; promessi sfosi quelle risposte che, non dico risolvon le questioni, ma le mutano. Spesso anche, mettendo due critiche alle máni tra loro, le facevam battere Tuna dalTaltra; o, esaminandole ben a fondo, riscontrandole attentamente, riuscivamo a scoprire e a mostrare chc, cosi opposte in apparenza, eranperó ďuno stesso genere, nasce-van tutťe due dal non badare ai fatti e ai principi su cui il giudizio doveva esser fondato; e, messele, con loro gran sorpresa, insieme, le mandavamo insieme a spasso. Non ci sarebbe mai staro autore che provasse cosi ad evidenza ďaver fatto bene. Ma che ř quando siamo stati alpunro di raccapezzar rutre le dette obiezioni e risposte, per disporle con qualche ordine, misericordia! venívano a faře un libro. Veduta la qual cosa, abbiam messo da parte il pensiero, per due ragioni che il lettore troverá certamente buone: la prima, che un libro impiegato a giustificarne un altro, anzi lo stile ďun altro, potrebbe parer cosa ridicola: la seconda, che di libri bašta uno per volta, quando non é ďavanzo. 96-98. un libro... é ďavanzo: di etica delia critica il M. tratta anche in aleune pagine delia Morale eattolica (iSi^Jmentrelesuc idee sulla lingua c sullo stile le venne ordinando nelľincom-piuto Sentir messa (i8jé). La diserezione delia nuova serittura, il suo stile prosaico-colloquiale, si contrappongono pragmaticamente alia «dicitura» artificiosa delľAnonimo. 2.8 Capitolo i Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non in-terrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dalTaltra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor piu sensibile all'occhio questa trasfor-mazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e 1'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua disten-dersi c rallcntarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, Tuno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in flla, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talche non ě chi, al primo vederlo, purchě sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a 1. Quelramo... di Como: lapagina - osservava gia dDe Sanctis - < come pet raccomodarlo; e, girando Ie due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia alTindiet.ro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda delTocchio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nes- 19° suno. Diedeun'occhiata, aldisopradelmuricciolo, ne' campi: nessuno; un'altra piů modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorthě i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perche i momenti di quell'incertezza erano allora cosi penosi per lui, che non desiderava altro che 195 d'abbreviarlL Affrettó il passo, recitó un versetto a voce piu alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarita che poté, fece ogni sforzo per preparáte un sorriso; quando si trovo a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermó su due piedi. «Signor curato,» disse un di que' due, piantandogli gli occhi in faccia. 200 «Cosa comanda?» rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restó spalancato nelle mani, come sur un leggio. rivela istintivamente la sua natura pavida. L'aggressione biologica della paura c rapprcsenrata da una voce verbale ripicamcntc manzoniana che esprime ia. cási-.assalire. Nel Cinque maggio di Napoleone si dice «ľassalse il sowenir» e di Ermengarda il coro dell1'Adelchi recita: «...e l'anima / impaurira assale». 183-185. Fece... rassicurava alquanto: il rilievo, nella sua apparente neutralita, ě feroce sarca-Sfflo: il curato non si prcoccupa d'aver commesso qualcosa di disonesto, ma d'ayer orYeso «quah che potente». La sua non ě una tonsolazione cvangeiica, ma una rassicurazione mondana solen-nemeňte parodiata; «don Abbondio, figura comica, forte come Falstaff ě forse piii comica di Falstaff, e la sua vita continua nella fantasia degli uomini come quella di Falstaff» - cosi scriveva un lettore artento e intelligente come Hugo von Hofmannsthal. 186-190. Mise ľindice... nessuno: la mimica, con immediatezza fisiognomica («torcendo insieme Ia bocca») esprime nel dettaglio grottesco la paura viscerale. Ai gesti sintomatiri, che tradiscono un timore sempře piú affannoso quanto piu il curato cerca di occultarlo, rispondouo accelerando i tempi tre sgomentati «nessuno», 1^5-13:8. Áýjf£tt&... ci siamo: don Abbondio damutoattore-dissimulatore della propria paura, che cerca addirittura di presentare ai bravi un volto «ilare», recita con il proprio atteggiamento mimerico sino ai «ci siamo». L'espressione colloquiale («vala ben?» diceva in dialetto il mene-ghíno Bongee) ěpronunciata mentalmente, inmonologo inreriore, Galantuomini, invece, ě detto per antiŕrasi e appartiene alia voce del narratore. 