Un romanzo milanese europeo II grande segreto del romanziere consiste nel fare di ciascun Iettore un "provinciale" transitorio. Ortega y Gasset Che cosa sarebbe divenuca letterariamente la religiosita profonda del Manzoni senza l'acutezza pura, implacabile, quasi cinica della sua visione? Ramón Fernandez Ha scritto una volta Hugo von Hofmannsthal, in pagine terse e ancora intense, che per quanto << impregnate di religiosita, di cristianitá cattolka, postridentina, come nessun altro libro della letteratura mondiale», i Promessi sposi sono per intima costituzione «un libro laico come il Tom Jones e il Wilhelm Meister». £ in fondo la laicita singulare che aveva gia percepito un secolo prima Carlo Catta-neo, milanese di una "Europa vivente", allorché, in rapporto alia terra lombarda e ai suoi "paesani", osservava: «Sono il tipo da cui quelle scrittore la cm originalita senza affettazioni serve di modello e di pretesto a tante affettazioni senza originalita, trasse quelle sue veraci e schiette figure di Renzo e Lucia, e Agnese e Perpetua ». Di qui nasce, si puö subito soggiungere, la rappresentazione di un'e-poca come un paesaggio umano, geografia di luoghi e costumi in cui si proietta un sistema di valori e di credenze, un groviglio di passioni e di desideri, una realtä materiále solcata dai conflitti del potere anche nella commedia quotidiana della vitalita aneddotica tra «gente meccaniche, e di piccol affare»: proprio come annuncia la voce diretta delľAnonimo nelľinserto barocco della Introduzione alia riscrittura moderna della sua storia secentesca. Negli annilampeggianti e inquieti del romanticismo post-napoleonico, che a Milano sono anche quelli cupi deiprocessi contro i liberáli del «Conciliatore», il romanzo manzoniano si rifa consapevolmente alia nuova tradizione narrativa di Walter Scott, alia sua moda europea consacrata a Parigi da storici e intellettuali di avanguardia, in funzione di un realismo storiografico e letterario piü comples-so, perché analitico e drammatico, di quello settecentesco. Perciô non stupisce se l'odissea di Renzo e Lucia si modella, di prova in prova, sulla dinamica contrap-positiva dell'archetipo scottiano, secondo un intreccio dove l'eroe calunniato e perseguitato deve fuggire dal proprio paese in mezzo alia rempesta di un conflit-to sociale mentre la sua futura compagna viene rapita da un iniquo potente e le loro disawenture hanno termine soltanto con I'intervento di un fuorilegge o di un altro personaggio di alto rango. Quanto alľuniverso temporale e geografico in cui prende corpo e figura l'esperimento manzoniano, esso é per l'appunto, di 9 I FROMESSI SPOSI nuovo per citare il saggio di Hofmannsthal, «una storia spesso gloriosa, spesso cupa, un popolo ben definito, attivo e savio, un dialecto stimolante, in cui si lascia esprimere ogm umore, un meraviglioso territorio che partecipa delia pianura e si spinge fino alle grandi catene di montagne». Ma ciö che nello Scott resta alia fine una rievocazione del passato in forme melodrammatiche e pittoresche, diviene ora un ritorno alle origini del proprio spazio antropologico per scrutare, attraverso la fabula dei personaggi, un nodo traumatico della sua memoria collettiva. Cosi la fantasia narratrice si sostanzia di un acre spirito critico e alľintransigenza delľintelletto investigante unisce la sottigliezza del moralismo introspettivo dentro i labirinti del cuore umano. U passato, quanto piu si ridiscende dalla superficie degli eventi alle regioni ignote degli affetti e delle emozioni degli uomini che li hanno prodotti o subiti, puö benissimo nascondere allora una parabola del presente insieme con un'ipotesi appassionata ma vigile sul mistero delia temporalita e dell'esistenza. Di fatto, riprendendo la struttura e la tematica del romanzo storico nella sua reahzzazione pill moderna, il progeno composito dei Promessi sposi le tra-sforma dali'interno. Sotto l'apparenza di una mimesi fedele ai canoni del genere letterario vi immette il rovello di una coscienza storiografica per la quale il nesso dialettico tra finzione e veriti non costituisce