I canii camascialcsclii Lafugacitä del tempo e la precarictá delia vita i8o EPOCA 3 IL MONDO UMANISTICO E SIGNORILE 1380. altra piú giovenetta si dislega a pena dalla boccia; eravi ancora chi le sue chiuse foglie alľaire niega; altra, cadendo, a pie il terreno infiora. Cosi le vidi nascere e morire e passar lor vaghezza in men di un'ora. Quando languente e pallide vidi ire le foglie a terra, allor mi venne a mente che vana cosa ě il giovenil fiorire. Nostro solo ě quel poco ch'e presente, né il passato o il futuro ě nostro tempo: un non ě piú, e ľaltro ě ancor níente. Cogli la rosa, o ninfa, or ch e '1 bel tempo! - M94 w. 172-174. un'altra, piú recente, comin-cia appena a sciogliersi {si dislega) dal bocciolo (boccia); altre ancora sí rifiuta-no di esporre all'aria i petali cliiusi nella corolla. V. 175-. a pie il terreno infiora: rende ŕiorí-to ií terreno sorto i nostri piedi. v. 177, passar la lor vaghezza: scomparire la loro belie zza, v. 178. languente: morenti; pallide: appas-site; ire: andare, latinismo. v. 180. «che la gíovinezza e un bene ca-dueo». La parte finale dell'idilHo ě una riflessione sulla fugacitä dell'esistenza. v. 181. nostri sono soltanto quei pochi istanti che corrispondono al presente. v. 183. il passato non esiste piü, il hjturo non e ancora nulla. v. 184. e l'esclamazione finale rivolta a Galatea, che viene invitata a cogliere le gioie di una giovinezza destinata a sva-nire presto. Riprende la conclusione del De rosis: «Conlige, virgo, rosas dum flos novus et nova pubes» ("raccogli, vergine, le rose, mentre il fiore e nuovo e nuova la giovinezza"); ma cfr. anche la conclusione della ballata del PoHzia-no, «Si che, fanciulle, mentre e piü fio-rita, / cogliän la bella rosa del giardino» (p. 228). La Canzona di Bacco (Trionfo di Bacco e Arianna) I cosiddetti «canti carnascialeschi» appartengono a diverse fasi delia vena creativa laurenziana: a differenza della maggior parte di queste composi-zioni, generalmente costruite sul doppio senso osceno, la Canzona di Bacco, scritta in occasione del carnevale del 1490, ě un «trionfo», che aecom-pagnava un carro di tipo rnitologico, con il corteo di Bacco, il dio del vino e dell'ebrezza. In questo celebre testo si riconosce tra ľaltro la presenza di Marsilio Ficino, che aveva posto sotto il segno di Bacco í suoi De vita, e tendeva a cqllegare il suo platonismo ad una esaltaztone della gioia e della letizia. Nel celebre ritornello di questa Canzona si intrecciano ľinvito a go-dere delle gioie dell'oggi e la consapevolezza della precarietä del domani. Questo tema della fugacitä del tempo e della vita si colloca sullo sfondo, ma inserisce una nota di malinconia nell'esaltazione festosa del testo, 4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA FWENZE ME DICE A. LORENZO DE* MEDICI composto per un evento mondano che intende coinvolgere ľintera cittä | ^Firenze. Le prime cinque strofe della Canzona presentano in una ben precisa I ;.tsaitazione successione i diversi personaggi mitologici del carro trionfale: Bacco e I deifiori Arianna con le ninfe (prima strofa), i satiretti (seconda), ancora le ninfe I che accettano l'inganno amoroso dei satiri (terza), Sileno (quarta), il re Mida (quinta). Alia presentazione dei personaggi si intrecciano varie con-siderazioni sul valore del piacere, dell'amore, della gioia e del riso (che nel caso di Mida si svolgono in una considerazione sulla vanitä della ric-chezza). Le due strofe finali si rivolgono a tutta la cittä in festa, con un | rinnovato invito alia gioia e al godimento, alia sospensione di ogni pena; ma l'esaltazione dionisiaca resta comunque velata da quel ripetersi del verso finale del ritornello, che suggella tutto il componimento: di daman non c é certezza. METRO: la Canzona di Bacco ě una ballata composta da una ripresa di quattro versi con schema xyyx e serte strofe di ottonari, con schema ababbyyx, in cui la prima parola rima y {tuttavta) viene ripetuta nel sesto verso di ciascuna stanza (tranne neU'ultirna, dove c e sía), mentre i due versi successivi rípetono sempře gli ukimi due versi del ritornello [Chi vuoi esser lieto, sia, / di daman non e'e certezza). Quanto ě bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c'ě certezza. Questo ě Bacco e Arianna, belli e 1'un delTaltro ardenti: perché el tempo fugge e inganna, sempře insieme stan contentí. Queste ninfe e altre genti vv. 1-4. e la ripresa del componimento, i cui due ultimi versi vengono ripetuti alia fine di