100-201. Cosa comanda?... Lei ha intenzione: fin da principiole parole trasmettono laviolen-za e comportano un sistema cíi forze e di gerarchic. La domanda piu che una formula di cortesia é giá un atto di sotromissione e tradisce la deferenza impautita che paralizza don Abbondio col suo 38 CAPITOLO i «Lei ha intenzione,» prosegui L altro, con Tatto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sulFintraprendere una ribalderia, «lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!» «Cioe...» rispose, con voce tremolante, don Abbondio: «cioě. Lor signoři son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende, Il povero curato none'entra: fanno iloropasticci tra loro, epoi... e poi, vengonda noi,come s'anderebbeaun bancoariscotete; e noi.. noi siamoiservitoridelcomune.» «0r bene,» gli disse il bravo, alForecchio, ma in tono solenne di comando, «questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, ně mah» «Ma, signoři miei,» replico don Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, «ma, signoři miei, si degnino di mettersi ne' miei panni, Se la cosa dipendesse da me,... vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca,..» «Orsu,» interruppe il bravo, «se la cosa avesse a decidersi a ciarle, lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, ně vogliam saperne di piu. Uomo awertito... lei cJintende.» «Ma lor signoři son troppo gíusti, troppo tagionevolL.» «Ma,» interruppe qu e sta volta Y altro compagnone, che non avevaparlato fin libro in mano spalancato «come sur un leggio». Quella dei bravi ě una constatazione che il tono minaccioso trasforma inequivocabilmente in un'accusa. 104. Tramaglino... Lucia Mondella: nel romanzo ľonomastka ě straordinariamente signifi-caciva e non sembra casuale che nel dialetto mjlancse mondell designi il seme del grano bianco: quel «grano gentile » che - spiega il Cherubini - «usa moko nei nostri cohi ove i contadini ľhanno caro...». II cognorae di Renzo sembra invece rifarsi a tremagg «foggia di rete da pescare 0 da uccellare, la quale ě composta di tre teli di rete sovrapposti ľuno alľaltro ». 105-107. doe... fanno i loro pasticci: il doe appartiene alia mimica verbale del personaggio. Devora un imbarazzo e una volonta di compromesso che per scagionarsi da ogni responsabilitä fa appello alia discrezione di due siffatti ^uomini di mondo» e poi trivialmente finisce con ľac-cusare due giovani parrocchiaiii di combinajee «pasticci», passando poi «a rÍ5C0tere» come al banco dei cambi. z07-10S. vengon da noi... e noi... i servitori del comime: «11 periodo é ellittico del soggetto principále - commenta Carlo Emilio Gadda - e sostenuto da quattro noi "tremolami" nelle due Frasi che seguono. II povero essere non ardisce proferire il soggetto, per paura e per vergogna: 1 amore lo chiama "i pasticci" con eventuale awiamento del marmocchio... "noi" sono i curati in genere che egli assimiJa agli uŕľiciali pagatori (cassieri) di un banco (oggi banca)...» (// tempo e h opevt, Miláno, Adelphi, 1982). L'espressione «servitori del comune» rende il mil. servi a comun, ľesstreutiiiatutti e albenecomune (Cherubini). 211-114. Ma} signoři miei... in tasca: ancora una scivolata dal tono della piccola diplomazia alia vol oaritä delle formule triviali e delle ragioni meschine. La retorica di don Abbondio, volendo «persu, dere un impaziente», registra ora dall'interno ora dall'esterno la situazione pskologica dc] locutc -e. Alia impaurita deferenza del «Lor signoti» iniziaJe - che é pronunciato con voce <*rremolante» (degradando un aggettivo alfieriario) - s'alteĽnano le índicazioni esterne che sři-dentificano con lo sguardo, la visione del personaggio: «compagnone», «canzonaccia» (alle rr. zig, 145} appartengono alia coscienza della situazione di don Abbondio, al suo campo percettivo. ZIÉ-12I. Uomo awertito... ne avra il tempo: al minaccioso awertimento di stampo mafioso, 29264882^082 i promessi sposi CAPITOLO I **° allora, «mi il matrimonio non si fara, 0...» e qui una buona bestemmia, «0 chi 10 fara non se ne pentira, perché non ne avrá il tempo, e...» un'altra bestemmia. «Zitto, zitto,» riprese il primo oratoře: «il signor curato ě un uomo che sa 11 viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purchě abbia giudizio. Signor curato, l'illustrissirno signor don Rodrigo nostro 225 padrone la riveriscc caramente.» Questo nome fu, nella mentě di don Abbondio, come, nel forte ďun tem-porale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli og-getti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un granďinchino, e disse: «se mi sapessero suggerire...» 230 «Oh! suggerire a lei che sa dí latino!* interruppe ancora il bravo, con un riso tralo sguaiatoe ilferoce. «Alei tocca. Esopra tutto, non si lasci uscir parola su questo awiso, che le abbiam dato per suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome alTil-lustrissimo signor don Rodrigo ?» 235 «Ilmio rispetto...» « Si spieghi meglio!» «...Disposto... disposto sempře all'ubbidienza,» E, proferendo queste parole, non sapeva nemmeti lui se faceva una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel significato piú serio. 