soltanto un principio regolativo da approfondire sulla scala accertabile del reale ma anche una matrice di dubbio, una riserva o impazienza gnoseologica intorno alia legittimita della parola di penetrare nel silenzio opaco di ciö che ě accaduto con la forza fabulatrice del suo immaginario, che implica sempře un'invenzione del possibile. Sembra proprio che per realizzarsi la scrittura romanzesca abbia bisogno di mettere in discussio-ne i suoi stessi strumenti, e Tunica strada che le si apre ě ľautoanalisi metanarra-tiva assimilata alia macchina combinatoria del racconto. Sin dalle prime battute dell'Introduzione colui che racconta si sdoppia nella figura ambiguamente parodica dell'Anonimo, fingendo di trascrivere in una «rettorica discreta, fine, di buon gusto» un vecchio e «graffiato» manoscritto barocco, personaggio egli stesso della propria scrittura in palinsesto. Alle spalle di Scott ě gia entrata in gioco la convenzione romanzesca dell'antiromanzo di Cervantes e di Sterne, dal Don Chisciottc al Tristram Shandy, cioě l'ironia spe-culare di un dialogo continuo con il lettore di fronte a una realtä rappresentata, senza mai cancellare la traccia dell'operazione ehe la verbalizza in un testo. E tut-tavia questa polarita tra oggetto e soggetto dell enunciazione narrativa confluisce nel ritmo del racconto, nel grande quadro sociale del Seicenro ehe si associa alle awenture dei due protagonisti costretti dalla minaccia della violenza ad abban-donare il proprio paese e che si ordina a sequenze alterne tra contado e cittä, da una parte nella sfera delle classi dominanti, dall'altra in quella dei ceti popolari. Sull'asse diacronico di Lucia s'incontrano cosi Gertrude, ľlnnominato, il cardinale Federigo, donna Prassede e don Ferrante; sul vettore di Renzo sfikno invece, a parte il vecchio Ferrer tra la folia in tumulto, gli uomini comuni della UN ROMANZO MILANESE EUROPEO strada e della piazza, osti, awocati, vagabondi, frati, mercanti, poliziotti, soldáti, artigiani, contadini in miseria, monatti. Al tracciato femminile corrisponde, ove si ragioni secondo le categorie delle forme letterarie, una sorta di racconto nero; da quello maschile scaturisce un romanzo picaresco, con i tratti di una biografia, di una coscienza pubblica in formazione. Non per nulla Renzo viene chiamato, quando la storia sta ormai per finire, il "nostro viaggiatore". II suo destino di personaggio 6 quello di camminare, di vedere dentro e soprattutto fuori di si, secondo l'ottica circoscritta di un ingenuo reso esperto a sue spese dai casi sfor-tunati die lo conducono senza colpa sino alle soglie della prigione. Mentre il viaggio del filatore attraverso l'immagine stratiflcata della societa lombarda porta alio scoperto i meccanismi assurdi di un sistema di potere e di privilegio, che legittima solo Tanarchia dei violenti, la doppia voce narrativa dell'Anonimo e del suo interprete moderno accompagna I'azione drammatica con un commento tanto piú contenuto o paradossale, quanto piů lacerante e severa vi si deposita la consapevolezza del male, del peccato, dei sofismi delle passioni, dei pregiudizi cristallizzati nel costume e nel linguaggio allorché la mi-schera del ruolo pubblico prende il soprawento sul volto nudo e attonito della coscienza. Paradigmatico a questo riguardo risulra l'intervento metanarrativo, nella scena indiavolata deil'incursione notturna in casa di don Abbondio, al culmine del parapiglia: «In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una rifiessione. Renzo, che strepitavadi notte in casa altrui, che vi sera introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l'apparenza d'un oppressore; eppure, alia fin de' fatti, era l'oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attende-va tranquillamente a' fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realta, era lui che faceva un sopruso. Cosi va spesso il mondo... voglio dire, cosi andava nel secolo decimo settimo». A prima vista sembra che tutto si concluda in un sorriso rassicurante del senso comune, ma la sostanza argomentativa dell'insieme ha la stessa asprezza