ogni strofa. La rugacka della giovinezza e un tema topico comune a tanta letteratura quattrocentesca; tuttavia: «confinuamente», con funzione awer-biale; chi vuol esser lieto: corrisponde al motto vivite laeti contenuto n^WApologia di Marsilio Ficino, alle teorie filosofi-che del quale si richiama questo canto carnascialesco di un Lorenzo ormai ma-turo e prossimo alia morte; di doman non e'e certezza: e un'espressione divenuta proverbiale. v. 5. Questo: ha valore di presentazione, dal momento che la Canzona accompa-gna il carro allegorico e ne iUustra í personaggi; Bacco: ě il dio del vino cui ě intonate il canto; Arianna: fanchjlla cretese figlia del re Minosse, fu abbandonata da Teseo sull'isola di Nasso, In seguito di lei s'innamorö Bacco, che la fece sua sposa. v. 6. ardenti: presi da intensa passione amorosa. v. 8. «dimorano insieme felici»: lo stato di beatitudine eterna dei due arnanti di-vini si contrappone alia fuggevolezza dei piaceri terreni. v. 9. altre genti: sono altri personaggi del trionfo di Bacco. 16 EPOCA ? IL MONDO UMANISTICO E SIGNORILE ,380-,^ f ^ ^ ^ letteratura dELLA FIRENZE MEDICEA. LORENZO DE' MEDICI 15 30 sono allegri tuttavia. Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c'e certezza. Questi lieti satiretti, delle ninfe innamorati, per caverne e per boschetti han lor posto cento agguati; or da Bacco riscaldati, ballon, salton tuttavia. Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c'e certezza. Queste ninfe anche hanno caro da-lloro essere ingannate: non puo fare ' Amor riparo, se non gente rozze e ingrate; ora insieme mescolate suonon, canton tuttavia. Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c'e certezza. Questa soma, che vien drieto sopra l'asino, e Sileno: cosi vecchio e ebro e lieto, gia di came e d'anni pieno; se non puo star ritto, almeno ride e gode tuttavia. Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c'e certezza. v. 10. tuttavia: l'awerbio e ripetuto in ogni strofa al sesto verso, prima del refrain, ad indicare un termine-chiave sul quale si regge la struttura del compo-nimento. Fa eccezione l'dtirna strofa Uia). v. 13. satiretti: sono divinita boschive con caratteristiche caprine, v. t6. cento agguati: sono le «trappole amorose». Si noti il motivo classico del satiro awezzo a tendere insidie alle ninfe, riletto in chiave di divertito gioco amoroso. v. vj. riscaldati: resi ebbri da Bacco, cioe dal vino. v. 18. salton: saltellano. w. 21-22. «queste ninfe hanno piacere ad essere ingannate dai satiri». Prevale an- cora la nota spensierata e gioiosa. w. 13-24. «alľ Amore possono resistere soltanto le persone volgari e prive di gra-zia, cioe insensibili (mgrate)». II concetto qui espresso ě motivo ricorrente della poesia stilnovistica. W. 25-26. ora, unitesi ai satiri, cantano e ballano senza sosta. v. 19. soma: peso, carico. w. 30-32. Sileno: ě il satiro precettore del dio Bacco, qui descritro come un vecchio grasso (giä di came e d'anni pieno) e ubriaco {ebro), v. 33. se non puo star ritto: «se non puô reggersi diritto in sella». Anche il vecchio Sileno partecipa alia festa carnascia-lesca: ľ invito a godere del tempo presen-te ě rivolto a tutti. Mida vien drieto a costoro: ciô che tocca, oro diventa. E che giova aver tesoro, s'altri poi non si contenta? Che dolcezza vuoi che senta chi ha sete tuttavia? Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c'e certezza. Ciascuno apra ben gli orecchi: di doman nessun si paschi, oggi sían, giovani e vecchi, lieti ognun, fernine e maschi. Ogni tristo pensier caschi, facciam festa tuttavia. Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c'e certezza. Donne e giovinetti amanti, viva Bacco e viva Amore! Ciascun suoni, balli e canti! Arda di dolcezza il core: non fatica, non dolore! Ciö che ha esser, convien sia. Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c'e certezza. v. 37. Mida: ultimo personaggio del cor-teo, Mida é il mkico re frigio che ottenne da Bacco la facoltä di trasformare in oro tutto ciö che toccava; drieto: é la consue-ta forma per «dietro». v. 39. tesoro: ricchezza. v, 40, «se poi uno (altri) non puö essere contento». Mida, trasformando tutto in oro, é ridotto a non poter piú mangiare né bere. La vicenda del re frigio induce a riflettere su quelle che sono in realtä le necessitä primor diali ed irrinunciabili dell'uomo. v. 41. dolcezza: piacere. v. 46. si paschi: «si nutra». Nessuno viva sperando nel domani. v. 49. caschi: cada, scompaia. v. 55. in questa parte finale del componi- mento U rítmo diviene piú vivace per ľin- calzare delle esortazioni al piacere e alle gíoie effimere. v. s7. non ci siano affanni né dolorir v. 58. convien sia: «e necessario che acca-da». Sostituisce il tuttavia finora colloca-to in questa stessa posizione del sesto verso di ogni strofa. 