Coitstatazione rasseguata delTassenza di enmsia5mi Un silenzio carico di lucspressi lament! TIO-7 LA NUOVA POESIA. CAM1LLO SBARBARO Camillo S barbaro loci, anima stanca di godere (da Pianissimo, 1) Questo componimento, che apre la raccolta 'Pianissimo, inizia con una voce verbale {Tad) che il lettore percepisce in un primo momento come un imperativo, un invito al silenzio rivolto dal poeta a se stesso, alia propria anima: invito fatto a mezza voce, ma in modo perentorio. Ma, continuan-do la lettura, ci si accorge che non di imperativo si tratta, ma di un sem-plice presente dell'indicativo, della constatazione di una situazione diim-mobilita, di atonia, di silenzio: tutto ciö rappresenta sia la posizione esi-stenziale che la scelta stilistica di Sbarbaro, che punta sempre - e soprat-tutto in questa raccolta dal titolo programmatico, Pianissimo - sul «silenzio» (relativo) di una poesia che rinuncia agli slanci e agli entusiasmi: una poesia che vuol essere la voce di una totale assenza di vita, e che per questo deliberatamente si nega la ricchezza delle metafore e delle immagim, di cui pure era perfettamente capace e a cui era predisposta dallo stesso orizzonte espressionistico in cui l'autore si era formato (come si pud ve dere dalla prima raccolta, Resine, non a caso poi rifiutata dall'autore). Questo silenzio e questa inerzia sono carichi di inespressi lamenti, co-stantemente sull'orlo di rompersi e di far trasparire le tracce di un rimpianto per qualche cosa di perduto, di un malessere e un tedio legati a una difficile vita famigliare. Ma la stessa espressione di quel rimpianto e per Sbarbaro im-possibile: egli ne sfugge il rischio, la rifiuta come qualcosa di insopportabil-mente retorico; la sua poesia non accetta nemmeno di esprimere il tedio, la noia e l'accidia interiori, che pure regnano in tanta poesia moderna (e che nelTOttocento avevano trovato grandi manifestazioni nel nostro Leopardi e ne I Fiori del Male di Baudelaire). Sbarbaro mira in realtä ad una specie di canto sommesso, a bocca chiusa e senza parole, che si limita a tratteggiare istantanee di una vita rappresa, fatta di sentimenti appena abbozzati, che hanno perduto ogni tensione: canto dell'essere deU'uomo solo neU'afrollato deserto urbano, in una realtä ridotta alia sua essenza elementare e senza si- III gnificato, arida e senza rilievo. Questa realtä continua a svolgersi, con il suo itmo costante e monotono, ma aU'anima e al corpo che giacciono in una ras-■egnazione disperata essa non comunica nulla, nmTaltro che il proprio stesso ■ssere, dove nessuna presenza (nemmeno quella fernrriffiile) apre attese e pos-iilitä di vita, ma dove «tutto ě quello / che ě, soltanto quel che é». Nessuna promessa, nessuna speranza, nessuna sirena, ma solo un deserto da cui ě esclusa anche la possibihtä del tragico e dove l'io del poeta non puö avere al-tra funzione che quella di contemplare il proprio immobile essere. • [EDJZIONE: Camillo Sbarbaro, L'opera in versi e in prosa, a cura di G. Lagorio e V. Scbeiwiller, Garzanti, Milano 1985] METRO: si tratta di una libera successione di endecasilkbi (interrotti da versi piú brevi e 1 pause c adulate), che in akuni momenti hanno un tono dimesso e prosastko, in altri un leggero abbandono musicale. I versi sono disposti in piú lasse (e si noti che i w. 7 c 8, che si dispongono in due lasse diverse, in realtä costituiscono insieme un endeca-sillabo: e neppure di tedio. Giaci come). Taci, anima stanca di godere e di soffrire (all'uno e alTaltro vai rassegnata), Nessuna voce tua odo se ascolto: non di rimpianto per la miserabile giovinezza, non ďira o di