dolente della postilla sulla «smania» di Renzo dopo lo scontro iniziale con il parroco recalcitrante, evasivo: «1 provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commet-tono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi». Se poi lo si segue di capitolo in capitolo, il dialogo del trascrittore con il proprio testo, in opposizione o in appoggio a quello programmaticamente bizzarre dell'auto-grafo, si snoda a guisa di una partitura ricorrente nella quale la certezza dei fatti descritti si convene in problema, in congettura dialettica intorno al loro senso ancora incompiuto. II fatto ě che nel viaggio attraverso la carestia e la peste del 1630 si costrui-sce anche 1'awentura della parola narrativa che si interroga sulla propria genesi e sul proprio statuto di veritá, sulla tensione fra storia e discorso, immagine e conoscenza, come non era ancora awenuto nelle officine del romanzo europeo, 11 I PROMESSI SPOSI neppure negli esperimenti sterniani di un Diderot, fcrmi sulla linea del Tristram Shandy a un umorismo domestico e private. II detto di Federico Schlegel, uno dei profeti delia poetica e dello humour romantici, secondo cui la scena di un buon romanzo é la lingua in cui viene scritto, trova nei Promessi sposi una verifica tanto sorprendente quanto radicale. Postosi alia ricerca; tenace e ambiziosa, di una scrittura narrativa ehe ľ Italia non possedeva ancora, il Manzoni trasferisce geniaimente nella prosa di una grande letteratura aristocratica la violenza affetti-va del parlato, che per lui é il dialetto milanese, quello franco e gioioso del Porta, trascritto in una lingua sperimentale di amalgama toscana ma di fondo irriduci-bilmente lombardo, anche se la nuova intonazione unitaria non puô che velarne la schiettezza di motteggio, il quanto di energia. Maciô che siperde nelľimpasto delia materia espressiva viene poi ricuperato e qualche volta raddoppiato dalla nuova spinta teatrale del personaggio, dalla sua retorica di parlante che ne fa un individuo partecipe a un tempo di un ceto economico e dei suoi miti elocutivi. La linfa segreta delľoralitä idiomatica intanto si ramifica moltiplicandosi in una folia di figure e di voci quasi fossero frammenri di universi mentali, micro-cosmi ideologici a confronto, magari in un gesto, in una semplice ma fulminante battuta. Un processo continuo di dialogizzazione investe i registri narrativi, fa scattare al loro interne la molla del grottesco, il senso comico dell'incongruo con le fantasmagorie e le invenzioni di una parola che si fa per se stessa teatro, solo che si presti orecchio alia malizia concertante della sua semantics a piu voci. Anche per questo il personaggio, prima ancora che un carattere, é una maschera linguistica. Basta ricordare la scena di Renzo e Azzecca-garbugli, dove di fronte al silenzio del contadino scambiato per un mafioso in difficoltä, protagonista assoluta di questa commedia degli equivoci appare la voce recitante delľuomo di legge mentre egli sciorina, compiaciuto e maligno, le gride di circostanza, una piú minacciosa e vana delľaltra. La voce istrionica del lettore, tutta di naso, non scompone soltanto le frasi solenni dei bandi intcrcalandovi le sue didascalie am-miccanti, le sue iperboli di proverbi e di eccetera, ma si incuneapersino nei cor-po della parola allorché riduce ad altrettanti monosillabi mimici, come avverte la grafia esplicativa del narratore, il terribile avverbio «ir-re-mis-si-bil-men-te». Citata da una maschera acustica di un sinistra grottesco declamatorio, la lingua autoritaria della legge scade a suono pomposamente vuoto, caricatura o paródia di se stessa. La dialogizzazione operata dal dottore deforma il documento nelľatto stesso di riprodurlo: la fedelta storica cede il posto all'estro della fantasia verbale, al gusto della dissonanza comica, prodotta dal fatto che ľ interlocuto-re di Azzecca-garbugli é una vittima beffata, in tutto simile, quando ascolta la lezione melliflua delľawocato, a «un materialone» dinanzi a un «giocator di bussolotti» sulla piazza del paese. Renzo, insomma, rappresenta senza