240 «Beníssimo, e buona notte, messere,» disse 1'un d essi, in atto di partir col compagno. Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative. che non ha ancora srroncato la diplomatica clusivita del curato - don Abbondio addirittura usa con i due malfattori gli epiteti di «troppo giusti, troppo ragionevoli» - strccede la minaccia violenta, brutale. 222-225. Uprima oratoře... la riverisce: fra i due bravi, che si sono snddivisi il compiro di minacciare e di argomentare, 1' «oratore» replica ironicamente con gli stessi termini diplomatici usati da don Abbondio: «il viver de mondo», «siam galantuomini». Ma la ripetizione «Signor curato» ha perö una minacciosa serietä e il suo argomento strategico risulta faccenno a don Rodrigo. 227-228. un lampo... un granďinchino: alia similitudine della luce segue il gesto istintivo dell'inferiore, la trasposizione mimica ďuna subordinazione ístintiva; con tipica tecnica manzo-niana lo stato d'animo del personaggio viene rappresentato dinamicamente attraverso elementi armosferici; per analogia diventa un microcosmo tempestoso. 230-234. suggerire a lei... don Rodrigo?-. con sarcasmo il bravaccio lascia intendere che sperta a chi sa di latino escogitare imbrogli e chiede un assenso definitivo in nome del suo padrone. 237. disposto sempře all'ubbidienza: la risposta resta ambígua per lo stesso curato, ma ě la sua natura che lo porta ad essere evasivo anche con la propria coscienza. 240. messere: il titolo spettava ai dotti, ai magistrati, ai giuristi e ai sacerdoti, ma qui sembra sottolineare la complicitä delTaccordo fra questi «uomini di mondo»; é il «messe» usato dal Maggi nelle sue commedíe. 242. voluto prolungar. é come il barlume dun tardivo ricredersi, ďuna velleitaria volontä di resistenza. «Signori...» comincio, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza piii dargli udienza, presero la strada dond'era lui venuto, e s'allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio trascrivere. II povero don Abbondio 245 rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle due srradette che conduceva a casa sua, mettendo innanzi a stento una gamba dopo 1'altra, che parevano aggranchiate. Come stesse di dentro, s'mtendera meglio, quando avrem detto qualche cosa del suo naturale, e de' tempi in cui gli era toccato di vivere. *P Don Abbondio (il lettore se n e gia aweduto) non era nato con un cuor di leone. Ma, fin da" primi suoi anni, aveva dovuto comprendere che la peg-gior condizione, a que' tempi, era quella d'un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d'esser divorato. La forza legale non proteggeva in alcun conto l'uomo tranquillo, inoffensive, e che non aves- 255 se altri mezzi di far paura altrui. Non gia che mancassero leggi e pene contro le violenze private. Le leggi anzi diluviavano; i delitti erano enumerati, e par-ticolareggiati, con minuta prolissita; le pene, pazzamente esorbitanti e, se non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure, studiate soltanto a liberare il giudice da ogni cosa 26c. che potesse essergli d'impedimento a proferire una condanna: gli squarci che abbiam riportati delle gride contro i bravi, ne sono un piccolo, ma fedel sag-gio. Con tutto do, anzi in gran parte a cagion di do, quelle gride, ripubblica-te e rinforzate di govemo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l'impotenza de' loro autori; o, se producevan qualche effetto 265 immediate era principalmente d'aggiunger molte vessazioni a quelle che i paci-fici e i deboli gia soffrivano da' perturbatori, e d'accrescer le violenze e l'astuzia 245. che non voglio trascrivere: la voce narrantc allude all'immaginario manoscritto. 246-248. come incantato... aggranchiate: la grande sequenza gestuale culmina in questo an-nientamento del curato, che ironicamente sembra suggetire un effetto di magia, e si spegne con quei suoipassi irrigiditi («aggranchiati» per ü mil. sallä el ran/) che emotivamente denunciano la sopraffazione subita. II participio aggettivale «incantato» conserva la carica espressrva della voce dialettale incantaa. Pirandello defmiva questa ambivalenza della scrittura manzoniana come «pietä spicrata». 24S-252. Come stesse di dentro... cuordi leone: dopo aver descrittolagrottescacommediapan-tomimica recitata da don Abbondio suo malgrado, la scrittura sonda 1 intetiorira del personaggio, la saa natura («suo naturale»), lesue disposizioni, il carattere e i modi abituali di comportamen-to, cssiale premesse psicologiche, umane e storico-sociah del suo comportamento. L'ironia della litote - la formulazione attenuara dalla negazione del contrario {non... di leone= coniglio= timi-dezza; - tende con grande icasticitä l'indole apprensiva del curato. Lo scrittore deve illuminarc i mrsceri del cuote umano - e la professata convinzione del Manzoni. 257-. 