1 JI a Pan e Eco 30 35 40 EPOCA J IL MONOO UMANISTIOO E SIGNORILE 1380-1494 En, violae, in vobis ille remansit odor. O fortunatae violae, mea vita meumque delirium, o animi portus et aura mei, a vobis saltern, violae, grata oscula carpam, vos avida tangam terque quaterque manu, vos lachrymis satiabo meis, quae moesta per ora perque sinum vivi fluminis instar eunt. Combibite has lachrymas, quae lentae pabula flammae saevus Amor nostris exprimit ex oculis. Vivite perpetuum, violae, nec solibus aestus nec vos mordaci frigore carpat hyems. Vivite perpetuum, miseri solamen amoris, o violae, o nostri grata quies animi. Vos eritis mecum semper, vos semper amabo, torquebor pulchra dum miser a domina dumque Cupidineae carpent mea pectora flammae, dum mecum stabunt et lachrymae et gemitus. Certo in voi, o viole, ě restate quel suo profumo. O fortunate viole, mia vita e mia delizia, o porto e respiro del mio cuore, da voi almeno, o viole, prenderö dolci baci, voi carezzero tte e quattro volte con avida mano, voi sazieró delle lacríme, che scorrono sul mio mesto volto e sul mio seno come un fiume. Bevete queste lacrime, che, alimento di un lento fuo-co, 1'amore crudele fa scorrere dai miei ocehi. Vivete in etemo, o viole, né vi colpisca Testate coU'ardore del sole, né l'inverno col morso del freddo. Vivete in etemo, conforto di un amore infekce, o viole, dolce riposo del mio animo. Voi starete sempře con me, io vi ametô sempře, finché infelice sarô tormentato dalla mia donna, finché Ie flamme ďamo-re divoreranno il mio petto, finché le lacrime e i gemiti staranno insieme con me. Eco e Pan (da Rime, XXXVI) Fra i rispetti contenuti nella raccolta di rime volgari del Poliziano diamo quello che si svolge come un dialogo fra il dio sílvestre Pan e la ninfa Eco, che conobbe una notevole diffusione grazie al suo rafBnato virtuosismo. Ogni verso, infatti, si conclude con la risposta di Eco che ripete rulrima o le ultirne parole della domanda che i] dio le rivolge: un artificio retorico che Poliziano ricavava da un modello greco, cioě da un epigramma del poeta alessandrřno Gaurada (Antologie Palatini!, XVI, 1S2). A mostrare la nátura tutta letteraria ed erudita di tale gioco, il poeta citera questo rispetto nei suoi Miscellanea (capitolo 22), come esempio di traduzione dal greco al volgare. I primi sei versi presentano 1'alternanza delle parole-rima amo / solo, gli ultimi due si legano con una rima equivoca Amore / Ah more. Costruito sul- T3.4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA FIRENZE MEDICKÁ. POLIZIANO - LIRICA la voluta ripetizione di un limitato numero di vocaboli, il rispetto nasconde il motto amo solo amore, ricavabile dalle parole poste in rima. La lirica, pro-babilmente composta intorno al 1479, ě volutamente ambigua: in un crescendo che si fa tragico, viene lasciato sospeso l'ultimo verso, che evoca ve-latamente la vicenda di Narciso, il giovinetto invano amato dalla ninfa Eco e annegato nel mscello stesso ove era intento ad ammirare la sua immagine. [EDEIONE: Angelo Poliziano, Poesie volgari, a eura di F. Bausi, Vecchiatelli, Manziana 1997I METRO: il componimento e formato da una sola Ottava (questa ě la forma dei rispetti e de-gli strambotti, detti continuati quando sono fatti di piú ottave). Che fa' tu, Ecco, mentre io ri chiamo? Amo. Ami tu dua o pure un solo? Un solo. E io te sola e non altri amo. Altri amo. Dunque non ami tu un solo? Un solo. 5 Questo ě un dirmi: i' non ťamo. F non t'amo. Quel che tu ami, amil tu solo? Solo. Chi t'ha levata dal mio amore? Amore. Che fa quello a chi porti amore? Ah, more! v. 1. Ecco: forma toscana per «Eco». Rac-conta Ovidio (Metamorfosi, III, 556-401), che la ninfa Eco s'invaghi perdutamente di Narciso e per lui si consumo d'amore fino a diventare puro suono; ti chiamo? Amo: soltanto in questo caso, la ripetizione della parola finale della frase pro-nunciata da Pan risulta privata della prima consonante. v. 2. dua: sta per «due». V. 6. amil tu solo: «lo ami soltanto tu». Al-lusione alTamore non contraccambiato di Eco per Narciso. v. 7. Amore: il dio alato, altrímenti detto Cupido. v. 8. Che fa: si rifá alle prime parole del-resordío; Ah