del normale. 33 s'attentava: osava. 34 che...n'avea: che non aveva altrifigli. 35 restava: cessava. 36 gliele: glielo; come al solito indeclina-bile. 37 procaccerebbe...avesse: avrebbefatto in modo di farglielo avere. (497) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 II giovanetto, udite molte volte queste proferte, disse: «Madre mia, se voi fate che io abbia il falcone di Federigo, io mi credo prestamente guerire». La donna, udendo questo, alquanto sopra se stette38 e comincio a pensar quello che far dovesse. Ella sapeva che Federigo lungamente 1'aveva amata, ne mai da lei una sola guatatura39 50 aveva avuta, per che ella diceva: «Come mandero io o andro a domandargli questo falcone, che e, per quel che io oda, il migliore che mai volasse e oltre a cio il mantien nel mondo?40 E come saro io si sconoscente,41 che a un gentile uomo al quale niuno altro diletto e piu rimaso, io questo gli voglia torre?42» E in cosi fatto pensiero impacciata, come che43 ella fosse certis-sima d'averlo se '1 domandasse, senza sapere che dover dire, non rispondeva al figliuolo ma si 55 stava.44 Ultimamente45 tanto la vinse 1'amor del figliuolo, che ella seco dispose, per contentarlo, che che esser ne dovesse,46 di non mandare ma d'andare ella medesima per esso e di recargliele, e risposegli: «Figliuol mio, confortati e pensa di guerire di forza,47 che io ti prometto che la prima cosa che io faro domattina, io andro per esso e si il ti rechero». Di che il fanciullo lieto 60 il di medesimo mostro alcun48 miglioramento. La donna la mattina seguente, presa un'altra donna in compagnia, per modo di diporto49 se n'ando alia piccola casetta di Federigo e fecelo adimandare.50 Egli, per cio che non era tempo, ne era stato a quei di, d'uccellare, era in un suo orto e faceva certi suoi lavorietti accon-ciare;51 il quale, udendo che monna Giovanna il domandava alia porta, maravigliandosi forte, 65 lieto la corse. La quale vedendol venire, con una donnesca piacevolezza52 levataglisi incontro, avendola gia Federigo reverentemente salutata, disse: «Bene stea53 Federigo!» e seguito: «Io son veuta a ristorarti54 de' danni li quali tu hai gia avuti per me amandomi piu che stato non ti sarebbe bisogno: e il ristoro e cotale, che io intendo con questa mia compagna insieme desinar teco 70 dimesticamente55 stamane». Alia qual Federigo umilmente rispose: «Madonna, niun danno mi ricorda56 mai avere ri-cevuto per voi ma tanto di bene che, se io mai alcuna cosa valsi, per lo vostro valore e per 1'amore che portato v'ho adivenne.57 E per certo questa vostra liberale venuta me troppo58 piu cara che non sarebbe se da capo mi fosse dato da spendere quanta per adietro ho gia speso, 75 come che a povero oste59 siate venuto»; e cosi detto, vergognosamente60 dentro alia sua casa la ricevette e di quella nel suo giardino la condusse, e quivi non avendo a cui farle tener compagnia a altrui,61 disse: «Madonna, poi che altri non c e, questa buona donna moglie di questo lavoratore vi terra compagnia tanto che io vada a far metter la tavola». 38 sopra sé stette: rimase sopra pensiero. 39 guatatura: sguardo. 40 il...mondo: lo mantiene in vita. 41 sconoscente: indiscreta. 42 torre: togliere; per contrazione dal latino 'tollere'. 43 come che: benché. 44 si stava: rimaneva indecisa (Sapegno). 45 Ultimamente: Infine. 46 che...dovesse: qualunque cosa ne de-rivasse. 47 di forza: con tutte le forze. 48 alcun: qualche. 49 per...diporto: come per divertimento, ( 498 ) cioé facendo finta di passeggiare per puro svago. 50 fecelo adimandare: fece chiedere di lui. 51 faceva...acconciare: faceva sistemare alcunipiccoli lavori; lavorietti é il diminu-tivo di "lavorio" e ne attenua il significato di lavoro intenso e continuo: l'attivita di Federigo é ridotta a ben poca cosa. 52 con...piacevolezza: con una grazia tutta femminile. 53 stea: stia. 54 ristorarti: risarcirti. 55 dimesticamente: alia buona. Si noti l'astuzia della donna che, dalla scontrositä piü assoluta, intende adesso passare a una familiäre confidenza. 56 mi ricorda: e usato impersonalmente, con un soggetto "egli" sottinteso. 57 per lo...adivenne: cid e dovuto alla vostra gentilezza e all'amore che ho nutritoper voi; e un principio del mondo cortese cui Federigo rimane fedele anche in povertä (la vera ricchezza e quella dell'animo). 58 troppo: molto. 59 oste: ospite. 60 vergognosamente: con timidezza. 61 non...altrui: non avendo altri ai quali farle tenere compagnia. CAPITOLO 2 > II Decameron Egli, con tutto che la sua povertá fos-80 se strema, non sera ancor tanto awedu-to quanta bisogno gli facea che egli avesse fuor d'ordine spese le sue richez-ze;62 ma questa mattina niuna cosa tro-vandosi di che potere onorar la donna, 85 per amor della quale egli giá infiniti uo-mini onorati avea, il fé ravedere.63 E ol-tre modo angoscioso, seco stesso male-dicendo la sua fortuna, come uomo che fuor di sé fosse or qua e or la trascorren-90 do,64 né denari né pegno65 trovandosi, essendo Fora tarda e il disidero grande di pure onorar d'alcuna cosa la gentil donna e non volendo, non che altrui, ma il lavorator suo stesso richiedere,66 gli cor-95 se agli occhi il suo buon falcone, il quale nella sua saletta vide sopra la stanga; per che, non avendo a che altro ricorrere, presolo e trovatolo grasso, pensó lui es-ser degna vivanda di cotal donna. E pero, 100 senza piú pensare, tiratogli il collo, a una sua fanticella il fé prestamente, pelato e acconcio, mettere in uno schedone67 e arrostir diligente-mente; e messa la tavola con tovaglie bianchissime, delle quali alcuna ancora avea, con lieto viso ritornó alia donna nel suo giardino e il desinare, che per lui far si potea,68 disse essere apparecchia-to. Laonde la donna con la sua compagna levatasi andarono a tavola e, senza saper che si mangias- 105 sero, insieme con Federigo, il quale con somma fede69 le serviva, mangiarono il buon falcone. E levate da tavola e alquanto con piacevoli ragionamenti con lui dimorate, parendo alia donna tempo di dire quello per che andata era, cosi benignamente verso Federigo cominció a parlare: «Federigo, ricordandoti tu della tua préterita70 vita e della mia onestá, la quale per avventura71 tu hai reputata durezza e crudeltá, io non dubito punto che tu non ti debbi 110 maravigliare della mia presunzione72 sentendo quello per che principalmente qui venuta sono; ma se figliuoli avessi o avessi avuti, per li quali potessi conoscere di quanta forza sia 1'amor che lor si porta, mi parrebbe esser certa che in parte m'avresti per iscusata.73 Ma come che tu no' n'abbia, io che n'ho uno, non posso pero le leggi comuni dell'altre madri fuggire;74 le cui forze seguir convenendomi, mi conviene, oltre75 al piacer mio e oltre a ogni convene- 115 volezza e dovere, chiederti un dono il quale io so che sommamente ťě caro: e ě ragione,76 per ció che niuno altro diletto, niuno altro diporto,77 niuna consolazione lasciata t'ha la tua © La novella di Federigo degli Alberghi, miniatura da un manoscritto del Decameron del XV secolo. Parigi, Bibliotheque de I'Arsenal. 62 non...richezze: non si era ancora ac-corto, quanto sarebbe stato necessario, che aveva speso i suoi averi in modo sconsiderato. 63 il fe ravedere: lo rese consapevole. 64 trascorrendo: andando agitato. 65 pegno: oggetto da dare a pegno. 66 non...richiedere: non volendo chiede-re niente a nessun altro e neppure al suo con- tadino; ě un motivo di orgoglio che si man-tiene costante nell'atteggiamento signorile di Federigo. 67 schedone: spiedo. 68 il desinare...potea: il pranzo che lui era in grado di preparare. 69 fede: devozione. 70 préterita: passata. 71 per awentura:/orse. 72 presunzione: audacia. 73 mi...iscusata: potrei essere sicura che in parte mi scuseresti. 74 fuggire: nel senso di non considerare. 75 mi conviene, oltre: sono costretta, contro. 76 e ě ragione: ed ě giusto. 77 diporto: svago. ( 499 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 strema fortuna;78 e questo dono ě il falcon tuo, del quale il fanciul mio ě si forte invaghito, che, se io non gliele porto, io temo che egli non aggravi tanto nella infermitä la quale ha, che poi ne segua cosa per la quale io il perda.79 E per ciö ti priego, non per ľamore che tu mi porti, al 120 quale tu di niente se' tenuto,80 ma per la tua nobiltä, la quale in usar cortesia s e maggiore che in alcuno altro mostrata, che ti debba piacere di donarlomi,81 acciö che io per questo dono possa dire d'avere ritenuto in vita il mio figliuolo e per quello averloti sempre obligato». Federigo, udendo ciö che la donna adomandava e sentendo che servir non ne la potea per ciö che mangiar gliele avea dato, cominciö in presenza di lei a piagnere anzi che alcuna paro- 125 la risponder potesse. II qual pianto la donna prima credette che da dolore di dover da sé dipar-tire il buon falcon divenisse82 piú che da altro, e quasi fu per dire che nol volesse;83 ma pur sostenutasi,84 aspettö dopo il pianto la risposta di Federigo, il qual cosi disse: «Madonna, poscia che a Dio piacque che io in voi ponessi il mio amore, in assai cose m'ho reputata85 la fortuna contraria e sonmi86 di lei doluto; ma tutte sono state leggieri87 a rispetto di quello ehe 130 ella mi fa al presente, di ehe io mai pace con lei aver non debbo, pensando ehe voi qui alia mia povera casa venuta siete, dove, mentre ehe ricca fu, venir non degnaste, e da me un picciol don vogliate, e ella88 abbia si fatto, che io donar nol vi possa: e perché questo esser non possa vi dirö brievemente. Come io udľ ehe voi, la vostra mercé,89 meco desinar volavate,90 avendo riguardo alla vostra eccellenzia e al vostro valore, reputai degna e convenevole cosa ehe con piú cara91 135 vivanda secondo la mia possibilitä io vi dovessi onorare, ehe con quelle che generalmente per ľaltre persone s'usano: per ehe, ricordandomi del falcon che mi domandate e delia sua bontä, degno eibo da voi92 il reputai, e questa mattina arrostito ľavete avuto in sul tagliere,93 il quale io per ottimamente allogato avea;94 ma vedendo ora che in altra maniera il disideravate, me si gran duolo ehe servire non ve ne posso, ehe mai pace non me ne credo dare». 140 E questo detto, le penne e' piedi e '1 beceo le fé in testimonianza di ciö gittare avanti. La qual cosa la donna vedendo e udendo, prima il biasimö d'aver per dar mangiare95 a una femina ucciso un tal falcone, e poi la grandezza delľanimo suo, la quale la povertä non avea potuto né potea rintuzzare, molto seco medesima commendö.96 Poi, rimasa fuori delia speranza d'avere il falcone e per quello delia salute del figliuolo entrata in forse, tutta malinconosa97 si 145 diparti e tornossi al figliuolo. II quale, o per malinconia ehe il falcone aver non potea o per la 'nfermitä che pure a ciö il dovesse aver condotto,98 non trapassar molti giorni ehe egli con grandissimo dolor delia madre di questa vita passö. 78 strema fortuna: la fortuna ridotta aWestremo, cioě la miseria. 79 io terno...perda: ho il timore che egli peggiori nella sua malattia a tal punto che le conseguenze potrebbero farlo morire. «Si noti la lunga perifrasi usata dalla madre che non ha il coraggio di pronunciare la parola temuta "morte"» (Segre). 80 al...tenuto: rispetto al quale non hai nessun obbligo. 81 donarlomi: donarmelo; con inversio-ne dei pronomi come, piú sotto, averloti: avertelo. 82 divenisse: provenisse. 83 nol volesse: non lo volevapiú. Contini interpreta questo congiuntivo come dipen-dente «da un verbo che esprime unazione ( 500 ) solo immaginataw. Corrisponde, in latino, al congiuntivo delľeventualitä. 84 pur sostenutasi: tuttavia contenutasi. 85 m'ho reputata: uso consueto delľau-siliare "avere" con un riflessivo. 86 sonmi: mi sono. 87 leggieri: insignificanti. 88 ella: cioě la fortuna. 89 la vostra mercé: per vostra gentilezza. 90 volavate: volevate; per analógia sui verbi della prima coniugazione. 91 cara: preziosa. 92 degno...voi: cibo degno di voi. 93 in sul tagliere: sulpiatto da portata. 94 il quale...avea: il quale [: il falcone] ri-tenevo di aver impiegato nel modo migliore. 95 dar mangiare: usuale 1'assenza di pre- posizione dopo il verbo "dare" 96 commendö: lodô. Insieme al tema "economico", tutto il periodo esalta il prin-cipio portante della novella: la dimostrazio-ne della magnanimitä di Federigo, che resta immutata nonostante i colpi della sorte e la crisi del suo status sociale. La povertä, in-fatti, non puô diminuire (rintuzzare) la sua naturale gentilezza e nobiltä: essa ne é anzi una conferma in quanto é la conseguenza proprio di un'eccessiva liberalitä e cortesia. 97 malinconosa: addolorata. 98 che...condotto: che a quel punto [: la morte] ľavrebbe comunque condotto. Si consideri, anche nella conclusione di questo periodo, come il tema della morte del ragaz-zo sia sempre espresso attraverso perifrasi. CAPITOLO 2 I II Decameron La quale, poi che piena di lagrime e d'amaritudine fu stata alquanto, essendo rimasa ric-chissima e ancora giovane, piu volte fu da' fratelli costretta" a rimaritarsi. La quale, come che 150 voluto non avesse, pur veggendosi infestare,100 ricordatasi del valore di Federigo e della sua magnificenzia101 ultima, cioe d'avere ucciso un cosi fatto falcone per onorarla, disse a' fratelli: «Io volentieri, quando vi piacesse, mi starei;102 ma se a voi pur piace che io marito prenda, per certo io non ne prendero mai alcuno altro, se io non ho Federigo degli Alberighi». Alia quale i fratelli, faccendosi beffe di lei, dissero: «Sciocca, che e cio che tu di'? come vuoi 155 tu lui che non ha cosa del mondo?» A quali ella rispose: «Fratelli miei, io so bene che cosi e come voi dite, ma io voglio avanti103 uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d'uomo». Li fratelli, udendo 1'animo di lei e conoscendo Federigo da molto,104 quantunque povero fosse, si come ella voile, lei con tutte le sue ricchezze gli donarono. II quale cosi fatta donna e 160 cui105 egli cotanto amata avea per moglie vedendosi, e oltre a cio ricchissimo, in letizia con lei, miglior massaio106 fatto, termino gli anni suoi. G. Boccaccio, Decameron, cit. 99 costretta: sollecitata con forza. 100 infestare: tormentare. 101 magnificenzia: grande generosita. 102 mi starei: me ne asterrei. 103 avanti: piuttosto. La frase della donna acquista un carattere proverbiale per la sua struttura a chiasmo e per la ripetizione del-le Stesse parole. 104 conoscendo...da molto: conoscendo Federigo come uomo di grande valore. 105 cui: che. 106 massaio: amministratore. La matu- razione di Federigo e ormai compiuta: si tratta cioe del passaggio dalla nobiltä feudale dal tenore di vita dispendioso ad una bor-ghesia oculata e attenta nella amministra-zione del proprio patrimonio. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TĚSTO_ Collocazione del těsto E la novella nona della Quinta giornata, dedicata ad amori inizialmente infelici e poi conclusisi felice-mente. La novella ě contigua a quella di Nastagio degli Onesti (ottava della stessa giornata), dove un ric-co borghese per amore di una nobile analogamente rischia di cadere in rovina per eccesso di liberalitä e di cortesia. A narrare ě Fiammetta, regina della giornata. Le sequenze del těsto Si distinguono quattro sezioni: una premessa, 1'antefatto, il fatto o azione narrativa, la conclusione. La premessa (righi 1-23) ě costituita dalle parole di Fiammetta, che tocca il tema cortese del rapporto fra amore e cuori gentili, invita le donne a non farsi guidare in amore dalla fortuna o dal caso ma a sce-gliere direttamente a chi concedere la ricompensa amorosa e infine introduce un secondo narratore, attribuendo il racconto che si appresta a fare a un nobile assai autorevole, morto da poco. Lantefatto (righi 24-35) riguarda le spese e lo spreco che hanno contraddistinto la vita del protagonista, anche lui nobile, Federigo degli Alberighi, il quale, per cortesia, e per mostrarsi degno delľamore di monna Gio-vanna, si ě ridotto in povertä, sino a ritirarsi a vivere in campagna con 1'ultimo simbolo della sua ricchezza passata, un falcone. Lazione narrativa si concentra nella sequenza della visita di monna Gio-vanna a casa di Federigo per chiedergli il falcone (righi 36-147) che nel frattempo le ě stato servito in tavola come pranzo. La conclusione (righi 148-161) si riferisce al matrimonio di monna Giovanna e di Federigo e alia trasformazione di quesťultimo, che diviene abile e parsimonioso amministratore («mi-glior massaio»). [501] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 II linguaggio cortese Sin dalle prime parole di Fiammetta prevale il registro cortese: la novellatrice usa infatti termini come «cuor gentili» e «guiderdoni» (righi 9 e 10). Successivamente tale registro espressivo continua a domi-nare, sia nel dialogo fra Federigo e monna Giovanna, sia nelle parole della stessa voce narrante. Nel dia-logo ciascuno dei due protagonisti paria con studiata signorilitä ďaccenti (la sintassi ě estremamente elaborata: si veda, ad esempio, il discorso di Giovanna da rigo 108 a rigo 112). Di qui ľuso di termini astratti come «onorare», «fede», «benignamente» e di termini propri della vita cortese, come «diporto». In generále si puô dire che la novella ě caratterizzata da un lessico elevato ruotante intorno al campo se-mantico del «servigio d'amore», tipico del mondo cavalleresco e nobiliare. II tema e i personaggi La scelta del lessico cortese non ě casuale: il tema della novella ě infatti rappresentato dall'impoverimen-to del mondo nobiliare che ě costretto dai suoi riti mondani - fra cui quello del «servizio d'amore» per una dama - a spendere in modo improduttivo e a rovinarsi economicamente. II falcone ě per Federigo l'ultimo simbolo di una vita dedicata alia caccia e agli altri piaceri del mondo signorile. E amaramente paradossale - e per questo ancor piú significativo - che proprio per onorare la donna amata Federigo lo sacrifichi e non possa perciô esaudire un preciso desiderio della donna. Ciô rivela la contraddizione del mondo nobiliare che, per eccesso di cortesia, rischia di autodistruggersi. Federigo ě considerato dal narratore con simpatia e compassione. Piu fredda e convenzionale appare la monna Giovanna, priva di slanci, sempře molto razionale e controllata. Tuttavia anche il suo comporta-mento resta sempre su un piano di squisita dignita e di elevata umanitä, entrambe ben rivelate dalla ri-sposta conclusiva ai fratelli, in cui ella rivaluta la parola «uomo» nella sua pienezza di significato morale (cfr. righi 156-157 «io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno ďuomo»). Questa atmosféra di civiltä, di raffinata tensione morale, accomuna entrambi i protagonisti: se Federigo sacrifica il falcone, la donna lo sceglie poi come marito essendo rimasta impressionata dalla sua generosita e dalla dedizione con cui egli resta fedele alle regole del «servizio d'amore». Ľinterpretazione storico-ideologica e la storicizzazione del testo II racconto mette in scena due comportamenti diversi: la eccessiva liberalitä, sino alio spreco, del vecchio ceto feudale e la ricchezza della nuova borghesia, caratterizzata dalľaccorta amministrazione e da inve-stimenti produttivi di denaro. Per la prima il denaro ě del tutto secondario, anzi un tabu di cui sarebbe disonorevole parlare; per la seconda ě il fine della vita. II narratore mostra grande rispetto per i valori cortesi del mondo nobiliare: non per nulla lo spostamento della vicenda nel passato ne permette una qualche mitizzazione e la storia dell'eroe che lo rappresenta ě raccontata alia novellatrice da un anziano autorevole, Coppo di Borghese Domenichi, espressione di una nobiltä che forse sta per scomparire. E tuttavia il narratore ammira anche la borghesia e il nuovo ceto mercantile. Cosicché alia fine sembra op-tare per il raggiungimento di un equilibrio fra la cortesia dei cavalieri e lo spirito economico dei mercan-ti: nella conclusione Federigo, pur conservando le sue virtu cortesi, diventa «miglior massaio». E una soluzione coerente con ľideologia dell'autore, volta a propugnare una nuova aristocrazia di origine borghese, capace di assimilare i valori della vecchia nobiltä. Un modello di civiltä E tipico del realismo boccacciano che il linguaggio sia coerente con il tema, adatto e omogeneo a esso. Tale coerenza contribuisce alľeffetto artistico dei racconti piu riusciti. In questo caso, per esempio, l'at-mosfera cortese ě comunicata dal lessico e dalla sintassi, sempre elevati (i racconti che hanno per protagonisti popolani presentano in genere toni ed espressioni piu bassi e comuni). Attraverso tale realismo l'autore intende rivolgere al lettore un messaggio ideologico capace di delineare una civiltä fondata sia sulla oculata amministrazione dei beni, sia sul rispetto per ľaltro, sul controllo sulle passioni, sulla raffi-natezza e sulla capacitä di mediazione della vita civile: una civiltä nuova, in cui il denaro abbia un suo giusto valore, ma non a danno degli alti ideali del passato. In un mondo puramente economico come l'odierno questa prospettiva puô forse conservare una sua attualitä. ( 502 ) CAPITOLO 2 > II Decameron La logica dello sperpero e quella del risparmio Nella novella di Federigo degli Alberighi si confrontano due codici di comportamento opposti fra loro e, rispetto a noi, appartenenti al passato: quello cavalleresco e cortese e quello mercantile e comunale. Nel testo di Boccaccio un giovane di famiglia nobile, partendo da una situazione iniziale di ricchezza ereditaria, si ritrova in povertá a causa dello spendere, del donare e del far feste non compensati da nes-sun guadagno («niente acquistando»). Questi comportamenti non sono dovuti, come si potrebbe pen-sare alia luce della nostra attuale esperienza, alia sua indole personále "spendacciona", ma ai valori con-solidati della sua classe, l'aristocrazia, indifferente al denaro. Una volta caduto in povertá, Federigo rimane un aristocratico, non rinuncia a uno stile di vita cortese e cavalleresco, cioě improduttivo, sia pure in "miniatura" (vive infatti della rendita di un minuscolo podere e della caccia, anche se praticata con Fultimo dei suoi falconi). Con un gesto estremo di magnificenza e cortesia, aristocratica, offre tuttavia come cibo il suo animale da caccia e ottiene infine, tramite il matri-monio, la ricchezza: trasformandosi, in tal modo, in «massaio», cioě in un proprietario capace di mette-re a frutto il proprio patrimonio. Oggi i termini "cortesia" e "masserizia", e i modelli di comportamento corrispondenti, non sono piú at-tuali. Nella contemporaneitá non sembra esserci piu una vera differenza fra la logica dello sperpero e quella del risparmio: la prima ě sostenuta dal marketing che spinge i ceti medi dell'Occidente alF'usa e getta", mentre la seconda riguarda banche e istituti finanziari che invitano famiglie e imprenditori all'in-vestimento e al risparmio. Si tratta, con tutta evidenza, di due facce della stessa medaglia: la legge dell'e-conomia neoliberista, fondata sul denaro e sulle merci. Oggi, inoltre, la trasformazione da una mentalita di una classe a quella di un'altra, narrata nel testo tre-centesco, ě un'esperienza sempre piu difficile da verificare: i valori e comportamenti collettivi odierni sono infatti legati agli stili di vita di una classe media diffusa che puó impoverirsi (e precipitare nell'emar-ginazione) o arricchirsi (e accedere a segni di distinzione quali auto di lusso, abiti firmati e abitazioni di prestigio), ma sempre dentro uno stesso comportamento sociále: quello dell'acquisto e del consumo (che puó solo variare dallo shopping di qualitá, "eco" e artigianale, al lusso piu sfrenato e griffato). LAVORIAMO SUL TESTO_ Comprensione e analisi 1. Riassumere ► Riassumi la novella individuando • i principali snodi della narrazione • la funzione narrativa del falcone 2. Qual ě il fine del racconto di Fiammetta? 3. Linguae stile ► Per quale ragione secondo te Boccaccio ricorre a un narratore intermedio, Coppo di Borghese Domenichi? In quale tempo si colloca la vicenda di Federigo e monna Giovanna? 4. Descrivere ► Scrivi un testo che non superi le dieci ri-ghe in cui illustri le caratteristiche essenziali di Federigo sottolineandone i temi cortesi e spieghi in che modo la nobiltá del personaggio viene infine riconosciuta. 5. Individuarecollegamenti ► Sottoponi ad analisi il comportamento di monna Giovanna e i criteri che I'ispirano. Che cosa alia fine unisce i due personaggi? 6. Quali ceti sociali e quali valori sono secondo te rappresen-tati da Boccaccio nella novella? Con quali scelte stilistiche? 7. Lingua e lessico ► Nella novella prevale il registro ele-vato e cortese. Individua le scelte lessicali e sintattiche relative a questo registro espressivo. Interpretazione e commento 8. Commentare ► Quale puó essere la morale della sto-ria? Trovi in tutto il racconto motivi fiabeschi, o un ruolo importante svolto dalla fortuna? Perché? ( IL TESTO EOLTRE ► Conf rontare II valore dell'onesta II valore maggiormente sottolineato dall'autore nella figura di monna Giovanna sembra essere I'onesta; rifletti sull'importanza di questo aspetto: • paragonando monna Giovanna e Ghismunda (T6, p. 460), i loro ideali, le loro scelte di vita e la loro consa-pevolezza; • ricercandone altri esempi nella cultura medievale. [ 503 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 16 Le novelle della Sesta giornata: motti di spirito e argute risposte Alterco fra Licisca e Tindaro sull'onesta delle donne Brevitä delle novelle della Sesta giornata Ambientazione toscana delle novelle La Sesta giornata, sotto il reggimento di Elissa, ě introdotta da una lite fra due servitori della brigata, Licisca e Tindaro, che disputano sull'onesta delle donne e sulla verginitä delle ragaz-ze che si maritano. Chiamato a risolvere la questione, Dioneo dä ragione a Licisca la quale sostiene di non conoscere donna che non sia disposta a fare beffe al marito o ragazza che si sia dawero sposata «pulcella», cioě vergine. Questo imprevisto serve ad allungare l'introduzione alia giornata, cosi come la passeggia-ta delle donne e poi dei giovani nella Valle delle donne ha lo scopo di accrescere di qual-che pagina le conclusioni. Si tratta di artifici resi necessari dal fatto che, essendo giocate su una battuta (motto o arguta risposta) conclusiva e dunque finalizzate e subordinate a questo scatto finale, le novelle della Sesta giornata sono molto brevi: di qui l'esigenza dell'autore di rafforzare la parte introduttiva, le zone intermedie e la parte conclusiva della "cornice", in modo che la lunghezza totale della giornata non sia molto inferiore a quella delle altre. Come le novelle di beffa cosi quelle di motto sono ambientate quasi sempre in Toscana e in ambito borghese. Talora protagonisti di battute spiritose sono grandi personaggi fiorentini, come il pittore Giotto nella quinta novella, o il poeta Guido Cavalcanti nella nona. Ma motteggiatori possono essere anche personaggi umili come il cuoco Chichibio (cfr. T11). Anche le donne possono uscire, grazie alľabilitä nel parlare e nel rispondere, dalla loro con-dizione di inferiorita, gareggiare con gli uomini e mettere a tacere anche i piu potenti (cfr. T12, p. 508). Un posto a sé ha, al solito, la decima, quella di frate Cipolla, la piu lunga e complessa della giornata (cfr. T13, p. 512). T11 La novella di Chichibio e la gru OPERA Decameron, VI, 4 CONCETTI CHIAVE • uguaglianza sociále in nome dell'ingegno digit ■ VIDEOLETTURA digit-VIDE0LEZI0NE Chichibio: intelligenza o fortuna? (a eura di R Cataldi) digit ■ TESTO INTERATTIVO digit-ALTALEGGIBI LITÁ Chichibio ě il cuoco veneziano di un signore fiorentino. Ě dunque mal visto a Firenze, cittá, a metá del Trecento, fieramente antiveneziana. Avendo donato alia propria donna la gamba di una gru, ne porta in tavola solo una e, per difendersi, stolidamente afferma che questo uccello ha una gamba sola. II padrone, Currado, avendo diversi invitati, per il momento non punisce il servitore, ma il gior-no dopo lo porta all'alba a constatare quante gambe abbiano le gru. Dapprima si vedono gru ritte su una gamba sola cosicché Chichibio per un attimo vede dimostrata la veritá della propria asser-zione; ma basta un grido del padrone, perché le gru spaventate calino giu la seconda gamba e si mettano a correre. Al padrone soddisfatto e pronto a punirlo, Chichibio risponde, con una battuta spiritosa che la fortuna e la paura gli hanno suggerito, che, se la sera prima il padrone avesse egual-mente gridato, anche in quel caso sarebbe comparsa la seconda gamba alia gru. A questo punto, Currado scoppia a ridere riconoscendo il carattere spiritoso della battuta e rinunciando a punire il servitore. [ 504 ) CAPITOLO 2 I II Decameron - CHICHIBIO,1 CUOCO DI CURRADO GIANFTGLIAZZI, CON UNA PRESTA PAROLA A SUA SALUTE3 LIRA DI CURRADO VOLGE IN RISO E SÉ CAMPA4 DALLA MALA VENTURA MINACCIATAGLI DA CURRADO Tacevasi giä la Lauretta e da tutti era stata sommamente commendata la Norma,5 quando la 5 reina a Neifile impose che seguitasse; la qual disse: - Quantunque il pronto ingegno, amorose donne, spesso parole presti e utili e belle, se-condo gli accidenti,6 a' dicitori, la fortuna ancora, alcuna volta aiutatrice de' paurosi, sopra la lor lingua subitamente di quelle pone che mai a animo riposato per lo dicitore si sareber sa-pute trovare:7 il che io per la mia novella intendo di dimostrarvi. 10 Currado Gianfigliazzi, si come ciascuna di voi e udito e veduto puote avere, sempre della nostra cittä ě stato notabile cittadino, liberale e magnifico,8 e vita cavalleresca tenen-do continuamente in cani e in uccelli9 se dilettato, le sue opere maggiori al presente la-sciando stare. II quale con un suo falcone avendo un di presso a Peretola una gru10 ammaz-zata, trovandola grassa e giovane, quella mandö a un suo buon cuoco, il quale era chiamato 15 Chichibio e era viniziano; e si gli mandö dicendo11 ehe a cena ľarostisse e governassela12 bene. Chichibio, il quale come nuovo bergolo13 era cosi pareva, acconcia14 la gru, la mise a fuoco e con sollecitudine a cuocer la cominciö. La quale essendo giä presso ehe cotta e grandissimo odor venendone, awenne che una feminetta della contrada, la quale Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte innamorato, entrö nella cucina, e sentendo I'odor della gru e veg- 20 gendola pregö caramente15 Chichibio ne le16 desse una coscia. Chichibio le rispose cantando e disse: «Voi non ľavri da mi,17 donna Brunetta, voi non ľavri da mi». Di ehe donna Brunetta essendo turbata,18 gli disse: «In fé di Dio, se tu non la mi dai, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia», e in brieve le parole furon molte;19 alia fine Chichibio, 25 per non crucciar20 la sua donna, spiccata21 ľuna delle cosce alla gru, gliele diede. Essendo poi davanti a Currado e a alcun suo forestiere22 messa la gru senza coscia, e Currado, maravigliandosene, fece chiamare Chichibio e domandollo ehe fosse divenuta ľaltra 1 chichibio: soprannome di probabile derivazione dal veneto "cicibio" = fringuello; il protagonista della novella ě infatti, come apprenderemo, di origine veneta. 