saperlo la misura del reale, il segno vivente delle sue contraddizioni e dei suoi paradossi. Come a specchio inclinato di una situazione tutt'altro che farsesca, non appena la si guarda dalľottica delľoppresso, lo scontro dei linguaggi qualifica piii che m UN ROMANZO MILANESE EUROPEO mai il realismo dell'episodic in un buio e polveroso studio di provincia, come una dialogická, dal basso, quella della strada e del suo ethos popolare, pronto alio stupore non meno che alio sdegno. Vero e che il realismo manzoniano, la sua naturalezza di dipinto fiammingo, come diceva il Cattaneo per il Porta, incorpora anche nei proprio impasto enci-clopedico - con una forza contrastiva che si lascia dietro il preludio drammatur-gico del Conte di Carmagnola e deWAdelcbi - il pathos del sublime letterario e dei suoi inventori antichi o moderní, da Pascal a Shakespeare, da Goethe a Byron, da Tasso all'Alfieri, da Virgilio a Racine, da Dante al grande codice della Bibbia. Sulla dominantě conversativa del narratore si viene cosi orchestrando, lungo la "scala del mondo" un movimento polifonico di misurata ma splendida sapienza cromatica. Ě la pluridiscorsivita, per ripetere il termine ormai canonico coniato da Michail Bachtin, delle voci e dei destini che si fronteggiano e interagiscono, passando da una casa di paese a un palazzo cittadino, da una viottola a un corso, insediandosi in un'osteria come in una chiesa o awenturandosi in un convento, in un castello, in un lazzeretto, quasi nei regno dei mord. E questo spazio aderisce alia tensione fisica di chi parla, rimanda alle sensazioni elementari del suo corpo, per cui gli oggetti hanno sempre una feriale concretezza d'uso, legata al mondo inesorabile dei bisogni, anche quando vi si sovrappone i'ideologia dei riti e delle gerarchie sociali. Nella mescolanza degli stili e degli impulsi biologici che danno origine alia pluridiscorsivita romanzesca la parola del corpo puo ignorare i con-fini delle classi e capovolgerne i codici istituzionalizzati ogni volta che la aggre-disce l'angoscia primitiva dello spazio, il tremore del non essere, il fantasma del vuoto che ogni uomo si porta dentro. Allora si awerte, anche nei comico della vanitá o dell'orgoglio, un'incrinatura, un sospetto di muta solitudine tragica. Tanto piu ardito si rivela ora il ricorso analogico alia lingua del Porta e del Maggi, inventariata dal sagacissimo Cherubini del Vocabolario milanese-ita.lia.no, perché la traduzione o il calco dialettale si adegua al contesto prospettico di una storia della "societa" e del "cuore" umano ma conserva sempre il complesso di relazioni ambientali e sceniche proprie del parlato, la forma interna di un vissuto affettivo in una spazialita che ě il sentimento domestico dell'appartenenza a un luogo. Tra il sostrato milanese e il suo equivalente italiano, quasi sempre con-forme ai lemmi del Cherubini, si genera un processo incessante di interazione o meglio una bivocalitá omologa a quella che secondo il narrarore regola il mu-■ tamento dagli «idiotismi lombardi» e dai «periodi sgangherati» del vecchio manoscrirto alia «dicitura» del těsto moderno. Viene quasi da concludere che nei «buon secentista» si occulti ironicamente Taker ego milanese di un aurore che deve pensare o provare in dialetto i suoi dialoghi romanzeschi per poter poi metterli in lingua con il calore riflesso di una verita drammatica e tuttavia quotidiana. Dopo tutto, accade la stessa cosa anche al don Abbondio del Fermo e Lucia, diviso, nei replicare al congedo evangelico del Cardinale, fra un codice fisiognomico di convenienza e un irresistibile pensiero in dialetto: «Don Ab- 13 671685 1 PROMESSI SPOSI UN ROMANZO MILANESE EUROPEO bondio rispose con un sorriso forzato al quäle voleva far dire: - certo e una gran consolazione -; ma in cuor suo fra se e se, rispose con una fräse proverbiale lom-barda: - mcglioperderlo che trovarlo -». Per venire a un esempio, allorche all'osteria della luna piena un awentore spiegala «smania» dei signori di «adoprar la penna» allegando il paradosso, tra giocoso e sarcastico, che «que' signori son loro