63. Le leggi... lepene... ad arbitrio... fedel saggh: lapagina riprende e sviluppa in detta-glio Tanalisi del meccantsmo giudiziarro - gia anticipata sui brani delle gride - un sistema ove l'arbitrarietä entra in flagrante antitesi con il concetto di giustizia e la proliferazione legislativa crea la paralisi. 164-268. attestare... l'impotenza... astuzia di questi: sono gli effetti perversi dell'inefficien- 41 21 i promessi sposi di questi. L'impunita era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere. Tali eran gli asili, tali i privilegi d'alcune classi, in parte 2-70 riconosciuti dalla forza legale, in parte tollerati con astioso silenzio, o impugnati con vane proteste, masostenuti in fatco e difesi da quelle classi, con attivitad'in-teressc, e con gelosia di puntiglio. Ora, quest'impunita minacciata e insultata, ma non distrutta dalle gride, doveva naturalmente, a ogni minaccia, e a ogni insulto, adoperar nuovi sforzi e nuove invenzioni, per conservarsi. Cos! acca- 175 deva in effetto; e, all'apparire delle gride dirette a comprimere i violenti, questi cercavano nella loro forza reale i nuovi mezzi phi opportuni, per continuare a far cio che le gride venivano a proibire. Potevan ben esse inceppare a ogni passo, e molestare 1'uomo bonario, che fosse senza forza propria e senza protezione; perche, col fine d'aver sotto kmano ogni uotno, per prevenire o per punire ogni iSb delitto, assoggettavano ogni mossa del privato al volere arbitrario d'esecutori d'ogni genere. Ma chi, prima di commettere il delitto, aveva prese le sue misure per ricoverarsi a tempo in un convento, in un palazzo, dove i birri non avrebber mai osato metter piede; chi, senz'altre precauzioni, portava una livrea che im-pegnasse a difenderlo la vanita e 1'interesse d'una famiglia potente, di tutto un l85 ceto, era libera nelle sue operazioni, e poteva ridersi di tutto quel fracasso delle gride. Di quegli stessi ch'eran deputati a fade eseguire, alcuni appartenevano per nascita alia parte privilegiata, alcuni ne dipendevano per clientela; gli uni e gli altri, per educazione, per interesse, per consuetudine, per imitazione, ne avevano abbracciate le massime, e si sarebbero ben guardati dall'offenderle, per amor d'un 190 pezzo di carta attaccato sulle cantonate. Gli uomini poi incaricati dell'esecuzio- te ed arbitrario apparato giuridico. Si noti l'economia del periodo che dall'effettiva impotenza giudiziaria fa conseguire un incremento dei soprusi, dei maltrattamcnti vessatori ai danni dei piü deboli: un aumenco della violenzaprevaricatoria. 268-272.. L'impunita... organizzata... puntiglio: l'impunita era un diritto originariamence concesso a conventi e chiese che per legge erano inaccessibili alia forza pubblica (diritto di asilo); col tempo si erano di fatto arrogato simile privilegio anche le case patrizie e lo sostenevano o tolleravano - insiemc al clcro - le classi dirigenti, i militari, i giurisperiti, cur appartenevano gli uomini di governo. Classi legate da interessi eomtini e da una puntigliosa omerta. 276.forza reale: i quclladcllaviolcnza prevaricatoria, contrapposta ad una «forza legale» soltanto ampollosa e ad un'assenza di «forzapropria» del privato cittadino. La societä lombarda rappresentata dal narratore all'inizio della propria storia secentesca e dunquc il contrario di una «socierabene-ordinata»: la quale, sesi conscnte con il Rawis di Una teoria dellagiustizia - che c ormai un classico del pensiero morale e politico contemporaneo - «non soltanto e tesa a pro-muovere il benessere dei propri membri, ma h anchc rcgolata in modo effettivo da una concczione pubblica della giustizia» (p. 21 dell'ed. it. Feltrinelli). 186-190. Di quegli stessi... pezzo di carta... cantonate: il narratore denuncia fcroccmenre i'o-merra di classe, quella clientelare - oggr si direbbe parritica - insieme a quella di cultura e di prassi quotidiana d'un sistema di potere che in molti paesi europet si mamennc talc sino alle soglie della rivoluzione francese, L'illuminismo cristiano del M. non ripudia mai gli aspetti positivi ed cgalitari della Rivoluzione. 290-295. Gli uomini... eroi... monaci... martiri... operate: il realismo della prospettiva auroraie ne immediata, quando fossero stati intraprendenti come eroi, ubbidienti come monaci, e pronti a sacrificarsi come martiri, non avrebber pero potuto venirne alia fine, inferiori com eran di numero a quelli che si trattava di sottomettere, e con una gran probabilita d'essere abbandonati da chi, in astratto e, per cosi dire, in teoria, imponeva loro di operare. Ma, okre di ció, costoro eran generalmente de' piů. abbietti e ribaldi soggetti del loro tempo; 1'incarico loro era tenuto a vile anche da quelli che potevano averne terrore, e il loro titolo un improperio. Era quindi ben naturale che costoro, in vece d'arrischiare, anzi di gettar la vita in un'impresa disperata, vendessero la loro inazione, o anche la loro connivenza ai potenti, e si riservassero a esercitare la loro eseerata autorita e la forza che pure