more: la rima equivoca con Amore riprende il tradřzionale binomio Amore / Mořte (alludendo alla mořte di Narciso). La ballata delle rose (da Birne, CH) Motte delle canzonia ballo di Poliziano si rivolgono ad un orizzonte collet-tivo, legandosi ai festeggiamenti che scandiscono i ritmi della vita cittadina: sono scherzi amorosi, melodie cantabili, giochi maliziosi che invitano a go-dere dei dolei piaceri che la vita concede. Una delle piü famose fra le can-zoni a ballo e la cosiddetta «ballata delle rose» (Ol), in cui una fanciulla, intenta a cogliere fiori ed intrecciare ghiilande, si rivolge alle compagne e le esorta a vivere intensamente la prima e fuggevole stagione dell'esistenza: la rosa che sfiorisce, secondo una lunga tradizione poetica e l'immagine piü suggestiva della bellezza e della giovinezza che svaniscono. I.e canzoni a ballo La visione iľamorc EPOCA 3 IL MONDO UMANISTICO E SIGNOR1LE 1380-1494 La lirica si svolge in un limpido quadro primaverile, che si suole acco-stare a certe suggestioni della produzione artistica contemporanea a Poli-ziano (come la celebre Primavera di Sandro Botticelli): le immagini aprorro con fragrante leggerezza, rarefatti e delicati sono i colon: Testatica contem-plazione del giardino fiorito suggerisce appena il rimpianto per una gioia or-mai passata. Sembra assente, da questi versi, ogni turbamento: la riflessione sul rapido sfiorire delle rose e sul fuggire della bellezza, che si svolge nella terza e nella quarta strofa, non conduce ad un ripiegamento malinconico, ma ad un invito ad afferrare piú intensamente Tamore e la gioia: in una «vi-sione d'amore» pervasa da un senso di Serena e leggiadra armonia. La lirica fu probabilmente composta intorno al 1485, periodo in cui Po-liziano ebbe a tenere un ciclo di lezioni presso lo Studio Fiorentino suU'e-legia pseudovirgiliana intitolata De rosis, che si riferisce al tema della fio-ritura delle rose, ripreso negli ultimi versi del Conn to da Lorenzo de' Medici (cfr. p. 218). L'eleganza del componimento sta dunque nell'apparente levita delle immagini che rimandano altresi ad altre situazioni e figure della poesia di Poliziano (dalTelegia In violas alia Simonetta delle Stanze, al-rEuridice della Fabula di Orfeo). METRO: ballata «minore», cosi chiamata perché la ripresa (o ritornello) ě fermata da due soli versi (endecasillabi), rimati XX. Seguono quattro stanze di sei endecasillabi, natural-mente chiuse dalla stessa rima del ritornello, secondo lo schema: ABABBX. F mi trovai, fanciulle, un bel mattino di mezzo maggio in un verde giardino. Erano intorno violette e gigli, fra Perba verde, e vaghi fior' novelli, w. 1-1. a parlare e una fanriulla che racconta ad altre compagne il suo im-prowiso ritrovarsi in un rigoglioso giardino nel periodo della fioritura primaverile: il riferimento temporale ha, in realtä, un puro valore simbolico e tracteggia una situazione dai contorni indefinhi che evoca la dimensione del sogno. L'esordio eimmerso in un'atmo-sfera sospesa in cui l'uso del passato re-moto mi trovai contribuisce a proietta-re la ballata nel tempo Iontano ed astratto del ricordo. La reiterazione della ripresa crea un effetto ritmico che accentua i caratreri di stilizzata visione propri del componimento: l'immagine ivi raffigurata e luminosissima e riman-da al locus amoenus tipico delle «visio-ni d'amore». Si veda, inoltre, la ballata ľ mi trovai un di, tutto soletto (CHI) che cosutuisce una sorta di corrispetti-vo maschile del componimento che stiamo prendendo in esame; mezzo maggio: a primavera inoltrata. w. 3-4. la descrizione del verde giardino procedc attraverso ľimpiego di una serie di topoi classici: le violette e i gigli, insie-me agli altri fior novelli ("sbocciati da poco") rimandano ad una predsa tradi-zione urica in cui alla serena contempla-zione della natura si unisce Ü gusto clas-stcheggiante per una rappresentazione lieta ed ariosa; Erano intorno: mi circon-davano; vaghi: «belli, leggiadri». L'agget-tivo, che ritroveremo al v. 8 {vago crino), suggerisce un'idea di beilezza fuggevole ed indeterminata, capace di forte sugge-stíone evocativa. Tj-4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA FIRENZE MEDICEA. POLIZIANO - LIRICA e azzurri, gialli, candidi e vermigli: onďio porsi la mano a cor di quelli per adornare e mie biondi capelli, e cinger di grillanda ei vago crino. Ma poi ch'i' ebbi pien di fiori un lembo, 10 vidi le rose, e non pur d'un colore; io corsi a lor per empier tutto el grembo, perch'era si soave el loro odore, che tutto mi sentľ destare el core di dolce voglia e d'un piacer divino. 