2 currado gianfigliazzi: nobile fio-rentino vissuto tra Duecento e Trecento che ebbe fama di grande munificenza e magnani-mitä. Un membro della famiglia cui apparte-neva, di ricchi banchieri di parte Nera, ě collocate da Dante tra gli usurai (Inf. XVII). 3 con una presta...salute: con unapronta (presta) battutaper salvarsi (a sua salute). 4 campa: salva. 5 sommamente...la Nonna: era stata molto lodata (commendata) da tutti la Nonna [: Nonna de' Pulci, protagonista della terza novella della giornata]. 6 accidenti: occasioni. 7 la fortuna...trovare: anche (ancora) la fortuna, che talvolta aiutaipaurosi, pone sul-la loro bocca (lingua) improvvisamente di- scorsi che in normáli condizioni (a animo riposato) essi non avrebbero saputo formuláre. 8 liberale e magnifíco: generoso e dotato digrandezza d'animo. 9 in cani e in uccelli: [nella caccia] con i cani e con gli uccelli. 10 gru: le gru nidificavano a quel tempo in molte regioni paludose delfltalia, ed erano oggetto di caccia (e come cacciagione figu-rano nei ricettari medievali). 11 gli mandô dicendo: gli mando a dire. 12 governassela: la preparasse con cura. 13 bergolo: sciocco chiacchierone. Bergolo ě parola veneta che Boccaccio usa a pro-posito di veneziani, per connotarli negativa-mente. I sentimenti antiveneziani di Boccaccio, che anche in questa novella traspaio-no (e che con maggiore evidenza si manife-stano nella seconda della Quarta giornata, all'inizio della quale Pampinea apostrofa Venezia come «d'ogni bruttura ricevitricew, erano quelli diffusi a Firenze nei confronti degli abitanti della ricca cittä adriatica eco-nomicamente e politicamente rivale. 14 acconcia: prepara. 15 caramente: con affettuosa insistenza. 16 ne le: gliene. 17 cantando...non l'avri da mi: cantile-nando [in dialetto veneto] disse: «Voi non la [: la coscia della gru] avrete da me. Puö inten-dersi o in senso proprio (Chichibio cantereb-be il suo rifiuto sul motivo di una canzone po-polare diffusa nel Settentrione); oppure con riferimento al ritmo cantilenante della rispo-sta in dialetto, con le caratteristiche forme mi del pronome e della desinenza in -i del verbo. 18 turbata: contrariata. 19 le parole furon molte: il battibeeco fu lungo. 20 crucciar: indispettire. 21 spiccata: staccata. 22 forestiere: ospite. ( 505 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 © Chichibio e la gru, miniatura dal manoscritto Fr. 239, quarto decennio del XV secolo ca. Parigi, Bibliothěque Nationale de France. coscia23 della gru. Al quale il vinizian bugiardo subitamente rispose: «Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba». 30 Currado allora turbato disse: «Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? non vid'io mai piu gru che questa?».24 Chichibio seguitö: «Egli25 ě, messer, com'io vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farö veder ne' vivi».26 Currado per amore de' forestieri che seco avea non volle dietro alle parole andare,27 ma 35 disse: «Poi che tu di' di farmelo veder ne' vivi, cosa ehe io mai piú non vidi né udi' dir che fosse, e io il voglio veder domattina e sarö contento;28 ma ti giuro in sul corpo di Cristo ehe, se altramenti sarä, ehe29 io ti farö conciare30 in maniera, che tu con tuo danno31 ti ricorderai, sempre che32 tu ci viverai, del nome mio». Finite adunque per quella sera le parole, la mattina seguente, come il giorno apparve, 40 Currado, a cui non era per lo dormire I'ira cessata, tutto ancor gonfiato33 si levö e comandö che i cavalli gli fossero menati;34 e fatto montar Chichibio sopra un ronzino, verso una fiu-mana,35 alla riva della quale sempre soleva in sul far del di vedersi delle gru, nel menö36 di-cendo: «Tosto37 vedremo chi avrä iersera mentito, o tu o io». Chichibio, veggendo che ancora durava l'ira di Currado e che far gli conveniva pruova 45 della sua bugia, non sappiendo come poterlasi fare cavalcava appresso a Currado con la mag-gior paura del mondo, e volentieri, se potuto avesse, si sarebbe fuggito; ma non potendo, ora innanzi e ora adietro e dallato si riguardava, e ciö che vedeva credeva che gru fossero che stessero in due piě.38 23 domandollo...ľaltra coscia: gli do- mandö che fine avessefatto l'altra coscia. 24 non vid'io...che questa?: \forse] non ho mai visto altregru oltre questa? 25 Egli: costrutto, presente nell'italiano trecentesco e spesso usato da Boccaccio, in cui egli ha funzione di soggetto di un verbo impersonale. 26 io il vi farö veder ne' vivi: glielo mo-strerö negli uccelli vivi. ( 506 ) 27 dietro alle parole andare: dare retta alle parole. 28 contento: soddisfatto. 29 che: ripetizione della congiunzione dopo finciso (ě una caratteristica della sintassi delfi-taliano antico, che sottolinea il legame della subordinata con la proposizione principále). 30 conciare: punire. 31 con tuo danno: tuo malgrado. 32 sempre che: finché. 33 gonfiato: adirato. 34 menati: portati. 35 fíumana: corso ďacqua stagnante. 36 nel menó: lo porto. 37 Tosto: presto. 38 e ció...piě: e [: come uríossessione,] credeva di vedere [dappertutto] gru ritte su due zampe. Chichibio crede di vedere ovunque ció che oceupa ossessivamente i suoi pensieri: gru appunto, e naturalmente ritte su due zampe. CAPITOLO 2 > II Decameron Ma giä vicini al fiume pervenuti, gli venner prima che a alcun vedute39 sopra la riva di 50 quello ben dodici gru, le quali tutte in un pie dimoravano, si come quando dormono soglion fare; per che egli, prestamente mostratele a Currado, disse:«Assai bene potete, messer, vedere che iersera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non una coscia e un piě, se voi riguardate a quelle che cola stanno». Currado vedendole disse: «Aspettati,40 che io ti mostrerô che elle n'hanno due», e fattosi 55 alquanto pru a quelle vicino, gridô: «Ho, ho!», per lo qual grido le gru, mandato ľaltro piě giú, tutte dopo alquanti passi cominciarono a fuggire; laonde41 Currado rivolto a Chichibio disse: «Che ti par, ghiottone?42 parti43 che elle n'abbian due?» Chichibio quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venisse,44 rispose: «Messer si, ma voi non gridaste 'ho, ho!' a quella ďiersera; ché se cosi gridato aveste ella avrebbe cosi 60 ľaltra coscia e ľaltro piě fuor mandata, come hanno fatto queste». A Currado piacque tanto questa risposta, che tutta la sua ira si convert! in festa e riso, e disse: «Chichibio, tu hai ragione: ben lo doveva fare».45 Cosi adunque con la sua pronta e sollazzevol46 risposta Chichibio cessô la mala ventura e paceficossi47 col suo signore. G. Boccaccio, Decameron, cit. 39 gli venner...vedute: furono viste da lui prima che da ogni altro. Per Branca l'u-so di venire come ausiliare consente qui all'autore di esprimere una azione improv-visa e casuale. 40 Aspettati: forma riflessiva piu volte usata da Boccaccio, cui pertanto non si do- vrä attribuire un particolare valore espressi-vo (ad esempio, una intenzione minacciosa). 41 laonde: percio. 42 ghiottone: imbroglione. 43 parte: ti pare. 44 non sappiendo...venisse: senza sape-re neanche lui da dove gli venisse [la sua ri- sposta] . Come detto nella presentazione da Neifile, ě l'intervento del caso, della fortuna, che la novella celebra. 45 ben lo doveva fare: avrei fatto bene a farlo. 46 sollazzevol: divertente. 47 paceficossi: si riappacificd. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO_ I tre momenti della novella Questa novella fa parte della Sesta giornata dedicata ai motti di spirito e alle risposte argute. La bre-vitá della novella mira a dare il massimo risalto alia battuta che la conclude. II racconto si articola in tre sequenze ambientate ciascuna in tre luoghi diversi: la prima in cucina, la seconda in sala da pran-zo, la terza in campagna all'alba del giorno successivo. Nella prima sono di fronte Chichibio e Brunet-ta: la situazione ě bassa e l'ambientazione realistica, il linguaggio ě popolaresco con battute in cui si sente l'eco dialettale del veneziano. Nella seconda l'ambiente cambia: ě una cena signorile in cui Currado si presenta nella sua superiorita di padrone di casa. Nella terza padrone e servitore cavalcano fianco a fianco, l'uno sicuro della propria ragione, l'altro incerto e timoroso della prossima inevitabi-le punizione. Un contrasto tra linguaggi diversi A caratterizzare la novella sono la sintassi scorrevole e la naturalezza dei dialoghi. II parlare di Chichibio ě connotato in modo efficace dall'uso del dialetto veneziano in alcune battute. Limpiego del dialetto ě molto raro nel Decameron; in questa novella esso ě funzionale a sottolineare ulteriormente sul piano lin-guistico la distanza sociále e geografica che separa il servo veneziano Chichibio e il ricco padrone fioren-tino Currado. [ 507 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310-> 1380 La nuova morale di Boccaccio Nella novella sono messi di fronte due ambienti e due classi sociali diverse, ma il caso e la paura aiutano a tal punto il rappresentante dello stato inferiore da render possibile, alia fine, e seppure momentanea-mente, una eguaglianza in nome dei valori dello spirito. II signore e il cuoco - il primo per magnanimitá e liberalitá, il secondo per necessitá - se ne rivelano entrambi cultori. Bisogna notáre infatti che valore e disvalore non sono phi fissati una volta per tutte. Chichibio, privando la cena del padrone di una gamba di gru, ha commesso un furto da un punto di vista sociále e un peccato da quello morale; e tuttavia il suo motto finale appare, agli occhi del padrone che pure ě il derubato, un valore capace di equilibrare quel precedente disvalore. La nuova morale ormai controbilancia la vecchia, dando vita a una sorta di relativismo etico del tutto impensabile cinquant'anni prima, all'epoca di Dante. LAVORIAMO SUL TESTO Comprensione e analisi 1. Lingua e lessico ► Spazi e stili diversi sottolineano la distanza sociále tra i personaggi: individuali. 2. Su quale piano ě possibile I'incontro tra signore e cuoco? Interpretazione e commento 3. Elissa contrappone I'ingegno alia fortuna: spiega perché facendo precisi riferimenti alia novella. Confrontare ► Trovaora.tralenovelleletteinpreceden-za, esempi di personaggi che si sono tratti dai guai con I'ingegno. Argomentare ► Perche I'arguzia riscatta il furto e I'im-broglio di Chichibio? E solo un espediente comico o, invece, rimanda a una morale diversa da quella dante-sca? Perche? Rispondi con precisi riferimenti al testo. IL TESTO E OLTRE ► Argomentare Tdigit "I |_VIDE0LEZI0NEj [jAJRjJ . Chichibio: intelligenza o fortuna? Nella videolezione dedicata all'analisi della novella Pietro Cataldi sostiene che il motto di spirito pronuncia- !_ to da Chichibio non ě frutto della sua intelligenza ma della fortuna. Quali elementi della novella avvalorano questa interpretazione? Sei d'accordo con la tesi di Cataldi? Motiva la tua risposta. T12 La novella di Madonna Filippa OPERA Decameron, VI, 7 CONCETTI CHIAVE • le ragioni dell'amore e la forza naturale degli istinti • la forza del linguaggio • la "voce" delle donne La protagonista principále della novella ě una donna di Prato che, accusata di adulterio dal marito e condotta da questi di fronte al giudice, attraverso un abile e brillante uso del linguaggio, riesce non solo a sottrarsi alla condanna, ma anche a difendere pubblicamente i diritti delle donne in amore. La donna risulterä cosi convincente da assicurarsi la comprensione del giudice, ľappoggio degli uomini presenti al processo e la conseguente correzione dello Statuto della cittá. Madonna Filippa, come Ghismunda (cfr. T6, p. 460), ě una donna libera e per nulla disposta a piegarsi alle convenzioni ipocrite di una societa maschilista. Certo, la protagonista di questa novella deve con-frontarsi solo con la meschinitá pavida di un marito geloso; per questo la sua vicenda si chiude non in tragédia, ma in gloria. Assai simili tuttavia sono la determinazione e la scandalosa modernita delle due eroine, accomunate da una ferma e consapevole enunciazione dei diritti delľeros femminile. MADONNA FILIPPA DAL MARITO CON UN SUO AM ANTE TROVATA, CHI AM ATA IN GIUDICIO CON UNA PRONTA E PIACEVOL RISPOSTA SÉ LIBERA E FA LO STATUTO MODIFICARE. ( 508 ) CAPITOLO 2 I II Decameron [...] Nella terra1 di Prato fu giá uno statuto,2 nel vero non men biasimevole che aspro,3 il qua-5 le, senza niuna distinzion fare, comandava che cosi fosse arsa quella donna che dal marito fosse con alcuno suo amante trovata in adulterio, come quella che per denari con qualunque altro uomo stata trovata fosse.4 E durante questo statuto5 awenne che una gentil donna e bella e oltre ad ogn'altra innamorata, il cui nome fu madonna Filippa, fu trovata nella sua propria camera una notte da Rinaldo de' Pu- 10 gliesi suo marito nelle braccia di Lazzarino de' Guazzagliotri, nobile giovane e bello di quella terra, il quale ella quanta sé medesima amava, ed era da lui amata. La qual cosa Rinaldo vedendo, turba-to forte, appena del correr loro addosso e di uccidergli si ritenne; e se non fosse che di sé medesimo dubitava, seguitando Fimpeto della sua ira, Favrebbe fatto.6 Rattemperatosi7 adunque da questo, non si poté temperar8 da voler quello dello statuto pratese, che a lui non era licito di fare, cioě la 15 morte della sua donna.9 E per ció avendo al fallo della donna provare assai convenevole testimo-nianza,10 come il di fu venuto, senza altro consiglio prendere, accusata la donna, la fece richiedere.11 La donna, che di gran cuore era, si come generalmente esser soglion quelle che innamo-rate son da dovero,12 ancora che sconsigliata da molti suoi amici e parenti ne fosse, del tutto dispose di comparire e di voler piú tosto, la veritá confessando, con forte animo morire, che, 20 vilmente fuggendo, per contumacia in essilio vivere e negarsi degna di cosi fatto amante come colui era nelle cui braccia era stata la notte passata.13 E assai bene accompagnata di donne e d'uomini, da tutti confortata al negare, davanti al podesta venuta, domandó con fermo viso e con salda voce quello che egli a lei domandasse.14 II podesta, riguardando costei e veggendola bellissima e di maniere laudevoli molto, e, se- 25 condo che le sue parole testimoniavano, di grande animo, cominció di lei ad aver compassione, dubitando non ella confessasse cosa per la quale a lui convenisse, volendo il suo onor servare, farla morire.15 Ma pur, non potendo cessare di domandarla di quello che apposto 1'era,16 le disse: - Madonna, come voi vedete, qui ě Rinaldo vostro marito, e duolsi17 di voi, la quale egli dice che ha con altro uomo trovata in adulterio; e per ció domanda che io, secondo che uno 1 terra: cittä. 2 statuto: legge. 3 nel vero...aspro: in veritá non meno condannabile che crudele, tanto ingiusta quanto crudele. 4 il quäle...trovata fosse: lo statuto di Prato condannava allo stessa pena (il rogo) sia le donne che tradivano i loro mariti e quelle che lo facevano per denaro. La legge cioě non teneva nessun conto delle motiva-zioni a cui era riconducibile l'adulterio, trat-tando allo stesso modo una donna innamorata e una che, spinta dall'aviditä, si com-portava di fatto come una prostituta. 5 durante questo statuto: mentre era ancora in vigore questa legge. 6 appena...l'avrebbe fatto: si trattenne a stento dall'assalirli e dall'ucciderli; e lo avrebbefatto senz'altro, assecondando l'im-peto della sua ira, se non avesse temuto per se stesso. Rinaldo ha paura: la moglie ě una «gentil donna» di una famiglia in vista; al-trettanto potente ě la famiglia dei Guazzagliotri; non era impossibile, dunque, che qualche membro delle due famiglie reagis-se e si vendicasse uccidendo a sua volta Rinaldo. 7 Rattemperatosi: Trattenutosi. 8 temperar: trattenere. 9 da voler...della sua donna: il compor-tamento di Rinaldo e dettato da un calcolo meschino: raggiungere, grazie a una legge ingiusta e crudele, un risultato che era peri-coloso ottenere subito con la violenza. L'uso che Rinaldo fa della legge e strumentale e cinico, non risponde certo a una legittima esigenza di giustizia. 10 avendo.. .testimonianza: potendo provare in modo inconfutabile la colpa della moglie. 11 la fece richiedere: la cito in giudizio. 12 da dovero: davvero. 13 dispose...la notte passata: decise di comparire in giudizio e di confessare la ve-ritä, affrontando coraggiosamente la morte, piuttosto chefuggire e vivere in esilio do-po essere stata condannata in contumacia, dimostrando cosi di non essere degna di un amante quale era quello tra le cui braccia aveva trascorso la notte precedente. 14 che egli a lei domandasse: di che cosa la accusasse. II fermo viso, la salda voce di Madonna Filippa, e tutto il suo atteggia-mento ricordano quello di Ghismunda nel suo colloquio col padre. 15 II podesta...farla morire: il podesta "vede" subito le qualitä fisiche (alle quali evidentemente non ě insensibile) e morali (il grande animo) di Madonna Filippa, pro-va per lei compassione, e teme di essere co-stretto a condannarla a morte per non venir meno al suo onore di giudice. 16 Ma pur...apposto l'era: Ma pure, non potendo evitare di interrogarla su ció di cui era accusata. II podesta ě in una si-tuazione conflittuale, tra ammirazione per Madonna Filippa e il desiderio di salvarla; e l'esigenza di non tradire ciö che il suo ruolo pubblico prescrive. 17 duolsi: si duole, si lamenta; ma qui il termine ě usato nell'accezione giuridica e vale vi ha denunciatoperché... ( 509 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 30 statuto che ci ě vuole, faccendovi morire di ció vi punisca; ma ció far non posso, se voi nol confessate, e per ció guardate bene quello che voi rispondete, e ditemi se vero ě quello di che vostro marito vaccusa. La donna, senza sbigottire punto, con voce assai piacevole rispose: - Messere, egli ě vero che Rinaldo ě mio marito, e che egli questa notte passata mi trovó 35 nelle braccia di Lazzarino, nelle quali io sono, per buono e per perfetto amore che io gli porto, molte volte stata; né questo negherei mai; ma come io son čerta che voi sápete, le leggi deono esser comuni e fatte con consentimento di coloro a cui toccano18 Le quali cose di questa non awengono, ché essa solamente le donne tapinelle19costrigne, le quali molto meglio che gli uomini potrebbero a molti sodisfare;20 e oltre a questo, non che alcuna donna, quando 40 fatta fu, ci prestasse consentimento, ma niuna ce ne fu mai chiamata;21 per le quali cose me-ritamente22 malvagia si puó chiamare. E se voi volete, in pregiudicio del mio corpo e della vostra anima,23 esser di quella esecu-tore, a voi sta; ma, avanti che ad alcuna cosa giudicar procediate, vi prego che una piccola grazia mi facciate, cioě che voi il mio marito domandiate se io ogni volta e quante volte a lui 45 piaceva, senza dir mai di no, io di me stessa gli concedeva intera copia o no.24 A che Rinaldo, senza aspettare che il podesta il domandasse, prestamente25 rispose che senza alcun dubbio la donna ad ogni sua richiesta gli aveva di sé ogni suo piacere conceduto. - Adunque, - segui prestamente la donna - domando io voi, messer podesta, se egli ha sempře di me preso quello che gli ě bisognato e piaciuto, io che doveva fare o debbo di quel 50 che gli avanza? Debbolo io gittare ai cani? Non ě egli molto meglio servirne un gentile uomo che piú che sé mama, che lasciarlo perdere o guastare?26 Eran quivi a cosi fatta essaminazione, e di tanta e si famosa donna,27 quasi tutti i pratesi concorsi, li quali, udendo cosi piacevol risposta, subitamente, dopo molte risa, quasi ad una voce tutti gridarono la donna aver ragione e dir bene; e prima che di quivi si partissono, a ció 55 confortandogli il podesta, modificarono il crudele statuto e lasciarono che egli s'intendesse solamente per quelle donne le quali per denari a' lor mariti facesser fallo.28 Per la qual cosa Rinaldo, rimaso di cosi matta impresa confuso, si parti dal giudicio; e la donna lieta e libera, quasi dal fuoco risuscitata, alla sua casa se ne torno gloriosa.29 G. Boccaccio, Decameron, cit. 18 le leggi...toccano: le leggi debbono es-sere ugualiper tutti e esserefatte con lappro-vazione di coloro ai quali si applicano. 19 donne tapinelle: povere donne. 20 le quali...sodisfare: ě 1'affermazione piú "scandalosa" di Madonna Filippa, per-ché con essa vengono rivendicati la diversi-tä e i diritti dell'eros femminile. Queste parole sono molto piú eversive di quelle che subito dopo vengono aggiunte (cfr. nota 21) e che rispondono a una logica tecnico-giu-ridica tipicamente maschile. 21 non che...chiamata: non solo non fu approvata da nessuna donna quando fu fatta, ma non si pensó nemmeno di convocare una donna per approvarla: questa seconda parte puó anche essere intesa ma nessuna (510) donna prima d'orafu maicitata in giudizio per rispondere di questa legge. 22 meritamente: giustamente, a buon di-ritto. 23 in pregiudicio: con danno. 24 io di me stessa...copia o no: mi sono concessa o no interamente a lui. 25 prestamente: prontamente, subito. 26 - Adunque...guastare?: la Sesta gior-nata del Decameron e quella nella quäle «si ragiona di chi con alcuno leggiadro motto, tentato, si riscosse, o con pronta risposta o avvedimento fuggi perdita o pericolo o scor-no» e non c'e alcun dubbio che la risposta di Madonna Filippa sia "leggiadra e pronta"; proprio per questo risulta efficace. 27 Eran...concorsi: Quasi tutti i pratesi erano venuti in tribunále per assistere all'in-terrogatorio di una donna tanto nobile efamosa. 28 prima che...facesser fallo: lo statuto pratese viene subito modificato: da quel momenta sarebbe stato in vigore solo per le donne che avessero tradito i mariti per de-naro. 29 Per la qual cosa...gloriosa: la sconsi-derata iniziativa (matta impresa) di Rinaldo si conclude con una sonora sconfitta, mentre d'altra parte la prontezza di spirito e la liberta da ogni convenzione e pregiudi-zio maschilista, che fanno di Madonna Filippa una donna moderna, vengono giustamente premiate. E almeno nella finzione letteraria la storia finisce "in gloria". CAPITOLO 2 I II Decameron ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO_ Una paladina dei diritti delle donne Questa novella ě la settima della Sesta giornata del Decameron, quella retta da Elissa e dedicata alle novelle sull'«Efficacia dei motti di spirito o delle argute risposte». II novellatore in questo caso ě Fi-lostrato. Madonna Filippa viene sorpresa dal marito tra le braccia di un giovane e nobile amante, Lazzarino. II marito, Rinaldo de' Pugliesi, la trascina in giudizio pensando di sfruttare a proprio vantaggio una crudele legge di Prato che condannava al rogo tutte le adultere, quale che fosse la natura delľadulterio. Di fronte al podesta, Madonna Filippa difende «con fermo viso e con salda voce» le ragioni proprie e di tutte le donne, ottenendo di aver salva la vita e, insieme, che venisse subito modificato lo «statuta» pratese a cui Rinaldo si era appellate. Madonna Filippa non mente, non ne-ga di essere stata con Lazzarino, anzi aggiunge ehe hanno fatto ľamore taňte volte. II punto di forza della sua argomentazione ě il punto debole della legge che la condanna, una legge a cui nessuna donna aveva mai dato il suo assenso e per questo da considerarsi iniqua. Laver poi soddisfatto sempre le richieste sessuali del marito mette in una luce diversa il suo adulterio: a Lazzarino ha dato il su-perfluo, quel che «avanzava». Lo stile e il potere del linguaggio Prevale nel Decameron, come anche nella novella di Madonna Filippa, ľuso di uno stile ipotattico, carat-terizzato da un periodare complesso, con la presenza di molti nessi logici e di molte proposizioni alľin-terno di un'unica frase. Si tratta di uno stile di serittura ehe certamente risente della costruzione della sintassi latina e greca e ehe giä prelude alľUmanesimo. Per quanto riguarda il linguaggio, nella novella di Madonna Filippa Boccaccio afferma, attraverso Fi-lostrato, che «bella cosa ě in ogni parte saper ben parlare [...]; il ehe si ben seppe fare una gentil donna [...] ehe non solamente festa e riso porse agli uditori, ma sé de' lacci di vituperosa morte disviluppö». C e in questa affermazione la consapevolezza delľimportanza ehe ha nella societa la gestione del linguaggio e della comunicazione. Altre novelle del Decameron mostrano personaggi ehe traggono vantaggio dalle loro abilitä linguistiche: ě questo il caso di frate Cipolla (cfr. T13, p. 512) o di Chichibio (cfr. T11, p. 504). Tuttavia, ľesaltazione del virtuosismo linguistico non si limita alia sféra maschile. Con la parola, infatti, Filippa rovescia la situazione, ma anche i valori costituiti, ehe quella legge in qualche modo tutelava: alia fine Lazzarino ě «un gentile uomo», la legge un «crudele statuto», Filippa una donna «gloriosa». Ed ě questo un rovesciamento che vede tutti d'aecordo («tutti gridarono la donna aver ragione e dir bene»); «confuso» ě solo Rinaldo, il marito, a cui non resta che uscire di scena («si parti dal giudicio»). Le ragioni delle donne Madonna Filippa impersona un tipo di donna diverso da quello consueto nelľepoca di Boccaccio. E una donna che, difendendo il diritto alľamore, si sottrae a tabu e costrizioni riguardanti la castitä e la fedeltä coniugale. Filippa esprime con energia le ragioni delle donne: ľadulterio come diritto alia piena soddisfa-zione erotica; la liberta di disporre del proprio corpo; il diritto, anche per le donne, di fare le leggi. Esclu-se per secoli dall'uso pubblico del linguaggio, con Boccaccio finalmente le donne sembrano appropriar-si della parola per difendere i propri diritti: lo fa la Madonna Fiammetta delYElegia (cfr. cap. 2, § 2 e T3, p. 385); lo fanno, nelle novelle del Decameron, Filippa, Bartolomea (II, 10), Ghismunda (cfr. T6, p. 460); lo fa Pampinea nel dialogo con Filomena ed Elissa dell'Introduzione alla Prima giornata. Tuttavia, nel Decameron, Boccaccio rappresenta da un lato donne energiche e attive, dalľaltro mostra invece donne vittime della misoginia del tempo e subordinate alľuomo come nella novella di Calandrino e ľelitropia (cfr. T15, p. 525). D'altra parte, Boccaccio stesso, che nel Decameron fa delle donne le sue «Muse», non si sottrarrä nel Corbaccio (cfr. cap. 1, § 3 e T4, p. 389) a forme di misoginia e di moralismo religioso tipici del Medioevo. [511] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 LAVORIAMO SUL TESTO_ Comprensione e analisi 1. Riassumere ► Dividi la novella in sequenze ed esegui il riassunto. 2. Grazie a quali doti e abilitä Madonna Filippa riesce a sot-trarsi alia condanna e a difendere i diritti delle donne? 3. Madonna Filippa sostiene che la legge che vuole con-dannarla a morte e ingiusta. In base a quali motivi? 4. Parafrasare ► Qui sotto e riportato un periodo del testo, che fornisce un esempio dello stile ipotattico del Decameron. Fanne la parafrasi, trasformandolo in uno stile meno complesso e piü consono all'uso contemporaneo. «La donna, che di gran cuore era, si come generalmen-te esser soglion quelle che innamorate son da dovero, ancora che sconsigliata da molti suoi amici e parenti ne fosse, del tutto dispose di comparire e di voler piú tosto, la veritä confessando, con forte animo morire, che, vil-mente fuggendo, per contumacia in essilio vivere e ne-garsi degna di cosi fatto amante come colui era nelle cui braccia era stata la notte passata». Interpretazione e commento 5. Argomentare ► Madonna Filippa incarna un tipo di donna assai diverso da quello rappresentato dallo Stil novo, da Dante e da Petrarca. Quali possono essere le ragioni di tale differenza? Elenca quelle che ritieni piu significative. 6. Argomentare ► Qualéil messaggiofondamentaledella novella? Per rispondere, tieni presenteil terna delia Sesta giornata. T13 La novella di frate Cipolla OPERA Decameron, VI, 10 CONCETTI CHIAVE • ľambiguitä di frate Cipolla • paródia e abilitä linguistics nel discorso di frate Cipolla Ě la decima novella delia Sesta giornata, narrata da Dioneo. Qui la satira contro la corruzione delia Chiesa convive con il gusto del comico: il protagonista, frate Cipolla, ě un geniale inventore di trovate anche linguistiche volte a sbalordire la folia. La sua figura ambigua ě indubbiamente guardata con simpatia dal narratore che si compiace del doppio senso delle battute del suo personaggio, diverten-dosi con lui e facendo divertire il lettore. FRATE CIPOLLA PROMEŤTE A CERTICONTADINI DI MOSTRARE LORO LA PENNA DELLO AGNOLO GABRIELLO;1 IL LUOGO DELLA QUALE TROVANDO CARBONI, QUEGLI DICE ESSER DI QUEGLI CHE ARROSTIRONO SAN LORENZO. [...] Certaldo, come voi forse avete potuto udire, ě un castel2 di Valdelsa posto nel nostra 5 contado, il quale, quantunque piccol sia, giá di nobili uomini e d'agiati fu abitato; nel quale, per ció che buona pastura3 vi trovava, usó un4 lungo tempo d'andare ogni anno una volta a ricoglier le limosine5 fatte loro dagli sciocchi un de' frati di santo Antonio, il cui nome era frate Cipolla, forse non meno per lo nome che per altra divozione vedutovi volentieri,6 con ció sia cosa che7 quel terreno produca cipolle famose per tutta Toscana. Era questo frate Ci- 1 delľagnol Gabriello: dall'arcangelo Gabriele. 2 castel: borgo, sorto intorno ad un ca-stello fortificato. Certaldo era ben noto a Boccaccio, che vi era nato (la sua famiglia ne era originaria), e a cui rimarrä legato, fi- (512) no a scegliere di ritirarvisi nell'ultima parte della vita. 3 pastura:pasto, nutrimento; qui con iro-nico riferimento alle laute elemosine degli ingenui e creduloni certaldesi. 4 usö an: fu solito per. 5 limosine: elemosine. 