speranza, e neppure di tedio. Giaci come il corpo, ammutolita, tutta piena ďuna rassegnazione disperata. Non ci stupiremmo, non ě vero, mra anima, se il cuore si fermasse, sospeso se ci fosse ilfíato... w. 1-3. di godere e di soffrire: ai due estre-mi emotivi (il godimento e la sofferenza) Sbarbaro si concede, per nativa disposi-zione caratteriale, rassegnato: senza mai vivere fino in fondo e con totale dedizio-tle quegli stati dell'io che per altri sono cosi intensí e carichi di significato. yy. 7-9. Giaci come il corpo...: il poeta «ve-de» la propria anima dalTesterno, reclinata passivatnente in una posizione di sconfkta e attesa, ammutolita, cosi come il corpo. Uno deí caratteri piú moderni della poesia di Sbarbaro ě proprio questo collegamen- to continuo tra le esperienze e le sensazio-ni fisíche e gli stati ďanimo interiori; senza quelia artificiale separazione tra «anima» e «corpo» che, in oniaggio alia tradizione li-rica, si trova in tanta poesia del Novecento. w. 10-13. N°n ci stupiremmo...: la condi-zione dell'individuo ě talmente sospesa nella propria passivita da assomigliare a un paradossale letargo, nel quale giunge addirittua a cessare il battito del cuore, del respiro: come in una mořte involon-taria, ma che non si ritiene di dover fare nulla per evitare. ÍI7 Solitudinc e rassegnazione disperata Hin EPOCA io GUERRE E FASCISMO l9i0. 1945 Invece camminiamo, camminiamo io e te come sonnambuli. E gli alberi son alberi, le case sono case, le dorme che passano son donne, e tutto ě quello che ě, soltanto quel che ě. La vicenda di gioia e di dolore non ci tocca. Perduto ha la voce la siréna del mondo, e il mondo ě un grande deserto. Nel deserto io guardo con asciutti occhi me stesso. w. 15-14. Invece camminiamo...: restaum sola possíbile forma di attivitä (sia pure da sonnambulo), al soggetto e al suo «cotnpagno» (la propria aniraa): il met-tersi in cammino. La passeggiata senza di-rezione e senza scopo nella cittä notturna costituisceľambientazione di moltissima delia poesia di Sbarbaro (che per questo deve molto a Baudelaire), w. íy\%. le cose e le persone (anche le donne) appaiono a Sbarbaro congelate nel proprio aspetto esteriore: «tutto ě quello che ě, soltanto quel che é», senza poter ri-mandare ad «altro», senza rivestirsi - come in quasi tutta la poesia contemporanea - di giochi di specchí simbolici, di riman-di metaforici, di allegorismi ideologici. w. 19-22. la gioia e il dolore (con una rí-presa del godere e del soffrire dei w. 1-2) costituiscono la vita calda e tumultuosa degli «altri», che appare al soggetto chiu-so in se stesso quasi come un'astratta vicenda priva di senso, che non ci tocca, non ci puö coinvolgere. Ii mondo ě una siréna, come nel tnito di Ulisse, maha perduto la sua voce, cioě non canta piú, non si sforza piú di tentarci, di trascinar-ci nella sua danza senza senso. L'espres-sione sirena del mondo b del D'Annunzio vitalistico cd esuberante di Maia («O Di versitä, sirena / del mondo»): e con que-sta citazione Sbarbaro mostra esplieita-mente tutta la sua lontananza da quel modcllo; egli é certamente piú vicino a Kafka, che in un suo frammento parlerä proprio di «silenzio delle sirene». w. 22-23. Nel deserto io guardo...: al soggetto, che non prova piú nessuna forma di trasporto verso il mondo esterno, non rcsta altro che rivolgere uno sguardo disincanta-to e trasognato verso di sé, ma in modo op-posto sia al torturante scavo interiore tipi-co degli espressionisti vociani, sia alla pre-ziosa celebrazione decadente di se stessi di D'Annunzio e dei suoí imitátori. Ma ľas-sorta e quieta indifferenza di Sbarbaro ě lontana