che mangian l'oche, e si tro-van Ii tante penne, tante penne, che qualcosa bisogna che ne facciano», Renzo commenta, in uno Stile di eguale cadenza parlata, daunapausa a un gesto ammic-cante: «To' h un poeta costui. Ce n'e anche qui de' poeti: giane nasceper tutto, N'ho una venaanch'io, e quaJche voltane dico delle curiose...». Ora,per quanto di un effetto comico immediato, le sue parole acquistano una piu sostanziosa, icastica pienezza di senso solo se si ha presente, magari conglobandovi H «me senti anch mi poetta» del brindisi meneghino del Porta, che ideja poetega vale in milanese lo stesso che "capriccio, stravaganza". Con un'esattezza non meno gustosa il Vocabolario del Cherubini conferma di rincalzo che «forse perche povera e nuda va filosofia come povera e nuda va Ia poesia, il volgo nosrro chiama Fildsofo Stoich e Poetta ogni persona la quäle o nel vestire o nel parlare o nelTagire sembri ad esso dipartirsi dal comune». Allo stesso modo il narratore viene allo scoperto, a fianco del personaggio, per chia-rire l'antefatto idiomatico della sua « baggianata» e piü ancora per sottolineare l'ardimento di «quel guastamestieri del volgo» nel «manomettere le parole», ossia la sua inventiva pragmatica, la spregiudicatezza irridente della sua bizzarria. II paradosso di Renzo si risolve nel doppio paradosso dello scrittore che, sotto la maschera di un io narrante e didascalico, allude alla fantasia espressionistica del dialetto, assunto non solo dalla parte visibile della materia narrata ma anche da quella, occultanel suo stesso corpo, della elocuzione romanzesca, sullaviaaperta dal romanticismo democratico del «Conciliatore» e dall'epica carnevalesca e popolare del Porta. Insinuante e perciö falsamente bonario, quello che scatta da ultimo, come si vede, e il riso beffardo di una ironia capace nello stesso tempo di svelarsi e di nascondersi dietro il tiro indiretto delT'esprit", della argutezza combinatoria. Certo, se poi si spinge lo sguardo fuori d'Italia, bisogna riconoscere che negli anni della Restaurazione non vi e altro romanzo europeo in cui si dispieghino, con la genialitä discreta ma reattiva di uno humour sempre in agguato, il Potenziale polimorfo della scrittura narrativa e la sua vocazione a mescolare il tragico e il comico, l'introspezione shakespeariana e la buffoneria di Voltaire, la cronaca e Ia satira, entro un'immagine della realtä tanto piü veta poiche vi irrompe l'as-surdo e il grottesco, quäle puö solo scoprirlo la coscienza comune della «gente di nessuno»: una coscienza incarnata in un corpo e in sintonia ricettiva, vibrante, spesso anche dolorosa, con l'universo che l'awiluppa, I'aria, la terra, la luce, la polvere della strada, Ia notte e i suoi fantasmi, la pioggia, il brivido aspro della fame. 14 Proprio su questo nuovo registro introspettivamente biologico la grande sto-ria istituzionale del Seicento spagnolo in versione lombarda s'interseca e si com-penetra con quella che oggi si suole definire la microstoria, l'esperienza colletti-va degli individui senza potere che vivono e raccontano ogni giorno il proprio gramo e alterno destino. Attraverso due di loro sradicati per sempre dai propri «monti» sicomponeapoco apoco, scardinando Ia vecchia struttura del romanzo come idillio, il rittatto potente di un'epoca fosca e vitale, ai confini del mondo moderno. La sua faccia segreta ě l'intrigo tragico della Colonna infame, l'inferno terreno degli untori e della tortura, I'orrore della violenza sulla carne inerme e innocente. Ma a Renzo é riservato soltanto un ruolo di untore mancato, la sua discesa agli inferi termina con il carnevale macabro e vociante dei monatti lungo le strade morte di una cittä atterrita. Dalla «nebbia» della peste risorge per lui il «cielo di Lombardia, cosi bello quanďě bello, cosi splendido, cosi in pace». Rispetto alle tenebre immobili della Colonna infame, con i loro abissi di fatti atroci e senza compenso, I'aria che spira nei Promesü sposi puö essere illuminata di continuo, come il cielo di Lombardia, dal segno attivo della redenzione, che salva l'uomo dal male e dall'istinto