15 ľ posi mente quelle rose allora: mai non vi potrei dir quanto eron beUe! Quale scoppiava dalla boccia ancora, quale erano un po' passe e qual novelle. Amor mi disse allor: «Va' co' di quelle 20 che piú vedi fiorite in sullo spino». Quando la rosa ogni suo foglia spande, quando ě piú bella, quando ě piú gradita, w. 6-8. «per cui io mi chinai a cogliere quei fiori per adornare i miei capelli biondi e porre una ghirlanda sulie mie belle chiome disciolte (questo ě qui il senso di vago)». Da notáre, 1'indetermi-natezza del gesto definite da quel io porsi la mano a cór (" cogliere "); e mie: i miei; grillanda: sta per«ghirlanda». NeUeStan-ze (I, 47), Simonetta é ritratta mentre ě interna ad intreccíare una ghirlanda dí fiori. w. 9-10. «dopo che io ebbi riempito di fiori uri lembo ripiegato della vestě, vidi le rose, che non erano di un solo colore». L'improwisa apparizione delle rose, sim-bolo precipuo della primavera, ma anche dell'amore e della giovinezza, fa affiorare un nuovo motivo legato al senso metafo-rico del componimento, che ě un invito a cogliere i piaceri di una stagione, felice ma destinata a svanire in fretta. w. n-14. «Ío colst allora quelle rose per riempirne tutto íl grembo: era cosi gra-devole il loro profumo che il mio cuore sembro animarsi di dolce desiderio e di piacere divino». Le caratteristiche del sentimento che sembra affiorare nel cuore della fanciulla alia vista delle rose cor-rispondono a quelle del turbamento d'a- more: ma ťallusione ě appena accennata e non disturba l'Íncantevole armonia del verde giardino; senti': sta per "sentii". w. iy-18. «Ío le guardai con attenzione, le osservai: non potro mai dire quanto fos-sero belle quelle rose! Alcune stáváno quasi per sbocciare, altre erano appena appassite, altre ancora erano fíorite»; boccia: ě il «bocciolo». La statická del ťimmagine, frutto di un'assorta e nostal-gica contemplazione, ě appena inerinata dalla percezione del passare fuggevole del tempo che s'intuisce nella deserizio-ne dei diversi stadi dí fioritura delle rose. Si confronti il passo con i w. 169-174 del Corinto di Lorenzo de' Medici (p. 217). w. 19-20. «mi disse allora Amore: vai e cogli quelle rose che vedi sbocciare sul ra-mo». Amore ě un nuovo personaggío in-trodotto dali'autore nel giardino di fiori: sembrano dunque essersi materializzati quella dolce voglia e quel piacer divino che avevamo interpretato come segni allusivi della sua presenza; Va' co': "vai a cogliere", doppio imperativo; spino: "gli spini". w. 11-24. «quando la rosa apre ogni suo petalo, quando ě piú bella e perció piú gradita, allora ě il momento di farně ghir-lande, prima che sfiorisca tutta la sua EPOCA3 IL MONDO UMANISTICO E SIGNORnp „„ ''8oi494 allora ě buona a mettere in ghirlande, prima che suo bellezza sia fuggita. Si che, fanciulle,, mentre e piú fiorita cogliän la belk rosa del giardino. bellezza». La strofa finale ě un invito al ptacere nvolto alle fanciulle: la triplice anafora della congiunzione quando ren-aeil senso di un presence valido in sense assoluto ehe si pone come legge universale; suo: sua. w. 25-16. «cosi, fanciulle, mentre ě nel pienodel suo fulgore, cogliamo Ia bdla rosadelgiardmo^.Unalievesfum,* dl malmcoma e presente in questi „1„ wrstdellabauat.ubreveaVerľnlt ditativo pero viene risolto in un'afferma~ zione di lieta e spemierata gioia di vive~ re; cogkan: e un imperatíve "cogliamo" Ľesaltazione delľamare Ben venga maggio (da Rime, CXXII) I Ancora un invito alia spensieratezza e alia gioia e questa ballata (CXXII) in i cui il poeta parla a nome di una brigata cittadina che parteeipa alle tradi-,1 zionali feste per Calendimaggio (il primo di maggio), in cui i giovani usa-Un e vano appendere un ramo fiorito (il gonfalon selvaggio) davanti alle case del-componmiciito | ]e amate. n componimento e coneepito per essere aecompagnato dalla mu-musica e a sjc^ (jurante j cortej e \e giostre che si awicendano nel corso dei festeggia-1 menti: il saluto di benvenuto rivolto al mese di maggio cosdtuisce I'awio di , una danza in cui e chiamata a parteeipare una folta schiera di donzelle e di i damigelli. Le voci maschili e femminili si confondono e si intrecciano nel I canto e nella danza: in un vario tripudio di fiori, in un perfetto movimento circolare (sottolineato dalla ripetizione della parola maggio alia fine di ogni I strofa). La «schiera» giovanile