6 forse...volentieri: frate Cipolla ě ben visto dai certaldesi anche per il suo nome, perché la cipolla ě il prodotto tipico della zona, come si dice subito dopo. 7 con ció sia cosa che: poiché. CAPITOLO 2 I II Decameron - 1 o polia di persona piccolo, di pelo rosso e lieto nel viso e il miglior brigante8 del mondo: e oltre a questo, niuna scienza avendo,9 si ottimo parlatore e pronto era, che chi conosciuto non ľavesse, non solamente un gran rettorico ľavrebbe estimato, ma avrebbe detto esser Tulio medesimo o forse Quintiliano:10 e quasi di tutti quegli della contrada era compare o amico o benvogliente.11 15 II quale, secondo la sua usanza, del mese ďagosto tra ľaltre v'andö una volta; e una dome-nica mattina, essendo tutti i buoni uomini e le femine delle ville da torno12 venuti alia messa nella calonica,13 quando tempo gli parve, fattosi innanzi disse: «Signori e donne,14 come voi sapete, vostra usanza ě di mandare ogni anno a' poveri del baron messer15 santo Antonio del vostro grano e delle vostre biade, chi poco e chi assai, secondo il podere e la divozion sua, ac- 20 ciö ehe il beato santo Antonio vi sia guardia de' buoi e degli asini e de' porci e delle pecore vostre;16 e oltre a ciö solete pagare, e spezialmente quegli ehe alia nostra compagnia seritti sono,17 quel poco debito18 ehe ogni anno si paga una volta. Alle quali cose ricogliere io sono dal mio maggiore,19 cioě da messer ľabate, stato mandato; e per ciö con la benedizion di Dio, dopo nona,20 quando udirete sonare le campanelle, verrete qui di fuori della chiesa la dove io 25 al modo usato vi farö la predicazione, e bascerete21 la croce; e oltre a ciö, per ciö che divotis-simi tutti vi conosco del barone messer santo Antonio, di spezial grazia22 vi mostrerö una santissima e bella reliquia, la quale io medesimo giä recai dalle šante terre ďoltremare: e questa ě una delle penne delľagnol Gabriello, la quale nella camera della Vergine Maria rimase quando egli la venne e annunziare in Nazarette».23 E questo detto si tacque e ritornossi24 alla 30 messa. Erano, quando frate Cipolla queste cose diceva, tra gli altri molti nella chiesa due giovani astuti molto, chiamato 1'uno Giovanni del Bragoniera e ľaltro Biagio Pizzini,25 li quali, poi che alquanto tra sé ebbero riso della reliquia di frate Cipolla, ancora che molto fossero suoi amici e di sua brigata, seco proposero di fargli di questa penna aleuna beffa.26 E avendo saputo che 35 frate Cipolla la mattina desinava nel castello27 con un suo amico, come a tavola il sentirono cosi se ne scesero alla strada,28 e alľalbergo dove il frate era smontato se n'andarono con questo proponimento,29 che Biagio dovesse tenere a parole il fante30 di frate Cipolla e Giovanni dovesse tralle cose del frate cercare di questa penna, chente che ella si fosse, e torgliele,31 per vedere come egli di questo fatto poi dovesse al popol dire. 8 brigante: compagno di brigata, cioě compagnone. 9 niuna scienza avendo: [pur] non avendo cultura. 10 non...Quintiliano: non soltanto lo avrebbe stimato un grande oratoře ma avrebbe detto ehe egli era Cicerone (Tulio) stesso o forse Quintiliano; cioě una delle due maggiori autorita nelľambito degli studi rétorici nel Medioevo. 11 compare...benvogliente: in grande familiaritä (compare), amico o buon cono-scente. 12 da torno: della campagna circostante. 13 calonica: canonica, chiesa parrocehia-le o abitazione del parroco. 14 donne: appellativo equivalente a "signore" non ancora in uso (Branca). 15 baron messer: il titolo di barone po-teva essere attribuito anche a un santo (cosi Dante in Par. XXIV, 115 e XXV, 17). 16 guardia...vostre: sant'Antonio abate (da non confondere con sant'Antonio da Padova) era protettore degli animali. 17 alia...sono: sono iscritti alia nostra confraternita. 18 poco debito: modesto contributo. 19 maggiore: superiore. 20 nona: tre pomeridiane circa. 21 bascerete: bacerete. 22 di spezial grazia: per concessione stra-ordinaria. 23 Nazarette: Nazaret; per sante terre ďoltremare, poco sopra, s'intende eviden-temente la Palestina. 24 si tacque e ritornossi: tacque e torno. 25 Giovanni...Pizzini: membri di fami-glie effettivamente vissute a Certaldo; a pro-posito di un Pizzini, si ha notizia che fu garante del padre di Boccaccio in un affare (Branca). 26 seco...beffa: si riproposero di fargli una beffa a proposito di talepenna. 27 desinava nel castello:pranzava nella parte alta delpaese. 28 scesero alla strada: scesero verso la strada principále, nella parte bassa del borgo. 29 proponimento: proposito. 30 dovesse...fante: dovesse intrattenere [: distrarre] parlando il servo. 31 chente...e torgliele: quale (chente) che ella fosse, e sottrargliela. [513] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 40 Aveva frate Cipolla un suo fante, il quale alcuni chiamavano Guccio Balena e altri Guccio Imbratta, e chi gli diceva Guccio Porco,32 il quale era tanto cattivo,33 che egli34 non ě vero che mai Lippo Topo ne facesse alcun cotanto.35 Di cui spesse volte frate Cipolla era usato di mot-teggiare36 con la sua brigata e di dire: «11 fante mio ha in sé nove cose tali che, se qualunque ě 1'una di quelle fosse in Salamone o in Aristotile o in Seneca, avrebbe forza di guastare ogni lor 45 vertú, ogni lor senno, ogni lor santitá.37 Pensate adunque che uom dee essere egli, nel quale né vertú né senno né santitá alcuna ě, avendone nove!»; e essendo alcuna volta domandato quali fossero queste nove cose e egli, avendole in rima messe, rispondeva: «Dirolvi: egli ě tardo, sugliardo38 e bugiardo; negligente, disubidiente e maldicente; trascutato,39 smemorato e scostumato; senza che egli ha alcune altre teccherelle con queste, che si taccion per lo mi- 50 gliore.40 E quel che sommamente ě da rider de' fatti suoi ě che egli in ogni luogo vuol pigliar moglie e tor casa a pigione;41 e avendo la barba grande e nera e unta, gli par si forte42 esser bello e piacevole, che egli savisa43 che quante femine il veggano tutte di lui s'innamorino, e essendo lasciato, a tutte andrebbe dietro perdendo la coreggia.44 Ě il vero che egli rríě ďun grande aiuto, per ció che mai niun non mi vuol si segreto45 parlare, che egli non voglia la sua 55 parte udire; e se avviene che io ďalcuna cosa sia domandato,46 ha si gran paura che io non sappia rispondere, che prestamente risponde egli e si e no, come giudica si convenga». A costui, lasciandolo allalbergo, aveva frate Cipolla comandato che ben guardasse che alcuna persona non toccasse le cose sue, e spezialmente le sue bisacce,47 per ció che48 in quelle erano le cose sacre. Ma Guccio Imbratta, il quale era piú vago di staré in cucina che sopra i verdi rami 60 Fusignuolo, e massimamente se fante vi sentiva niuna,49 avendone in quella dellbste una veduta, grassa e grossa e piccola e mai fatta, con un paio di poppe che parean due ceston da letame e con un viso che parea de' Baronci,50 tutta sudata, unta e affumicata, non altramenti che si gitti Favoltoio alla carogna, lasciata la camera di frate Cipolla aperta e tutte le sue cose in abban-dono, lá si caló; e ancora che ďagosto fosse, postosi presso al fuoco a sedere, cominció con costei, 65 che Nuta51 aveva nome, a entrare in parole52 e dirle che egli era gentile uomo per procuratore53 32 Guccio...Porco: perché evidentemen-te grosso di corporatura e sempře molto sporco. Documenti del tempo attestano l'e-sistenza di un Guccio Porcellana o Porcel-loni custode dell'Ospedale di San Filippo, e abitante nel quartiere di Boccaccio. 33 cattivo: inetto, pieno di difetti (altri interpreta: vizioso). 34 egli: soggetto di verbo impersonale. 35 Lippo...cotanto: Lippo Topo ne com-binasse di altrettanto grosse (alcun cotanto), secondo taluni commentatori; secondo altri invece, che si riferiscono a Lippo Topo come a un pittore di scarso talento noto so-prattutto per le sue arguzie grossolane, il passo significherebbe: Lippo Topo non ri-trasse mai uno [chefosse] altrettanto inetto. 36 motteggiare: scherzare. 37 qualunque...santitá: una qualsiasi delle quali, se fosse in Salomone [: re ďlsra-ele cui si attribuiscono vari libri della Bib-bia, noto per la sua saggezza], Aristotele [: simboleggia il sapere, la ragione] o Seneca [: simbolo della tensione morale] avrebbe la forza di corromperne saggezza (vertú), ragione, moralita. Anche qui, come sopra per i soprannomi di Guccio, e come piú oltre nella descrizione di frate Cipolla, si ripete la serie di tre (in questo caso nomi). 38 Dirolvi...sugliardo: Ve lo dirô: epigro, sporco. 39 trascutato: trascurato, negligente. 40 senza che...migliore: senza [contare ilfatto] che ha, insieme a queste, alcune altre pecche minori (taccherelle), di cui e me- glio tacere. 41 tor...pigione: affittare una casa (tor = togliere = prendere). 42 si forte: tanto. 43 s'avisa: ritiene. 44 perdendo la coreggia: anche se per-desse la cintura. Correrebbe dietro alle donne anche se Stesse perdendo i pantaloni. 45 si segreto: tanto segretamente. 46 domandato: interrogato. 47 bisacce: sacche. 48 per cio che: poiche. 49 il quale...niuna: che era piu desidero-so (vago) di stare in cucina di quanto (che) [lo sia] un usignolo [di starsene] sui verdi rami, e soprattutto (massimamente) se si ac-corgeva che c'era qualche serva. 50 de' Baronci: proverbiale riferimento ad una famiglia fiorentina nota per la stra-ordinaria bruttezza dei suoi componenti. Tutta la descrizione della serva e speculare a quella di Guccio Imbratta. 51 Nuta: diminutivo di Benvenuta. 52 a entrare in parole: a cominciare a chiacchierare. 53 gentile uomo per procuratore: nobi-le in rappresentanza di qualcun altro; il di-scorso di Guccio Porco significa che egli non e un gentiluomo, ma questa informazione e data in modo tale da poter essere interpre-tata dall'ascoltatrice come ostentazione di nobilta. Proprio in questo il discorso di Guccio Imbratta e una rozza, caricaturale imita-zione della eloquenza di frate Cipolla. [514) CAPITOLO 2 I II Decameron - e che egli aveva de' fiorini piú di millantanove, senza quegli che egli aveva a dare altrui, che erano anzi piú che meno,54 e che egli sapeva taňte cose fare e dire, che domine pure unquan-che.55 E senza riguardare a un suo cappuccio sopra il quale era tanto untume, ehe avrebbe condito il calderon d'Altopascio,56 e a un suo farsetto rotto e ripezzato57 e intorno al collo e 70 sotto le ditella58 smaltato di sucidume, con piú macehie e di piú colori ehe mai drappi fossero tartereschi o indiáni,59 e alle sue scarpette tutte rotte e alle calze sdrucite, le disse, quasi stato fosse il siri di Ciastiglione,60 ehe rivestir la voleva e rimetterla in arnese e trarla di quella cat-tivitä di star con altrui61 e senza gran possession d'avere62 ridurla in isperanza di miglior fortuna e altre cose assai: le quali quantunque molto affettuosamente63 le dicesse, tutte in 75 vento convertite,64 come le piú delle sue imprese facevano, tornarono in niente. Trovarono adunque i due giovani Guccio Porco intorno alia Nuta occupato; della qual cosa contenti, per ciö che mezza la lor fatica era cessata,65 non contradicendolo alcuno66 nella camera di frate Cipolla, la quale aperta trovarono, entrati, la prima cosa che venne lor presa67 per cercare fu la bisaccia nella quale era la penna; la quale aperta, trovarono in un gran 80 viluppo di zendado fasciata68 una piccola cassettina; la quale aperta, trovarono in essa una penna di quelle della coda d'un pappagallo, la quale awisarono69 dovere esser quella che egli promessa avea di mostrare a' certaldesi. E certo egli il poteva a quei tempi leggiermente70 far credere, per ciö che ancora non erano le morbidezze d'Egitto,71 se non in piccola quantitä, trapassate in Toscana, come poi in grandissima copia con disfacimento di tutta Italia son 85 trapassate:72 e dove che eile poco conosciute fossero,73 in quella contrada quasi in niente74 erano dagli abitanti sapute; anzi, durandovi ancora la rozza onestä degli antichi, non che ve-duti avessero pappagalli ma di gran lunga la maggior parte mai uditi non gli avea ricordare.75 Contenti adunque i giovani d'aver la penna trovata, quella tolsero76 e, per non lasciare la cassetta vota, vedendo carboni in un canto77 della camera, di quegli la cassetta empierono; e 90 richiusala e ogni cosa racconcia78 come trovata avevano, senza essere stati veduti, lieti se ne venero con la penna e cominciarono a aspettare quello che frate Cipolla, in luogo della penna trovando carboni, dovesse dire. Gli uomini e le femine semplici che nella chiesa erano, udendo che veder dovevano la penna dell'agnol Gabriello dopo nona, detta la messa, si tornarono a casa; e dettolo I'un vici- 95 no alľaltro e ľuna comare all'altra, come desinato ebbero ogni uomo,79 tanti uomini e tante 54 millantanove...meno: millanta ě un numero di fantasia, con cui si vorrebbe in-dicare una quantitä enorme, subito negata dalla precisazione ehe i suoi debiti erano di entitä maggiore. 55 domine pure unquanche: che mai (unquanche) il suo padrone (domine) avrebbe saputo fare altrettanto. 56 calderon d'Altopascio: quello, enorme, in cui i monaci di quella abbazia cuoce-vano la minestra per i poveri; la sua gran-dezza era diventata proverbiale. 57 farsetto rotto e ripezzato: sopravve-ste sdrucita e rattoppata. 58 ditella: ascelle. 59 ehe...indiáni: di quanto non fossero le stoffe tartare o indiáne [: orientali], note per i loro molti e sgargianti colori. 60 siri di Ciastiglione: signore di Chatil-lon, cioě un signore enormemente ricco. 61 rimetterla in...con altrui: rimetterla in sesto e liberarla da quella condizione di servitú presso altri. 62 senza...avere: senza grandi riechezze. 63 affettuosamente: appassionatamente. 64 in vento convertite: trasformate in aria, cioě intese come vuote parole. 65 cessata: evitata. 66 non contradicendolo alcuno: senza che alcuno lo impedisse. 67 venne lor presa: accadde loro dipren-dere. 68 in un...fasciata: avvolta in un gran drappo di seta e lino. 69 avvisarono: supposero. 70 leggiermente: facilmente. 71 morbidezze d'Egitto: raffinatezze orientali. 72 in...trapassate: in grandissima quantitä (copia) si sono diffuse, con effetti di-struttivi, in tutta 1'Italia. 73 dove che...fossero: se in qualche luogo [tali costumi raffinati] erano poco cono-sciuti. 74 in niente: per niente. 75 non che veduti...ricordare: la maggior parte dei certaldesi non solo non aveva mai visto dei pappagalli (non che veduti) ma neanche ne aveva mai sentito parlare. 76 tolsero: presero. 77 canto: angolo. 78 racconcia: rimessa a posto. 79 come...uomo: come tutti ebbero pran-zato. [515) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 femine concorsono nel castello,80 che appena vi capeano,81 con disidero aspettando di veder questa penna. Frate Cipolla, avendo ben desinato e poi alquanto dormito, un poco dopo nona levatosi e sentendo la moltitudine grande esser venuta di contadini per dovere la penna vedere, mando a82 Guccio Imbratta che la sú con le campanelle venisse e recasse le sue bisacce. 100 II quale, poi che con fatica dalla cucina e dalla Nuta si fu divelto,83 con le cose addimandate con fatica lassú nando: dove ansando giunto, per ció che il ber dellacqua gli avea molto fatto crescere il corpo, per comandamento di frate Cipolla andatone in su la porta della chiesa, forte incominció le campanelle a sonare.84 Dove, poi che tutto il popolo fu ragunato,85 frate Cipolla, senza essersi aweduto che niuna 105 sua cosa fosse stata mossa, cominció la sua predica e in acconcio de' fatti suoi86 disse molte parole; e dovendo venire al mostrar della penna87 dellagnol Gabriello, fatta prima con gran solen-nitá la confessione,88 fece accender due torchi89 e soavemente sviluppando90 il zendado, aven-dosi prima tratto91 il cappuccio, fuori la cassetta ne trasse. E dette primieramente92 alcune pa-rolette a laude e a commendazione93 dellagnolo Gabriello e della sua reliquia, la cassetta aperse. 110 La quale come piena di carboni vide, non sospicó94 che ció Guccio Balena gli avesse fatto, per ció che nol conosceva da tanto,95 né il maladisse del male aver guardato che altri ció non faces-se, ma bestemmió96 tacitamente sé, che a lui la guardia delle sue cose aveva commessa,97 cono-scendol, come faceva, negligente, disubidente, trascutato e smemorato.98 Ma non per tanto, senza mutar colore, alzato il viso e le mani al cielo, disse si che da tutti fu udito: «0 Idio, lo- 115 data sia sempře la tua potenzia!». 80 concorsono nel castello: affluirono nella parte alta delpaese, dov'era la chiesa. 81 capeano: entravano. 82 mando a: mando a dire. 83 divelto: strappato, cioě allontanato con fatica. 84 forte...sonare: lo prevedeva la procedura seguita in occasione della esposizione di reliquie. 85 ragunato: radunato. 86 in acconcio de' fatti suoi: secondo quanto richiesto dal suo disegno, cioe esibi-re la penna di pappagallo come appartenu-ta all'angelo Gabriele (secondo altri com-mentatori: a sostegno del suo obiettivo: otte-nere generöse elemosine). 87 venire...penna: arrivare a mostrare la penna. 88 fatta...confessione: recitato solenne-mente il Confiteor. 89 torchi: ceri. 90 soavemente sviluppando: delicata- mente svolgendo. 91 avendosi...tratto: dopo essersi tolto. 92 primieramente: dapprima. 93 laude e commendazione: lode e gloria. 94 sospico: sospettb. 95 conosceva da tanto: riteneva capace di tanto. 96 bestemmio: maledisse. 97 commessa: affidata. 98 come faceva...smemorato: come lo conosceva; gli aggettivi in rima sono quelli stessi gia usati per descrivere Guccio. (J Frate Cipolla, miniatura dal manoscritto Fr. 239, quarto decennio del XV secolo ca. Parigi, Bibliothěque Nationale de France. [516) CAPITOLO 2 I II Decameron - Poi richiusa la cassetta e al popolo rivolto disse: «Signori e donne, voi dovete sapere che, essendo io ancora molto giovane, io fui mandato dal mio superiore in quelle parti dove appari-sce il sole," e fummi commesso con espresso comandamento100 che io cercassi tanto che io trovassi i privilegi del Porcellana,101 li quali, ancora che a bollar niente costassero,102 molto 120 piú utili sono a altrui che a noi. Per la qual cosa messom'io in cammino, di Vinegia partendo-mi e andandomene per lo Borgo de' Gréci e di quindi per lo reame del Garbo cavalcando e per Baldacca, pervenni in Parione, donde, non senza sete, dopo alquanto pervenni in Sardi-gna.103 Ma perché vi vo io tutti i paesi cerchi da me divisando?104 Io capitai, passato il Braccio di San Giorgio, in Truffia e in Buffia,105 paesi molto abitati e con gran popoli; e di quindi106 125 pervenni in terra di Menzogna, dove molti de' nostri frati e d'altre religioni107 trovai assai, li quali tutti il disagio108 andavan per ľamor di Dio schifando,109 poco dell'altrui fatiche curandosi dove la loro utilita vedessero seguitare,110 nulla altra moneta spendendo che senza conio111 per quei paesi: e quindi passai in terra d'Abruzzi, dove gli uomini e le femine vanno in zocco-li su pe' monti, rivestendo i porci delle lor busecchie medesime,112 e poco piu la trovai gente 130 che portano il pan nelle mazze e '1 vin nelle sacca:113 da' quali alle montagne de' bachi114 pervenni, dove tutte I'acque corrono alia 'ngiú. E in brieve tanto andai adentro, che io pervenni mei infino in India Pastinaca,115 la dove io vi giuro per I'abito che io porto addosso che io vidi volare i pennati,116 cosa incredibile a chi non gli avesse veduti; ma di ciô non mi lasci mentire Maso del Saggio,117 il quale gran mercatante io trovai la, che schiacciava noci e vendeva gusci 135 a ritaglio.118 Ma non potendo quello che io andava cercando trovare, per ciô che da indi119 in la si va per acqua, indietro tornandomene, arrivai in quelle sante terre dove I'anno di state vi vale il pan freddo quatro denári e il caldo ve per niente.120 E quivi121 trovai il venerabile padre 99 dove apparisce il sole: dove si vede il sole; affermazione priva in se di significato: non falsa, ma detta sapendo che gli ingenui certaldesi capiranno dove nasce il sole (cioe in Oriente); essi si aspettano infatti il rac-conto del viaggio awenturoso durante il quale egli e entrato in possesso della reliquia (e probabile che il racconto di frate Cipolla tragga ispirazione proprio dalle narrazioni di viaggi nei luoghi santi, sottogenere della letteratura di viaggio). Frate Cipolla ingan-na dicendo la verita. 100 fummi...comandamento: mifu af-fidato Vincarico con ordine esplicito. 101 privilegi del Porcellana: i documen-ti relativi alia concessione di diritti (privilegi) del Porcellana, nome sia dell'Ospedale di San Filippo di cui Guccio era custode che di Guccio stesso; tanto questa affermazione di frate Cipolla che quelle che seguiranno, relative alle (presunte) tappe del suo itine-rario, acquistano per i certaldesi, che nulla capiscono in realta del discorso del frate, un sapore esotico; cfr. nota 99. 102 ancora...costassero: sebbene non co-stasse nulla apporvi una bolla [: un'appro-vazione ufficiale]. 103 Vinegia...Sardigna: si tratta di nomi di vie o localitä di Firenze che si incontrano procedendo da est a ovest della cittä, me-diante i quali si vuole suggerire perö quelli di terre lontane come Venezia, Grecia, Algar-vio (Garbo), Bagdad (Baldacca), Sardegna. 104 i paesi...divisando: descrivendo i paesi da me visitati (cerchi). 105 passato...Buffia: San Giorgio ě il nome di una via e di una localitä florentine e Braccio di San Giorgio era denominato an-che lo stretto del Bosforo; quanto a Truffia e Buffia sono i nomi fantastici dei paesi dei truffatori e dei beffatori. 106 di quindi: di qui. 107 religioni: ordini religiosi. 108 disagio: povertä. 109 schifando: evitando. 110 la loro...seguitare: vedessero pro-dursi un loro vantaggio. 111 nulla altra...conio: non spendendo moneta che non Josse falsa [: le indulgenze, o, secondo altri, le vane chiacchiere]. 112 rivestendo...medesime: rivestendo la carne del maiale con le sue Stesse budella, cioě insaccandola per fare salumi. 113 il pan...sacca: le ciambelle del pane sui bastoni e il vino negli otri; ě l'ultima delle abitudini degli abitanti della terra d'A- bruzzo (qui per alludere a terre lontane e poco conosciute) descritte come straordi-narie pur non essendolo affatto e che con-tengono probabili allusioni oscene a prati-che sessuali devianti. 114 bachi: baschi. 115 mei...Pastinaca:persino (mei) in India; la 'pastinaca^ qui attributo misterioso di India, ě in realtä una radiče commestibile di sapore dolciastro. 116 pennati: attrezziper lapotatura della viti, ma anche: pennuti. 117 Maso del Saggio: personaggio noto per le sue burle, chiamato qui a garantire la veridicitä di quanto viene raccontato con la consueta considerazione ovvia - qui: non mi lasci mentire - enfatica e allusiva quanto ě necessario per frastornare gli ingenui ascoltatori. 118 a ritaglio: al dettaglio. 119 da indi: da quel luogo. 120 ľanno...niente: i certaldesi, che si at-tendono notizie straordinarie di luoghi lonta-ni, intenderanno che in estate in quei luoghi il pane raffermo (freddo) costa quattro denari e quello caldo niente, mentre si ě affermato soltanto che il caldo d'estate non costa niente. 121 quivi: li. (517) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 messer Nonmiblasmete Sevoipiace,122 degnissimo patriarca di Ierusalem. II quale, per reve-renzia123 dellabito che io ho sempře portato del baron messer santo Antonio, volle che io 140 vedessi tutte le sante reliquie le quali egli appresso di sé aveva; e furon taňte che, se io ve le volessi tutte contare, io non ne verrei a capo in parecchie miglia,124 ma pure, per non lasciar-vi sconsolate,125 ve ne diró alquante.126 Egli primieramente mi mostró il dito dello Spirito Santo cosi intero e saldo come fu mai, e il ciuffetto del serafino che apparve a san Francesco, e una dellunghie de' gherubini, e una delle coste del Verbum-caro-fatti-alle-finestre127 e de' 145 vestimenti della santa Fé128 catolica, e alquanti de' raggi della stella che apparve a' tre Magi in Oriente, e una ampolla del sudore di san Michele quando combatté col diavole,129 e la mascel-la della Mořte di san Lazzero130 e altre. E per ció che io liberamente gli feci copia delle piagge di Monte Morello in volgare e ďalquanti capitoli del Caprezio,131 li quali egli lungamente era andati cercando, mi fece egli partefice132 delle sue sante reliquie: e donommi uno de' denti 150 della santa Croce e in una ampoletta alquanto del suono delle campane del tempio di Salomone e lapenna dellagnol Gabriello, della quale giá detto v'ho, e 1'un de' zoccoli di san Ghe-rardo da Villamagna133 (il quale io, non ha molto,134 a Firenze donai a Gherardo di Bonsi,135 il quale in lui ha grandissima divozione) e diedemi de' carboni co' quali fu il beatissimo martire san Lorenzo arrostito;136 le quali cose io tutte di qua con meco137 divotamente le recai, e hol- 155 le138 tutte. E il vero che il mio maggiore non ha mai sofferto che io 1'abbia mostrate infino a tanto che certificatonon se se desse sono o no;139 ma orache per čerti miracolifatti da esse e per lettere ricevute dal Patriarca fatto ne certo,140 m'ha conceduta licenzia che io le mostri; ma io, temendo di fidarle altrui,141 sempře le porto meco. Vera cosa ě che io porto la penna dellagnol Gabriello, acció che non si guasti, in una cassetta e i carboni co' quali fu arrostito 160 san Lorenzo in unaltra; le quali son si simiglianti 1'una allaltra, che spesse volte mi vien presa 1'una per 1'altra, e al presente me avvenuto: per ció che, credendomi io qui avere arrecata la cassetta dove era la penna, io ho arrecata quella dove sono i carboni. II quale io non reputo 122 messer Nonmiblasmete Sevoipiace: nome di fantasia ottenuto con un calco delľespressione francese "ne me blasmez se vos plait" ('non mi biasimate per favore'), sul modello delle personificazioni allegoriche della poesia didattica. 123 per reverenzia: per devozione nei confronti. 124 se...miglia: se volessi riferirvi di tutte, non ne verrei a capo che in chissä quanto tempo. 125 sconsolate: deluse; rivolgendosi a un pubblico misto, era un segno di cortesia fu-so del femminile. 126 alquante: alcune; frate Cipolla elen-cherá una serie di reliquie totalmente assur-de e fantasiose che materializzano entita simboliche, con lo scopo di suscitare lo stu-pore e la devozione religiosa dei certaldesi. 127 coste del Verbum-caro-fatti-al-le-finestre: costole del Verbo fattosi carne, storpiando la formula evangelica «Verbum caro factum est» (la Parola [di Dio] divenne carne). L'aggiunta alle finestre serve solo a (518) confondere gli ascoltatori. 128 vestimenti della santa Fé: gli abiti non della santa con questo nome, pure esi-stente, ma della personificazione della fede, virtú teologale. 129 diavole: diavolo. 130 mascella...Lazzero: ľepisodio evan-gelico rievocato ě quello ben noto agli ascoltatori della morte e resurrezione di Lazza-ro; lo scheletro della morte cui rinvia la mascella come reliquia ě quello della iconogra-fia medievale. 131 per ció che...Caprezio: poiché liberamente gli procurai la trascrizione delle balze di Monte Morello e di alcuni capitoli di Caprezio. La frase ě senza significato. Probabilmente frate Cipolla gioca sul dop-pio significato di copia, che puó voler dire anche, nella espressione "far copia di sé" 'darsi carnalmente': Monte Morello, che ě il nome di un colle vicino a Firenze, e Caprezio, nome inventato, alluderebbero cioě a parti del corpo e quindi alla sodomia. 132 partefice: partecipe. 133 san Gherardo da Villamagna: frate francescano vissuto tra la fine del XII seco-lo e la prima metá del XIII, ricordato per la vita ascetica che aveva condotto. 134 non ha molto: non molto tempo fa. 135 Gherardo di Bonsi: membro dell'Ar-te della Lana e figura politica di qualche spicco a Firenze nella prima metá del Trecento; fu il fondatore dell'Ospedale di San Gherardo, santo cui era devoto. 136 de' carboni...arrostito: san Lorenzo fu arso vivo su una graticola di carboni ar-denti nel 258. 137 di qua con meco: di qua dal mare con me. 138 holle-.leho. 139 il mio maggiore...sono o no: il mio superiore non ha mai consentito chefossero mostrate finché non fosse stato accertato se sonoproprio esse o no, che puó voler dire sia se sono autentické, sia - con la consueta am-biguitá - se esse esistono. 140 fatto n'ě certo: ne ě diventato sicuro. 141 fidarle altrui: affidarle ad altri. CAPITOLO 2 I II Decameron che stato sia errore, anzi mi pare esser certo che volontä sia stata di Dio e che Egli stesso la cassetta de' carboni ponesse nelle mie mani, ricordandom'io pur teste ehe la festa di san Lo- 165 renzo sia di qui a due di.142 E per ciö, volendo Idio che io, col mostrarvi i carboni co' quali esso fu arrostito, raccenda143 nelle vostre anime la divozione che in lui aver dovete, non la penna che io voleva, ma i benedetti carboni spenti dall'omor144 di quel santissimo corpo mi fé pigliare. E per ciö, figliuoli benedetti, trarretevi145 i cappucci e qua divotamente v'appres-serete a vedergli. Ma prima voglio che voi sappiate che chiunque da questi carboni in segno 170 di croce ě tocco,146 tutto quello anno puö viver sicuro che fuoco nol cocerä ehe non si senta».147 E poi che cosi detto ebbe, cantando una laude di san Lorenzo, aperse la cassetta e moströ i carboni; Ii quali poi che alquanto la stolta moltitudine ebbe con ammirazione reverentemen-te guardati, con grandissima calca tutti s'appressarono a frate Cipolla e, migliori Offerte dan-do che usati148 non erano, che con essi gli dovesse toccare il pregava ciascuno.149 Per la qual 175 cosa frate Cipolla, recatisi questi carboni in mano, sopra Ii lor camiscion150 bianchi e sopra i farsetti e sopra Ii veli delle donne cominciö a fare le maggior croci che vi capevano,151 affer-mando che tanto quanto essi scemavano a far quelle croci, poi ricrescevano nella cassetta, si come egli molte volte aveva provato. E in cotal guisa, non senza sua grandissima utilita avendo tutti crociati152 i certaldesi, per 180 presto153 accorgimento fece coloro rimanere scherniti, che lui, togliendogli la penna, avevan creduto schernire. Li quali stati alia sua predica e avendo udito il nuovo riparo154 preso da lui e quanto da lungi fatto si fosse155 e con che parole, avevan tanto riso, che eran creduti smascel-lare. E poi che partito si fu il vulgo, a lui andatisene, con la maggior festa del mondo ciö che fatto avevan gli discoprirono e appresso gli renderono la sua penna; la quale l'anno seguente 185 gli valse non meno che quel giorno gli fosser valuti i carboni. G. Boccaccio, Decameron, cit. 142 ricordandom'io pur teste...due di: ricordandomi soltanto ora (pur teste) che la festa di san Lorenzo efra due giorni. La festa di san Lorenzo ě il 10 agosto; dunque sia-mo all'8 agosto. 143 raccenda: si noti il gioco di parole. 144 omor: úmore, cioě i liquidi corporei. 145 trarretevi: vi toglierete. 146 tocco: toccato. 147 fuoco...senta: non lo brucerá alcun fuoco senza che egli lo avverta; il significato letterale delia frase finale della predica ě to-talmente occultato da quello immaginoso che gli conferiscono da un lato labilita reto-rica del frate e dall'altro le aspettative, e l'i-gnoranza, degli ascoltatori. 148 usati: soliti. 149 che con essi...ciascuno: tutti gli chiedevano di essere toccati con i carboni. 150 camiscion: camiciotti indossati dagli uomini. 151 vi capevano: potevano esservi fatte. 152 crociati: segnati con una croce, con allusione ironica alle Crociate. 153 per presto: con un pronto. 154 riparo: rimedio. 155 quanto...fosse: quanto I'avesse presa alia lontana. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO_ Menzogne e invenzioni di frate Cipolla La novella di frate Cipolla ě la decima della Sesta giornata dedicata all'"Efficacia dei motti di spirito o delle argute risposte" ed ě narrata da Dioneo. É la novella piú lunga della giornata e ha un'articolazione molto piu complessa delle altre nove che ospitano motti di spirito. Qui c e molto di piu di una risposta arguta o di una battuta divertente: Boccaccio fa inventáre al suo protagonista un'intera geografia fanta-stica, ammiccante e ambigua. La novella racconta che frate Cipolla, accompagnato da un rozzo assisten- [519] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 te, Guccio Imbratta, vuole mostrare al popolo di Certaldo alcune reliquie, fra cui le penne dellArcange- 10 Gabriele. Alcuni amici di nascosto gli sottraggono pero le penne di pappagallo che voleva esibire come reliquia, mettendo al loro posto dei carboni spenti. Accortosene, quando ormai si trovava davanti al pubblico, frate Cipolla riesce a rimediare a questa difficile situazione cambiando il contenuto della propria predica e raccontando che i carboni sono quelli che hanno arrostito san Lorenzo. Frate Cipolla mo-stra una grande capacitä istrionesca e una notevole abilitä nelle trovate linguistiche e nei doppi sensi delle battute. Tutto ciô, oltre a far divertire il lettore, ě motivo di compiacimento per il narratore che guarda a questo personaggio con una certa simpatia. II discorso di frate Cipolla 11 discorso di frate Cipolla ě una lunga e dettagliata invenzione retorica e linguistica che assume l'a-spetto di una predica. In realtä della predica qui si fa la paródia, cioě un rovesciamento e un rifacimen-to ironico. Rivolgendosi al suo pubblico popolare frate Cipolla gioca sulla confusione tra senso appa-rente e senso reale: per esempio nomina una serie di luoghi che corrispondono a quartieri e stradě di Firenze (Porcellana, Vinegia, Borgo de' Greci ecc), ma il cui nome richiama apparentemente quello esotico di lontani luoghi dell'Oriente, allora noti per i pellegrinaggi in Terra Santa. Ciô produce fra ľaltro una doppia paródia: alia paródia delle prediche dei padri questuanti si somma quella dei reso-conti di pellegrinaggi in Oriente. Frate Cipolla mente dicendo la veritä o dice la veritä enfatizzandola, tanto da far percepire il contrario di quanto afferma, come quando dice che il «fuoco nol cocerä che non si senta». Frate Cipolla e il suo doppio: Guccio Imbratta II nome di frate Cipolla suggerisce giä il ritratto: «di persona piccolo, di pelo rosso e lieto nel viso». Quello del suo assistente, Guccio Imbratta, ě tracciato dal protagonista stesso due volte, dapprima, per il solito gusto giocoso che lo contraddistingue, in rima, con nove aggettivi distribuiti in gruppi di tre che ne colgono gli aspetti morali («tardo, sugliardo [sporco] e bugiardo; negligente, disubidiente e maldicente; trascutato [negligente], smemorato e scostumato»), poi con pochi tratti realistici che ne definiscono il volto o, meglio, «la barba grande e nera e unta». Se il padrone ě di pelo rosso, il fante ě di pelo nero e unto; se uno usa la parola e inventa storie favolose in chiesa per sedurre il popolino, ľaltro fa altrettanto in tono minore, in cucina, per sedurre la cuoca Nuta, ďaltronde non meno unta e brutta di lui («grassa e grossa e piccola e mal fatta, con un paio di poppe che parean due ceston da létáme [...], tutta sudata, unta e affumicata»). II parallelismo tra frate Cipolla e Guccio Imbratta (edizio-ne minore e involgarita del suo padrone), ma anche tra quesťultimo e Nuta, ě una delle piú riuscite note comiche del racconto. Ľambiguitä del protagonista e il tema dell'abuso delle reliquie in Boccaccio e Chaucer Nella novella ě presente un elemento realistico e satirico: era molto diffuso, nel Trecento, il tema dei fra-ti questuanti che spillavano soldi mostrando false reliquie. Non per nulla frate Cipolla appartiene all'or-dine di santAntonio, condannato nel 1240 da papa Gregorio IX per le imposture dei suoi adepti france-si. Lautore mostra un'indubbia simpatia per il suo eroe dotato di quelle virtu dell'ingegno, della prontez-za e delľabilitä nel parlare che gli sono sempre care; e tuttavia, nella comicitä che suscita nel lettore, non manca un aspetto satirico di denuncia. Di qui ľambiguitä del personaggio, che ě si un furfante, ciarlatano, profanatore e mistificatore, ma anche un «ottimo parlatore e pronto» e «il miglior brigante del mondo». Di qui, anche, la differenza rispetto alia figura delľlndulgenziere di Chaucer (cfr. cap. 3, § 1), ove tale am-biguitä manca del tutto. Frate Cipolla gioca con la propria doppiezza senza esibirla: non si vanta del pro-prio cinismo e forse non ne ě neppure del tutto consapevole. Prevale in lui il gusto spettacolare della beffa che, nonostante il fine pratico dell'arricchimento illecito, mantiene qualcosa di gratuito e di giocoso. Viceversa l'Indulgenziere dichiara spudoratamente la propria immoralitä («il mio scopo non ě che far quattrini, e non correggere peccati») e non esita egli stesso a fornire agli ascoltatori uno spregiudicato autoritratto di vizioso. II virtuoso racconto che egli fa, in contrasto con l'autoritratto di cinico imbroglio-ne, ě perciô di una ipocrisia esibita. ( 520 ) CAPITOLO 2 > II Decameron LAVORIAMO SUL TESTO_ Comprensione e analisi 1. Riassumere ► Sintetizza la novella, distinguendo • I'antefatto • la predica • la conclusione 2. Lingua e lessico ► Secondo quale tecnica ě costruita la novella? Sottolinea le parole inventate, i doppi sensi, i non-sense, i rovesciamenti di significato. 3. Quale realtá parallela riesce a inventáře frate Cipolla con I'uso distorto della parola? 4. Frate Cipolla ě anche un magnifico attore: perché? Interpretazione e commento 5. Individuarecollegamenti ► Guccio Imbratta ě stato de-finito un "doppio" di frate Cipolla. Sei d'accordo? 6. Argomentare ► E possibile cogliere nel comportamen-to di frate Cipolla un intento parodico? Verso chi? (Le prediche dei frati, la loro abitudine di estorcere elemosi-ne con dubbie reliquie, la credulita dei fedeli?) 7. Esporre oralmente ► Ti pare che la novella miri alia de-nuncia morale o al puro effetto comico? Rifletti sull'am-biguita di questa figura di imbroglione. 8. Confrontare ► Confronta questa novella con quella di Ser Ciappelletto (T3, p. 423); entrambe si basano sul ro-vesciamento della parola, ma la situazione e invertita. Cogli analogie e differenze nei due protagonisti. Ti pare che I'atteggiamento dello scrittore nei loro confronti sia lo stesso? Discuti la questione con i compagni e con il docente. . _ Le novelle della Settima giornata: / beffe di mogli ai mariti L'astuzia femminile Ambientazione toscana Tra commedia erotica, farsa e pochade La Settima giornata ě una delle piú compatte e omogenee. Sotto il reggimento di Dioneo, si parla delle beffe ai mariti. Una distinzione puô essere fatta fra le beffe perpetrate dalle mogli per amore, e cioě per raggiungere Foggetto del desiderio, e quelle messe in atto per salvarsi da una situazione difficile. Che le donne siano bravissime a beffare gli uomini, ě d'altronde dimo-strato - dice Dioneo - dal modo con cui, alia fine della giornata precedente, eludendo la sor-veglianza dei giovani, le sette fanciulle si sono recate nella Valle delle donne a fare il bagno da sole. E ora Dioneo, quasi a voler celebrare una giornata consacrata all'astuzia femminile, fa novellare i dieci giovani appunto nella Valle delle donne. II carattere di omogeneitä ě dato sia dall'ambientazione quasi sempre toscana e spesso fioren-tina, con due novelle senesi, sia dal meccanismo stesso del triangolo erotico moglie-marito-a-mante che si ripete in tutte le novelle, solo variato in due casi da qualche complicazione, nella novella sesta e nella decima. Le novelle della Settima giornata puntano sulla commedia erotica e sulla farsa, con punte vivaci da pochade (genere di commedia briliante, intricata e ricca di movimento, a sfondo licenzioso). I tratti sono fissi: in genere il marito ě stupido, bigotto (nella prima e nella terza novella) o geloso (nella quarta, quinta e ottava): dunque, agli occhi dei novellatori e delľautore stesso, rappresenta un modello negativo che merita di essere beffato dalla moglie, invece astuta, e dalľamante, di solito giovane e prestaňte. L'opposizione marito-amante o marito-moglie ě insomma anche un'opposi-zione ideologica, fra disvalore (mancanza di intelligenza e bigotteria) e valore (astuzia e giovinezza: le forze delľingegno e della nátura). Inoltre i mariti sono quasi sempre ricchi e occupano posizioni sociali giä consolidate, mentre spesso gli amanti sono ancora alia ricerca del successo sociále ed economico e comunque, in tutti i casi, hanno doti umane che li rendono preferibili ai loro rivali. Le novelle piú note sono la seconda, la quarta e ľottava, quella di Arriguccio geloso, il capolavoro della giornata (cfr. T14, p. 522). [521] PARTE SECONDA > Ľautunno del Medioevo 1310 -> 1380 T14 La novella di Arriguccio geloso OPERA Decameron, VI I, 8 CONCETTI CHIAVE • la beffa di una moglie al marito • polemica contro i nuovi ricchi AVVIAMENTO ► La novella di Arriguccio geloso, narrata da Neifile, é ľottava della Settima giornata, dedicata alle beffe iLLA LETTURA ^elle mogli ai mariti. Vi si racconta la beffa di una moglie, Sismonda, a un marito, Arriguccio Berlinghie-ri, che, agli occhi del narratore, ha due requisiti negativi: é geloso ed é un nuovo arricchito, ehe si é vo-luto nobilitare sposando una donna di classe superiore alia sua. In questa novella sono invertiti i ruoli; nel privato il mercante Arriguccio apparetotalmente disarmato e incapace di muoversi con la saggez-za che possiede invece la moglie, cosi é ingannato e fatto passare da ubriacone. Questa caratterizza-zione negativa del personaggio é accentuata dalla accesa polemica della suocera, che da sempre mal tollera il matrimonio della figlia con un uomo di un ceto inferiore, contro i nuovi ricchi che, privi di quanta, aspirano a nobilitarsi attraverso il matrimonio con le famiglie aristocratiche. La donna sfoga tutto il proprio rancore per il matrimonio della figlia con un «mercatantuzzo di feccia d'asino», un «merca-tantuolo di quatro denari». Arriguccio é inoltre un "inurbato", cioé é uno tra i tanti nuovi arricchiti che allora si trasferivano dalla campagna in cittä («venutici di contado e usciti dalle troiate vestiti di roma-gnuolo, con le calze a campanile e colla penna in culo»). Oltre a evidenziare il rapporto tra le classi sociali, il discorso della suocera di Arriguccio é un eccezionale documento storico dal punto di vista linguistico: le espressioni («alla croce di Dio», «alla fe' di Dio», «bella gioia» ecc), le frasi fatte («Frate, bene sta!», «basterebbe se egli t'avesse ricolta dal fango») e i proverbi («acconciare in casa i conti Guidi con un pezzo di pane») usati dalla donna rivelano non solo il suo fortissimo carattere, ma anche il linguaggio parlato da una classe (la nobiltä cittadina) oramai in decadenza. Riportiamo due frammenti di questa novella: ľintroduzione e il discorso della suocera di Arriguccio. Dovete dunque sapere ehe nella nostra cittä1 fu giä un riechissimo mercatante chiamato Arriguccio Berlinghieri,2 il quale scioccamente, si come ancora oggi fanno tutto '1 di i mercatan-ti,3 pensö di volere ingentilire per moglie;4 e preše una giovane gentil donna male a lui conve-nientesi,5 il cui nome fu monna Sismonda. La quale, per ciö che6 egli, si come i mercatanti 5 fanno, andava molto da torno7 e poco con lei dimorava, s'innamorö d'un giovane chiamato Ruberto, il quale lungamente vagheggiata ľavea. E avendo preša sua dimestichezza e quella forse men diseretamente usando, per ciö che sommamente le dilettava,8 avvenne, o ehe Arriguccio aleuna cosa ne sentisse o come che s'andasse,9 egli10 ne diventö il piü geloso uomo del mondo e lascionne stare ľandar da torno e ogn'altro suo fatto e quasi tutta la sua sollici-10 tudine aveva pošta in guardar ben costei, né mai adormentato si sarebbe se lei primieramen-te non avesse sentita entrar nel letto: per la qual cosa la donna sentiva gravissimo11 dolore, per ciö che in guisa niuna12 col suo Ruberto13 esser poteva. [.-] 1 nostra cittä: cioe Firenze. Caratteristica della Settima giornata e l'ambientazione quasi sempre toscana. 2 Berlinghieri: nei documenti non e'e traccia di nessun Arrigo (o Arriguccio) in questa famiglia di origine mercantile e non troppo affermata. 3 si...mercatanti: con questa osservazio-ne la novellatrice (Neifile) vuole sottolinea-re il carattere attuale del suo racconto. 4 ingentilire per moglie: Arriguccio insomnia ha ritenuto di poter elevare il proprio ( 522) livello sociale sposando una donna nobile. 5 malc.convenientesi: non adatta a lui [: perche di condizione sociale diversa]. 6 per ciö che: poiche. 7 andava...torno: viaggiava molto [per affari]. 8 E...dilettava: Essendo entrata in un'in-tima familiaritä (dimestichezza) con lui e comportandosi con minore discrezione dl necessario, perche ciö lepiaceva piü di ogni ultra cosa (sommamente). 9 o che...s'andasse: o perche Arriguccio era venuto a sapere qualcosa [del tradimento della moglie] o comunquefosse (s'andasse). 10 egli: si sottintende un "che" in dipen-denza da avvenne. 11 gravissimo: difficile da sopportare. 12 in guisa niuna: in nessun modo. 13 Ruberto: e l'amante di Sismunda. La donna dorme con uno spago legato a un dito del piede, con il quale puö comunicare, attraverso la finestra, con l'amante all'ester-no e farlo salire in camera quando il marito dorme profondamente. CAPITOLO 2 I II Decameron La madre di lei, udendo queste 15 parole,14 comincio a fare romore15 e a dire:«Alia croce di Dio, figliuola mia, cotesto non si vorrebbe16 fare, anzi si vorrebbe uccidere questo can fastidioso e sconoscente,17 che 20 egli non ne fu degno d'avere una figliuola fatta come se' tu. Frate, bene sta!18 basterebbe se egli t'avesse ri- colta del fango!19 Col malanno pos- sa egli essere oggimai,20 se tu dei 25 stare al fracidume delle parole d'un mercatantuzzo di feccia d'asino, che venutici di contado e usciti delle troiate vestiti di romagnuolo, con le calze a campanile e colla penna in 30 culo, come egli hanno tre soldi, vo- gliono le figliuole de' gentili uomini e delle buone donne per moglie, e fanno arme21 e dicono: "V son de' cotali"22 e "Quei di casa mia fecer cosi". Ben vorrei che' miei figliuoli n'avesser seguito il mio consiglio, che ti potevano cosi orrevolmente acconciare in ca-35 sa i conti Guidi con un pezzo di pane,23 e essi vollon pur darti a questa bella gioia,24 che, dove tu se' la miglior figliuola di Firenze e la piu onesta, egli non se vergognato di mezzanotte di dir che tu sii puttana, quasi noi non ti conoscessimo. Ma alia fe di Dio, se me ne fosse creduto, e' se ne gli darebbe si fatta gastigatoia, che gli putirebbe.»25 E, rivolta a' figliuoli, disse: «Figliuoli miei, io il vi dicea bene che questo non doveva potere essere.26 Avete voi udito come il buono 40 vostro cognato tratta la sirocchia27 vostra? Mercatantuolo di quattro denari28che egli e! Che, se io fossi come voi, avendo detto quello che egli ha di lei e faccendo quello che egli fa, io non mi terrei mai ne contenta ne appagata, se io nollo levassi di terra;29 e se io fossi uomo come io son © lllustrazione per la copertina di una traduzione in arabo del Decameron. 14 queste parole: il discorso che Sismon-da rivolge ai fratelli: la donna racconta la sua versione dei fatti, sottolineando le miserie e le scelleratezze del marito. 15 far romore: protestare, urlando. 16 vorrebbe: dovrebbe. 17 sconoscente: ingrato. 18 Frate, bene sta!: espressione prover-biale con sfumatura ironica: le cose stanno cosi! Oppure: guarda un po'! 19 basterebbe...fango: se anche ti avesse raccolto dal fango, sarebbe sempre troppo. 20 oggimai: ormai. 21 mercatantuzzo...arme: Arriguccio, dunque, proviene da quelle compagnie (troiate) di uomini di campagna (contado) vestiti in modo grossolano (di romagnuolo), con calze sgambate che ricadono a campana [: portate piuttosto da persone di umile con- dizione], la penna in culo [: la penna e il ca-lamaio nella tasca posteriore dei pantaloni] che appena si sono un po' arricchiti voglio-no sposare le figlie dei nobili e crearsi uno stemma gentilizio (arme). Nelle parole del-la donna la contrapposizione sociale arriva a toni comico-parodistici, evidenziati, con effetto mimetico, dall'utilizzazione di un linguaggio basso e plebeo da parte di chi se ne ritiene distante. 22 I' son de' cotali: Io appartengo alia fa-miglia di certe persone (cotali) [: nobili]. La suocera di Arriguccio riproduce, in modo caricaturale, le parole dei mercanti arricchiti che si fanno credere nobili. 23 ti potevano...pane: quasi senza dote (con un pezzo di pane) potevano degna-mente (orrevolmente)farti sposare uno dei conti Guidi. II riferimento ai conti Guidi era proverbiale per intendere una famiglia dalle grandi ricchezze. Si trova, per esempio, anche in Chi udisse tossir la malfatata, il pri-mo dei sonetti della tenzone tra Dante e Fo-rese(cfr. T14, p. 270). 24 questa bella gioia: la donna si riferisce ironicamente ad Arriguccio. 25 se ne...putirebbe: se mi si desse retta, gli si darebbe una punizione (gastigatoia) tale che glipuzzerebbe [: se ne ricorderebbe per molto tempo]. 26 che questo...essere: che le cose non potevano essere andate cosi [: come le aveva raccontate Arriguccio]. 27 sirocchia: sorella. 28 Mercatantuolo...denari: mercantu-colo da quattro soldi. 29 nollo levassi di terra: non lo togliessi di mezzo. ( 523 ) PARTE SECONDA > Ľautunno del Medioevo 1310 -> 1380 femina, io non vorrei che altri ch'io se ne 'mpacciasse.30 Domine, fallo tristo: ubriaco doloro-so che non si vergogna!»31 I giovani, vedute e udite queste cose, rivoltisi ad Arriguccio, gli dissero la maggior villania32 che mai a niun cattivo uom si dicesse; e ultimamente33 dissero: «Noi ti perdoniam questa si come ad ebbro; ma guarda che per la vita tua da quinci innanzi simili novelle34 noi non sen-tiamo piu, che per certo, se piu nulla ce ne viene agli orecchi, noi ti pagheremo di questa e di quella»;35 e cosi detto, se n'andarono. Arriguccio, rimaso come uno smemorato, seco stesso non sappiendo se quello che fatto avea era stato vero o s'egli aveva sognato, senza piu fame parola, lascio la moglie in pace. La qual, non solamente colla sua sagacita fuggi il pericol soprastante, ma s'aperse la via a poter fare nel tempo avvenire ogni suo piacere, senza paura alcuna piu aver del marito. G. Boccaccio, Decameron, cit. 30 se ne 'mpacciasse: se ne occupasse [: di togliere di mezzo Arriguccio]. 31 Domine...si vergogna!: O Signore, fa-glielapagare tu a questo ubriaconefastidio- so e svergognato! 32 la maggior villania: i peggiori insulti. 33 ultimamente: alia fine. 34 da quinci...novelle: d'ora inpoi storie simili. 35 noi ti pagheremo di questa e di quel- la: te la facciamo pagare per questa e quella [: per oggi e per allora]. COMPRENDERE EANALIZZARE PER INTERPRETARE 1. Secondo Neifile qual e stato Terrore" di Arriguccio? 2. Esporreoralmente ► Quel che succede al ricchissimo mercantefiorentino Arriguccio e esem-plare del rapporto tra la cosiddetta nobiltä e la borghesia mercantile nel Medioevo. Esponi bre-vemente qual era il rapporto tra le classi sociali al tempo di Boccaccio. 18 Le novelle dell'Ottava giornata: altre beffe Ambientazione toscana Novelle erotiche e a tema economico digit ■ TESTO La novella di Belcolore II personaggio di Calandrino La Ottava giornata, retta da Lauretta, ha per tema le beffe fatte o da una donna a un uomo o da un uomo a una donna o da un uomo a un altro uomo. Anche in questo caso l'ambientazione ě quasi sempre toscana. In sei novelle su dieci (prima, seconda, quarta, settima, ottava, decima) le beffe sono a sfondo erotico, ma nella prima, nella seconda e nella decima (Dioneo questa volta sta al tema) al tema erotico si sovrappone, sino a prevalere, quello economico. Le quattro novelle di contenuto non erotico (terza, quinta, sesta, nona) sono tutte fiorentine. In una (la quinta) si racconta di come tre giovani traggano le brache a un giudice marchigiano venuto a esercitare la propria professione a Firenze; nelle altre tre, protagonisti sono due «dipintori» o pittori, Bruno e Buffalmacco, e la vittima ě in due casi Calandrino (nella terza e nella sesta) e nel terzo maestro Simone, un medico venuto da Bologna che con un inganno viene «gittato in una fossa di bruttura e lasciatovi» (nona). Calandrino ě un personaggio caro a Boccaccio: non solo compare qui due volte, ma sarä protagonista di altre due novelle nella giornata successiva. Nelle due novelle in cui qui Calandrino ě vittima degli scherzi dei due amici, viene convinto, in una (la terza), a cercare una pietra che rende invisibili (cfr. T15) e, nell'altra (la sesta), a ricomperare, per timore della moglie, un porco che in realtä gli hanno rubato Bruno e Buffalmacco ma che tutti sono indotti a pensare egli abbia donato a una giovane amante. [ 524) CAPITOLO 2 > II Decameron - I ID La novella di Calandrino e Pelitropia OPERA Decameron, VIII, 3 CONCETTI CHIAVE • Calandrino, la figura comica piu famosa del Decameron • I'ingegno dei beffatori Calandrino era un pittore, noto per la sua semplicitä e goffaggine. Boccaccio lo renders celebre: com-parirä in altre novelle del Trecento (quelle di Sacchetti) e nelle Vite di Vasari. In questa novella, dopo un colloquio con Maso del Saggio ehe gli parla del fantastico paese di Bengodi e delia pietra dell'eli-tropia (la quale, rendendo invisibile chi la possiede, potrebbe permettergli di arricchire), ě vittima della beffa di altri due pittori, Bruno e Buffalmacco. Con loro va a cercare ľelitropia nel Mugnone; e poiché i due fingono di non vederlo, pensa di averla trovata e subisce senza lamentarsi i colpi e i lanci di pietre dei due amici: diviene, insomma, una specie di martire della propria dabbenaggine. Ma, tomato a casa, ě ovviamente visto dalla moglie, che egli allora batte accusandola di avere interrotto I'incantesimo che lo rendeva invisibile. CALANDRINO,1 BRUNO2 E BUFFALMACCO3 GIÚ PER LO MUGNONE4 VANNO CER-CANDO DI TROVAR ĽELITROPIA,5 E CALANDRINO SE LA CREDE AVER TROVATA; TORNASIA CASA CARICO DI PIETRE; LA MOGLIE IL PROVERBIA6 E EGLI TURBATO LA BATTE, E A SUOICOMPAGNIRACCONTA CIÔ CHE ESSISANNO MEGLIO DI LUL8 5 Finita la novella di Panfilo, della quale le donne avevano tanto riso che ancora ridono, la reina a Elissa commise che seguitasse;9 la quale ancora ridendo incominciô: - Io non so, piacevoli donne, se egli mi si verrä fatto di farvi con una mia novelletta non men vera che piacevole tanto ridere quanto ha fatto Panfilo con la sua: ma io me ne ingegnerô. Nella nostra cittä, la qual sempre di varie maniere e di nuove genti10 ě stata abondevole, 10 fu, ancora non ě gran tempo, un dipintore chiamato Calandrino, uom semplice e di nuovi costumi.11 II quale il piu del tempo con due altri dipintori usava,12 chiamati ľun Bruno e ľaltro Buffalmacco, uomini sollazzevoli molto ma per altro avveduti e sagaci,13 li quali con Calandrino usavan per ciô che de' modi suoi e della sua simplicita sovente gran festa prendevano. Era similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza in ciascuna cosa che 15 far voleva, astuto e awenevole,14 chiamato Maso del Saggio,15 il quale, udendo alcune cose della semplicitä di Calandrino, propose di voler prender diletto de' fatti suoi col fargli alcuna beffa o fargli credere alcuna nuova cosa.16 1 calandr ino: ě il soprannome di Gian-nozzo di Perino, un pittore formatosi pro-babilmente alia scuola fiorentina di Andrea Tafi. Era conosciuto per la sua ingenuitä, per il suo egoismo e per la sua presunzione nel volersi mostrare furbo. Lo si trova, con gli stessi caratteri, nelle novelle di Sacchetti e nelle Vite di Vasari. 2 bkuno: si tratta di Bruno di Giovanni, pittore del Trecento. 3 buffalmacco: anch'egli pittore, il suo vero nome ě Bonamico. Ha frequenta-to, come Calandrino, la scuola di Andrea Tafi. Gli vengono attribuiti gli affreschi della chiesa di Badia di Firenze e del Duomo di Arezzo, nonché il Trionfo della Morte del Camposanto di Pisa. Ha fama di grande burlone. 4 mugnone: piccolo fiume che si getta nell'Arno nelle vicinanze di Firenze. 5 elitropia: minerále che si credeva avesse qualitá terapeutiche e, secondo una consuetudine viva nel Medioevo, magiche. La virtu di rendere invisibili ě quella che gli viene attribuita nella novella. 6 il proverbia: lo rimprovera. 7 turbato: infuriato. 8 ció...lui: poiché sono loro che hanno organizzato la beffa nei confronti di Calandrino. 9 commise che seguitasse: ordinô che continuasse. 10 di varie...genti: di costumi vari e di persone diverse. 11 nuovi costumi: stráni comportamenti. 12 usava: si intratteneva. 13 sollazzevoli...sagaci: molto amanti dei divertimenti e al tempo stesso avveduti e astuti. 14 avvenevole: piacevole; antico. 15 Maso dei Saggio: un burlone molto conosciuto che svolgeva la professione di sensale. Lo troviamo anche nelle novelle di Sacchetti. 16 nuova cosa: strana cosa. ( 525 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 E per avventura trovandolo un di nella chiesa di San Giovanni e vedendolo stare attento a riguardare le dipinture e gľintagli17 del tabernaculo il quale ě sopra ľaltare della detta chiesa, 20 non molto tempo davanti postovi, pensö essergli dato luogo e tempo18 alia sua intenzione. E informato un suo compagno di ciö che fare intendeva, insieme s'accostarono la dove Calan-drino solo si sedeva, e faccendo vista di non vederlo insieme incominciarono a ragionare delle virtu di diverse pietre, delle quali Maso cosi efficacemente parlava come se stato fosse un solenne e gran lapidario.19 A' quali ragionamenti Calandrino posta orecchie,20 e dopo al- 25 quanta levatosi in pie, sentendo ehe non era credenza,21 si congiunse con loro, il che forte piacque a Maso; il quale, seguendo le sue parole,22 fu da Calandrin domandato dove queste pietre cosi virtuose23 si trovassero. Maso rispose che le piú si trovavano in Berlinzone,24 terra de' baschi,25 in una contrada ehe si chiamava Bengodi,26 nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevavisi un'oca a denaio e un papero giunta,27 e eravi una montagna tutta di for- 30 maggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni28 e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi29 giú, e chi piu ne pigliava piu se n'aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia,30 della miglio-re che mai si bewe, senza avervi31 entro gocciola d'acqua. «Oh!» disse Calandrino «cotesto ě buon paese; ma dimmi, ehe si fa de' capponi che cuocon 35 coloro?»32 Rispose Maso: «Mangiansegli33 i baschi tutti». Disse allora Calandrino: «Fostivi tu mai?» A cui Maso rispose: «Di' tu se io vi fu' mai? Si vi sono stato cosi una volta come mille». 34Disse allora Calandrino: «E quante miglia ci ha?» 40 Maso rispose: «Haccene piu di millanta,35 che tutta notte canta».36 Disse Calandrino: «Dunque dee egli essere piu lä che Abruzzi».37 «Si bene», rispose Maso «si ě cavelle».38 Calandrino semplice, veggendo Maso dir queste parole con un viso fermo39 e senza ridere, quella fede vi dava che dar si puö a qualunque veritä ě piú manifesta, e cosi ľaveva per vere; e disse: 45 «Troppo ci ě di lungi a' fatti miei:40 ma se piú presso ci fosse, ben ti dico che io vi verrei una volta 17 le dipinture e gl'intagli: si tratta dei bassorilievi della chiesa di San Giovanni a Firenze, la cui realizzazione viene affidata nel 1313 a Lippo di Benivieni. Questo par-ticolare ě molto interessante perché consen-te la collocazione temporale dell'azione della novella (Branca). 18 luogo e tempo: Voccasione. 19 lapidario: grande esperto di pietre pre-ziose. 20 posta orecchie: qui il participio rima-ne invariato, non concorda con il sostantivo femminile plurále che segue. 21 non era credenza: non vi era segreto [: nel colloquio]. 22 seguendo le sue parole: seguitando il suo discorso. 23 virtuose: straordinarie, cioě magiche. 24 Berlinzone: nome favoloso di paese immaginario, secondo quella tecnica retori- ( 526 ) ca e stilistica delľinvenzione burlesca ehe ca-ratterizza anche la predka di frate Cipolla. 25 baschi: i Baschi oceupano le zóne nord-occidentali della Spagna e quelle con-finanti della Francia. 26 Bengodi: altro toponimo favoloso, formato dalľunione di "ben" e di "godi", ehe fa pensare al paese della Cuccagna. 27 avevavisi...giunta:per un denaro vi si poteva avere un'oca e in aggiunta un papero. 28 maccheroni: gnocehi. 29 quindi: di qui. 30 vernaccia: vino bianco secco. II termine deriva da Vernazza, il paese ligure del quale questo vino ě originario. 31 senza avervi: senza che ci sia. 32 capponi...coloro: si noti 1'effetto di consonanza e di allitterazione prodotto dai tre termini. 33 Mangiansegli: Se li mangiano. 34 una...mille: si noti il carattere equivo-co di tale locuzione: nelľaffermazione ě in-fatti celata una negazione, secondo una tecnica tipica del linguaggio burlesco. 35 millanta: altro termine equivoco e senza senso ottenuto dalľunione di "mille" e dal suffisso -anta per analógia con "quaranta" "cinquanta" ecc. 36 che...canta: si noti, in questa conclu-sione di Maso, 1'effetto giocoso della fila-strocca. 37 piú...Abruzzi: piü lontano dell'Abruz-zo. Ancora nel Trecento questa regione era considerata un luogo lontanissimo. 38 cavelle: nonnulla; antico e dialettale. E da notáre ancora la contraddizione di tale affermazione. 39 fermo: serio; cioě impassibile. 40 Troppo...miei: Ě troppo lontano perle mie possibilitä. CAPITOLO 2 I II Decameron - con esso teco41 pur per veder fare il tomo a quei maccheroni e tormene una satolla.42 Ma dimmi, che lieto sie tu,43 in queste contrade non se ne truova niuna di queste pietre cosi virtuose?» A cui Maso rispose: «Si, due maniere di pietre ci si truovano di grandissima virtu. L'una sono i macigni da Settignano e da Montisci,44 per vertu de' quali, quando son macine fatti, se ne fa la 50 farina,45 e per ciö si dice egli in que' paesi di lä che da Dio vengon le grazie e da Montisci le macine; ma ěcci46 di questi macigni si gran quantitä, che appo noi47 ě poco prezzata, come appo loro gli smeraldi, de' quali v'ha maggior montagne che Monte Morello,48 che rilucon di mezza-notte vatti con Dio;49 e sappi che chi facesse le macine belle e fatte legare in anella prima che eile si forassero50 e portassele al soldano, n'avrebbe ciö che volesse. L'altra si ě una pietra, la 55 quale noi altri lapidárii appelliamo elitropia, pietra di troppo gran vertu, per ciö che qualunque persona la porta sopra di sé, mentre la tiene, non ě da alcuna altra persona veduto dove non e».51 Allora Calandrin disse: «Gran virtu son queste; ma questa seconda dove si truova?» A cui Maso rispose che nel Mugnone se ne solevan trovare. Disse Calandrino: «Di che grossezza ě questa pietra? o che colore ě il suo?» 60 Rispose Maso: «Ella ě di varie grossezze, ché alcuna ne piú, alcuna meno, ma tutte son di colore quasi come nero». Calandrino, avendo tutte queste cose seco notate,52 fatto sembianti d'avere altro a fare, si parti da Maso e seco propose di volere cercare di questa pietra; ma diliberö di non volerlo fare senza saputa53 di Bruno e di Buffalmacco, li quali spezialissimamente54 amava. Diessi55 65 adunque a cercar di costoro, acciö che senza indugio e prima che alcuno altro n'andassero a cercare,56 e tutto il rimanente di quella mattina consumö in cercargli.57 Ultimamente,58 es-sendo giä Ibra della nona passata,59 ricordandosi egli che essi lavoravano nel monistero delle donne di Faenza,60 quantunque il caldo fosse grandissimo, lasciata ogni altra sua fac-cenda, quasi correndo nando a costoro e chiamatigli cosi disse loro: «Compagni, quando voi 70 vogliate credermi, noi possiamo divenire i piú ricchi uomini di Firenze: per ciö che io ho inteso da uomo degno di fede che in Mugnone si truova una pietra, la qual chi la porta sopra non ě veduto da niuna altra persona; per che a me parrebbe che noi senza alcuno indugio, prima che altra persona v'andasse, v'andassimo a cercar. Noi la troverem per certo, per ciö che io la conosco;61 e trovata che noi l'avremo, che avrem noi a fare altro se non mettercela 75 nella scarsella62 e andare alle tavole de' cambiatori,63 le quali sapete che stanno sempre cari- 41 con...teco: insieme con te. 42 pur...satolla: sia pure per vedere roto-lare giú quegli gnocchi e farmene una scor-pacciata. Torno viene dal latino 'tomus'os-sia 'rotolo di papiro'; di qui il significato di "rotolare" L'equivalente di 'tomus'e, sempre in latino, il termine 'volumen, da 'volvere' = rotolare. La parola "tomo" si usa ancor oggi nel significato di 'libro^ 'volume'. 