di morte, allorche il suo "cuore" anche nella catastrofe non dimentica l'"akro", l'invisibile che si offre in ogni volto. Ii sacro riprende la sua funzione vitale di movente etico originario, tematizzato nel lin-guaggio devoto e predicatorio della spiritualita borromaica, sino al catechismo di campagna, all'oratoria istintiva della preghiera popolare. Ma il fatto che tutti i personaggi partecipino, nel bene e nel male, di una fede cattolica ancora salda-mente ancorata a valori indiscussi di antico e vissuto tramando, non toglie nulla alla problematická riflessiva della parola romanzesca, alla sua domanda intorno alla liberta e al potere, alla giustizia e al peccato, al male e al disordine, connatu-rati da sempre alla vita degli uomini. Se la pluridiscorsivitä narrativa opera anche negli enunciati del discorso religioso e vi istituisce una polivalenza dialogica per cui i punti di vista dei parlanti si limitano sempre a vicenda come ideologie a confronto, ogmina con la forza inattaccabile della propria storia individuale, a maggior ragione la moralita che invoca a suo fondamento la trascendenza viene a calarsi nel campo di forze di un sistema politico e sociale che la smentisce o la deforma, nella fenomenologia intricata dei rapporti umani e delle loro molteplici pulsioni travestite. Nonostante il fervore consapevolmente e istintivamente apologetico dei personaggi, la "promissio inquieta" di cui essi sono testimoni non rimuove, anzi acuisce le tensioni, le contraddizioni, le crisi della coscienza, soprattutto quando s'identificano retrospettivamente con quelle del narratore e dell'autore che gli sta dietro: il quäle poi e un razionalista convertito di vibratile tempra agostiniana e pascaliana, con lo stesso ptoblema affrontato nellaMorale cattolica di rivendica-re anche al cattolicesimo una parte positiva neli'etica civile di un paese moderno proprio mentre ha inizio il processo postrivoluzionario della secolarizzazione. Senonché, nella sua intransigenza metafisica, Pascal aveva gia ammonito che Ia 1 PROMESSI SPOSI UN ROMANZO MILANESE EUROPEO forza senza la giustizia ě iniqua, la giustizia senza la forza é impotente. A questo punto diventa azzardata per i Promessi sposi la formula cattivante di romanzo della Prowidenza, anche se Leibniz designava quasi negli stessi termini il mon-do della storia, e sembra piů prudente parlare di romanzo della speranza, della ricerca della giustizia nella liberta paziente del cuore dentro il "turbině" della guerra, della carestia, della peste, in un universo di segni non meno enigmatici che sinistri. Di la dai loro orizzonti giustapposti quello ehe unisce il narratore e i suoi antieroi in cammino ě ľattesa di riconoscere nel segno una traccia, ľepifania di un significato anteriore alľambiguitä sopraffattrice del male. In ultima analisi ľordine che la scrittura narrativa persegue nel suo compli-cato strutturarsi, nel suo «andirivieni» e nel suo «guazzabuglio» (due parole, queste, centralí nellessico manzoniano), ě insieme ľordine precario, il senso ot-tativo ehe i due protagonisti analfabeti di un nuovo Bildungsroman domestico tentano di ritrovare nel corso delle loro avventure lungo le stradě di Lombardia. E senza dubbio questa Lombardia rappresenta anche una metafora del mondo, un "teatro" delľesistenza, fatto appunto di «luttuose Traggedie ďhorrori, e Scene di malvaggitä grandiosa, con intermezzi ď Imprese virtuose e buontä angeliche, opposte alle operationi diaboliche», dove la veritä e la satira, il passato e il pre-sente, si compongono in una figura dialettica insidiosamente interrogativa, sino ad adombrare, a frammenti, ľautobiograŕla di un ego piú profondo, che pure vuole restare fuori dal těsto. Ľinfanzia di Gertrude, s'intuisce, traspone al fem-minile gli affetti delusi di una storia gelosamente personale di fine Settecento, sugli stessi sentieri tortuosi di Rousseau o Alfieri. Ma la voce che filtra e controlla le voči del raeconto usa in modo abilissimo ľarte difensiva della reticenza e della litote, dissimulando gli scatti fulminei, frenando ľansia analitica, spezzando