esalta l'amore come parteeipazione del mon-) do umano al movimento incessante della natura: nella giovinezza e nella bellezza l'uomo riconosce un valore naturale, che va afferrato fino in fon-I do proprio perche e effimero, cadueo e non gli accade di rinnovarsi come I invece tocca alle altre forme della natura {che non si rinnovetta I l'etä come fa Verba). L'amore e dolce lotta, aggressione, resa e dono di gioia, esplosio-ne di vitalitä collettiva, che per il breve respiro della primavera, nel tempo sospeso di una festa che presto avrä fine, si impone di ignorare le angosce e i pericoli del futuro. II componimento si svolge come una successione di quadri in cui si raf-figurano i singoli momenti di un torneo d'amore: la scena e particolar-mente animata e si conclude con l'arrivo del carro allegorico che rappre-senta il dio Amore. I giovani sono intenti ad armarsi per la giostra, alia fine della quale il vincitore riceverä in dono una ghirlanda di fiori; in realtä, le immagini evocate alludono ad una vicenda amorosa, come sembrano suggerire le Stesse parole di Cupido. II dio, invocato alia fine del carme, chiude il ritmo entusiastico della ballata con l'invito alle donne ad incoro-nare di ghirlande i loro amanti: la gioia dell'amore primaverile sembra prolungarsi cosi in questo effimero rito floreale. II tomeo cPamore L SUOVA LETTERATURA DELLA PIRENZE MEDICEA. POLIZIANO - LIRICA La suggestione delia lirica deriva dall'impronta popolaresca rinvenibi-le sin nelle prime battute delľesordio, caratterizzato da una gagliarda eufória. L'equilibrata misura del verso ě dovuta, pero, ad uno studio raffi-nato e sapiente, owero ad un gusto prezioso che introduce, nella parte finale della ballata, anche motivi stilnovistici di ascendenza cavalcantiana. La lieta schiettezza dei versi richiama, poí, il piú celebre componimento di Lorenzo de' Medici, il Trionfo diBacco e Arianna (cfr. p. zi8). METRO: ballata «minore», composta da una ripresa di due versi, rispettivamente un qui-nario e un settenario, e da otto strofe di seí settenari. Ogni strofa, che segue lo schema nhabbx, termina con la parola maggio, come il primo verso della riptesa {xx). Ben venga maggio e '1 gonfalon selvaggio! Ben venga primavera, che vuol ch'uom s'inamori; e voi, donzelle, a schiera colli vostri amadori, che di rose e di fiori vi fate belle il maggio, venite alia frescura delli verdi arbuscelli. Ogni bella e sicura fra tanti damigelli: che le fiere e gli uccelli ardon d'amore il maggio. w. i-2. i primi due versi, che costituisco-no la ripresa di questa ballata, riecheggia-no l'entusiasmo di un'esclamazione di gioia, di uno spensierato benvenuto ai maggio incipiente e alle feste che l'arrivo della primavera porta con sé. Questo slancio iniziale connota il ritmo baldan-zoso dell'intero componimento; gonfalon selvaggio: «insegna silvestre»; puô volet indicate il cosiddetto «maio» o «maggio», cioě il mazzo di fiori che ogni innamorato appende sulla porta di casa della fanciulla amata in occasione della festa di Calendimaggio. w. 3-8. «benvenuta primavera che vuole ognuno s'innamori; e voi, fanciulle, insie-me ai vostri amanti, voi che, durante il mese di maggio, vi fate belle adornandovi con rose e fiori» (il verbo reggente ě al v. 9, ľimperativo venite. Ben venga tiprende in anafora ľattacco della ballata (e una nuova eco ě data dal venite che apre la strofa successíva; Yuom ha valore imper-sonale e sta per "ognuno"; il maggio: "a maggio"; ľespressione ha funzione di complemento di tempo, w. 9-io. la struttura logica del testo non rispetta qui la pausa metrica, tanto che come si ě visto questa nuova strofa ě inaugurata dalľimperativo venite, rivolto a donzelle della strofa precedente, w. 11-14- ogni bella ragazza puô essere sicura dí trovare il suo innamorato fra tanti gíovani {damigelli): ché anche le fiere e gli uccelli s'innamorano in primavera. líni, 1038 Un'opera dialto con term to Angelo Poliziano - Stanze per la giostra L'esordio (I, i-4) Riportiamo le ottave d'esordio del poema, i cui toni magniloquenti saranno a breve sostituiti da un diverso registro lirico, al quale appartengono i colo-ri e gli accenti derivati dalla poesia d'amore della grande tradizione volgare. Giá nella prima stanza l'enfasi dello stile e dell'aggettivazione, il costrutto sintattico con la posposizione del verbo, l'ampio utilizzo di latinismi riflet-tono la consapevolezza di un proposito ambizioso quale ě quello di un'opera dagli aid contenuti