43 che...tu: Calandrino augura felicitá a Maso per le informazioni ricevute. 44 Settignano...Montisci: sono due paesi nei pressi di Firenze in cui si trovavano le cave di pietra serena. 45 quando...farina: quando sono [i macigni] ridotti in forma di macine si usano per fare la farina. 46 ecci: c'e. 47 appo noi: presso di noi. 48 Monte Morello: colle presso Firenze. 49 vatti con Dio: «non mi far dire altro» (Branca). Si noti l'inadeguatezza di tale espressione, inattesa in questo contesto. 50 legare...forassero: inanellarle [: le-garle una all'altra come le pietre di una col-lana]. 51 qualunque...non e: chiunque la porta addosso, tenendola in mano, non viene visto da nessuna altra persona dove non e. La fra-se contiene un doppio messaggio (Branca): uno falso e ingannevole, tutto giocato sulla conclusione equivoca (dove non e), per Calandrino, il quale comprende che l'elitropia rende invisibili; e uno vero, logico, per il let-tore che e in grado di comprendere l'effetto burlesco della frase. 52 seco notate: fissate nella sua mente. 53 senza saputa: all'insaputa. 54 spezialissimamente: particolarmen-te. 55 Diessi: Inizio. 56 n'andassero a cercare: andasse a cer-carla; il riferimento ě all'elitropia. 57 cercargli: cercarli. 58 Ultimamente: Infine. 59 l'ora della nona passata: passate le tre del pomeriggio. 60 donne di Faenza: monache del con-vento di Faenza. 61 la conosco: la so riconoscere. 62 scarsella: tasca che stava appesa alia cintura. 63 tavole...cambiatori: banchi dei cam-biavalute. ( 527) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 che di grossi64 e di fiorini,65 e torcene66 quanti noi ne vorremo? Niuno ci vedra; e cosi potremo arricchire subitamente, senza avere tutto di a schiccherare67 le mura a modo che fa la lumaca». Bruno e Buffalmacco, udendo costui, fra se medesimi cominciarono a ridere, e guatando ľun verso ľaltro fecer sembianti di maravigliarsi forte e lodarono il consiglio di Calandrino; 80 ma domandö Buffalmacco come questa pietra avesse nome. A Calandrino, che era di grossa pasta,68 era giä il nome uscito di mente; per che egli rispo-se: «Che abbiam noi a far del nome poi che noi sappiamo la vertu? A me parrebbe che noi andassomo69 a cercare senza star piü».70 «Or ben» disse Bruno «come ě ella fatta?» 85 Calandrin disse: «Egli ne son d'ogni fatta71 ma tutte son quasi nere; per che a me pare che noi abbiamo a ricogliere tutte quelle che noi vederem nere, tanto che noi ci abbattiamo a essa;72 e per ciö non perdiam tempo, andiamo». A cui Bruno disse: «Or t'aspetta»; e volto a Buffalmacco disse:«A me pare che Calandrino dica bene, ma non mi pare che questa sia ora da ciö,73 per ciö che il sole ě alto e dä per lo 90 Mugnone entro74 e ha tutte le pietre rasciutte, per che tali paion teste75 bianche, delle pietre che vi sono, che la mattina, anzi che il sole ľabbia rasciutte, paion nere: e oltre a ciö molta gente per diverse cagioni ě oggi, che ě di da lavorare, per lo Mugnone, li quali76 vedendoci si potrebbono indovinare quello che noi andassomo faccendo e forse farlo essi altressi; e potreb-be venire alle mani a loro, e noi avremmo perduto il trotto per ľambiadura.77 A me pare, se 95 pare a voi, che questa sia opera da dover far da mattina,78 ehe si conoscon meglio le nere dalle bianche, e in di di festa, che non vi sarä persona che ci vegga». Buffalmacco lodö il consiglio di Bruno, e Calandrino vi s'accordö: e ordinarono che la domenica mattina vegnente tutti e tre fossero insieme a cercar di questa pietra; ma sopra ogni altra cosa gli pregö Calandrino che essi non dovesser questa cosa con persona del mon-100 do ragionare,79 per ciö che a lui era stata posta in credenza.80 E ragionato questo, disse loro ciö che udito avea della contrada di Bengodi, con saramenti81 affermando che cosi era. Partito Calandrino da loro, essi quello che intorno a questo avessero a fare ordinarono fra se medesimi. Calandrino con disidero aspettö la domenica mattina: la qual venuta, in sul far del di si 105 levö. E chiamati i compagni, per la porta a San Gallo82 usciti e nel Mugnon discesi cominciarono a andare in giü83 della pietra cercando. Calandrino andava, e come piú volenteroso, avanti e prestamente or qua e or lä saltando, dovunque alcuna pietra nera vedeva si gittava84 e quella ricogliendo si metteva in seno. I compagni andavano appresso, e quando una e quan-do un'altra ne ricoglievano; ma Calandrino non fu guari di via andato,85 che egli il seno se 64 grossi: monetě ďargento. 65 fiorini: monetě ďoro. 66 torcene: prendercene. 67 schiccherare: pasticciare. 68 di grossa pasta: semplicione. 69 andassomo: andassimo; dialettale. 70 senza...piú: senza indugiare ancora. 71 Egli...fatta: Ce ne sono ďogni forma. 72 tanto...essa: finché c'imbattiamo in essa. 73 da ció: adatta a questo. 74 dá...entro: picchia sul greto del Mugnone. Luso di entro dopo una frase intro- ( 528 ) dotta da una preposizione é presente anche in Petrarca. 75 teste: ora. 76 li quali: il pronome concorda a senso con gente. 77 perduto...ambiadura: ľambiadura é la maniera di far camminare un cavallo fa-cendogli muovere le due zampe dello stes-so fianco e impedendogli cosi di trottare. II senso della frase é: avremmo perduto la pietra per il nostro desiderio di volerla subito. 78 da mattina: di mattina. 79 ragionare: usato al transitivo. 80 posta in credenza: rivelata in segreto. 81 saramenti: giuramenti. 82 porta a San Gallo: la porta a nord di Firenze. 83 in giú: nella stessa direzione in cui scorre ľacqua del Mugnone, cioě verso l'Arno. 84 gittava: il verbo esprime il senso delľaviditä con cui viene compiuta ľazione. 85 non...andato: non fece molta strada. Guari anticamente veniva usato con valore avverbiale nel significato di "molto" CAPITOLO 2 > II Decameron 110 n'ebbe pieno per ehe, alzandosi i gheroni86 della gonnella, che alia analda87 non era, e faccendo di quegli ampio grembo, bene avendogli alia coreggia88 attaccati d'ogni parte, non dopo molto gli empié, e similmente, dopo alquanto spazio, fatto del mantello grembo,89 quello di pietre empié.90 Per che, veggendo Buffalmacco e Bruno che Calandrino era carico e ľora del mangiare s'avicinava, secondo ľordine da sé posto91 disse Bruno a Buffalmacco: «Calandrino dove e?» 115 Buffalmacco, che ivi presso sel vedea, volgendosi intorno e or qua e or la riguardando, rispose: «Io non so, ma egli era pur poco fa qui dinanzi da noi». Disse Bruno: «Ben che fa poco!92 a me par egli esser certo che egli ě ora a casa a desinare e noi ha lasciati nel farnetico93 d'andar cercando le pietre nere giú per lo Mugnone». «Deh come egli ha ben fatto» disse allor Buffalmacco «ďaverci beffati e lasciati qui, poscia 120 che noi fummo si sciocchi, che noi gli credemmo. Sappi!94 chi sarebbe stato si stolto, che avesse creduto che in Mugnone si dovesse trovare una cosi virtuosa pietra, altri che noi?» Calandrino, queste parole udendo, imaginô che quella pietra alle mani gli fosse venuta e che per la vertu d'essa colore, ancor che lore fosse presente, noi vedessero. Lieto adunque oltre modo di tal ventura, senza dir loro alcuna cosa, pensô di tornarsi a casa; e volti i passi 125 indietro95 se ne cominciô a venire.96 Vedendo ciô, Buffalmacco disse a Bruno: «Noi che faremo? ché non ce ne andiam noi?» A cui Bruno rispose: «Andianne; ma giuro a Dio che mai Calandrino non me ne fara piú niuna; e se io gli fossi presso come stato sono tutta mattina, io gli darei tale97 di questo ciotto98 nelle calcagna, che egli si ricorderebbe forse un mese di questa beffa»; e il dir le parole e 1'a-130 prirsi99 e '1 dar del ciotto nel calcagno a Calandrino fu tutto uno, Calandrino, sentendo il duolo, levo alto il pie e cominciô a soffiare ma pur si tacque e andô oltre. Buffalmacco, recatosi in mano uno de' codoli100 che raccolti avea, disse a Bruno: «Deh vedi bel codolo: cosi giugnesse egli teste nelle reni a Calandrino!» e lasciato andare, gli die con esso nelle reni una gran percossa; e in brieve in cotal guisa, or con una parola e or con un'altra, 135 su per lo Mugnone infino alia porta a San Gallo il vennero lapidando. Quindi, in terra gittate le pietre che ricolte aveano, alquanto con le guardie de' gabellieri101 si ristettero;102 le quali, prima da loro informate, faccendo vista di non vedere lasciarono andar Calandrino con le maggior risa del mondo. II quale senza arrestarsi se ne venne a casa sua, la quale era vicina al Canto alia Mačina;103 e in tanto fu la fortuna piacevole104 alia beffa, che, mentre Calandrino 140 per lo fiume ne venne e poi per la cittä, niuna persona gli fece motto, come che pochi ne scontrasse per ciô che quasi105 a desinare era ciascuno. Entrossene adunque Calandrino cosi carico in casa sua. Era per avventura106 la moglie di lui, la quale ebbe nome monna Tessa,107 bella e valente donna, in capo della scala: e alquanto 86 gheroni: lembi. 87 alia analda: secondo la moda di Hai-naut, cioě stretta. Hainaut era un importan-te centro di produzione tessile dell'Europa del Nord. 88 coreggia: cintura di cuoio. 89 fatto...grembo: ricavata, cioě, una sacca legando insieme i lembi del mantello. 90 empié: si noti la ripetizione che espri-me l'avidita del gesto. 91 secondo...posto: secondo il piano fra loro stabilito. 92 Ben che fa poco: Altro che poco fa! Si tratta di una ripresa burlesca del precedente pur poco fa. 93 nel farnetico: a impazzire. 94 Sappi: corrisponde agli odierni impe-rativi "senti!" "vedi!" ecc. 95 volti...indietro: rivolti i passi verso la strada del ritorno. 96 a venire: a tornare a casa. 97 tale: talmente; con valore awerbiale. 98 ciotto: ciottolo, sasso aguzzo. 99 1'aprirsi: allargare le braccia, per sca-gliare il ciottolo. 100 codoli: ciottoli. 101 gabellieri: addetti alia riscossione dei dazi. 102 ristettero: sifermarono. 103 Canto alia Macina: incrocio di via San Gallo e via Guelfa, dove era murata una macina (Segre). 104 piacevole: favorevole. 105 quasi: riferito a ciascuno. 106 per avventura: per caso. 107 monna Tessa: il nome deriva da "contessa" frutto del ricordo della famosa contessa Matilde. ( 529 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 turbata delia sua lunga dimora,108 veggendol venire cominciö proverbiando a dire: «Mai, 145 frate, il diavol ti ci reca!109 Ogni gente ha giä desinato quando tu torni a desinare». II che udendo Calandrino e veggendo che veduto era,110 pieno di cruccio e di dolore cominciö a gridare: «Oime, malvagia femina, o eri tu costi? Tu m'hai diserto,111 ma in fé di Dio io te ne pagherö!» e salito in una sua saletta e quivi scaricate le molte pietre che recate avea, niquitoso112 corse verso la moglie e presala per le trecce la si gittö113 a' piedi, e quivi, quanta 150 egli poté menar le braccia e' piedi, tanto le die114 per tutta la persona: pugna e calci, senza lasciarle in capo capello o osso adosso che macero115 non fosse, le diede, niuna cosa valendo-le il chieder mercé con le mani in croce. Buffalmacco e Bruno, poi che co' guardiani delia porta ebbero alquanto riso, con lento passo cominciarono alquanto lontani a seguitar Calandrino; e giunti a pie dell'uscio116 di lui sentirono 155 la fiera battitura la quale alia moglie dava, e faccendo vista di giugnere pure allora117 il chiama-rono. Calandrino tutto sudato, rosso e affannato si fece alia finestra e pregogli che suso a lui dovessero andare.118 Essi, mostrandosi alquanto turbati,119 andaron suso e videro la sala piena di pietre e nell'un de' canti la donna scapigliata, stracciata, tutta livida e rotta nel viso dolorosa-mente piagnere; e d'altra parte Calandrino, scinto e ansando a guisa d'uom lasso,120 sedersi. 160 Dove, come alquanto ebbero riguardato, dissero: «Che ě questo, Calandrino? vuoi tu mura-re,121 ché noi veggiamo qui tante pietre?» e oltre a questo sugiunsero: «E monna Tessa che ha? E' par che tu l'abbi battuta: che novelle122 son queste?» Calandrino, faticato dal peso delle pietre e dalla rabbia con la quale la donna aveva battuta e del dolore delia Ventura123 la quale perduta gli pareva avere, non poteva raccoglier lo spirito a formare intera la parola alia risposta;124 per 165 che soprastando,125 Buffalmacco rincominciö: «Calandrino, se tu avevi altra ira,126 tu non ci dovevi per ciö straziare127 come fatto hai; che, poi sodotti128 ci avesti a cercar teco della pietra preziosa, senza dirci a Dio né a diavolo, a guisa di due becconi129 nel Mugnon ci lasciasti e veni-stitene, il che noi abbiamo forte per male; ma per certo questa fia la sezzaia che tu ci farai mai».130 A queste parole Calandrino sforzandosi rispose: «Compagni, non vi turbate, l'opera131 sta 170 altramenti che voi non pensate. Io, sventurato!, aveva quella pietra trovata; e volete udire se io dico il vero? Quando voi primieramente di me domandaste Fun l'altro, io vera presso a men di diece braccia132 e veggendo che voi ve ne venavate133 e non mi vedavate v'entrai innanzi,134 e continuamente poco innanzi a voi me ne son venuto». E cominciandosi dall'un de' capi infin la fine raccontö loro ciö che essi fatto e detto aveano e moströ loro il dosso135 e le calcagna 175 come i ciotti conci glieľavessero; e poi seguitö: «E dicovi che, entrando alia porta136 con tutte 108 lunga dimora: lunga attesa. 109 Mai...reca: Finalmente, fratello, il diavolo ti porta a casa. 110 vedendo...era: vedendo, cioě, che non era invisibile. 111 diserto: rovinato. 112 niquitoso:/i*Woso. 113 la si gittö: se la gettb. 114 le die: la picchib. 115 macero: pesto. I ruoli si capovolge-ranno in una novella successiva (IX, 5), dove sarä monna Tessa a battere Calandrino. 116 a piě dell'uscio: davanti all'uscio, che in genere era rialzato di qualche gradino rispetto alla strada. 117 pure allora:proprio in quel momento. ( 530 ) 118 Calandrino...andare: la sequenza dei tre endecasillabi esprime l'atteggiamen-to concitato del personaggio (Branca). 119 turbati: offesi, per essere stati abban-donati senza una parola da Calandrino nel Mugnone. 120 scinto...lasso: con la cintura slaccia-ta e ansante come un uomo affaticato. 121 murare: costruire muri. 122 novelle: novitá. 123 ventura: fortuna. 124 raccoglier...risposta: riprendere il fiato per rispondereformando parole complete. 125 per che soprastando: poiché indu-giava [nel rispondere]. 126 altra ira: altro motivo d'ira. 127 straziare: prendere in giro. 128 sodotti: idiotismo frequente che sta per sedotti, convinti. 129 becconi: bestie stupide. 130 sezzaia...mai: I'ultima [beffa] che tu ci farai da ora in poi. 131 l'opera: la cosa. 132 diece braccia: died braccia, cioé circa cinque metri. 133 venavate: forma verbale molto frequente: vedi il vedavate successivo. 134 v'entrai innanzi: mi avviai davanti a voi. 135 dosso: schiena. 136 alla porta: la porta di San Gallo. CAPITOLO 2 I II Decameron queste pietre in seno che voi vedete qui, niuna cosa mi fu detta, ché sápete quanto esser soglia-no spiacevoli137 e noiosi que' guardiani a volere ogni cosa vedere; e oltre a questo ho trovati per la via piú miei compari e amici, li quali sempre mi soglion far motto e invitarmi a bere, né alcun fu che parola mi dicesse né mezza,138 si come quegli ehe non mi vedeano.137 Alia fine, giunto qui 180 a casa, questo diavolo di questa femina maladetta mi si parö dinanzi e ebbemi veduto,140 per ciö che, come voi sapete, le femine fanno perder la vertu a ogni cosa:141 di che io, ehe mi poteva dire il piú awenturato142 uom di Firenze, sono rimaso il piú sventurato; e per questo I'ho tanto battuta quanto io ho potuto menar le mani e non so a quello che io mi tengo ehe io non le sego le veni,143 che maledetta sia Ibra che io prima la vidi e quando ella mai venne in questa casa!» E 185 raccesosi nell'ira si voleva levare144 per tornare a batterla da capo. Buffalmacco e Bruno, queste cose udendo, facevan vista di maravigliarsi forte e spesso affer-mavano145 quello ehe Calandrino diceva, e avevano si gran voglia di ridere, che quasi scoppiava-no; ma vedendolo furioso levare per battere un'altra volta la moglie, levatiglisi alia 'ncontro146 il ritennero, dicendo di queste cose niuna colpa aver la donna ma egli, che sapeva che le femine 190 facevano perdere la vertu alle cose e non ľaveva detto che ella si guardasse d'apparirgli innanzi quel giorno: il quale awedimento Idio gli aveva tolto147 o per ciö che la Ventura non doveva esser sua o perché egli aveva in animo ďingannare i suoi compagni, a' quali, come s'avedeva averla trovata, il dovea palesare. E dopo molte parole, non senza gran fatica la dolente donna riconci-liata con essolui148 e lasciandol malinconoso149 con la casa piena di pietre, si partirono. G. Boccaccio, Decameron, cit. 137 spiacevoli: seccanti. 138 né mezza: neppure mezza. 139 si...vedeano: come se quelli [: compari e amici] non mi vedessero. 140 ebbemi veduto: il verbo al trapassa-to remoto esprime l'idea dellazione improv-visa del vedere di monna Tessa che provoca - secondo Calandrino - 1'interruzione dell'effetto magico dell'elitropia. 141 le femine...ogni cosa: si tratta di un pregiudizio popolare abbastanza diffuso an-ticamente (vertu = potere). 142 avventurato:/oríí<;iaío. 143 a quello...veni: perché mi trattengo dal tagliarle le vene. II plurále veni ě della stessa natura di altri femminili terminanti in /-a/ (per esempio "orecchi" plurále di "orecchia"). 144 levare: alzare. 145 affermavano: confermavano. 146 levatiglisi...'ncontro: andatigli in-contro. 147 il quale awedimento...tolto: il cui accorgimento Dio non gli aveva concesso di avere. 148 essolui: lui. 149 malinconoso: triste. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TĚSTO_ Collocazione del těsto La novella, raccontata da Elissa, ě la terza della Ottava giornata. In essa compare il personaggio di Calandrino, protagonista anche della sesta novella, sempre in questa giornata, e poi della terza e della quinta nella nona. La struttura del racconto II racconto si suddivide in tre momenti. II primo ě ambientato in un interno, quello della chiesa di San Giovanni in cui Calandrino incontra Maso del Saggio. II secondo si sviluppa all'esterno, al Mugnone, dove Calandrino, in compagnia di Bruno e Buffalmacco, cerca ľelitropia, e poi lungo la strada del ritorno in citta. Con il terzo siamo di nuovo in un interno, quello della casa di Calandrino, subito dopo il suo ritorno, e vi compare un altro personaggio, la moglie Tessa. II primo momenta ě caratterizzato dal discorso di Maso del Saggio, che con frasi allusive e talora senza senso, che dicono e non dicono o dicono negando, prospetta alia fantasia di Calandrino il paese di Bengodi [531] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 e le virtu dell'elitropia. Sembra di risentire, nelle parole di Maso, ľeco di quelle di frate Cipolla (cfr. T13, p. 512): la descrizione del paese di Bengodi ě un piccolo capolavoro di comicitä. II secondo momenta ě quello della beffa di Bruno e Buffalmacco, ehe fanno finta di credere alia virtu dell'elitropia e di non vedere piú Calandrino, associando al loro inganno anche i doganieri che lo lasciano passare come se egli fosse davvero diventato invisibile. II terzo momento registra la rabbiosa reazione di Calandrino quando si accorge di essere visto dalla mo-glie. La sua stizza ě proporzionale alia forza della sua precedente illusione. Sopraggiungono fortunata-mente i due compari che evitano altre botte alia moglie, dimostrando a Calandrino che ha commesso due errori: poiché sapeva che le donne fanno perdere ogni virtu agli incantesimi, doveva impedire alia moglie di comparirgli davanti; poiché aveva trovato la pietra miracolosa senza dir nulla a loro due, aveva voluto ingannarli e dunque era stato giustamente punito. Cosi Calandrino, oltre a essere stato beffato, si giudica anche colpevole delľaccaduto, subendo una seconda beffa. II personaggio di Calandrino E la figura co mica piú famosa del Decameron. Rappresenta il contadino inurbato, guardato con sufficien-za dai cittadini e vittima delle beffe dei suoi colleghi fiorentini. Per quanto semplice, credulone e ingenuo, la sua figura non ě priva di complessitä. Non ě solo uno sciocco, ha una sua vitalita e una sua intrapren-denza, una capacitä di illudersi, un desiderio di ricchezza (il suo sogno, ingenuamente espresso, ě quello di «arricchire subitamente, senza avere tuttodi a schiccherare le mura a modo che fa la lumaca», righi 73-74) che ne fanno un personaggio vivo e a volte imprevedibile. Fra questi due aspetti - la dabbenaggi-ne e ľintraprendenza - esiste anzi un rapporto: proprio ľingordigia e il desiderio di novita lo rendono cosi credulone. E tuttavia ľentusiasmo con cui salta «prestamente» di qua e di lä alia ricerca dell'elitropia ha qualcosa di fanciullesco che puô procurargli la simpatia del lettore. Le beffe delľintelligenza Perché Bruno e Buffalmacco organizzano una beffa nei confronti del pověro Calandrino? Perché Maso del Saggio si diverte a ingannarlo? II gusto dello scherzo ě in loro gratuito, fine a se stesso. Vogliono solo dar prova della loro intelligenza, della loro abilitä nel parlare e nel convincere. A muoverli ě il gusto di mettere alla prova il proprio ingegno e di ridere della inferiorita altrui. Essi mostrano la nascita delľindi-vidualismo borghese, esaltato nei valori delľintelligenza, della prontezza di spirito, della capacitä di ap-profittarsi della dabbenaggine altrui. Nel mondo mercantile, la mancanza di queste doti condanna alio scacco. Cosi, sotto il tono bonario, la comicitä non nasconde del tutto la punta di sadismo («e in brieve, in cotal guisa, or con una parola or con un'altra, su per lo Mugnone e infino alla porta San Gallo il ven-nero lapidando», righi 132-133) e persino di prevaricazione che ě implicita nell'affermazione di superiorita di un individuo sugli altri. D'altronde, ľautore si guarda bene dal condannarla. Se Calandrino non risulta antipatico, tanto meno lo sono Bruno e Buffalmacco che rappresentano pienamente le nuove qualitä delľuomo borghese. ĽAVO RI AM O SUL TĚSTO_ Comprensione e analisi 1. Riassumere ► Riassumi lavicenda distinguendo gli spa-zi in cui si svolge. 2. Sottolinea i passaggi del discorso di Maso del Saggio piú efficaci per incantare Calandrino. 3. Individuare collegamenti ► In cosa sono simili le due beffe? 4. Distingui nel těsto gli elementi letterari da quelli maggior-mente realistici, e motiva la tua risposta. ( 532 ) Interpretazione e commento 5. Argomentare ► Pensi che possa sussistere una relazio-ne fra ľingenuitä di Calandrino e la sua origine e profes-sione? Quali aspirazioni rendono Calandrino cosi credulone? 6. Commentare ► C'ě un personaggio a cui va la tua simpatia? Perché? Motiva la tua risposta facendo puntuali riferimenti alia novella. CAPITOLO 2 I II Decameron - 19 Le novelle della Nona giornata: tema libero La gioia di vivere e il gusto della beffa Le forze della natura Nella "cornice" vengono indirettamente anticipati due temi della giornata che la regina Emilia ha voluto ad argomento libero: la gioia di vivere che sfida la morte nella introduzione e i doveri delle mogli, oggetto del discorso di Emilia nella premessa alia nona novella. Nella introduzione, i dieci novellatori vengono presentati nello splendore della loro giovinezza, pieni di letizia e con la testa circondata da ghirlande di fiori: «chi scontrati gli avesse, niun'al-tra cosa avrebbe potuto dire se non: "O costor non saranno dalla morte vinti o ella gli uccidera lieti"». E infatti la Nona giornata riprende largamente il tema gioioso della beffa, in effetti prevalente nella prima, terza, quarta, quinta e ottava novella. Due di queste sono dedicate a Calandrino, che crede di essere "incinto" nella terza e si innamora di una giovane nella quinta, e alia moglie Tessa, che ha maggior spazio che non nelle due novelle della precedente giornata dove gia era comparsa, a conferma deH'importanza che qui assume il motivo delle mogli. II tema giocoso, che celebra «le forze della natura» e la felicita dei sensi difesa con Fastuzia, torna in due novelle di argomento erotico, la seconda, ambientata in un convento (e la novella della badessa e le brache), e la sesta, dove in una notte degli equivoci la figlia e la moglie dell'o-ste giacciono con due visitatori. In entrambe si celebra Fingegno di chi ha saputo sfruttare un'occasione piacevole e sa evitarne le conseguenze negative. La novella della badessa e le brache OPERA Decameron, IX, 2 CONCETTI CHIAVE • la corruzione dei costumi religiosi • le forze della natura T16 ALLA LETTURA AVVIAMENTO ► La storia della badessa e le brache, la seconda novella della Nona giornata, viene narrata da Elissa e rivela la prontezza d'ingegno con cui una delle protagonisté riesce a uscire da una situazione difficile. La monaca Isabetta, una religiosa giovane e attraente di un convento famoso per la sua «santitä», ha un amante; quando le compagne la scoprono corrono ad avvertire la badessa ma questa, a letto con un prete, nella fretta di accorrere al posto dei velo si mette in těsta i calzoni (le brache) dell'amante. Quando le sorelle e Isabetta se ne accorgono la badessa deve riconoscere l'impossibilitä di difendersi «dagli stimoli della carne». Nel racconto si intrecciano due temi, la polemica contro l'ipocrisia dominante nella vita conventuale (e religiosa in genere) e la rivendicazione delle «forze della natura», che si fanno valere anche nei conventi. La conclusione della badessa ě che ě «impossibile... il potersi dagli stimoli della carne difendersi». Gli amori clandestini e illeciti delle suore vengono pubblicamente giu-stificati dalla stessa badessa, che alla fine invita ogni compagna a darsi «buon tempo quanto potesse», cioě ad abbandonarsi ai piaceri dell'amore. Tale giustificazione non fa scattare nell'autore nessun at-teggiamento moralistico, di tipo predicatorio. Come nella novella di Chichibio (cfr. T11, p. 504), un comportamento che secondo la morale comune dovrebbe essere condannato, viene visto sotto una prospettiva diversa: la nuova morale difesa da Boccaccio, aperta, antidogmatica e laica, non condan-na, si limita a cercare, di volta in volta, un punto di equilibrio tra valori da difendere e atteggiamenti da evitare. Questa assenza di intenti moralistici non impedisce un'irona maliziosa che sottolinea in piú punti la divergenza fra le apparenze e la realtä della vita monastica. [ 533 ] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310-> 1380 - Carissime donne, saviamente si seppe madonna Francesca, come detto ě, liberar dalla noia sua;1 ma una giovane monaca, aiutandola la fortuna,2 sé da un soprastante pericolo leggiadra-mente parlando diliberó.3 E come voi sápete, assai sono li quali, essendo stoltissimi, maestri degli altri si fanno gastigatori, li quali,4 si come voi potřete compredere per5 la mia novella, la 5 fortuna alcuna volta e meritatamente vitupera:6 e ció addivenne alla badessa sotto la cui obe-dienza era7 la monaca della quale debbo dire. Sapere adunque dovete in Lombardia essere un famosissimo monistero di santitá e di religione,8 nel quale, tra 1'altre donne monache che verano, v'era una giovane di sangue nobile e di maravigliosa bellezza dotata, la quale, Isabetta chiamata, essendo un di ad un suo paren- 10 te alla grata9 venuta, ďun bel giovane che con lui era s'innamoró; e esso, lei veggendo bellis-sima, giá il suo disidero avendo con gli occhi concetto,10 similmente di lei saccese: e non senza gran pena di ciascuno questo amore un gran tempo senza frutto sostennero.11 Ultimamen-te,12 essendone ciascun sollecito,13 venne al giovane veduta una via da potere alla sua monaca occultissimamente andare;14 di che ella contentandosi,15 non una volta ma molte con gran 15 piacer di ciascuno16 la visito. Ma continuandosi questo, avvenne una notte che egli da una delle donne17 di lá entro fu veduto, senza avvedersene egli o ella, dalFIsabetta partirsi e andarsene.18 II che costei con al-quante altre comunicó;19 e prima ebber consiglio20 ďaccusarla alla badessa, la quale madonna Usimbalda ebbe nome, buona e santa donna21 secondo la oppinion delle donne monache e di 20 chiunque la conoscea; poi pensarono, acció che la negazione non avesse luogo, di volerla far cogliere col giovane alla badessa; e cosi taciutesi, tra sé le vigilie e le guardie segretamente partirono per incoglier costei.22 Or, non guardandosi231'Isabetta da questo né alcuna cosa sappiendone, awenne che ella una notte vel fece venire24, il che tantosto25 sepper quelle che a ció badavano; le quali, quando a loro 25 parve tempo, essendo giá buona pezza di notte,26 in due si divisero, e una parte se ne mise27 a guardia del 1'uscio della cella delllsabetta, e unaltra nando correndo alla camera della bades- 1 saviamente...sua: come si ě detto [nella novella precedente], Francesca [: la protagonista della storia] seppe sottrarsi con saggez-za a una situazionefastidiosa (noia). 2 aiutandola la fortuna: subito viene in-trodotto il tema della fortuna: essa ribaltera in modo positivo la sorte della «giovane monaca». 3 sé...diliberó: si sottrasse (diliberó) a un pericolo incombente [su di lei] parlando in modo opportuno (leggiadramente). 4 li quali...li quali: coloro che, pur essendo assai stolti, si pretendono maestri egiu-dici degli altri, ed essi. 5 per: attraverso. 6 vitupera: smaschera. 7 sotto la cui obedienza era: alla cui autorita era sottomessa. 8 di santitá e di religione:pieno di devozio-ne religiosa. Lautore sottolinea ironicamente la «santitä» del monastero, le cui monache si dimostreranno tutt'altro che šante e devote. 9 alla grata: inparlatoio, cioě dove le mo- ( 534) nache comunicano con i loro visitatori attraverso una grata. 10 concetto: concepito. 11 un gran tempo...sostennero: a lungo sopportarono di non appagare. 12 Ultimamente: Infine. 13 sollecito: desideroso. 