avevano, in quelle occasioni dove non e'era pericolo; nell'opprimer cioě, e nel vessare gli uomini pacifici e senza difesa. L'uomo chevuole offendere, o che teme, ognimomento, d'essere offeso, cer-ca naturalmente alleati e compagni. Quindi era, in que' tempi, portata al massi-mo punto la tendenza degl'individui a tenersi collegati in classi, a formarne delle nuove, c procurare ognuno la maggior potenza di quella a cui apparteneva. II cle-ro vegliava a sostenere e ad estendere le sue immunitá, la nobilta i suoi privilegi, il militare le sue esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano arrolati in maestranze e in confratemite, i giurisperiti formavano una lega, i medici stessi una corporazione. Ognuna di queste piccole oligarchic aveva una sua forza speciále e propria; in ognuna I'individuo trovava il vantaggio d'impiegar per sě, a proporzione della sua autorita e della sua destrezza, le forze riunite di molti. I piu onesti si valevan di questo vantaggio a difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavano, per condurre a termine ribalderie, alle quali i loro mezzi personali non sarebber bastati, e per assicurarsene l'impunita. Le forze pero di queste varie leghe eran molto disuguali; e, nelle campagne principalmente, il nobile dovizioso e violen-to, con intorno uno stuolo di bravi, e una popolazione di contadini awezzi, per tradizione famigliare, e interessati o forzati a riguardarsi quasi come sudditi e soldáti del padrone, esercitava un potere, a cui difficilmente nessun'altra frazione di lega avrebbe ivi potuto resistere. ě mosso da una conoscenza appassionata dei comportamenti umani e sociali: contro le «teori-che» e improbabili vocazioni al sacrificio croico sta la realta dei rapporti numerici, di forza. 298-302. naturale... la loro connivenza... senza difesa: quando mancano alvertice le condizio-ni cella giustizia Tintero apparato statale cade naturalmente nelle mani di « ribaldi», di conniven-ti, c I 'austerita dello stato si esercita soltanto nel vessare quei cittadini piu indifesi che dovtebbe invece difendere. Questa ě la lucida e impierosa considerazione del narratore la cui istanza ideo-logica \ quella delTilluminista cattolico. 30 .-309. L'uomo che mole offendere... corporazione: la nitida massima fa da cerniera trail quadra d'unt giustizia perversa e 1'esame di quell'assctto sociále che la presupponeva. Nel descrivere la degenerazione del sistema corporativo il narratore riprende dalla sua ottica postrivoluzionaria le tesi polemiche svolte da Pietro Verri, il padre dell' Illuminismo lombardo, nelleMemoriestorkbe sulla economia pubblica dello Stato di Milano. 316-320. nelle campagne... resistere: combinando magistralmente gli interessi dello storico- 300 -.05 310 41 I promessi sposi 335 II nostra Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quel-la societa, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete. Per dir la veritä, non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero ai quale si dedicava: procacciarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrate due ragioni piú che suf-ficienti per una tale scelta. Ma una classe qualunque non protegge un individuo, non lo assicura, che fino a un certo segno: nessuna lo dispensa dal farsi un suo sistema particolare. Don Abbondio, assorbito continuamente ne' pensieri della propria quiete, non si curava di que' vantaggi, per ottenere i quali facesse bisogno d'adoperarsi moko, o d'arrischiarsi un poco. II suo sistema consisteva principal-mente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non poteva scan-sare. Neutralita disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui, dalle contese, allora frequentissime, tra il clero e le podesta laiche, tra il militare e il civile, tra nobili e nobili, fino alle questioni tra due contadini, nate da una parola, e decise coi pugni, o con le coltellate. Se si trovava assolutamente costretto a pren-der parte tra due contendenti, stava col piú forte, sempře pero alia retroguardia, e procurando di far vedere alľaltro ch'egli non gli era volontariamente nemico: 34° pareva che gli dicesse: ma perchě non avete saputo esser voi il piú forte? ch'io mi sarei messo dalla vostra parte. Stando alia larga da' prepotenú, dissimulando moralista e ľistanza romanzesca, ľorizzonte narrativo si rcstringc alia campagna ove «ií nobile dovizioso» puo preťígurare don Rodrigo e la «frazionc di lega», incapace d'una resistenza, po-trebbe rispondere al curato: lc due «forze» che si sono misurate nelle pagine precedenci. 