come l'amore e la gloria, strettamente connessi al terna encomiastico. L'insieme del proemio segue la suddivisione canonica del-la poesia epica classica: alia proposizione (stanza i), concernente l'argomen-to del poema che prende spunto dalla giostra fiorentina cui partecipó Giu-liano de' Medici, fanno seguito Xinvocazione ad Amore (stanze 2-3) e la dedka a Lorenzo il Magnifico, nobile lauro protettore di Firenze (stanza 4). [EDIZIONE: Angelo Poliziano, Poesie volgari, a eura di F. Bausi, Vecchiarelli, Manziana 1997] Le gloriose pompe e ' fieri ludi della cittä che '1 freno allenta e stringe a' magnanimi Toschi, e i regni crudi di quella dea che '1 terzo ciel dipinge, e i premi degni alli onorati studi w. 1-4. «gli sfarzosi cortei e i giochi di ármi {fieri) delia cittä ehe govema i nobili abitanti della Toscana, la erudele poten-za di quella dea che orna il terzo ctelo»; e t sta per "e i'"; che 7 freno allenta e stnnge: perifrasi di derivazione virgilia-na, sta ad indicare 1'atto del governare; regni ě latinismo. w. s-S, «e i giusti premi destinati alle imprese illustri, il mio pensiero audace (dal momento che si misura in un grande T, 4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA FKENZE MEDICEA. POLEIANO - STANZE la mentě audace a celebrar mi spinge, sí che i gran nomi e i fatti egregi e soli Fortuna o Mořte o Tempo non involi. O bello idio ch'al cor per gli ocehi inspiri dolce disir ďamaro pensier pieno, e pasciti di pianto e di sospiri, nudrisci 1'alme ďun dolce veleno, gentil fai divenir ciô che tu miri, né puô star cosa vil drento al tuo seno; Amor, del quale i' son sempře suggetto, porgi or la mano al mio basso intelletto. Sostien' tu el fascio ch'a me tanto pesa, reggi la lingua, Amor, reggi la mano; tu principio, tu fin delTalta impresa, tuo fia 1'onor, s'io giá non prego invano; di', signor, con che lacci da te presa fu 1'alta mentě del baron toscano compito) mi spinge a celebrare». Gli ono-rati studi sono, in realtá, le atuvitá relati-ve al tomeo. 11 v. 6 ě la proposizione reg-gente: oggetto della celebrazione sono, appunto, la giostra, i tormenti amorosi, le ricompense concesse ad un'impresa vit-toriosa; mentě audace ě una citazione dal-XAmorosa visione di Boccaccio. w. 7-8. in modo tale che la fortuna o la mořte o il tempo non cancellino i nomi insigni e i fatti eccellenti ed ineguaglia-bili. vv. 1-4. «0 meraviglioso dio (ě Amore) che susciti nel cuore, attraverso gli ocehi, un dolce desiderio pieno di amari pen-sieri, e che tí cibi {pasciti} di pianti e di sospiri, nutri le anime di un dolce veleno*. II motivo di amore che arriva al cuore tramite gli ocehi e ľossimoro dolce disir ďamaro pensier sono luoghi tradizio-nali di tutta la Urica amorosa, w. 5-6. «tu rendi gentile ciö che guardí, né puô albergare nel tuo seno una cosa vile». II concetto qui enuncíato relativo al rapporto fra amore e gentilezza ě di origine stilnovistica: diretto ě il richiamo al sonetto dantesco Ne li ocehi porta la mia donna Amore (Vita nuova, XXI); drento: "dentro". w. 7-8. Amore, di cui io sono sempře suddito (suggetto), concedi aiuto al mio umile ingegno. 3 w. 1-4. «sostienituilfardello (fascio) che su di me tanto grava, guida la mia lingua e la mia mano, Amore, tu che sei il principio e il fine ultimo di un compito tanto alto (alia impresa), tuo ne sará 1'onore, se non sto pregando vanamente». Da notáre l'anafora del pronome tu al v. 3. w. 5-7. «rivela, signore, attraverso quali trappole (lacci) hai fatto prigioniera 1'ec-celsa mentě del nobile toscano (cioe Giu-liano de' Medici), fíglio piú giovane della j toscana (etrusca) Leda»; Leda ě la madre | dei Dioscuri Castore e Polruce: come lei, Lucrezia Tornabuoni ha generato due fí-gli maschi, Lorenzo e Giuliano. II trave-stimento mitologico ě atto ďomaggio alia ' EPOCA 3 UMONDOUMANISTICOESIGNOIÜLEn» La cornice edenica piú gioven figlio delk etrusca Leda che reu furno ordite a tanta preda. E tu, ben nato Laur, sotto il cui velo Fiorenza lieta in pace si riposa, ne terne i venti o 1 minacciar ďel celo o Otove irato in vista piú crucciosa, accogli all'ombra del tuo santo stelo la voce urníl, tremante e paurosa-o causa, o fin di tutte le mie voglíe ehe sol vivon ďodor delle tuo foglie famiglia Medici ehe anticipa il motivo en-comiastico delľottava successiva. v. 8. ordite: tese; a tanca preda: «per cat-turare una předa tanto eminente». La metafora delia rete come "trappola" amorosa ě anche in Petrarca. 