14 venne...andare: il giovane scopri un modo per raggiungere in tutta segretezza (occultissimamente) la monaca da lui amata (sua). 15 di che...contentandosi: essendo ella contenta di ció. Lautore non rivolge alcuna condanna di tipo morale all'amore dei due gio-vani, anzi sottolinea la sofferenza procurata dal suo mancato appagamento. La passione amorosa ě data dalla natura e non puö essere negata. Nella conclusione, infatti, questo sarä esplicitamente dichiarato dalla badessa. 16 di ciascuno: di entrambi. 17 una delle donne: vale a dire da una monaca. 18 fu veduto...andarsene:/« visto men- tre si separava e se ne andava via da Isabetta, senza che se ne accorgessero ne lui ne lei. 19 con...comunico: riferi ad alcune altre [monache]. 20 ebber consiglio: meditarono. 21 buona e santa donna: la descrizione della badessa - come gia quella del monastero (cfr. nota 8) - e piena di ironia. 22 poi...costei:poiprogettarono, affinche il fatto nonpotesse essere negato, difar cogliere la monaca con il giovane dalla badessa; quindi senza divulgare nulla [di quanto scoperto] (taciutesi) si divisero segretamente tra loro i turni di veglia (vigilie) e quelli di guardia per coglier-la sulfatto (incoglier costei). Comincia qui l'u-so di un linguaggio soldatesco: le suore si dan-no da fare con una disciplina quasi militare. 23 guardandosi: preoccupandosi. 24 vel fece venire: fece venire I'amante nella sua cella (vel = ve lo). 25 tantosto: subito. 26 buona pezza di notte: notte inoltrata. 27 se ne mise: si mise. CAPITOLO 2 > II Decameron - sa; e picchiando 1'uscio, a lei che gia rispondeva dissero: «Su, madonna,28 levatevi tosto,29 che noi abbiam trovato che 1'Isabetta ha un giovane nella cella». Era quella notte la badessa accompagnata30 d'un prete il quale ella spesse volte in una cassa 30 si faceva venire. La quale, udendo questo, temendo non forse31 le monache per troppa fretta o troppo volonterose tanto 1'uscio sospignessero, che egli s'aprisse, spacciatamente32 si levo suso33 e come il meglio seppe si vesti al buio; e credendosi torre34 certi veli piegati, li quali in capo por-tano e chiamanli il saltero,35 le venner tolte le brache36 del prete; e tanta fu la fretta che, senza avvedersene in luogo del saltero le si gitto37 in capo e usci fuori e prestamente 1'uscio si riserro38 35 dietro dicendo: «Dove e questa maladetta da Dio?» E con 1'altre, che si focose e si attente39 era-no a dover far trovare in fallo40 1'Isabetta, che di cosa che la badessa in capo avesse non s'awe-dieno,41 giunse all'uscio della cella, e quello, dall'altre aiutata, pinse in terra:42 e entrate dentro nel letto trovarono i due amanti abbracciati. Li quali, da cosi subito sopraprendimento storditi,43 non sappiendo che farsi, stettero fermi. La giovane fu incontanente44 dall'altre monache presa 40 e per comandamento della badessa menata in capitolo.45 II giovane s'era rimaso;46 e vestitosi aspettava di veder che fine la cosa avesse, con intenzione di fare un mal giuoco a quante giugner ne potesse, se alia sua giovane novita niuna fosse fatta, e di lei menarne con seco.47 La badessa, postasi a sedere in capitolo in presenzia di tutte le monache, le quali solamen-te alia colpevole riguardavano, incomincio a dirle la maggior villania48 che mai a femina fosse 45 detta, si come a colei la quale la santita, 1'onesta, la buona fama49 del monistero con le sue sconce e vituperevoli opere,50 se di fuor si sapesse,51 contaminate avea: e dietro52 alia villania aggiugneva gravissime minacce. La giovane, vergognosa e timida,53 si come colpevole non sapeva che si rispondere,54 ma tacendo di se metteva compassion nell'altre: e, multiplicando pur la badessa in novelle,55 ven- 50 ne alia giovane alzato il viso e veduto56 cio che la badessa aveva in capo e gli usulieri57 che di qua e di la pendevano: di che ella, avvisando58 cio che era, tutta rassicurata disse: «Madonna, se Dio v'aiuti,59 annodatevi la cuffia e poscia60 mi dite cio che voi volete». 28 madonna: in genere appellativo di ri-spetto che era riservato a donne di elevata condizione sociale. Nel contesto religioso veniva usato per indicare la badessa di un convento. 29 levatevi tosto: alzatevi subito. 30 accompagnata: in compagnia. 31 temendo non forse: forse temendo che. 32 spacciatamente: in gran fretta. 33 si levo suso: si alzb da letto. 34 credendosi torre: credendo di prendere. 35 saltero: i veli indossati dalle monache venivano diposti in modo da formare un triangolo che ricorda la forma del salterio, un antico strumento musicale. 36 le venner tolte le brache: le accadde di prendere i calzoni. La brache sono un indumenta maschile costituito da calzoni cor-ti e stretti. 37 le si gitto: se le ficcb. 38 riserro: chiuse. 39 attente: occupate. 40 in fallo: in flagrante. 41 non s'avvedieno: non si accorgevano. 42 pinse in terra: gettb a terra. 43 da cosi subito...storditi: intontitiper essere stati sorpresi (sopraprendimento) in modo cosi fulmineo (subito). 44 incontanente: immediatamente. 45 in capitolo: di fronte alle monache ri-unite. 46 s'era rimaso: se n'era rimasto [la]. 47 di fare...con seco: di fare un brutto scherzo (mal giuoco) a quante ne avessepo-tute raggiungere se alia giovane fosse stato fatto qualcosa di male (novita niuna), e [quindi] condurla via con se (menarne con seco). 48 villania: ingiuria, offesa. 49 santita...fama: ancora una volta ven-gono ironicamente sottolineate le "virtu" per le quali il monastero era noto. 50 sconce e vituperevoli opere: azioni turpi e spregevoli. 51 se di fuor si sapesse: se fuori [dal mo- nastero I'accaduto] diventasse noto. Le parole della badessa sono intessute di ipocrisia: lasciano trasparire che la sua vera preoccu-pazione ě il discredito che ricadrebbe sul monastero se si risapesse quanta ě accaduto. 52 dietro: oltre. 53 timida: impaurita. 54 si...rispondere: siccome [era] colpevole non sapeva che cosa rispondere. 55 multiplicando...novelle: mentre la badessa si diffondeva sempre piuin chiacchiere. I rimproveri della badessa sono considerati discorsi vuoti innanzi tutto perché essa pre-tende di condannare altri per quel peccato di cui sa di essere lei stessa colpevole. 56 venne...veduto: accade alia giovane di alzare il viso e di vedere. 57 usulieri: legacci con cui si fissavano le brache alle calzature. 58 avvisando: comprendendo. 59 se Dio v'aiuti: che Dio v'assista; ě un augurio, non un'ipotesi. 60 poscia: dopo. ( 535 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310-> 1380 La badessa, che non la 'ntendeva, disse: «Che cuffia, rea femina? ora hai tu viso di motteg-giare? Parti egli aver fatta cosa che i motti ci abbian luogo?»61 Allora la giovane unaltra volta disse: «Madonna, io vi priego che voi vannodiate la cuffia; poi dite a me ció che vi piace»; laonde62 molte delle monache levarono il viso al capo della badessa, e ella similmente ponendovisile mani, saccorsero perché 1'Isabetta cosi diceva. Di che63 la badessa, avvedutasi del suo medesimo fallo64 e vedendo che da tutte veduto era né aveva ricoperta,65 mutó sermone e in tutta altra guisa che fatto non aveva66 cominció a par-60 lare, e conchiudendo venne impossibile essere il potersi dagli stimoli della carne difendere;67 e per ció chetamente,68 come infino a quel di fatto sera, disse che ciascuna si desse buon tempo69 quando potesse; e liberata la giovane, col suo přete si torno a dormire, e l'Isabetta col suo aman-te. II qual poi molte volte, in dispetto di quelle che di lei avevano invidia, vi fé venire; 1'altre che senza amante erano, come seppero il meglio,70 segretamente procacciaron lor ventura.71 G. Boccaccio, Decameron, cit. 61 «Che cuffia...luogo?»: «Di quale cuffia parli, donna peccatrice (rea femina)? Hai la sfacciataggine (viso) di scherzare (motteggiare) ? Ti pare di averfatto qualco-sa che consenta battute di spirito?». 62 laonde: quindi. 63 Di che: Per tal motivo. 64 avvedutasi...fallo: accortasi del suo proprio errore. 65 né aveva ricoperta: né aveva possibi-litä di nasconderlo. 66 in tutťaltra...aveva: in modo (guisa) del tutto diverso da quello usatofino a quel momento. 67 conchiudendo... difendere: giunse in conclusione ad affermare ľimpossibilitä di difendersi dagli stimoli della carne. E la stes-sa conclusione espressa dalľautore nella Quarta giornata. 68 chetamente: con discrezione. 69 si desse buon tempo: si procurasse il proprio divertimento. 70 seppero il meglio: appresero di una condizione di vita piu piacevole [di quella che fino ad allora avevano conosciuta], 71 procacciarono lor ventura: si procu-rarono il loro piacere. COMPRENDERE EANALIZZARE PER INTERPRETARE 1. Come mutano i rapporti di forza all'interno del monastero? Quale ruolo gioca la fortuna? 2. Confrontare ► In questa novella ě implicita una forte polemica antiecclesiastica. Confronta la posizione dell'autore nei confronti della Chiesa nella vicenda qui narrata e nella novella di Ser Ciappelletto (cfr. T3, p. 423). 0 _ Le novelle della Decima giornata: ZXj esempi di liberalitä e di magnificenza Panfilo, re dell'ultima giornata, ě il portavoce dell'autore A una materia piu elevata corrisponde uno stile piú alto [ 536 ) Regge ľultima giornata, non casualmente, Panfilo, portavoce degli ideali dell'autore. Nella conclusione della Nona giornata Panfilo, proponendo il tenia della liberalitä e della magnificenza per il giorno successivo, lo aveva illustrato con argomenti che rivelano la morale preu-manistica di Boccaccio: solo attraverso la liberalitä e la cortesia ľuomo poträ ottenere «laude-vole fama» e vincere cosi la precarietä della esistenza. Dunque la fama - e non ľimmortalitä delľanima e ľeterna beatitudine - rappresenta una vittoria sulla precarietä della vita: é questo un motivo tutťaltro che medievale, che prelude giä alla nuova etä umanistica. In questa Decima giornata personaggi e ambienti sono cortesi e nobili. Nella maggior parte dei casi (eccezioni sono la novella quarta e, in parte, la quinta) siamo ben lontani dalla realtä cittadi-na, borghese e comunale, delle novelle di beffa: ľambiente é quello delle corti, dei palazzi nobilia-ri, delle regge, dei castelli fiabeschi, con splendidi arredi e magnifiche vešti, tavole imbandite e CAPITOLO 2 I II Decameron - cibi raffinati. Nell'ultima giornata, a una materia piü alta e nobile corrisponde uno stile piü elevate A volte l'idealizzazione ha qualcosa di retorico e risulta troppo letteraria e indeterminata; ma nei due casi migliori (la seconda novella, quella di Ghino di Tacco e Fabate di Cligni, e la sesta, quella del vecchio re Carlo che si innamora di due giovinette) Fesaltazione dei valori cortesi si accompagna a una precisione realistica, in cui la mitizzazione non esclude affatto una minuzia analitica (memorabile, per esempio, la descrizione delle due giovinette che catturano i pesci per la cena di re Carlo). L'ultima novella Nella struttura generale del Decameron l'ultima novella ha una funzione eminente: indica in Griselda un esempio alto di virtu, in implicita opposizione all'esempio negativo di Cepparello o Ciappelletto, con cui Fopera era comiciata. La novella di Griselda OPERA Decameron, X, 10 CONCETTI CHIAVE • I'insensato accanimento di Gualtieri • la sovrumana pazienza di Griselda • il commento finale di Dioneo T17 Dioneo racconta l'ultima novella, e, quasi per sconfessare se stesso e fare un'eccezione alia regola di dissolutezza che aveva caratterizzato i suoi precedenti racconti, esalta la virtu di Griselda e decreta la «matta bestialitä» del marito che la sottopone a una serie di prove umilianti e dolorose. Infatti il mar-chese di Saluzzo si e sposato solo per compiacere i vassalli e gli amici, scegliendo la figlia di un con-tadino ma rimproverandole di continuo questa sua origine. Giunge a portarle via dapprima la figlia e poi il figlio, dandole a intendere di averli uccisi. Infine finge di divorziare e di prendere un'altra moglie e comanda a Griselda di fare i preparativi delle nuove nozze. Solo alia fine, dopo tredici anni di prove, accetta pienamente Griselda come moglie e signora. La novella piacque a Petrarca che la tradusse in latino, omettendo qualche passo piü duro, relativo all'eccessiva crudeltä del marchese di Saluzzo. Ne ci si puö meravigliare di questa scelta: del Decameron Petrarca apprezzava le novelle piü "gravi", a sfondo tragico. Nella forma latina datale da Petrarca la novella circolö in tutta Europa e venne letta e utilizzata anche da Chaucer. IL MARCHESE DI SANLUZZO1 DA PRIEGHI DE' SUOI UOMINI COSTRETTO DI PI-GLIAR MOGLIE, PER PRENDERL A A SUO MODO PIGLIA UNA FIGLIUOLA DUN VIL-L ANO, DELL A QUALE HA DUE FIGLIUOLI, LI QUALI LE FA VEDUTO2 DUCCIDERGLI; POI, MOSTRANDO LEI ESSERGLIRINCRESCIUTA3 E AVERE ALTRA MOGLIE PRESA A CASA FACCENDOSIRITORNARE LA PROPRIA FIGLIUOLA COME SE SUA MOGLIE 5 FOSSE, LEI AVENDO IN CAMISCIA CACCIATA E A OGNI COSA TROVANDOLA PA-ZIENTE, PIÜ CARA CHE MAI IN CASA TORNATALASI,41 SUOI FIGLIUOLI GRANDI LE MOSTRA E COME MARCHESANA5 L'ONORA E FA ONORARE. Finita la lunga novella del re,6 molto a tutti nel sembiante piaciuta, Dioneo ridendo disse: - II 10 buono uomo, che aspettava la seguente notte di fare abbassare la coda ritta della fantasima, 1 sanluzzo: forma diffusa in Toscana e attestata in molti codici per Saluzzo. 2 le fa veduto: le fa credere. 3 kinckesciuta: divenuta insopporta-bile. 4 tornatalasi: fattasela tornare. E uno dei frequenti casi nel Decameron di parola accentata sulla quartultima sillaba. 5 marchesana: marchesa; in una forma della flessione germanica. 6 re: Panfilo. Aveva raccontato la novella di messer Torello che, aiutato dal Saladino, riesce a tornare a Pavia in tempo per impe-dire il nuovo matrimonio della moglie, che lo credeva morto. ( 537 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 avrebbe dati men di due denari di tutte le lode che voi date a messer Torello7 -; e appresso, sappiendo che a lui solo restava il dire, incominciö: - Mansuete mie donne,8 per quel che mi paia, questo di ďoggi ě stato dato a re e a soldani9 e a cosi fatta gente: e per ciö, acciö che10 io troppo da voi non mi scosti, vo' ragionar d'un marche- 15 se, non cosa magnifica ma una matta bestialita,11 come che ben ne gli seguisse alia fine;12 la quale io non consiglio alcun che segua, per ciö che gran peccato fu che a costui ben n'avenisse.13 Giä ě gran tempo, fu tra' marchesi di Sanluzzo il maggior della casa14 un giovane chiamato Gualtieri, il quale, essendo senza moglie e senza figliuoli, in niuna altra cosa il suo tempo spendeva che in uccellare15 e in cacciare, né di prender moglie né d'aver figliuoli alcun pen- 20 siero avea; di che egli era da reputar molto savio. La qual cosa a' suoi uomini16 non piaccendo, piú volte il pregaron che moglie prendesse, acciö che egli senza erede né essi senza signor rimanessero, offerendosi di trovargliel tale e di si fatto padre e madre discesa, che buona speranza se ne potrebbe avere e esso contentarsene molto. A' quali Gualtieri rispose: «Amici miei, voi mi strignete17 a quello che io del tutto aveva 25 disposto di non far mai, considerando quanta grave cosa sia a poter trovare chi co' suoi co-stumi ben si convenga e quanto del contrario sia grande la copia,18 e come dura vita sia quel-la di colui che a donna non bene a sé conveniente s'abbatte. E il dire che voi vi crediate a'19 costumi de' padri e delle madri le figliuole conoscere, donde argomentate di darlami20 tal che mi piacerä, ě una sciocchezza, con ciö sia cosa che io non sappia21 dove i padri possiate cono- 30 scere né come i segreti delle madri di quelle: quantunque, pur cognoscendogli, sieno spesse volte le figliuole a' padri e alle madri dissimili. Ma poi che pure in queste catene vi piace d'annodarmi, e22 io voglio esser contento; e acciö che io non abbia da dolermi d'altrui che di me,23 se mal venisse fatto, io stesso ne voglio essere il trovatore,24 affermandovi che, cui che io mi tolga,25 se da voi non fia come donna26 onorata, voi proverete con gran vostro danno 35 quanto grave mi sia Faver contra mia voglia presa mogliere a' vostri prieghi». I valenti uomini risposon ch'eran contenti, sol che esso si recasse27 a prender moglie. Erano a Gualtieri buona pezza28 piaciuti i costumi ďuna povera giovinetta che d'una villa29 vicina a casa sua era, e parendogli bella assai estimö che con costei dovesse potere aver vita assai consolata.30 E per ciö, senza piu avanti cercare, costei propose di volere sposare: e fatto- 40 si il padre chiamare, con lui, che poverissimo era, si convenne di torla per moglie.31 7 II buono uomo...Torello: il fidanzato della moglie di messer Torello (il buono uomo) credeva di potere consumare il matri-monio con la donna la notte seguente e di scacciare cosi il ricordo del marito (presun-to morto: fantasima); egli non avrebbe pa-gato neppure una somma irrisoria (men di due denari) per le lodi di messer Torello [: fatte da chi ha ascoltato il racconto della novella]. La coda ritta: allusione sessuale. 8 Mansuete mie donne: Dioneo usa questo aggettivo «per farsi perdonare le sue im-pertinenze passate e la sua ultima battuta scurrilew (Branca). 9 soldani: sultani. 10 actio che: affinche. 11 matta bestialita: sintagma che compare nel canto XI AeWInf. («matta / bestia-litadew, vv. 82-83) ma deriva dall'Etica Ni- ( 538 ) comachea di Aristotele: qui sta a indicare la stolta crudeltá del marchese. 12 come...fine: anchese alla fine tutto gli si risolse bene. 13 la quale...n'avenisse: la quale stolta crudeltá io non consiglio a nessuno di segui-re, perchéfu un gran peccato che a costui ne venisse un bene. 14 il...casa: il capofamiglia. 15 uccellare: andare a caccia di uccelli. 16 uomini: sono i sudditi del suo marchesa-to, di cui Saluzzo fu capitale dal 1142 al 1548. 17 strignete: costringete. 18 e quanto...copia: il gran numero (copia) «cioě, delle mogliche nonsaccordano al gusto e alfindole del maritow (Russo). Af-fermazione misogina (come quella dei righi 13-15 e quella che segue) che preannuncia la tematica del Corbaccio. 19 a':dai. 20 darlami: darmela; con la consueta in-versione dei pronomi. 21 con...sappia: dal momento che non so. 22 e: congiunzione paraipotattica: ecco che. 23 d'altrui che di me: all'infuori di me. 24 trovatore: e un nome d'agente per dire colui che la trovera. 25 cui che io mi tolga: chiunque io scelga. 26 donna: signora; dal latino 'dominam con passaggio semantico come nel successive mogliere: moglie dal latino 'mulierem = donna. 27 si recasse: si inducesse. 28 buona pezza: da molto tempo. 29 villa: borgo. 30 consolata: felice. 31 si...moglie: si accordb di prenderla (tor-la) come moglie. Vedi piu avanti tor moglie. CAPITOLO 2 I II Decameron - Fatto questo, fece Gualtieri tutti i suoi amici della contrada adunare e disse loro: «Amici miei, egli32 v e piaciuto e piace che io mi disponga a tor moglie, e io mi vi son disposto piü per compiacere a voi che per disiderio che io di moglie avessi. Voi sapete quello che voi mi pro-metteste, cioě d'esser contenti e d'onorar come donna qualunque quella fosse che io togliessi; 45 e per ciö venuto ě il tempo che io sono per servare33 a voi la promessa e che io voglio che voi a me la serviate. Io ho trovata una giovane secondo il cuor mio assai presso di qui, la quale io intendo di tor per moglie e di menarlami34 fra qui e pochi di a casa; e per ciö pensate come35 la festa delle nozze sia bella e come voi onorevolmente ricever la possiate, acciö che io mi possa della vostra promession chiamar contento36 come voi della mia vi potřete chiamare». 50 I buoni uomini lieti tutti risposero ciö piacer loro e che, fosse chi volesse, essi 1'avrebber per donna e onorerebbonla in tutte cose si come donna; e appresso questo tutti si misero in assetto di far37 bella e grande e lieta festa, e il simigliante fece Gualtieri. Egli fece preparar le nozze grandissime e belle e invitarvi molti suoi amici e parenti e gran gentili uomini e altri da torno; e oltre a questo fece tagliare e far piu robe belle e rieche al dosso d'una giovane la 55 quale della persona gli pareva che la giovinetta la quale avea proposto di sposare;38 e oltre a questo apparecchiö cinture e anella e una ricca e bella corona e tutto ciö che a novella sposa si richiedea. E venuto il di che alle nozze predetto39 avea, Gualtieri in su la mezza terza40 montö a ca-vallo, e41 ciascuno altro che a onorarlo era venuto; e ogni cosa oportuna avendo disposta, 60 disse: «Signori, tempo ě d'andare per la novella sposa»;42 e messosi in via con tutta la compa-gnia sua, pervennero alia villetta. E giunti a casa del padre della fanciulla e lei trovata che con acqua tornava dalla fonte in gran fretta per andar poi con altre femine a veder venire la sposa di Gualtieri; la quale43 come Gualtier vide, chiamatala per nome, cioě Griselda, domandö dove il padre fosse; al quale ella vergognosamente44 rispose: «Signor mio, egli ě in casa». 65 Allora Gualtieri, smontato e comandato a ogni uom che l'aspettasse, solo se n'entrö nella povera casa, dove trovö il padre di lei, che avea nome Giannucole,45 e dissegli: «Io sono venuto a sposar la Griselda, ma prima da lei voglio sapere alcuna cosa in tua presenza»; e domandolla se ella sempre, togliendola egli per moglie, s'ingegnerebbe di compiacergli e di niuna cosa che egli dicesse o facesse non turbarsi, e se ella sarebbe obediente e simili altre cose assai, delle 70 quali ella a tutte rispose di si.46 Allora Gualtieri, presala per mano, la menö fuori e in presenza di tutta la sua compagnia e d'ogn'altra persona la fece spogliare ignuda: e fattisi quegli vestimenti che fatti aveva fare,47 32 egli: soggetto pleonastico di uso tosca-no. 33 servare: rispettare. 34 tor...menarlami: queste due espres-sioni si riferiscono alla distinzione medievale tra lo "sposare" (tor per moglie: fare promessa di matrimonio) e le "nozze" vere e proprie che indicano sia i festeggiamenti sia il rapporto sessuale consumato dai co-niugi (menarmi: condurmela [a casa}). 35 pensate come:/aie in modo che. 36 chiamar contento: ritenere soddisfatto. 37 si misero...far: si predisposero a fare. 38 fece...sposare: fece tagliare e eucire vesti splendide e rieche sulla misura di una ragazza che gli sembrava avesse lo stesso personale della giovane che aveva intenzione di sposare. I preparativi delle nozze sono magnifici e sfarzosi, avvolti in un'atmosfera di favola cortese e di signorilitä feudale che esaltano il contrasto con le future decisioni di Gualtieri. 39 predetto:/i55ßto. 40 in...terza: le sette e mezza del mattino. 41 e: insieme a lui. 42 tempo...sposa: elegante sequenza di quinario e settenario che sottolinea la solen-nitä del momento. 43 la quäle: e complemento oggetto; il soggetto dei verbi vide e domandö (costru-ito, come al solito, transitivamente) e Gualtieri. 44 vergognosamente: tale avverbio esprime l'umile ritrosia di Griselda e la con-traddistingue in senso sociále (cfr. piu avan-ti: «di se medesima vergognosa e sospesa stavaw). Alcune righe sopra essa ě vista tor-nare «dalla fonte in gran fretta [...] con altre feminew, dove femine indica donne di bassa condizione e talora anche serve. 45 Giannucole: ě un diminutivo di Giovanni. 46 I0...s1: «Le domande di Gualtieri sono generiche, e non fanno prevedere le bizzarie a cui egli comincerá presto a abbandonarsiw (Russo). 47 fattisi...fare: essendo pronte le vesti che aveva ordinato. ( 539 ) PARTE SECONDA > Ľautunno del Medioevo 1310-> 1380 prestamente la fece vestire e calzare e sopra i suoi capelli, cosi scarmigliati come erano, le fece mettere una corona; e appresso questo, maravigliandosi ogn'uomo di questa cosa, disse: 75 «Signori, costei ě colei la quäle io intendo ehe mia moglie sia, dove48 ella me voglia per ma-rito»; e poi a lei rivolto, ehe di se medesima vergognosa e sospesa stáva, le disse: «Griselda, vuoimi tu per tuo marito?» A cui ella rispose: «Signor mio, si».49 E egli disse: «E io voglio te per mia moglie»; e in presenza di tutti la sposö; e fattala sopra 80 un pallafren50 montare, orrevolmente51 accompagnata a casa la si menö. Quivi furon le nozze belie e grandi e la festa non altramenti ehe se preša avesse la figliuola del re di Francia.52 La giovane sposa parve ehe co' vestimenti insieme ľanimo e' costumi mutasse. Ella era, come giä dicemmo, di persona e di viso bella: e cosi come bella era, divenne tanto avvenevole, tanto piacevole e tanto costumata,53 ehe non figliuola di Giannucole e guardiana di pecore 85 pareva stata ma d'alcun nobile signore, di che ella faceva maravigliare ogn'uom ehe prima conosciuta ľavea; e oltre a questo era tanto obediente al marito e tanto servente,54 ehe egli si teneva il piú contento e il piú appagato uomo del mondo. E similmente verso i subditi del marito era tanto graziosa e tanto benigna,55 ehe niun ve ne era ehe piú ehe sé non ľamasse e ehe non ľonorasse di grado,56 tutti per lo suo bene e per lo suo stato e per lo suo essaltamen- 90 to57 pregando, dicendo, dove dir soleano Gualtieri aver fatto come poco savio d'averla per moglie preša, ehe egli era il piú savio e il piú aweduto uomo ehe al mondo fosse, per ciö ehe niuno altro ehe egli avrebbe mai potuta conoscere ľalta vertú di costei nascosa sotto i poveri panni e sotto ľabito villesco.58 E in brieve non solamente nel suo marchesato ma per tutto, anzi ehe59 gran tempo fosse passato, seppe ella si fare, ehe ella fece ragionare del suo valore e 95 del suo bene adoperare, e in contrario rivolgere, se aleuna cosa detta s'era contro al marito per lei60 quando sposata ľavea. Ella non fu guari61 con Gualtieri dimorata che ella ingravidö, e al tempo partori una fan-ciulla, di ehe Gualtieri fece gran festa. Ma poco appresso, entratogli un nuovo62 pensier nelľa-nimo, cioě di volere con lunga esperienza e con cose intollerabili provare la pazienzia di lei, 100 e' primieramente la punse63 con parole, mostrandosi turbato e dicendo ehe i suoi uomini pessimamente si contentavano di lei64 per la sua bassa condizione e spezialmente poi ehe vedevano ehe ella portava figliuoli,65 e delia figliuola ehe nata era tristissimi altro ehe mormo-rar non faceano. 48 dove: con valore condizionale: qualora. 49 «Griselda...si»: «La scéna fiabesca si conclude con la stupefacente richiesta com-posta nei ritmi di un endecasillabo, cui ri-sponde un altro endecasillabo» (Branca). 50 pallafren: cavallo; dalla parola tardo-latina 'paraveredus': 'veredus' ě termine di origine gallica e significa cavallo di posta! 51 orrevolmente: onorevolmente; con sineope e assimilazione (nr...rr). 52 ehe se...Francia: espressione prover-biale ma ehe rimanda, comunque, al mondo cavalleresco delle corti francesi. 53 avvenevole...costumata: osservaRus-so: «Con avvenevole si indica la grazia, la disinvoltura, con piacevole il tratto cordia-le, con costumata, la correttezza signorile». ( 540 ) 54 servente: servizievole. 55 benigna: affabile, cortese. 56 di grado: volentieri. 57 essaltamento: prosperita. 58 villesco: da contadinella. Ľincredibile trasformazione di Griselda appare ai suddi-ti un motivo in piú per esaltare Gualtieri ehe ha intuito, al di lä delle apparenze, ľalta vertú delia donna (topos platonizzante nella concezione delľamore cortese). 59 anzi che: prima che. 60 per lei: a causa di lei. 61 guari: molto tempo. 62 nuovo: aggettivo con significazione forte per via etimologica dal latino 'novus' = strano, ineredibile; cosi come il successivo pazienza (e ricorrenti forme analoghe) per la derivazione dal participio del verbo "pati" = sopportare con sofferenza. 63 punse: da notáre 1'icasticitá del verbo. La funzione metaforica di questa immagine ritorna anche in altre espressioni, a eviden-ziare il sadismo quasi fisico di Gualtieri. 64 i suoi...lei: i suoi vassalli erano assai scontenti di lei. 65 ella...figliuoli: una fonte di questa novella ě considerato il Lai du Fresne di Maria di Francia ma in un contesto com-pletamente rovesciato: i vassalli si ribellano al signore perché 1'unione con Fresne non genera eredi. Diversamente 1'atteggiamen-to di Gualtieri fa leva sulla bassa condizione di Griselda che rende plausibile il suo oltraggio. CAPITOLO 2 I II Decameron - Le quali parole udendo la donna, senza mutar viso66 o buon proponimento in alcuno atto, 105 disse: «Signor mio, fa di me quello che tu credi che piú tuo onore o consolazion sia, che io saró di tutto contenta, si come colei che conosco che io sono da men di loro e che io non era degna di questo onore al quale tu per tua cortesia mi recasti».67 Questa risposta fu molto cara a Gualtieri, conoscendo costei non essere in alcuna superbia levata per onore che egli o altri fatto 1'avesse. 110 Poco tempo appresso, avendo con parole generali68 detto alla moglie che i subditi non po-tevan patir69 quella fanciulla di lei nata, informato un suo famigliare, il mando a lei, il quale con assai dolente viso70 le disse: «Madonna, se io non voglio morire, a me convien far quello che il mio signor mi comanda. Egli m'ha comandato che io prenda questa vostra figliuola e ch'io...» e non disse piú. 115 La donna, udendo le parole e vedendo il viso del famigliare e delle parole dette71 ricor-dandosi, comprese che a costui fosse imposto che egli 1'uccidesse: per che prestamente přesála della culla e basciatala e benedetola,72 come che gran noia73 nel cuor sentisse, senza mutar viso in braccio le pose al famigliare e dissegli: «Te74 fa compiutamente quello che il tuo e mio signore ťha imposto, ma non la lasciar per modo che le bestie e gli uccelli la divorino, 120 salvo se egli nol ti comandasse». II famigliare, presa la fanciulla75 e fatto a Gualtier sentir ció che detto aveva la donna, maravigliandosi egli della sua constanzia,76 lui con essa ne mando a Bologna a una sua parente, pregandola che, senza mai dire cui figliuola si fosse, diligente-mente allevasse e costumasse.77 Sopravenne appresso che la donna da capo ingravidó e al tempo debito partorí un figliuol 125 maschio, il che carissimo fu a Gualtieri; ma non bastandogli quello che fatto avea con maggior puntura trafisse la donna, e con sembiante turbato un di le disse: «Donna, poscia che tu questo figliuol maschio facesti, per niuna guisa con questi miei viver son potuto, si duramente si rama-ricano che un nepote di Giannucolo dopo me debbia rimaner lor signore,78 di che io mi dotto,79 se io non ci80 vorró esser cacciato, che non mi convenga fare di quello che io altra volta feci e 130 alla fine lasciar te e prendere uríaltra moglie». La donna con paziente animo Fascoltó né altro rispose se non: «Signor mio, pensa di contentar te e di sodisfare al piacer tuo e di me non avere pensiere alcuno, per ció che niuna cosa me cara se non quanto io la veggo a te piacere». Dopo non molti di Gualtieri, in quella medesima maniera che mandato aveva per la figliuola, mando per lo figliuolo: e similmente dimostrato81 ďaverlo fatto uccidere, a nutricar82 135 nel mando a Bologna, come la fanciulla aveva mandata; della qual cosa la donna né altro viso né 66 viso: aspetto. 