il respiro teso della frase, convertendo persino le antitesi e le nevrosi in sigle affiv bili della diserezione, in moduli signorili del cosiddetto "Understatement". Chi si awede, dinanzi a un «colui che saremo costretti a chiamare l'innominato», che ilpredicativo prodotto dal verbo negaproprio ľatto della nominazione e ehe ľossímoro corrispondente ha una energia non inferiore a quella del «Nessuno» eseogitato dalla malizia onomastica dell'Ulisse omerico? Anche la chiarezza, a fissarla piú da vicino, puô riempirsí di ombre e di contrasti, come un quadro caravaggesco acceso e fasciato dal dramma radente delia luce. Per quanto ďaccordo con lo storico turbato ma risoluto della prima Colonna infame che «per qualificare le azioni, bašta conoscerle, e patagonarle con la legge eterna di giustizia», il narratore di Renzo sa bene, e lo fa capire, che la parola, tanto piů se attivata dalle forme della letteratura, registra al tempo stesso il vero e il falso, la realtä e la finzione, il fatto e la sua "frangia", vale a dire la fabulazione ro-manzesca della chiacchiera, della fitta, minuta comunieazione di ogni giorno. Al pari di « un nanettino a cui venisse la vita dallo Stare abbracciato ad un gigante », secondo la stupefacente "caricatura" attribuita al Manzoni nei dialoghi filosofici delle Strestané, il linguaggio non puô mai uscire dalla propria deformazione, gli si deve credere soltanto diffidandone, con la consapevolezza del proprio orizzonte "finito" Cosi, mentre il romanzo verifica ľordine di una "bella storia" che i suoi protagonisti possono interpretare come il "filo" benefico della Prowidenza, colui che raeconta non rivendicaper sé un punto di vista assoluto, che esigerebbe, a voler ripetere le parole stringenti della Morale cattolka, «la cognizione profetica di tutti gli effetti delle azioni, la cognizione di tutti i loro rapporti coll'ordine generale». Gli e concessa invece un'ipotesi prospettica, un movimento erme-neutico entro un paesaggio umano a distanza variabile, alio stesso modo in cui ľocchio narrativo percorre in piú sensi, a «prospetti» successivi, il «luogo» fra «strade e stradette» della prima e infausta passeggiata di don Abbondio. Ii raeconto insomma ha le sue strade, i suoi orizzonti mobili ma circoscritti. Bisogna poi aggiungere che in questa esplorazione del molteplice il romanzo sperimenta su se stesso il paradosso moderno e galileiano della scrittura roman-zesca, il suo farsi negandosi e decentrandosi in un contesto sempře incompiuto. D'altro canto, non puô essere certamente un caso che la "conclusione" dei Promessi sposi, dentro la cornice convenzionale sino alla banalita di un lieto fine borghese, passi dal narratore ai due protagonisti e ai loro dialoghi nativamente soeratici, soprattutto dalla parte di Lucia, intorno ai «guai» del vivere, ossia al senso della sofferenza e al destino, alla felicitä dell'uomo. II «sugo di tutta la storia» sconfigge il moralismo senza problemi di Renzo, dialogizza un vero che deve ancora svelarsi, una «fiducia» ritrovata nella comunione totale degli affetti ma sempre, per dirla con Gadda, in mandato prowisorio. Insieme con il benessere e ľintegrazione sociale dei nuovi proprietari in un «paese» straniero si riaffaccia ľidillio, ma per essere subito messo ŕuori gioco dall'ironia relazio-nante della coscienza. Intanto, sul proscenio del congedo romanzesco, oramai fuori dalle quinte della fabula barocca, eeco farsi avanti il « secentista » e il suo trascrittore roman-tico finalmente a fianco ľuno delľaltro, a chiudere ľinvenzione «di tutta la storia» conil «noi» duale di «chi ľha scritta» e di «chi ľha raecomodata». Di fronte a loro, nello statuto scoperto della bivocaliti narrativa, si pone dialo-gicamente il lettore che deve mettersi a sua volta a «dibattere», a «cercare» e soprattutto ad ascoltare di nuovo il raeconto delle « awenture» di Renzo senza, se puô, annoiarsí. Ľ irónia socratica del romanzo, del resto, aveva giá affidato a don Abbondio, in uno degli ultimi colloqui con ľerede di don Rodrigo, ľe-logio delľoralitä narrativa, acereditandola agli stessi protagonisti della storia, e in primo luogo, si capisce, al suo piú diretto interessato: «Se vossignoria vuol prendersi il divertimento di sentir questa povera gente ragionar su alla carlo-na, potrá fargli raccontar la storia a lui, e sentirä». E poiché don Abbondio ě un esperto della lingua parlata, il piú dialettale anzi di tutti i personaggi dei Promessi sposi, alla stregua di un Sancio Panza o di un Falstaff, il suo giudizio ha un valore preciso se non addirittura programmatico, quasi da assioma di un manifesto mascherato. 