311-314. li nostro Abbondio... di ferro: la similitudine memorabile (la «pcnto!a di coccio» ě giäin Siracide, 13,1; «Pot de terre ne résistepas contrepot defer* scrivevail La Fontaine, ripreso dal Beaumarchais del Barbiere e citato sul n. 18 del «Conciliacore» del novembre 1818) viene introdotta dal crescendo ironico delle tte qualificazioni negative «non nobile, non... ancor me-no». La sequenza storico-moraliscica si salda cosi alia sequenza cbe caratterizza il personaggio e gli confedsce densita etico-psicologica. U parroco ha consapevolezza della propria fragilita pavida prima ancora di maturare l'eta del giudizio sicuro e responsabile. Gia in questo caso la psicologia del personaggio si costituisce in un sistema di relazioni entto un universo sociále che ě un campo di forze. II carattere di don Abbondio é un'inchiesta e una risposta a questo universo sociále. 314.parenti: milanesc pet genicori, famigiiari... come nel Porta. 315-32.6. nobili jini... qualche agio: il ministero del sacerdozio ptesuppone ľattitudine c la vocazione. Don Abbondio segue invece quella morale utilitaristica della convenienza personále e degli impulsi egoistici che lc Osservazioni sullo morale eattolica (1819) rifiutavano come perversa teória d'un Sertecento materialistico e ateo. 331-334. Ilsuo sistema... scansare: la pavida ptudenza del curato, elcvaca a sistema, ě l'esacto opposto di quella funzione di guida pratica e spirituále che i cattolici liberáli assegnavano ai par-roci di campagna anche dopo la Restaurazione. Don Abbondio ě, con coerenza assoluta, uomo «dcl sistema». 334-341. Neutralita disarmata... vostra f arte: il diplomatico destteggiarsi del curato in queste contese di campagna c ironicamente sottolineato coi termini tecnici della diplomazia («neutrali-tä disarmata »), deil'arre militare (« alia retroguardia ») e con l'inserto d'un mimetismo compor- 44- capitolo I le loro soverchierie passeggiere e capricciose, corrispondendo con sommissioni a quelle che venissero da un'intenzione piú seria e piu meditata, costringendo, a forza d'inchini e di rispetto gioviale, anche i piú burberi e sdegnosi, a fargli un sorriso, quando gl'incontrava per la strada, ilpover'uomo era riuscito a passare ' sessanťanni senza gran burrasche. Non ě pero che non avesse anche lui il suo po' di fiele in corpo; e quel con-tinuo esercitar lapazienza, quel dar cosi spesso ragione agli altri, que' tanti boc-coni amari inghiottiti in silenzio, glielo avevano esacerbato a segno che, se non avesse, di tanto in tanto, potuto dargli un po' di sfogo, la sua salute n'avrebbe certamente sofferto. Ma siccome v 'eran poi finalmente al mondo, e vicino a lui, persone ch'egli conosceva ben bene per incapaci di far male, cosi poteva con quelle sfogare qualche volta il mal umore lungamente represso, e cavarsi anche lui la voglia d'essere un po' fantastico, e di gridare a torto. Era poi un rigido censore degli uomini che non si regolavan come lui, quando pero la censura potesse esercitarsi senza alcuno, anche lontano, pericolo. II battuto era almeno almeno un imprudente; 1'ammazzato era sempre stato un uomo torbido. A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente, rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche torto; cosa non difficile, perchě la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio cosi netto, che ogni parte abbia soltanto dell'una o dell'altro. Sopra tutto poi, declamava contro que' suoi confratelli che, a loro rischio, prendevan le parti d'un debole oppresso, contro un soverchiatore potente. Questo chiamava un comprarsi gl'impicci a contanti, un voler raddirizzar le gambe ai cani; diceva anche severamente, ch'era un mi-schiarsi nelle cose profane, a danno della dignita del sacro ministero. E contro questi predicava, sempre pero a quattr'occhi, o in un piccolissimo crocchio, con tanto piú di veemenza, quanto piú essi eran conosciuti per alieni dal risentirsi, in tamentale («...ma perchě... ilpiii forte ?»). Viene allamemoria il Meneghin «firon» del Maggi: «Diran, c'ho bíupagura. / Eben! mastapagura/PerchčcossaelIarae? / Le fac dalla nátura / Per fan fusgr dal mae. / S'andě per ona stráe, / E vedi ona bovascia, no sterzé / Par no dagh dent ďi pé?» (JIManco male, III, 14, w. 957-964). 343-346. costringendo... senzagran burrasche: il «sistema» di don Abbondío okre alla dis-simulazione dei soprusi contempla anche una sua diplomazia attiva fatta ďinchini e di gioviale deferenza; ma la «burrasca» - la parola é straordinariamente impottantc - beffandosí ďogni sístema ě inesorabilmentc arrivata. 352-354. con quetle sfogare... gridare a torto: per il curato faře il «fantastico» equivaleva ad esen itare piccoli soprusi verbali blaterando a torto. Ela reazionc tipka, quasi una pratica igienica, di ch' deve sempře reprimere i propri sentimenti. 3!4"365- Erapoi un rigido censore... sacro ministero: il «sistema» del curato nclla sua di-mensio ~ie ideologica complessiva assume t caratteri delLipocrisia censoria e della falsa dignita, diventan/o la negazione dello spirito sacerdotale evangelicamente ínteso. Si noti come il pensiero di don Abbondio contro quei přeci che difendono i deboli sia reso col solico mimetismo monolo-gante: «...comprarsi gli impicci a contanti (il mů.apronti), un voler raddrizzar le gambe aicani»: e laseconda espressione idiomaticaha il suo equivalente meneghino nel «se intrigass de drizzá i gamb ai can» (C. Porta, Meneghin Tandceuggia). 