ťjZ4 EPOCA IO GUERRE E FASCISMO 1910-19^ IS Nelle crepe del suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche cli'ora si rompono ed ora s'intrecciano a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvl picchi. E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia come tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. Jt t. ^. veccia: erba utile come ťoraggio; vo-cabolo usato da Pascoli, in Myricae (Dia-hgo, 38), e daD'Annunzio mAlcyone (Le opere e i giorni, 38}. v. 6. anche questa immagine ě ripresa pro-babilmente da un passo dei Frantumi di Giovanni Boine: «seguire [...] intra la pol-ve il rossiccio carvanare delle incessanti formiche», in cui ricorre anche il verbo meriggiare, nonché l'immagine del muro (Spagnoletti, Mengaldo); ma v'e anche una reminiscenza dantesca (Purgatorio, XXVI, 34-36: «Cosi per emro loro schiera bruna / s'ammusa l'una con l'altra formica, / forse a spiar lor via e lor fortuna»). v. 7. ch'ora si rompono: ě da notare che il modo infinitivo scompare, per lasciar spazio all'indicativo, solo nelle frasi subordinate (cosi anche al v. ri e al v. 17). v. 8. biche: alia lettera: mucchi, cumuli; sono, qui, quelli di terra, che fanno da in-gresso al formicaio. v. 9. frondi: per fronde, «arcaismo morfo- logico di stampo sopratmtto dannunzia-no», ma anche pascoliano (Mengaldo). v. ro. scaglie di mare: «onde», Uimmagi-ne, che ricorre anche in un'altra poesia degh Ossi di seppia (Corno inglese), deri-va probabilmente dal D'Annunzio di Alcyone, dove il mare «scintilla / intesto di scaglia / come 1'antica / lorica / del ca-tafratto» [Honda, 2-6). v. ir. scricchi: i canti delle cicale, che si levano dalle alture prive di vegetazione (calvi picchi). v. 1(3. seguitare: «seguire, costeggiare» (la prima redazione recava «sfiorar stanco», con la variante «seguir stanco»; Angelo Jaco-muzzi ipotizza che rimmagine finale derivi dal Mystěre dam les le tires ("Mistero nelle lettere") di Mallarmé: «mut [.. J les culs de bouteille et les tissons ingrats* ("muro [.. J i fondi di bottiglia e gli ingrati tizzoni"); ma anche sul muro di recinzione dell'orto del-la Signorina Felicita di Gozzano si trovano «cocd innumeti di vetro» (v. 17). Forse un mattino andando... Datato al luglio 1923 anche questo componimento, come quello precedente, fa parte della sezione Ossi di seppia: in esso la rivelazione del mira-colo, del senso segreto della realtá, si dá attraverso un voltarsi indietro del .8 EUGENIO MONTALE. OSSI Dl SEPPIA ggetto (che puô ricordare il mito di Orfeo, il suo sventurato voltarsi in-etro a guardare Euridice) e si riconosce come visione del nulla e del vuoto a cui succede nella seconda quartina la ricomposizione della realtä normale e quotidiana, deil'mgarmo consueto in cui consiste l'esistenza. In questa tematica si sente una stretta suggestione di Leopardi e piú in partico-lare della filosofia di Arthur Schopenhauer e della sua definizione del mondo come rappresentaziotie, dietro la quale si cela il nulla. Ma questa rivelazione viene qui come a chiudersi nelľio del poeta, che la custodisce come un segreto e sente tutta la sua distanza dagli uomini normáli, che non si voltano indietro; che, come ľ«uomo che se ne va sicuro» di Non chie-iěrá la parola, ignoratio la propria ombra. Moko calzante ě il rinvio, fat-to da Laura Barile, a un passo del filosofo russo Lev Scestov (1866-1938), tra le piú important! letture del giovane Montale: «Quando (il miracolo) si leva dinanzi a noi, ci afferra un terrore folie, ľanima spaventata si im-magina che il grande Nulla ľinghiotta per sempře, ed essa fugge senza guardarsi indietro...»; mentre Edoardo Sanguineti ha ricotdato questo pásso da Ľ Adolescente di Lev N. Tolstoj (cap. XIX): «Immaginavo che fuori di me nessuno e nulla esistesse in tutto il mondo, che gli oggetti non fossero oggetti, ma immagini, le quali mi apparivano solo quando vi fissa-vo ľattenzione, e che appena cessavo di pensarci quelle immagini subito svanissero. [... ] C'erano momenti, quando sotto ľinfluenza di questa idea fissa arrivavo a rasentare la follia, al punto che rapidamente mi voltavo dal-k parte opposta, sperando di sorprendere il vuoto lä dov'io non ero». METRO: 2 quartine di versi composti (martelliant i w. 1, 6, 7), piú due endecasillabi (w. 3 e 4), con rime alterne all'interno di ciascuna strofa (ma quasi rimano il primo e terzo versa dedla prima strofa col secondo e quarto della seconda strofa). Forse un mattino andando in un'atia di vetro, arida, rivolgendomi, vedro compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro dí me, con un terrore di ubriaco. Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto alberi case colli per ľinganno consueto. Ma sarä troppo tardi; ed io me n'andrô zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto, 11 segreto alle nosu .• spalle t. i. aria di vetro: crystallina, limpida, ma anche tagliente, asettica: arida, come al v. i. H vetro contiene in sé un senso anche di «diaftamma», che si svilupperä nello schermo del v. 5. v. 2. rivolgendomi: voltandomi indietro; il miracolo — come verrä specificato ai due versi seguenti - é solo negative (il mani-festarsi del vuoto). v. 4. in Pianissimo, Sbarbaro aveva scrit-to dello «stupot sciocco» dell'«ubriaco» (Spagnoletti). v. 6. l'inganno consueto: della realta, proiezione del nulla. v. 8. che non si voltano: Yio poetante inve-ce aveva osato rivolgersi indietro, guar-dando al di la delle proprie spalle (w. 2-3).