16 17 I PROMESSl SPOSI Forse allora il senso del romanzo consiste anche nel divertimento di una scrit-tura che accorda la sua intenzione pluridiscorsiva al «ragionar su alia carlona» dei propri fantasmi, a una polifonia di voci, di figure sintattico -intonazionali an-cora calde di pathos quotidiano e di evidenza drammatica, vive sino al grottesco. Spartendo il lavoro in due amichevolmente, come voleva il Tristram Shandy, sta poi al lettore di costruire su quello del narratore e della sua partita romanzesca il divertimento promesso da don Abbondio. Occorre solo la spregiudicatezza, la reattivita verbale del vecchio, inarrivabile parroco manzoniano. E.R. Awertenze bibliografiche Come ogni romanzo ehe é opera di immaginazione e di magia verbale, i Promes-si sposi possono leggersi istituzionalmente senza alcun commento. Ma la qualitä della scrittura manzoniana, la malizia serpentina delľintrigo romanzesco, il gioco polifonico dei motivi intettestuali richiedono, per essere conyenientemente perce-piti, una stratégia collaudata di lettura. Solo la prassi metodíca e paziente delľeser-cizio ermeneutico concede di entrare nelle logiche segrete e talora capziose del rac-conto, nel concerto di antitesi e figure d'un romanzo intessuto di generi letterari diversi e di interní microromanzi biografici, da padre Cristoforo alľlnnominato, da Gertrude a donna Prassede e don Ferrante, con digressioni, parodie, pastiches, montaggi, divertimenti e arabeschi, quasi nell'accezione romantica dello Schlegel. Cosi, senza accantonare affatto una tradizione esegetica che si estende dal Cantů al Negri, dal Nardi al Momigliano, dal Pistelli e dali'Angelini al Russo o al Getto, dal Caccia al Bonora, gli autori del presente commentario si sono pro-posti di correlate il loro apparato esplicativo soprattutto ai caratteri specific! del meccanismo romanzesco, alia sua straordinaria capacitá di produrre una galassia di signifkati fattuali e allusivi. Sono i fenoméni di senso di cui ha giustamente parlato Bachtin. Assumendo sempre il testo quale termine dinamico di raffronto, il lavoro interpretativo ha quindi mirato: i) a individuarne gli aspetti formali, linguistici, rétorici e stilištici, cominciando dagli antefatti milanesi, dal fondo idiomatico della scrittura narrativa, anche dopo la "risciacquatura" toscana; z) a rilevare la struttura e ľorchestrazione tematica del racconto, la sintassi variabile dei punti di vista, dal sistema dei personaggi della fabula ai loro rapporti con lo spazio e íl tempo narrato; 3) a indicare la rete dei rapporti funzionali e delle meta-morfosi di genere che legano il romanzo al sistema Ietterario manzoniano - dagli Inni alle tragedie, daHzMomle ai saggi storiografici e teorici, e naturalmente dallo scattafaccio del Fermo e Lucia a quello della Colonna infame —; 4) a definire il complesso di relazioni intertestuali, di luoghi topici della tradizione letteraria, su cui si orientano ľintreccio e le situazioni narrative: dal romanzo nero a Scott, da Fieldinga Chateaubriand, da Cervantes a Sterne; 5) a verificare come l'interprete "illuministico", ľamico di Fauriel, Cousin, Thierry, Visconti, Enrico Acerbi, il lettore di Sismondi, Say, Ricardo, ttasformi in complemento omogeneo al racconto le cronache, i referti medici o edificanti delia carestia e della peste. D'altro canto, appunto perché viene crescendo a mano a mano che attraversa il testo, il commento intavola un dialogo con il lettore parallelo a quello del romanzo, per fare del proprio destinatario ilprotagonista conclusivo delľoperazione esegeti-