67 «Signor mio...recasti»: le parole di Griselda suonano come atto di sottomissio-ne assoluta; esse seguono uno schema che si ripete in ogni suo intervento (a partire dall'iterazione áe\Y incipit: Signor mio). Come suggerisce Branca, esse ricordano addi-rittura il «linguaggio marianow, il linguaggio di un essere soprannaturale. L'eleganza del periodare accentua proprio la paradossale naturalezza dell'enunciato. 68 generali: generické. 69 patir: tollerare. 70 il quale...viso: ě un endecasillabo che predispone 1'attenzione alla drammaticitá del messaggio. II quale, del resto, si compo- ne di una sequenza formata da un endecasillabo iniziale e da uno finale, e da due set-tenari («a me convien far quello», io debbo fare quello, «Egli m'ha comandato»), prima di interrompersi su «e ch'io...» facendo in-tuire, senza esibirle, le cupe intenzioni di Gualtieri. 71 dette: sono i rimproveri a lei rivolti dal marito. 72 benedetola: invariabile, al maschile. 73 noia: dolore. 74 Te': Tieni. 75 che...fanciulla: altra série di endeca-sillabi (il primo sdrucciolo). 76 constanzia: fermezza ďanimo. 77 costumasse: educasse. 78 nepote...signore: Gualtieri riprende la polemica sociale giä precedentemente espressa, polemica che, nel caso di un figliuol maschio, gli pare ancor piü "giustifi-cata". Si rivolge, inoltre, alla moglie chia-mandola Donna (e non piü Griselda), men-tre lei, ormai del tutto umiliata, finirä per rivolgersi al marito con un rispettosissimo voi (cfr. piü avanti). 79 mi dotto: mi impaurisco, dal latino 'dubitare' attraverso il provenzale 'doptar'e il francese 'douter'. 80 ci: di qui. 81 dimostrato: fatto credere. 82 nutricar: allevare ed educare nello stesso tempo. [541] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310-> 1380 Maestro delia storia di Griselda, L'esilio di Griselda, 1494 ca. Londra, National Gallery. Questo dipinto ě il secondo di una serie di tre dedicati alia novella di Griselda, tutti conservati alia National Gallery di Londra e riferibili ad un unico autore che viene convenzio-nalmente indicato come Maestro della storia di Griselda. Nel dipinto ě raffigurata la parte centrale della novella, quando Gualtieri, avendo fatto credere alia moglie Griselda di averle ucciso i figli, le impone di togliersi gli abiti no- bili e di ritornare dal padre. I caratteri formali del dipinto sono problematici: da un lato, infatti, le citazioni classiche e llmpaginazione prospettica sono il chiaro indizio di una cultura orientata al recupero e allo studio del mondo anti-co, dall'altro la convenzionalitá nella rappresentazione della figura umana, degli animali, del cielo, dei colori rimanda-no a una cultura nostalgica del mondo feudale e cortese. altre parole fece che della fanciulla fatte avesse, di che Gualtieri si maravigliava forte e seco stesso affermava niuna altra femina questo poter fare che ella faceva; e se non fosse che car-nalissima de' figliuoli, mentre gli piacea, la vedea,83 lei avrebbe creduto ciô fare per piú non curarsene, dove come savia lei farlo cognobbe.841 subditi suoi, credendo che egli uccidere aves- 140 se fatti i figliuoli, il biasimavan forte e reputavanlo crudele uomo e alia donna avevan grandissi-ma compassione. La quale con le donne, le quali con lei de' figliuoli cosi morti si condoleano, mai altro non disse se non che quello ne piaceva a lei che a colui che generati gli avea.85 Ma essendo piú anni passati dopo la nativita della fanciulla, parendo tempo a Gualtieri di fare I'ultima pruova della sofferenza di costei, con molti de' suoi disse che per niuna guisa86 145 piú sofferir poteva d'aver per moglie Griselda e che egli cognosceva che male e giovenilmente87 aveva fatto quando ľaveva preša, e per ciô a suo potere voleva procacciar col Papa che con lui dispensasse88 che un'altra donna prender potesse e lasciar Griselda; di che egli da assai buoni uomini fu molto ripreso; a che nulla altro rispose se non che conveniva che cosi fosse.89 La donna, sentendo queste cose e parendole dovere sperare90 di ritornare a casa del padre e for- 150 sea guardar le pecore come altra volta aveva fatto e vedere a un'altra donna tener colui al quale ella voleva tutto il suo bene,91 forte in se medesima si dolea; ma pur, come I'altre ingiu-rie della fortuna aveva sostenute, cosi con fermo viso si dispose a questa dover sostenere. 83 carnalissima...vedea: la donna appa-re affettuosissima nei confronti dei figli ma (ed ě assai sintomatico)/mcfó lui [: il mari-to] lo consente. 84 lei...cognobbe: il soggetto ě ancora Gualtieri: lui avrebbe creduto che lei si compor-tasse cosi per non prendersene piú eura, mentre dovette scoprire che lofaceva da donna saggia. 85 sc.avea: se non che a lei piaceva ciô che era gradito al padre dei suoi figli («a co- ( 542) lui che generati gli avea»). Ribadisce ancora il concetto del "sia fatta la tua volontä" con un comportamento da santa. E, del resto, é quanto sostiene esplicitamente il marito, ovvero che « niuna altra femina questo poter fare che ella facevaw. 86 per...guisa: in nessun modo. 87 giovenilmente: con leggerezza giovanile. 88 con lui dispensasse: "dispensare" é costruito intransitivamente: lo dispensasse. 89 conveniva...fosse: doveva essere cosi. 90 sperare: attendersi. 91 colui...bene: e un aspetto francamen-te sconcertante, ma che ben si inserisce in un contesto di esemplificazione morale por-tata all'estremo. Da notare, comunque, che la forza d'animo di Griselda non subisce il minimo ridimensionamento: suo tratto fi-siognomico ed etico costante rimane in tut-ta la novella il fermo viso. CAPITOLO 2 I II Decameron - Non dopo molto tempo Gualtieri fece venire sue lettere contrafatte da Roma e fece veduto92 a' suoi subditi il Papa per quelle aver seco dispensato di poter torre altra moglie e lasciar Gri- 155 selda; per che, fattalasi93 venir dinanzi, in presenzia di molti le disse: «Donna, per concession fattami dal Papa io posso altra donna pigliare e lasciar te; e per ció che i miei passati sono stati gran gentili uomini e signoři di queste contrade, dove i tuoi stati son sempře lavoratori,94 io intendo che tu piú mia moglie non sia, ma che tu a casa Giannucolo95 te ne torni con la dote che tu mi recasti, e io poi unaltra, che trovata n'ho convenevole a me, ce ne meneró».96 160 La donna, udendo queste parole, non senza grandissima fatica, oltre alla97 nátura delle femine, ritenne le lagrime e rispose: «Signor mio, io conobbi sempře la mia bassa condizione alla vostra nobilita in alcun modo non convenirsi, e quello che io stata son con voi da Dio e da voi il riconoscea, né mai, come donatolmi,98 mio il feci o tenni ma sempře Febbi come pre-statomi; piacevi di rivolerlo, e a me dee piacere e piace di renderlovi: ecco il vostro anello col 165 quale voi mi sposaste, prendetelo. Comandatemi99 che io quella dota100 me ne porti che io ci recai: alla qual cosa fare né a voi pagatore né a me borsa bisognerá né somiere,101 per ció che di mentě uscito non me che ignuda maveste; e se voi giudicate onesto che quel corpo nel quale io ho portati i figliuoli da voi generati sia da tutti veduto, io me nandró ignuda; ma io vi priego, in premio della mia virginitá che io ci recai e non ne la porto, che almeno una sola 170 camiscia sopra102 la dota mia vi piaccia che io portar ne possa».103 Gualtieri, che maggior voglia di piagnere aveva che ďaltro, Stando pur col viso duro, disse: «E tu una camiscia ne porta». Quanti dintorno verano il pregavano che egli una roba104 le donasse, ché non fosse veduta105 colei che sua moglie tredici anni o piú era stata di casa sua cosi poveramente e cosi 175 vituperosamente106 uscire, come era uscirne in camiscia; ma invano andarono i prieghi; di che la donna, in camiscia e scalza e senza alcuna cosa in capo, accomandatigli107 a Dio, gli usci di casa e al padre se ne torno con lagrime e con pianto108 di tutti coloro che la videro. Giannucolo, che creder non avea mai potuto questo esser ver che Gualtieri la figliuola dovesse tener moglie, e ogni di questo caso aspettando, guardati1091'aveva i panni che spogliati savea quel- 180 la mattina che Gualtier la sposó; per che recatigliele e ella rivestitiglisi,110 a' piccioli servigi della paterna casa si diede si come far soleva, con forte animo sostenendo il fiero assalto della nemica fortuna.111 92 fece veduto:/ece credere. 93 per che, fattalasi: percio, fattasela (con inversione dei pronomi). 94 passati...lavoratori: gli antenati di Gualtieri sono stati gentili uomini in con-trapposizione a quelli della moglie, sempli-ci contadini. 95 a casa Giannucolo: casa senza prepo-sizione é un calco dal francese "chez", 'pres-so'. Giannucolo, come Giannucole (cfr. nota 45) é diminutivo di Giovanni. 96 ce ne menerô: ne condurrô qui [come moglie]. 97 oltre alla: al di la della. 98 donatolmi: consueta inversione dei pronomi enclitici: donatomelo; stessa cosa per il successivo renderlovi: rendervelo. 99 Comandatemi: Voi mi comandate. 100 dota: forma che nel Decameron si al-terna con "dote" 101 somiere: bestia da soma. 102 sopra: oltre. 103 «Signor mio...possa»: Branca individua in questo discorso di Griselda una probabile fonte di immagini e di espressio-ni nel libro di Giobbe («Dominus dedit, Dominus abstulit»: «II Signore ha dato, il Signore ha tolto»; «Nudus egressussum [...] nudus revertar»: «Nudo uscii [dal ventre di mia madre] e nudo lä ritornerö»). E utile forse ricordare che queste sono le parole che egli pronuncia allannuncio della mořte dei figli e dopo aver perduto tutti i suoi beni, ma senza rinnegare la fedelta verso il suo Dio. 104 roba: vestě. 105 veduta: ě da unirsi a uscire, posto in fine di frase con costrutto latineggiante. 106 vituperosamente: vergognosamente. 107 accomandatigli: raccomandatili. 108 con lagrime e con pianto: nel Trecento esiste la distinzione tra le "lacrime", il piangere silenziosamente, e il "pianto" cioě il lamentarsi singhiozzando. Qui 1'unione delle sue espressioni acquista forza perché si dispone in un settenario. 109 guardati: conservati intatti. 110 per che...rivestitiglisi:percióporta-tiglieli (-gliele ě indeclinabile) ed ella aven-doli indossati di nuovo. 111 con...fortuna: passaggio a notevole coloritura retorica per i tre aggettivi sempře anticipate ( 543 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 Come Gualtieri questo ebbe fatto, cosi fece veduto112 a' suoi che presa aveva una figliuola d'uno de' conti da Panago;113 e faccendo fare 1'apresto114 grande per le nozze mandö per la 185 Griselda che a lui venisse; alia quale venuta115 disse: «Io meno questa donna la quale io ho nuovamente tolta116 e intendo in questa sua prima venuta d'onorarla; e tu sai che io non ho in casa donne che mi sappiano acconciar le camere né fare molte cose che a cosi fatta festa si richeggiono:117 e per ciö tu, che meglio che altra persona queste cose di casa sai, metti in or-dine quello che da far ci ě, e quelle donne fa invitar che ti pare e ricevile come se donna di 190 qui118 fossi: poi, fatte le nozze, te ne potrai a casa tua tornare». Come che queste parole fossero tutte coltella al cuor di Griselda, come a colei che non aveva cosi potuto por giú119 Famore che ella gli portava come fatto aveva la buona fortuna, rispose: «Signor mio, io son presta e apparecchiata». E entratasene co' suoi pannicelli romagnuoli120 e grossi in quella casa della qual poco avanti era uscita in camiscia, cominciö a spazzar le ca- 195 mere e ordinarle e a far porre capoletti e pancali121 per le sale, a fare apprestar la cucina, e a ogni cosa, come se una piccola fanticella della casa fosse, porre le mani, né mai ristette che122 ella ebbe tutto acconcio e ordinato quanto si conveniva. E appresso questo, fatto da parte di Gualtieri invitar tutte le donne della contrada, cominciö a artender la festa; e venuto il giorno delle nozze, come che123 i panni avesse poveri indosso, con animo e costume donnesco124 200 tutte le donne che a quelle vennero, e con lieto viso, ricevette. Gualtieri, il quale diligentemente aveva i figliuoli fatti allevare in Bologna alia sua parente che maritata era in casa de' conti da Panago, essendo giä la fanciulla d'etä di dodici anni la piu bella cosa che mai si vedesse (e il fanciullo era di sei), avea mandato a Bologna al parente suo pregandol che gli piacesse di dover con questa sua figliuola e col figliuolo venire a Sanluzzo e 205 ordinäre125 di menar bella e onorevole compagnia con seco e di dire a tutti che costei per sua mogliere gli menasse, senza manifestare alcuna cosa126 a alcuno chi ella si fosse altramenti. II gentile uomo, fatto secondo che il marchese il pregava, entrato in cammino127 dopo alquanti di con la fanciulla e col fratello e con nobile compagnia in su 1'ora del desinare giunse a Sanluzzo, dove tutti i paesani e molti altri vicini da torno trovö che attendevan questa novella 210 sposa di Gualtieri. La quale dalle donne ricevuta e nella sala dove erano messe le tavole venuta, Griselda, cosi come era,128 le si fece lietamente incontro dicendo: «Ben venga la mia don-na».129 Le donne, che molto avevano, ma invano, pregato Gualtieri che o facesse che la Griselda si Stesse in una camera o che egli alcuna delle robe che sue erano state le prestasse, acciö che cosi non andasse davanti a' suoi forestieri,130 furon messe a tavola e cominciate a servire. 215 La fanciulla era guardata da ogn'uomo, e ciascun diceva che Gualtieri aveva fatto buon cam-bio; ma intra gli altri Griselda la lodava molto, e lei e il suo fratellino. Gualtieri, al qual pareva pienamente aver veduto quantunque131 disiderava della pazienza della sua donna, veggendo che di niente la novitä delle cose la cambiava e essendo certo ciö per 112 fece veduto: fece credere. 113 Panago: Panico, feudo del bolognese. 114 1'apresto: Vapprestamento, cioě tutti i preparativi. 115 venuta: da intendere: una volta die era venuta. 116 meno...tolta: per la distinzione. 117 richeggiono: richiedono. 118 donna di qui:padrona della casa. Si noti la particolare crudeltá di Gualtieri: importe a Griselda di finger di essere quello che ( 544 ) ě stata fino a pochissimo tempo prima. E infatti quelle parole diventano coltella nel suo cuore (il Branca, per questo, rinvia alia figura dell'Addolorata) fino all'aperto rico-noscimento dello stesso Gualtieri: «in quan-ti modi tu sai ti punsi e trafissiw (rigo 229). 119 por giu: deporre. 120 romagnuoli: grezzi. 121 capoletti e pancali: arazzi e drappi. 122 né...che: e non si fermó fino a che. 123 come che: sebbene. 124 donnesco: gentile. 125 ordinäre: fare in modo di. 126 alcuna cosa: in alcun modo. 127 entrato in cammino: intrapreso il viaggio, cammino ě un francesismo. 128 cosi...era: come era stato stabilito. 129 donna: nel significato giä incontrato di signora. 130 forestieri: ospiti. 131 quantunque: tutto quello che. CAPITOLO 2 I II Decameron - mentecattagine non awenire, per ciö che savia molto la conoscea,132 gli parve133 tempo di do-220 veria trarre dell'amaritudine134 la quale stimava che ella sotto il forte viso135 nascosa tenesse; per che, fattalasi venire, in presenzia d'ogn'uomo sorridendo le disse: «Che ti par delia nostra sposa?» «Signor mio», rispose Griselda «a me ne par molto bene; e se cosi ě savia come ella ě bella, che '1 credo, io non dubito punto136 che voi non dobbiate con lei vivere il piú consolato signor del mondo; ma quanto posso vi priego che quelle punture, le quali all'altra,137 che vostra fu, 225 giä deste, non diate a questa, ché appena che io creda138 che ella le potesse sostenere, si perché piú giovane ě e si ancora perché in dilicatezze139 é allevata, ove colei in continue fatiche da piccolina era stata». Gualtieri, veggendo ehe ella fermamente eredeva costei dôvere esser sua moglie, né per ciö in aleuna cosa men che ben140 parlava, la si fece sedere allato e disse: «Griselda, tempo é 230 omai che tu senta frutto delia tua lunga pazienzia, e ehe coloro li quali me hanno reputato erudele e iniquo e bestiale141 conoscano che ciö che io faceva a antiveduto142 fine operava, volendoti insegnar ďesser moglie e a loro di saperla tenere, e a me partorire perpetua quiete mentre teco a vivere avessi: il ehe, quando venni a prender moglie, gran paura ebbi ehe non m'intervenisse, e per ciö, per prova pigliarne, in quanti modi tu sai ti punsi e trafissi. E perö 235 ehe io mai non mi sono aecorto che in parola né in fatto dal mio piacere partita ti sii, parendo a me aver di te quella consolazione ehe io disiderava, intendo di rendere a te a un'ora ciö che io tra molte143 ti tolsi e con somma dolcezza le punture ristorare ehe io ti diedi. E per ciö con lieto animo prendi questa che tu mia sposa eredi, e il suo fratello, per tuoi e miei figliuoli: essi sono quegli li quali tu e molti altri lungamente stimato avete ehe io crudelmente uccider 240 facessi; e io sono il tuo marito, il quale sopra ogni altra cosa ťamo, eredendomi poter dar vanto144 che niuno altro sia ehe, si com'io, si possa di sua moglier contentare». E cosi detto l'abracciö e basciö: e con lei insieme, la qual ďallegrezza piagnea, levatosi n'an-darono lä dove la figliuola tutta stupefatta queste cose ascoltando sedea e, abbracciatala tene-ramente e il fratello altressi, lei e molti altri ehe quivi erano sgannarono.145 Le donne lietissime, 245 levate146 dalle tavole, con Griselda n'andarono in camera e con migliore agurio147 trattile i suoi pannicelli ďuna nobile roba delle sue la rivestirono; e come donna,la quale ella eziandio negli stracci pareva,148 nella sala la rimenarono. E quivi fattasi co' figliuoli maravigliosa festa, essen-do ogni uomo lietissimo di questa cosa, il sollazzo e '1 festeggiar multiplicarono e in piú giorni tirarono;149 e savissimo reputaron Gualtieri, come che troppo reputassero agre150 e intollera- 250 bili ľesperienze prese delia sua donna, e sopra tutti savissima tenner Griselda. II conte da Panago si tornö dopo alquanti di a Bologna; e Gualtieri, tolto Giannucolo dal suo lavorio,151 come suocero il pose in istato, ehe152 egli onoratamente e con gran consolazione 132 ció per...conoscea: che ció non avve-niva per stupidita (mentecattaggine) dal momento che la riteneva molto saggia. 133 gli parve: anacoluto rispetto a Gualtieri all'inizio di frase. 134 amaritudine: afflizione. 135 forte viso: tratto tipico di Griselda (precedentemente: senza mutar viso e con fermo viso). 136 punto: per nulla. 137 all'altra: in realtá Griselda sta parlan-do di se stessa in terza persona perché il suo essere stata sposata con Gualtieri appartie- ne a un passato per lei davvero irrecupera-bile. Ma ció serve anche per aumentare il contrasto con ľimminente scioglimento delia trama, imprevedibilmente positivo. 138 appena...creda:posso credere appena. 139 dilicatezze: raffinatezze. 140 ma che ben: meno saggiamente. 141 bestiale: all'inizio del racconto Dio-neo aveva parlato proprio di matta bestialita (cfr. nota 11). 142 antiveduto: calcolato. 143 a un'ora...molte: in un'ora cid che in piú volte. 144 poter dar vanto: potermi vantare. 145 sgannarono: liberarono dall'ingan-no. 146 levate: alzatesi. 147 agurio: forma per "augurio" da inten-dersi come speranza. 148 come donna...pareva: come signora, quale pareva anche vestita di stracci. 149 tirarono: prolungarono. 150 agre: severe. 151 lavorio: vuol significare un lavoro continuo efaticoso. 152 che: a talpunto che. ( 545 ) PARTE SECONDA > Ľautunno del Medioevo 1310 -> 1380 visse e fini la sua vecchiezza. E egli appresso, maritata altamente153 la sua figliuola, con Gri-selda, onorandola sempre quanto piü si potea, lungamente e consolato visse. 255 Che si poträ dir qui? se non che anche nelle povere case piovono dal cielo de' divini spiriti, come nelle reali154 di quegli che sarien piü degni di guardar porci che d'avere sopra uomini si-gnoria. Chi avrebbe, altri che Griselda, potuto col viso non solamente asciutto ma lieto sofferir le rigide e mai piü non udite pruove da Gualtier fatte? Al quale non sarebbe forse stato male investito d'essersi abbattuto a una155 che quando, fuor di casa, Favesse fuori in camiscia caccia-ta, s'avesse si a un altro fatto scuotere il pelliccione che riuscito ne fosse una bella roba.156 G. Boccaccio, Decameron, cit. 153 altamente: nobilmente. 154 reali: cioě quelle dei re. 155 non sarebbe...una: non sarebbe forse ingiustamente accaduto di imbattersi in una donna (cioě di aver preso in moglie una donna). 156 s'avesse...roba: si fossefatta scuotere il pelliccione da un altro in modo da rica-varne una bella veste. Dioneo insomnia, con un'allusione provocatoria, vuol dire che sa- rebbe stato meglio per Griselda aver trovato un amante con il quale consolarsi delle an-gherie subite dal marito. Scuotere il pelliccione ě metafora erotica. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO_ L'ultima novella del Decameron E la decima novella della Decima giornata nella quale «si ragiona di chi liberalmente ovvero magnifica-mente alcuna cosa operasse intorno a fatti d'amore o d'altra cosa». La sua collocazione a conclusione del Decameron le conferisce uno statuto particolare e rende legittimo il confronto con la novella iniziale, quella di Ser Ciappelletto (cfr. T3, p. 423), che gode della stessa posizione privilegiata. II sistema dei personaggi: Gualtieri e Griselda Molti sono i personaggi della novella (i vassalli, Giannucole, il servo incaricato di strappare a Griselda la figlia, i figli di Griselda...), ma si tratta di comparse a cui e riservata appena qualche battuta: il ruolo di primi attori e svolto da Gualtieri e Griselda, dall'inizio alia fine sulla scena. Le umili origini di Griselda spiegano la pazienza e la tenacia del suo comportamento. Lei stessa dice di essersi formata alia vita «in continue fatiche» sin «da piccolina». Cio le consente di diventare un esempio insuperabile di moglie in-namorata e paziente, sino a tollerare il sacrificio dei figli (che ella crede uccisi dal marito). II marchese di Saluzzo si mostra da subito capace di una cattiveria tanto piu sadica quanto piu gratuita. La sua "peda-gogia della crudelta" non conosce ostacoli, anzi procede per successivi rilanci, dall'umiliazione iniziale che infligge a Griselda («in presenza di tutta la sua compagnia e d'ogni altra persona la fece spogliare ignuda») fino alia spietata messinscena che escogita come prova suprema per la moglie, e che e poi la prova definitiva del suo accanimento insensato. In realta, tanto la sopportazione di Griselda quanto il sadismo di Gualtieri sono cosi eccessivi da risultare poco credibili, o addirittura del tutto improbabili. Pluristilismo e poliprospettivismo Dioneo, il narratore di questa vicenda, rovescia la prospettiva cortese che domina nelle altre novelle, non solo mostrando la «matta bestialita» del marchese di Saluzzo, ma accompagnando con una battuta iro-nica di commento la stessa conclusione della novella: forse Griselda avrebbe fatto meglio, quando il marito la rimanda a casa in camicia, a trovarsi un amante (l'espressione «farsi scuotere il pelliccione» e de-cisamente volgare) e a farsi donare da lui una bella veste. Anche in questo caso, insomnia, Boccaccio, che pure crede alia possibilita di coniugare i valori cortesi di un tempo con quelli nuovi della nascente bor-ghesia, non eleva mai a dogma le proprie convinzioni, ma mostra anche una prospettiva diversa. Questo poliprospettivismo e coerente con il suo razionalismo empirico e relativistico. Le soluzioni stilistiche corrispondono poi a questa varieta di prospettive: come sono elevati e nobili il tono e il linguaggio che esaltano la virtu di Griselda, cosi e basso, "comico", spregiudicato il commento finale di Dioneo. ( 546 ) CAPITOLO 2 I II Decameron Un'interpretazione psicoanalitica di Griselda La critica ha fornito una interpretazione psicoanalitica della ragione che puo aver indotto Boccaccio a immaginare questo personaggio, cosi diverso dagli altri eroi ed eroine del Decameron. Scrive Muscetta: «Griselda e per Boccaccio la reintegrazione, al livello di stile "tragico", della figura di sua madre, che nel-la vita reale era stata separata dal figlio e non si era piu riunita con Boccaccino. Le umiliazioni e i sacrifi-ci di una oscura povera donna, questa era la realta "storica" di Griselda: la vittoria redentrice del suo amore sulle miserie del marito appartenevano a quelle necessarie favole che i poeti raccontano innanzi tutto a se stessi per ricreare un interiore mondo armonioso». II conflitto delle interpretazioni Questa novella e esaltata da Branca che la vede in opposizione a quella iniziale di Ser Ciappelletto: la virtu di Griselda viene contrapposta all'empieta di questo personaggio, nell'ambito di una struttura «ascensiona-le» dell'opera che, partendo dalla bassezza morale di Ciappelletto, finisce con toni elevati e con esempi po-sitivi. Griselda sarebbe addirittura da accostare a Maria Vergine, cosi come Ciappelletto a Giuda (cfr. p. 439). Altri, come Salinari, mostrano invece Faspetto cerebrale e artificioso della inspiegabile durezza del marche-se di Saluzzo e della incomprensibile pazienza di Griselda. Scrive Salinari: «E cosi le prove successive ed atroci a cui il marchese di Saluzzo sottopone la povera Griselda per sperimentarne Fattaccamento e la pazienza sono solo un gioco intellettuale e non hanno una effettiva radice psicologica. In tal modo appare assurda artisticamente la figura del marchese, ed anche, di riflesso, quella di Griselda la cui passivita disu-mana, persino di fronte all'uccisione ingiustificata dei figli, la rendono simile a una marionetta senza vita». Altre chiavi di lettura La novella puo essere letta anche in un'altra ottica, piu attenta alia realta storica: essa potrebbe assumere una funzione demistificante nei confronti della societa feudale, in genere rievocata nei suoi aspetti cortesi. Lambientazione feudale e la contrapposizione sociale dei personaggi mettono a fuoco la violenza del marchese su una povera contadina abituata a ogni genere di umiliazione. II potere signorile si esercita su una donna di umili condizioni attraverso il matrimonio; viene sancito cosi un legame tra prepotenza nobiliare e prepotenza sessuale. Ancora. Lo scrittore riconosce a Griselda uneccezionale forza d'animo che ne san-ziona, nonostante Fumile origine, la superiority morale su Gualtieri. Su questo non vi sono dubbi. Piu pro-blematica e un'altra questione. Boccaccio vuole esaltare con questo personaggio le virtu tipicamente fem-minili dell'ubbidienza e della sottomissione al marito? Oppure, con questo esempio estremo e improponi-bile, vuole metterle in discussione, come potrebbe far pensare il commento di Dioneo? LAVORIAMO SUL TESTO_ Comprensione e analisi 1. Riassumere ► Riassumi le motivazioni della condotta del marchese di Saluzzo nell'intera vicenda. 2. Descrivere ► Caratterizza il personaggio di Griselda, e prova a distinguere nella sua condotta motivazioni psico-logiche, sociali e altre piu tipiche della dimensione fiabesca (le tre prove eccezionali, la sopportazione e il lieto fine). 3. Puoi riscontrare nei testo una compresenza di stili che rispecchi la pluralita dei piani del racconto? 4. Lingua e lessico ► Sottolinea nei testo i termini e le espressioni elevate e nobili con cui vengono celebrate le virtu di Griselda. Poi spiega il significato della spre-giudicata battuta di Dioneo che conclude la novella. A tuo parere perché Boccaccio mette in bocca a Dioneo questo spiazzante commento basso e "comico"? Interpretazione e commento 5. Argomentare ► Ti sembra che Boccaccio voglia propor-re una morale? Quale? Con quali strumenti? 6. Commentare ► Pensi che il conflitto espresso da Boccaccio sia sempre attuale? Quali metamorfosi puö avere subito? Che soluzione deve avere a tuo parere? 