45 I 34S 360 365 I PROMESSI SPOSI }8o cosa che Ii toccasse personalmente. Aveva poi una sua sentenza prediletta, con la quale sigillava sempre i discorsi su queste matérie: che a un galantuomo, il quale badi a sé, e stia ne' suoi panni, non accadon mai brutti incontri. Pensino ora i miei venticinque lettori ehe impressíone dovesse fare sull'a-nimo del poveretto, quello ehe s'é raccontato. Lo spavento di que' visacci e di quelle parolacce, la minaccia d'un signore noto per non minacciare invano, un sistema di quieto vivere, ch'era costato tant'anni di studio e di pazienza, scon-certato in un punto, e un passo dal quale non si poteva veder come uscirne: tutti questi pensieri ronzavano tumultuariamente nel capo basso di don Abbondio. - Se Renzo si potesse mandare in pace con un bei no, via; ma vorra delle ragioni; e cosa ho da rispondergli, per amor del cielo? E, e, e, anche costui é una testa: un agnello se nessun lo tocca, ma se uno vuol contraddirgli... ih! E poi, e poi, perduto dietro a quella Lucia, innamorato come... Ragazzacci, che, per non saper che fare, s'innamorano, voglion maritarsi, e nonpensano ad altro; non si fanno carico de' travagli in che mettono un povero galantuomo. Oh povero me! vedete se quelle due figuracce dovevan proprio piantarsi sulla mia stráda, e prenderla con me! Che e'entro io? Son io che voglio maritarmi? Perch é non son andati piuttosto 385 a parlare... Oh vedete un poco: gran destino é il mio, che le cose a proposito 368-370. sentenza prediletta... brutti incontri: la massima in cui culmina la prassi di vita del cutato; il vademecurn del pusillaniine é cosi smentito dagli eventi nel momento in cui la scrittura riptende la sequenza narrativa della passeggiata intettotta. Anche il pusillanime Giovannin Bon-gee del Porta aveva una sua sentenza analoga: «...quand gh'é di rogn tra quajghedun, / regola ginerala ficchi el Veil...» («...quando ci sono delle quistioni tra qualcuno, io, per regola generale, prendo d largo...»), Oker desgrazzi; e il Marchionn predicava: «Mi che sont omm che tendi ai fatti mee / com'č de giust ch'abben de fa la gent», Lament del Marchionn, in Carlo Porta, Poesie, a cura di D. Isella, Milano, Mondadori, 1975. 371- 372. Pensino ora... raccontato: il lettore manzoniano é chiamato spesso a cooperare alia interpretazione, all'orchestrazione, alia costruzionc stessa del racconto; in una lettera al Fauriel deli' 11 giugno 1817 leggiamo: «cette fastidieuse histoire, done je suis ennuyé moi meme autant que dixlecteurs». In un solo artimo - siosservr - il sistema di don Abbondio é scato scompigliato ma non demolito e la situazione sembra senza sbocchi. 372- 373. Lo spavento di que' visacci e di quelle parolacce: i due sostantivi riproducono nel lin-guaggio - mediato dal narratore - I'ottica affettiva di don Abbondio. Atrxaverso il personaggio stesso il reale si deforma satiricamente; subito dopo nel monologo del prete quest'ottica affettiva e deformante é affidata alia sua voce diretta, alia sua deissi interessata: «Oh povero me!... quelle due figuracce...». 376-380. questi pensieri ronzavano... Se Renzo... E, e, e... innamorato come...; il verbo «ronzavano» dä la sensazione immediata d'un pensiero confuso, fatto di ipotesi improponibüi («Se Renzo...»), diconsiderazioni incertee quasi balbettanti («E,e, c...»),d'un monologare per inte-riezioni di lamentosa insofferenza. 380-384. Ragazzacci... Son iß che voglio maritarmi?: lapauracrasforma J'impaccio del mono-logo in una stizza grottesca, in un confronto umoralc era la vitalita dei giovani che «fanno i loro pasticci» e la paviditá senile del eurato. «Una tale carica di irónia narrativa é stata certamenre aceumulata - osserva ancora C. E. Gadda - dalle íabbra e dal naso goccioloso di un euratore brian-zolo, d'un dialettale... II dialetto ha in piü la vivezza e la urgenza espressiva o la felicita naturale, oltreché ľinteresse pragmatico immediate di chi patla e lo crea». sempře in mentě un momento dopo ľoccasione. Se avessi pensato di loro che andassero a portar la loro imbasciata... Ma, a questo punto, s'aecorse che il pentirsi di non essere stato consigliete e cooperatore delľiniquitä era cosa troppo iniqua; e rivolse tuttala stizza de' suoi pensieri contro quell'altro che veniva cosi a togliergli la sua pace. Non conosceva don Rodrigo che di vista e di fama, ně aveva mai avuto che far con lui, altro che di toccare il petto col mento, e la terra con la punta del suo cappello, quelle poche volte che ľaveva incontrato per la strada. Gli era oecorso di difendere, in piü ďun'occasione, la riputazione di quel signore, contro coloro che, a bassa voce, sospirando, e alzando gli ocehi al cielo, maledicevano qualche suo fatto: aveva detto cento volte ch'era un rispet-tabile cavaliere. Ma, in quel momento, gli diede in cuor suo tutti