anche dal compiacimento patetico proprio di molti poeti crepuscolari. Quando traverso la cittä la notte Questo componimento, compreso nella prima edizione di Pianissimo, non compare nelľedizione definitiva del i960, dalla quale forse ě stato eliminate per gli aspetti troppo realistic! e per certe sfasature del disegno e del ritmo. Lo riportiamo qui perché ľio inerte e senza prospettive a cui dä voce la poesia di Sbarbaro si confronts, si specchia e quasi si identifica con la vita notturna delia cittä, con il suo pullulare di presenze in cui si pro- T10.7 IA NUOVA POESIA. CAMILLO SBARBARO lunga e si ripete una vita al grado zero, in cui sembra prendere voce il nulla e il «deserto» del mondo. Nell aggirarsi del soggetto senza direzione, di notte, nella citta, sembra darsi la forma silenziosa e schiva di una vita piu profonda, che pero non si at-rribuisce piu valore di quanto non si possa dare a un'abitudine che ci distrae e ci svaga, ma non tende a «risolvere» o ad afferrare alcunche. La citta e il luo-go senza sorprese e senza awenture di un'«Odissea» minima: mentre la poesia di Baudelaire aveva dato voce alia «meraviglia» e all'artificio della vita ur-bana, alle apparizioni misteriose della metropoli, alia fascinazione morbosa dei suoi eccessi e della sua stessa degradazione, Sbarbaro trova nella citta not-(urna, nelle sue presenze misere e degradate, la possibilita di ascoltare fino in fondo il proprio vuoto e la propria solitudine, di senrire solo il respiro sordo e insensate) della vita che vanamanente e stancamente continua ad agitarsi. E natunilmente siamo ben lontani anche dalla tormentata e rituale ricerca notturna di un Campana (che pure in molte poesie si svolge lungo gli stessi pa-norami, quelli di Genova: Sbarbaro, del resto, conobbe e stimo Campana, e ne ba lasciato un commovente ricordo in una delle prose di Liquidazione). METRO: II componimento e costituito da una serie di endecasillabi, con il solo settenario del v. 16 e il bisillabo del v, 25, e con qualche irregolarita (alcune dieresi inconsuete, come alv. 5, dove si devc leggere Negli atrii di pietra, e al v. 22, dove si deve leggere generazio-Iti, e una serie di dialefe al v. 7). Quando traverso la citta la notte io vivo la mia vita piu profonda. Persiane silenziose illuininate! Finestra buia aperta nella notte! 5 Negli atrii di pietra voce d'acqua! Tra le bestie squartate lumicino alia madonna! Ombre umane informi dietro i vetri nebbiosi dei caffe! Mi trasformo nel cieco del crocicchio 10 che suona ritto gli occhi vaghi al cielo. 519 L'io senza prospettive e la notte, voce de] nulla Un'«Odissea» minima w. 3-8. in questi versi, con grande senso «pittorico» e anche «musicale» (forte la suggestione di quella voce ďacqua nei mi steriosi atrii di pietra della vecehia cittá di maře), Sbarbaro ci dá la sensazione dei paesaggi rapidi e sfumati nel buio della cíttá immersa nella notte, o nelle prime incerte luci del mattino (le bestie squartate dovrebbero essere quelle di una macel-leria appena aperta); i vetri dei caffě sono detti nebbiosi perché appannati. Si noti il ncorso al punto esclamativo, molto raro in Sbarbaro (ma non nelľedizíone 1914 di Pianissimo, che conserva tracce di enfasi primonovecentesca che sararmo aceura-tamente serostate dalľedizione del i960), ma qui costante (10 occorrenze in 27 verši), come a manifestare un senso di sco-perta e quasi di dimessa «allegria». w. 9-19. ľimmersione nella vita notturna delia cittä é condizione per ľuscita da sé, dalla propria individualita scheletrica e ammutolita. Ľansia di trasformarsi, di spossessarsi, di cancellarsi trasferísce il