7. Argomentare ► La novella esalta la fedeltä e ľincredibi-le pazienza della donna nobile d'animo benché di umili origini; approfondisci il tema prendendo in esame: • la polemica della civiltä comunale fra gentilezza e no-biltä di Stirpe; • il topos dell'innalzamento di un'umile fanciulla attraverso il matrimonio nella letteratura fiabesca; • le metamorfosi nella cultura e nella societa contem-poranea di questo motivo. [ 547) Griselda, un finale ehe ci interroga La virtú di Griselda e il "controcanto" di Dioneo A narrare 1'ultima novella del Decameron e Dioneo, il quale racconta lo strano caso di Griselda: un'umile contadina, diventata improwisamente marchesa di Saluzzo, che subi-sce da parte del marito una serie di maltrattamenti tanto ingiustificati quanto crudeli. La donna, dotata di una forza d'animo altrettanto incredibile, sopportatutto pertredici anni, quando finalmente la tortura finisce e lei e ammessa a palazzo come sposa e signora. A leggere questa novella si ha I'impressione di non comprendere qualcosa. Viene da chiedersi: perche Gualtieri infierisce cosi crudelmente? E perche Griselda non reagisce mai? In effetti, la psicologia dei personaggi appare innaturale e inspiegabile. Inspiega-bile, per un verso, la «matta bestialita» dell'accanimento del marchese: prima le toglie i tlgli (che lei crede uccisi) e poi la ripudia, la caccia e in seguito la richiama come ser-va della futura seconda moglie. Altrettanto inspiegabile e la resistenza di Griselda che risponde ogni volta «senza mutar viso», con una compostezza incrollabile, accettando la sorte come naturale e giusta conseguenza della propria posizione sociale. Al termine della novella, la vicenda si scioglie - imprevedibilmente - con un lieto fine: la virtu di Griselda viene premiata e la donna assurge a modello insuperabile di liberalita e magnificenza. Ma - viene da chiedersi - a che prezzo? Come se non ba-stasse, anche il narratore dice la sua per complicare il testo. II commento finale e malizioso di Dioneo e che Griselda avrebbe fatto meglio, anziche obbedire cieca-mente al marito, a cercarsi un amante che le procurasse una bella veste. Un commento in controcanto rispetto alia materia narrata, che propone un'altra verita sul-lo strano caso di Griselda. Serva, santa, martire, madre C 548 ) Chi ě, dunque, Griselda? La sua ě (o non ě) da ritenersi virtu? Anche per rispondere a queste domande si sono mosse le interpretazioni critiche, nel tempo fitte e varie, sollecitate forse anche dalla posizione della novella in fondo al Decameron, a indicare un rilievo e un valore particolari. Alcuni hanno interpretato Griselda in chiave allegorica e religiosa. La donna incarna un ideále di santitá e bontá contrapposto al vizio e alia malvagitá del mondo. II male ě rap-presentato certamente da Gualtieri, ma anche da personaggi negativi come Ciappellet-to, con cui il Decameron si apriva. In questa chiave esemplare, Griselda, con la sua gra-zia umile e imperturbabile, indica all'umanita la via di una possibile rinascita, portando nel contempo su di sé le stimmate di questo passaggio: ció la rende accostabile a figure evangeliche, come quella di Cristo e di Maria Vergine, o a figure bibliche, come quella di Giobbe, modello di giusto che sopporta ogni prova con proverbiale pazienza. CAPITOLO 2 I II Decameron Altri hanno tentato un'interpretazione storico-sociologica. In tal senso la novella propone una rappresentazione critica della societa feudale, in cui I'accanimento esaspe-rato e assurdo di Gualtieri sta a indicare i privilegi e le prepotenze della nobiltá, pronta a perpetrare soprusi inimmaginabili sui propri sudditi. Griselda, che ě inferiore a Gualtieri per ceto (in quanto plebea) e per genere (in quanto donna), subisce le violenze del mondo signorile, svelandone cosi il vera volto, tutt'altro che cortese. Sulla questione del carattere della protagonista la critica si ě divisa. Alcuni commenta-tori vedono nella pazienza di Griselda un segno di superiore saggezza, dote ehe la eleva spiritualmente e moralmente sul marito; altri, all'opposto, individuano nella sua condotta un'eccessiva sottomissione e rassegnazione. La critica piu recente, pur confermando I'i-potesi di una struttura ascensionale nel Decameron, e quindi sottolineando I'eroismo di Griselda, ha evidenziato le aperture prospettiche Offerte dal finale attraverso il contrasto tra \'happy end del racconto e il commento salace di Dioneo: un modo per dire ehe la re-altá ě mobile, male e bene vi si incontrano come i diversi e talora stridenti punti di vista. C'e - infine - chi ha avanzato un'interpretazione psicologica della figura della protagonista, collegandola al vissuto delľautore e in particolare all'immagine materna. Com'e noto, Boccaccio era figlio illegittimo e fu separato dalla madre in tenera etá, senza avere piů la possibilitá di rivederla. Griselda sarebbe la proiezione dolorosa della figura della madre reale e, nel contempo, una figura di riparazione: a differenza di quella, Griselda riabbraccia i suoi figli, anche se dopo un lungo periodo di tempo. Chiudere i I Decameron con un enigma © II marchese di Saluzzo sceglie Griselda in sposa (part.) da un cassone del XV secolo. II dibattito critico dimostra I'interesse sorto intorno a questa novella, ma anche la resistenza del testo a un'interpretazione univoca, che ne chiarisca il senso una volta per tutte. Ogni lettura aggiunge un tassello alia comprensione del personaggio chiave, che tuttavia mantiene intatto il suo mistero e il suo carisma. Come avrai notato, alcune proposte di lettura possono conciliarsi e integrarsi; altre invece sono in conflitto e chiedono a noi lettori di assumere una posizione oppure di cercare altre vie. Boccaccio si doveva rendere ben conto di costruire, con la novella di Griselda, un piccolo enigma. Tuttavia nell'ottica del Decameron forse assume un valore anche la scelta di concludere con un testo che continua a interrogare noi lettori. • Accogli la sfida che ti lancia I'autore. Dai la tua risposta alia domanda di significato che la vicenda lascia aperta: secondo te perche Boccaccio conclude il Decameron proprio narrando questa novella? Quello di Griselda e un modello positivo di virtu e di resistenza o un esempio di sottomissione e di debolezza? Formula un'ipotesi e proponi la tua lettura. Ricorda che la liberta di chi legge e sempre vincolata al contenuto del testo: verifica la tua interpretazione sul testo di Boccaccio per confermarla o modificarla. ■ [ 549 J PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 21 La conclusione dell'autore II bilancio di Dioneo L'autodifesa dell'autore Alia fine della Decima giornata, Dioneo propone di ritornare in cittä per impedire che una prolungata convivenza possa determinare qualche fastidio e anche per evitare le critiche dei malevoli. Alia fine del soggiorno nel contado, fa un bilancio dei quattordici giorni qui passati, osservando che la vita della brigata non ha superato mai i limiti di decoro e di correttezza che i giovani si erano imposti e che anzi essa e stata sempre caratterizzata da «continua onestä, continua concordia, continua fraternal dimestichezza». Cosi la mattina del quindicesimo giorno i dieci novellatori ritornano a Firenze e si re-cano alia chiesa di Santa Maria Novella dove si erano incontrati; qui si accomiatano gli uni dagli altri. Seguono le Conclusioni dell'autore. In esse l'autore torna a prendere la parola in prima persona rivolgendosi di nuovo alle donne e di fatto concludendo l'autodifesa cominciata nella Introduzione alia Quarta giornata. Anzitutto l'autore si difende dall'accusa di aver descritto situazioni e usato parole poco convenienti osservando anzitutto che «la qualitä» stessa delle novelle le ha richieste: la forma doveva essere coerente con la materia. In altri termini, seppure implicitamente, Boccaccio si awicina giä a teorizzare l'autonomia della letteratura che deve obbedire solo a proprie leggi intrinseche. In secondo luogo, egli fa appello alle esigenze del realismo: il linguaggio a doppio senso, per indicare situazioni sessuali, e di uso corrente nella vita quotidiana. E anche questa con-siderazione e assai utile per definire la poetica dell'autore. Per quanto riguarda particolar-mente le obiezioni morali, Boccaccio risponde che tutto e puro per i puri e che anche le sacre scritture, se lette in modo perverso, possono indurre al peccato. Inoltre si deve tener conto che a raccontare le novelle sono dieci giovani cittadini ritiratisi nel contado, in una situazione di evasione dai compiti e dagli obblighi di ogni giorno, e per di phi in un momen- © Gustaaf Wappers, Boccaccio legge il Decameron alia regina Giovanna, 1868. Bruxelles, Musee royaux des Beaux-Arts de Belgique. [ 550 ) CAPITOLO 2 I II Decameron Due fasce di lettori: donne e mercanti da un lato, intellettuali dall'altro II Decameron come modello dl prosa volgare e i I "boccaccismo" La censura dopo II Concilio di Trento to straordinario, e cioě «in tempo nel quale andar con le brache in capo per iscampo di sé era alii piú onesti non disdicevole». Se poi qualcuno si fa scrupolo a leggere novelle che reputa poco convenienti, faccia atten-zione alle rubriche iniziali e scelga solo quelle di argomento non erotico. D'altra parte - e ciö vale sia per il carattere morale che per la qualitä estetica delle novelle - ľautore protesta, con sottile ironia, di essersi limitato alia trascrizione, e che colpe e meriti spettano in realtä solo ai dieci novellatori. Un'ultima risposta riguarda la lunghezza eccessiva di alcune novelle rimproverata da alcuni critici. Ľautore ribatte - anche in questo caso, non senza ricorrere alľironia - ehe le novelle lunghe sono destinate alle donne «oziose» che possono dedicare tranquillamente molto tempo alla lettura, mentre gli uomini di studio, che hanno poco tempo da perdere, possono limitarsi a quelle brevi. La diffusione del Decameron awenne soprattutto nel ceto mercantile, come testimoniano le copie traseritte in mercantesca, cioě nella serittura propria dei mercanti (cfr. p. 28), spesso da dilettanti e non da esperti copisti, e annotate con conti, calcoli ecc. E vero ehe ľautore aveva tenuto presenti soprattutto due tipi di pubblico: anzitutto le donne e, presumibilmen-te, i mercanti e poi gli «studianti», cioě gli intellettuali. II tono piú basso e "comico" era rivolto alia prima fascia di lettori, quello piú elevato delle novelle "tragiche" alia seconda. Tuttavia, per circa un secolo, dalla metá del Trecento a quella del Quattrocento, il secondo tipo di pubblico fu abbastanza diffidente, almeno nel settore dei letterati di professione, nei confronti del Decameron. Questo atteggiamento cambia alla fine del Quattrocento e alľinizio del Cinquecento. É in que-sti anni che Botticelli raffigura due scene tratte da due novelle esemplari del Decameron, quella delia "caccia" dal racconto di Nastagio degli Onesti (cfr. INF.©. p. 494) e quella in cui Cimone (V, 1) scopre Efigenia mentre dorme discinta sotto un albero. Nel 1525 Pietro Bembo, nelle Prose della volgar lingua, innalza il Boccaccio del Decameron a modello di stile e di lingua per la prosa, cosi come Petrarca per la poesia. La teorizzazione del principio di imitazione come canone fondamentale del classicismo cinquecentesco induce a fare di Boccaccio un'autoritä eminentemente linguistico-grammaticale: comincia il "boccaccismo" come fenomeno retorico. Quasi contemporaneamente, nell'Italia del Concilio di Trento e della Controriforma religiosa, il Decameron venne sottoposto a due tipi di censura: una linguistica e una religiosa. II for-malismo retorico mirava a purgare l'opera dei suoi aspetti piú parlati e popolari, mentre il moralismo religioso intendeva eliminare soprattutto la polemica antiecclesiastica. D'altra parte l'opera, con la diffusione della stampa (intorno al 1470 ne escono le prime edizioni), circola-va in strati sempře piú ampi di pubblico, e nello spirito controriformistico di allora si decise di tagliarne gli aspetti piú critici e "scandalosi" e di approntare una edizione censurata. Questa usci una prima volta nel 1573 e una seconda volta, con piú gravi manomissioni (non solo tagli, ma rifacimenti), nel 1582. La ricezione del Decameron [551] PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 Sfortuna di Boccaccio nel Seicento e nel Settecento L'aggettivo "boccaccesco" Pirandello, continuatore di Boccaccio L'interpretazione vitalistica di Pasolini digit-VIDEO G. Rondolino, Attualita del Decameron G. Rondolino, Pasolini: la struttura narrativa e la cornice del Decameron R. Luperini, Pasolini e il Decameron Nel Seicento, con il Barocco, la fortuna del Decameron subi un duro colpo. II Barocco mise in discussione infatti il classicismo; e poiché ľopera di Boccaccio era ormai considerata un mo-dello classicistico da imitare, venne spesso rifiutata. Nel Settecento, la rinascita del classicismo si accompagnö a una ripresa di fortuna per Boccaccio. Tuttavia, nella seconda meta del secolo, preoccupazioni di ordine morale e civile tornarono a confluire in un senso di distacco e di diffidenza. Parini, per esempio, pur ricono-scendo il valore letterario di Boccaccio, ne attaccö duramente «le infamie oscene ed irreligiöse» osservando che esse «meritamente son condannate non meno dalla religione che dalla pubbli-ca onestä». Dopo Parini, sarä Foscolo a scrivere un appassionato Discorso storico sul testo del Decameron (1825). Foscolo inaugura un tipo di critica che poi sarä ripreso da De Sanctis: da un lato appare sempre preoccupato dei rischi di retorica e di vuoto classicismo ehe la prosa decame-roniana poteva autorizzare, dalľaltro vede in Boccaccio il precursore di un atteggiamento, amorale o immorale, evasivo e deresponsabilizzato sul piano civile e politico, che avrebbe pro-dotto la crisi del Rinascimento. Nelľltalia moderna, cadute queste preoccupazioni, Boccaccio apparirä come un modello di vita libera e spregiudicata. A livello di senso comune, la diffusione dell'aggettivo "boccaccesco" a indicare situazioni di erotismo volgare dä un'idea di quale sia, nell'opinione corrente, l'imma-gine del Decameron. A livello di ricerca letteraria e artistica, possono essere considerati esem-plari i casi di Pirandello e di Pasolini, che interpretano il Decameron, entrambi, in chiave vitalistica. Pirandello si ispira a Boccaccio per il tema della beffa erotica, presente non solo in Novelle per un anno (dove la lezione del Decameron ě giä nel titolo) ma anche nel teatro (Líolá) e nei ro-manzi (II turno, il IV capitolo di IIfu Mattia Pascal), per la comicitä popolaresca di alcune situazioni (si pensi a una novella come Lagiara), per ľambizione di fornire un disegno comples-sivo di una intera realtä sociale. Nel genere della novellistica, Pirandello ě indubbiamente il phi geniale continuatore di Boccaccio. L'interpretazione vitalistica di Boccaccio ritorna, cinquant'anni dopo Liolá, in Pasolini, nel film Decameron del 1971, il primo della «Trilogia della vita», che comprende anche / racconti di Canterbury, 1972, e Ilfiore delle Mille e una notte, 1974. II mito della sanitä corporale e del vitalismo naturalistico boccacciano ě dunque a fondamento delľoperazione pasoliniana. Non per nulla, la maggior parte dei dieci racconti scelti ě a forte tensione erotica. Ma anche quando si tratta di novelle in cui manca il tema sessuale, Pasolini accentua, magari attraverso ľuso del dialetto napoletano, l'elemento gio-coso e vitalistico. Insomma per Pasolini, ma in parte anche per Pirandello e per altri artisti novecenteschi (potremmo ricordare anche il film Boccaccio 70, di cui ě coautore Visconti), il grande scritto-re del Trecento rappresenta un'immagine perduta di sensualitä immediata, di corporalitä goduta senza pregiudizi e senza falsi pudori. L'erotismo di Boccaccio ě diventato simbolo di una autenticita e di una «innocenza» (la parola ě di Pasolini) andate irrimediabilmente per-dute. Lultima ripresa filmica del capolavoro di Boccaccio ě dovuta ai fratelli Taviani (Maravi-glioso Boccaccio, 2015, su cui cfr. il video di Giovanna Taviani in Prometeo). ( 552 ) CAPITOLO 2 I II Decameron SINTESI y Composizione del Decameron Boccaccio comincia a scrivere il Decameron subito do alcuni critici). II titolo viene dal greco e significa dopo la fine della peste che colpi Firenze nel 1348; "died giornate". Ľopera ě composta da cento no-I'opera ě conclusa giá nel 1351 (o nel 1353 secon- velle raccontate da sette donne e tre uomini. y Struttura del Decameron Dopo il Proemio, in cui ľautore si rivolge alle donne per dedicare loro ľopera, comincia la Prima giornata aperta da un'introduzione dell'autore. Ogni giornata ě introdotta da una rubrica che ne y I tre livelli narrativi Mentre nel Proemio e nelľintroduzione alia Prima giornata ě ľautore a parlare in prima persona, le no-velle sono raccontate da dieci novellatori. Nel com-plesso, ľopera risulta perciô strutturata in tre livelli: una "super-cornice", in cui protagonista e narratore ě ľautore; una "cornice", in cui protagonisti e narra-tori sono i dieci novellatori; le cento novelle, a cui la "cornice" serve da contenitore, in cui protagonisti y La cornice La vicenda della cornice prende spunto dalla peste che devasta Firenze. In questa atmosféra di devastazione materiále e di dissoluzione morale, una brigata di dieci giovani, sette donne e tre uomini, decidono di recarsi fuori cittá, in un palazzo del contado, e di passare il tempo passeggiando, scherzando e raccontando novelle. I giovani re-stano fuori cittá per due settimane, ma di questi quattordici giorni solo dieci sono impegnati nelle y I temi e le fonti I temi dominanti nel Decameron sono I'amore, I'intelligenza, la fortuna e il loro reciproco rappor-to. L'amore ě una forza della natura: tentare di opporsi ad essa ě vano, chiudere gli occhi di fronte ad essa ě ipocrita. Ciô non significa che biso-gna sottoporsi incondizionatamente alia forza del «concupiscibile appetito», dell'istinto. Ě ne-cessaria anche una resistenza: essa assume le forme delľ«onestá», che ě una virtu sociále, e della «gentilezza», che ě invece una virtu individuale. y La poetica Attraverso il vario novellare dei dieci giovani ven- La realtá umana, tutta la realtá umana, viene con- gono definiti i caratteri di una nuova etica, non piú siderata nel Decameron in una prospettiva piena- organica e precettista, ma aperta, problematica. mente laica. sintetizza il tema; inoltre ogni novella ě presenta-ta da una rubrica che ne riassume il contenuto. Abbiamo cosi, in totale, dieci rubriche di giornate e cento rubriche di novelle. sono i personaggi delle trame narrate. La cornice serve, inoltre, a collegare fra loro i racconti; a con-nettere o disgiungere, talora a commentare, le varie novelle. La cornice rappresenta pure I'atmosfera in cui le novelle vengono raccontate: quella orribile della peste e quella che vi si oppone, ispirata a cri-teri di ordine e gentilezza, della brigata giovanile che cerca rifugio nel contado. novelle, infatti il novellare viene interrotto il vener-di e il sabato di ciascuna settimana. La brigata decide di eleggere ogni giorno un re o una regina che avranno il compito di decidere I'organizzazio-ne della giornata e I'argomento delle novelle. Solo il novellatore Dioneo otterra di non attenersi al tema scelto e parlera sempre per ultimo, tranne che nella Prima giornata. Restano senza argo-mento preciso solo la Prima giornata e la Nona. Se I'uomo risulta condizionato da «due ministře del mondo», che sono appunto la fortuna e la natura, l'ingegno puö servire a controllare, almeno in parte, la natura. A parte la sicura influenza della novellistica Orientale e araba, numerose sono le fonti del Decameron, sia greche e latine, come i Saturnalia di Macrobio, le satire menippee, le Me-tamorfosi di Apuleio, sia medievali, come i Fabliaux, i Lais, le raccolte di Exempla, le Vidas dei trovatori e il Novellino. PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 VERIFICHE Che cosa signifies Decameron? (§ 1) Quale struttura lega tra loro le novelle? (§ 2) Chi sono i narratori e a quale ceto appartengono? (§ 2) Quali sono le fonti del Decameron? (§ 4) A chi si rivolge esplicitamente Boccaccio nel Decameron e con quale proposito? (§ 10) Come giustifica Pampinea la fuga dalla cittá contaminata? (§ 10) Commentare ► Alia fortuna si oppone nel Decameron I'ingegno: scegli uno o piú personaggi esemplari e chiarisci la natura del loro ingegno. Ě una virtu che implica un giudizio morale o ha carattere puramente strumentale? Scrivi un commento in proposito. (§ 6) Spiega la novitá della poetica del Decameron. (§ 7) Perché il carattere utilitario e quelle- edonistico del Decameron possono ritenersi complementari? (§ 7) Secondo Pampinea la natura e la fortuna sono ministře del mondo (VI, 2). Che significato hanno invece nella novella di Andreuccio? (T4) Che significato assumono sulla bocca di Ghismunda? (T6) Commentare ► Pasolini, parlando del suo film sul Decameron, definisce il capolavoro di Boccaccio una «grande opera gioiosa». Che impressione ti ě rimasta, a libro chiuso, delle novelle che hai letto? Motiva brevemente la risposta. Argomentare ► Scrivi un testo argomentativo sulla concezione dell'amore nella novella di Tancredi e Ghismunda e nella novella dell'usignolo facendo riferimento ai seguenti punti - I'amore tragico di Ghismunda - I'amore felice di Caterina - I'emergere dell'istinto sessuale in entrambe le novelle - lo scontro tra Ghismunda e il padre - I'accordo tra Caterina e il padre - I'ideologia nobiliare di Tancredi ě nemica dell'amore tra ceti diversi - I'ideologia borghese del padre di Caterina cerca una soluzione accomodante Esporre oralmente ► Passa in rassegna le figure femminili delle novelle lette e individuane connotazioni fisiche e psicologiche. In quale modo infine la diversa appartenenza sociále influisce sul loro comportamento e sulla loro idea dell'amore? Le figure femminili individuate da Boccaccio potrebbero in qualche modo appartenere al mondo e alia mentalita di oggi? Rispondi oralmente in classe. La novella di Federigo degli Alberighi (T10) concilia il mondo cortese e quello borghese. In che modo Boccaccio riformula i valori cortesi? E quelli borghesi? (§ 15) Tratta sinteticamente I'argomento. [ 554 ) CAPITOLO 2 I II Decameron Riassumere ► Fai una sintesi della novella di Calandrino e l'elitropia (T15): suddividila in sequenze e dai a ciascuna un titolo, poi scrivi un riassunto chiaro e coeso. Confrontare ► Nella novella di Tancredi e Ghismunda (T6), il personaggio femminile ricorda per certi aspetti il personaggio dantesco di Francesca (Inferno, canto V): anche Francesca conosce i testi cortesi e razionalizza il proprio «natural peccato». Ma mentre Francesca tende ad ammettere il proprio peccato, Ghismunda legittima la propria passione come scelta consapevole di cui si assume la responsabilitä. Sviluppa questo suggerimento con un'analisi piü puntuale dei due episodi. digit-VIDEO GiovannaTaviani, Perché un film sul Decameron di Boccaccio Paolo e Vittorio Taviani hanno girato nel 2015 un film ispirato al Decameron dal titolo Maraviglioso Boccaccio. In un'intervista, interrogati sul perché realizzare un film sul Boccaccio, hanno cos! risposto: «Perche la peste, che allora ebbe il carattere del contagio, oggi é la peste della disoccupazione e della fame nel mondo. E i ragazzi di oggi soffrono come i nostri dieci giovani del film, che nella sofferenza non vogliono arrendersi alia disperazione. Per questo scelgono di lasciare Firenze e di affidarsi alia natura, al senso solidale di una piccola comunitä, e, soprattutto, alia fantasia, che riporta in primo piano i grandi sentimenti dell'umanitä». Prendendo spunto dalle loro parole, produci un testo sulľattualitä dei temi trattati nel Decameron e sul messaggio che quest'opera puö trasmettere ancora oggi. Confrontare ► Confronta questa immagine di Dario Fo dal titolo L'allegra brigata del Decameron di Boccaccio con la rappresentazione dei dieci novellatori eseguita da Winterhalter (cfr. p. 398). Trovi piü vicini al testo la staticitä dei personaggi nel dipinto di Winterhalter o il senso di movimento di quelli di Fo? Motiva la tua risposta. [ 555 ) PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 LUOGHI DELLA VITA E DELLA CULTURA IL MERCATO .1 . 1.11 Un po' di storia II commercio delle bagatelle Nel Medioevo la ricchezza di una cittä si misurava dalla prosperita dei suoi commerci. II mercato, come tutti i luoghi dell'epoca, era il centro di molte e diverse attivitä e un'occasione di socialita. Questa vivace esperienza del mercanteggiare per le vie, gradualmente scomparsa dalle cittä europee, ě ancora presente nei paesi del Maghreb, dove sopravvivono molte antiche botteghe e una nobile e raffinatissima tradizione artigiana. La storia del mercato medievale ě tutt'uno con la storia delle sue cittá. Finché queste giacquero in semiabbandono e le condizioni delle strade rimasero in cattivo stato, an-che i commerci furono ridotti e limitati. Poi, intorno all'anno Mille, quando i centri ur-bani cominciarono a ripopolarsi e I'antico tessuto stradale fu in parte ripristinato, il mercato prese lentamente a rifiorire. Antiche rotte commerciali vennero allora ristabi-lite e nuove ne vennero aperte. Cos'era in fondo la cittá medievale dove queste merci confluivano? Prima di tutto un centro di consumo. La cittá era mercato. Inizialmente il commercio si svolgeva un po' ovunque, ora nei sobborghi cittadini ora lungo le strade e dinanzi alle botteghe, poi, con una regolamentazione sempre piú forte da parte delle istituzioni comunali, venne circoscritto in piazze porticate e in edifici adibiti a questo scopo, sotto ampie tettoie di legno. Ma il mercato spesso dirompeva. Traboccava allora nelle vie di cittá, strette e animate, dove erano le botteghe degli orafi, dei calzolai, dei fabbri, dei piccoli artigiani. Come la chiesa, come la taverna e come tutti i luoghi pubblici del Medioevo, il mercato era anche un luogo di socialita. Vi si scambiavano non solo merci ma anche infor-mazioni, bagatelle e moltissimi pettegolezzi, un genere di mercanzia molto apprezza-to tanto ieri come oggi. Li si apprendeva della pestilenza che aveva decimato la cittá di Firenze o di Pisa o dell'ultima pace stipulata dal Duca di Milano con la quale cessa-vano le razzie nelle campagne. Ma nel mercato ci si scambiavano anche notizie di vita domestica, come la prosperita di una fattoria o il fidanzamento di una giovinetta. Le fiere in special modo, che si tenevano a cadenze regolari, erano I'occasione per gli uo-mini di ritrovarsi ed erano gremite di buffoni e risuonavano di canti d'allegrezza. Maestro Colin, Lunetta del mercato delta frutta e delta verdura, fine XV secolo. Castello di Issogne, Valle d'Aosta. Invito al mercato L'oro delle spezie Alle prime ore del mattino dalla campagna coi suoi prodotti si affluiva in cittá. Lunghe file ďasini ne attraversavano le porte per portare Torzo, Tavena e il grano ai mulini co-munali; gli allevatori conducevano intanto il bestiame sotto i loggiati dov'erano giá giun-ti molti uomini con secchielli d'acqua pieni di trote, dentici, capitoni, tinche, anguille o altro pesce preso nel fiume o negli stagni. V'erano molte contadine che portavano frutta e verdura in capienti ceste di vimini e tanti piccoli commercianti che vendevano ogni sorta di mercanzia. Nelle stradě erano stati intanto aperti i banchi: uomini e donne si fermavano per contrattare e chiacchierare sotto i prosciutti e la carne salata o accan-to alle stanghe dov'erano appese le calze suolate, caratteristiche dell'epoca. Oltre che pieno di rumore, il mercato era ricco d'odori, piu di quanto il nostro olfatto po-trebbe oggi sopportare. I piú intensi venivano dalle spezie usate per insaporire il cibo, per conservarlo e per conferirgli capacitá medicamentose. I piu sgradevoli erano quel-li del bestiame. Per il vocabolario della Crusca "mercato" significa figurativamente «gran quantitá, co-pia, abbondanza, o simile, di chicchessia». Cosa si commerciava nel Medioevo oltre alle carni, al pesce e ai prodotti agricoli? Molto amate erano le spezie: la galanga, ama-ra radice orientale, introdotta in Europa dagli Arabi e volentieri usata in cucina, e la can-nella, che Marco Polo aveva riportato con sé dalla Cina; poi vi erano lo zenzero, che s'acquistava ad Alessandria e curava i disturbi di stomaco, la noce moscata e il mace delle isole Molucche. Anche i panni erano molto richiesti. Le stoffe piu raffinate venivano dall'lnghilterra o dalla Spagna e si lavoravano in Italia. Ve n'erano di umili, come il guarnello, e di sontuose, come lo sciamito e il damasco. PARTE SECONDA > L'autunno del Medioevo 1310 -> 1380 Niccolö di Pietro Gerini, Trinitä con Francesco Datini e la moglie (particolare), 1400 ca. Roma, Musei Capitolini. Nel nome di Dio e del guadagno Tra le virtu peculiari del mercante spiccavano I'iniziativa, I'ingegno, I'audacia e, spes-so, la spregiudicatezza: tutte erano necessarie al buon esito dei commerci. Ma I'etica del guadagno non sempre si conciliava con quella religiosa. In particular modo, il pre-star denaro con interesse era un'attivita in sospetto d'usura, considerata peccato gra-vissimo. Allora i mercanti, per salvare I'anima, davano parte dei ricavati in elemosine, facevano edificare cappelle e commissionavano pale d'altare. E lasciavano scritto nei loro libri d'ammaestramenti e di consigli, redatti per i figli e per gli amici, di non trascu-rare mai le pratiche religiose e di condurre una vita sobria e onesta. Paolo da Certaldo cercö di conciliare la morale del mercante con quella del buon cristiano, rispondendo a un'esigenza diffusa nella sua classe sociale. Nato nel 1315, forse appunto a Certaldo, dovette comunque abbandonare molto presto il paese natale per trasferirsi a Fi-renze. Poco sappiamo della sua attivitá di mercante, se non che I'andata a male di un carico di pane, destinato ad approvvigionare I'esercito fiorentino, segno un giorno la sua disgrazia economica. Rimase famoso per una raccolta di massime, d'esempi e di proverbi detta // libro di buoni costumi; le parole con le quali questo breve opuscolo ha inizio sono «Al nome di Dio amen». Francesco Datini era figlio di un umile tavernaio. Fu grazie alla sua abilitá e al suo in-gegno che divenne il mercante piu ricco e rispettato di Prato. Sotto molti aspetti egli fu un homo novus tipico dei suo tempo: audace e laborioso insieme. Rimasto orfano giovanissimo, si trasfen ad Avignone dove allora si trovava la corte papale e la iniziö la sua fortuna di mercante. Commerciö panni, metalli e grano; talora anche armi e schiavi. Sebbene la Chiesa condannasse l'usura, Francesco presto spesso denaro. Fe-ce, in compenso, molte elemosine, elargi denaro ai conventi e, alla sua morte, lasciö tutti i suoi averi ai poverelli di Prato. Era solito cominciare ogni contratto cosi: «Nel nome di Dio e dei guadagno». CAPITOLO 2 I II Decameron MERCATI E PRELIBATEZZE da Bonvesine del la Rive, Le meraviglie di Miláno, Scheiwiller, da B. Redon, R Sabbon, S. Serventi, A tavola net Medioevo, Laterza, 2017 Milano mirabile Bonvesin de la Riva nel suo De magnalibus urbis Mediolani (1288) celebra, ai limiti del favoloso, 10 splendore di Milano passando attraverso I'esaltazione dei suoi mercati e delľincredibile prosperita dei suoi commerci. Nella sola cittä si consumano ogni giorno, in media, milleduecento moggi di grano e anche piú [...] i bottegai, che vendono al minuto un numero incredibile di mercanzie, sono sicu-ramente piu di mille, i macellai sono piu di quattrocentoquaranta [...]; i pescatori che quasi ogni giorno pescano in abbondanza nei laghi del nostro contado pesci di ogni tipo, trote, dentici, capitoni, tinche, temoli, anguille, lamprede, granchi e ogni altro genere di pesci grossi o minuti, sono piu di diciotto; quelli che pescano nei fiumi sono piu di sessanta; quelli che portano in cittä il pescato nei ruscelli innumerevoli dei monti assicurano di essere piu di quattrocento. Lambiccate delizie Una ricetta medievale del Maialino da latte ripieno puö dare una chiara idea delia vivacitá de-gli scambi e, soprattutto, delľuso e del commercio prodigioso ehe si faceva delle spezie. 11 maialino ammazzato e dissanguato dalla gola va scottato in acqua bollente e spellato; prendete poi la carne magra di maiale, togliete il grasso e le interiora del maialino e cuo-ceteli in acqua; prendete venti uova e assodatele, e poi delle castagne lessate e mondate: prendete poi i rossi d'uovo, le castagne, del buon formaggio vecchio e delia carne di pro-sciutto cotto, e tritate il tutto; pestate poi zafferano e polvere di zenzero in gran quantitä mischiata al ripieno: e se risulta troppo sodo stemperatelo con dei rossi d'uovo. E non aprite il maiale dalla parte del ventre, ma dal fianco, facendo il foro piu piccolo che potete: mettetelo poi alio spiedo e poi riempitelo con la farcia e ricucitelo con un grosso ago; dev'essere mangiato con la salsa gialla d'inverno, o con la salsa camelina d'estate. Una raffmata trasposizione cinematografica Una memorabile rappresentazione del mercato medievale ě nel Decameron (1971) di Pier Paolo Pasolini. Oltre ehe registicamente felici e ispirate, le scene del film sono rieche di rimandi alia cultura figurativa del Tre-Quattrocento, con frequenti echi di Masaccio e di Giotto. ► WEBQUEST: Le piazze lungo i secoli Sebbene molte cittä antiche abbiano mutato nei secoli il loro assetto urbanistico, in alcune sono ancora riconoscibili le piazze del mercato medievale. Ricercale e distingui, laddove puoi, le componenti origináli dagli interventi successivi. Mostra poi ai compagni i risultati del tuo lavoro. ► DEBATE: Artigiani e mercanti ď Africa e d'Oriente Nei paesi europei latradizione manifatturiera ě quasi scomparsa, sostituita dai prodotti dell'industria, sempre piu livellati e grossolani. Esistono, tuttavia, cittä, come molte del Maghreb, nelle quali vivono ľartigianato e latradizione manuále. Fai una ricerca sulletradizioni artigianali dei paesi extra-europei e sui mercati delle loro cittä ed esponi i risultati ai tuoi compagni.