4 w. 1-4. «e tu, nobile Lorenzo, sotto la cui ombra protettrice {velo) beta Firenze go-de delia sua pace e non terne í venu né le minacce del cielo, né Giove in preda al-ľira nel suo aspetto piú sdegnato ff» vista piú crucáosa)». I w. 3-4 alludono alia minaccia di guerre tenutá lontana dal Magnífico. La metafora di Lorenzo come Laur, owero l'albero di alloro, ě model-lata suU'identificazione petrarchesca di Laura con lauro. v. 5. tuo santo stelo: tuo sacro tronco. v. 6. voce: ě la voce del poeta, i versi stessi. w. 7-8. «tu che sei l'origine e la meta finale di tutti i miei desideri, che mirano ad ottenere la consacrazjone poetica». Ě d tema della gloria letteraria che giunge ad essere tutt'uno con la lode rivolta al Magnifico: íl Laur ě l'alloro consacrato ad Apollo e supremo riconoscimento ri-servato ai poeti. Iulio contra I'Amore (I, 8-21) Alia presentazione dell'argomento del poema, che trae occasione dalla giostra vinta da Giuliano de' Medici, fa seguito la descrizione della vita libera del protagonista, trasfigurato miticamente nel personaggio di Iulio, fanciullo altera e sordo ai richiami di amore. L'esistenza del giovinetto trascorre lieta ed innocente a diretto contatto con una natura dipinta in toni stilizzati che appartengono ad un mondo edenico, immerso in un tempo immutabile e fermo. Iulio ha i tratti del fanciullo často e dedito alia caccia tramandato dalla tradizione letteraria: in lui si possono ricono-scere, infatti, í caratteri dell'Ippolito di Euripide e di Seneca. L'identifica-zione con Giuliano si limita a pocht dati esterni; il personaggio storico ě lo spunto per una narrazione che ě frutto di una ponderata operazione di LA NUOVA LETTERATURA DELLA FIRENZE MEDICEA. POLTZ1ANO - STANZE incastro di materiali diversi fra loro e provenienci dalla letteratura greca, latina, romanza. L'episodio s'incentra sul discorso che Iulio pronuncia agli amanti infe-lici (ottave 13-21), colpevoli di non riconoscere nella passione d'amore sol-tanto una pericolosa malattia: le parole pronunciate dal giovinetto contro 0 genere femminile, ascrivibili ad una tematica misogina tradizionale, di-verranno il motivo per il quale si scatenerä lo sdegno di Cupido con il con-seguente innamoramento di Iulio. La condanna rivolta ai giovani che non s'accorgono di perdere ogni dignita virile e l'elogio rivolto, per contrasto, alia serenitä delle consuetudini bucoliche concludono un quadro dove ogni riferimento alia realtä che ha dato origine alle Stanze si dissolve all'interno di un'atmosfera rarefatta ed impercettibilmente densa di simboli. Da un punto di vista linguistico, le Stanze si modellano, in primo luo-go, sulla lezione petrarchesca del Canzoniere che diviene altresi rieco re-pertorio di temi poetici ove attingere per la definizione di situazioni e di motivi legati al tema d'amore; ma alle forme e agli Stilemi petrarcheschi si sovrappongono molteplici suggestioni della poesia classica, specialmente latina. Nel vago tempo di sua verde etate, spargendo ancor pel volto il primo fiore, né avendo il bei Iulio ancor provate le dolce acerbe eure che da Amore, viveasi lieto in pace e 'n libertate. Talor, frenando un gentil corndore, che gloria fu de' ciciliani armenti, con esso a correr contendea co venu; L'amoic visto come malattia Wé 1-2.. «nel bel tempo della sua giovi-nezza {verde etate), quando ancora sul volto spuntava la prima peluria [il primo fiore) degli adolescenti». Comincia, qui, la descrizione della vita felice e spensierata che Iulio conduce nei bo-schi, dove, lontano dalle pene d'amore, trascorre il suo tempo intento alia caccia e alia poesia eroica. Si noti che il primo verso riecheggia il celebre inci-pit petrarchesco della canzone XXXIÍI {Nel dolce tempo de la prima etade: cfr. T2..4). Di derivazione virgiliana ě, inve-ce, ľimmagine della tenue peluria come primo fiore della giovinezza: «prima ge-nas vestibat flore iuvent9i» ("la prima gioventú faceva fiorire le guance", Eneide, VIII, 160). w. 3-5. «il bel Iulio, non avendo ancora sperimentato Í dolci e, ai contempo, do-lorosi affanni che proeura Amore, viveva sereno in pace e in libertä»; le dolce acerbe eure: affiora qui il tema delle sofferen-ze d'amore che sararmo oggetto del discorso di Iulio rivolto agli amanti non corrisposti. Da rilevare ľossimoro dolce acerbe. w. 6-8. «talora, cavalcando un nobile destriero, che fu gloria delle mandrie si-ciliane {cicíliani armenti), razza partico-larmente pregíata, gareggiava con i ventil Si osserví ľallitterazione contenuta nel v. 8.