que1 titoli che non aveva mai udito apphcargli da altri, senza interrompere in fretta con un oibó. Giunto, tra il tumulto di quesri pensieri, aila porta di casa sua, ch'era in fondo del paesello, mise in fretta nella toppa la chiave, che giä teneva in mano; apri, entró, richiuse diligentemente; e, ansioso di trovarsi in una compagnia fidata, chiamó subito: «Perpetua! Perpetua!», awiandosi pure verso il salotto, dove questa do-veva esser certamente ad apparecchiar la tavola per la cena. Era Perpetua, come ognun se n'awede, la serva di don Abbondio: serva affezionata e fedele, che sape-va ubbidire e comandare, secondo ľoccasione, tollerare a tempo il brontolio e le fantasticaggini del padrone, e fargli a tempo tollerar le proprie, che divenivan di giorno in giorno piü frequenti, da che aveva passata l'etä sinodale dei quaranta, rimanendo celibe, per aver rifiutati tutti i partiti che le si erano offerti, come diceva lei, o per non aver mai trovato un cane che la volesse, come dicevan le sue amiche. «Vengo,» rispose, mettendo sul tavolino, al luogo solito, il fiaschetto del vino predilerro di don Abbondio, e si mosse lentamente; ma non aveva an-cor toccata la soglia del salotto, ch'egli v'entrö, con un passo cosi legato, con 386-390. Se avessi pensato... suapace: anche la scarsa sensibilita morale del personaggio non puô oltrepassare il limite della complicitä volontaria. Ma dalla logica egoistica di don Abbondio non sorge tanco indignazione contro il responsabile d'una violenza quanto tisentimento egoisti-co, «stizza», contro chi sconvolgc il suo quicto vivere. 398-400. Giunto... richiuse diligentemente: ě la rappresentazione pantomimica di atti consue-ri, ma frettolosi e diligenti, sintomatici della paura e del tumulto di pensieti che spingono il curato a cercare il conforto di Perpetua. Un'analoga successione affrdata ai verbi d'azione che inscenano la pantomima troviamo - come segnala Dante Isella - al tientro del timido Giovannin Bongee: «Pian pian dervi el porteil, pian pian voo sů / Di scal, che no s'aecorgen i vesin, / Dervi el me bra\ o lus'c bei bei anch lu, / Rugatti el fogoraa col zoffreghin, / Pizzi el lumm: Barborina ove sei tu?» («Piano piano apro ú pottoncino, piano piano vado su dalle Scale, che non si aecorgano i vicini apro il mio bravo uscio anch'esso adagio adagio, frugacchio con lo zolfancllo nel focolare, acceno n il lumc: - Barbcrina, ove sei tu?»). 402 408, Era Perpetua... sue amiche: Perpetua, la serva del curato che secondo le disposizioni dei sirtodi diocesani aveva superato i quarant'anni ed era rimasta nubile, porta maliziosamente il nome d'una santa «alta protettrice delle donne maritate». La coppia serva padrone é legáta da un rapporro di interdipendenza tantc che Perpetua «sapeva ubbidire e comandare, secondo I'occasione». 405 46 47 1111111111 in nu ni iimi Milium 757^92417224321^163^ I PROMESSI SPOSI CAPITOLO I uno sguardo čosi adombrato, con un viso čosi stravolto, che non ci sarebbero nemmen bisognati gli occhi esperti di Perpetua, per iscoprire a prima vista che gli era accaduto qualche cosa di straordinario dawero. 415 «Misericordia! cos'ha, signorpadrone?» «Niente, niente,» rispose don Abbondio, lasciandosi andar tutto ansante sul suo seggiolone. «Come, niente ? La vuol dare ad intendete a me ? cosl brutto com'é? Qualche gran caso é awenuto.» 410 «Oh, per amor del cielo! Quando dico niente, o é niente, o é cosa che non posso dire.» «Che non puô dir neppure a me? Chi si prenderä cura della sua salute? Chi le dara un parere ?...» «Ohimé! tacete, e non apparecchiate altro: datemi un bicchiere del mio vi-415 no.» «E lei mi vorra sostenere che non ha niente!» disse Perpetua, empiendo il bicchiere, e tenendolo poi in mano, come se non volesse darlo che in premio della confidenza che si faceva tanto aspettare. «Date qui, date qui,» disse don Abbondio, prendendole il bicchiere, con 430 la mano non ben ferma, e votandolo poi in fretta, come se fosse una medicína. «Vuol dunque ch'io sia costretta di domandar qua e lá cosa sia accaduto al mio padrone?» disse Perpetua, ritta dinanzi alui, con le mani arrovesciate sui fianchi, e le gomita appuntate davanti, guardandolo fisso, quasi volesse succhiar-gli dagli occhi il segreto. 435 «Per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate schiamazzi: ne va... ne va la vita!» «La vita!» « La vi ta.» «Lei sa bene che, ogni volta che m'ha detto qualche cosa sinceramente, in 440 confidenza, io non ho mai...» «Brava! come quando...» 411-421. uno sguardo čosi adombrato... cosa che non posso dire: don Abbondio non cerca di nascondere i scgni delia sua profonda alterazione (il «passo legato» risponde al mi], ingambii), ha un bisogno vicale di confidarsi, ma sembra attendere che la sua riluctanza venga travolta dalla curiosita della serva. Giä la sua distinzione «0 é niente o é cosa che non posso dire» tradisce un'implicita disposizione alla resa: sono le «fantasticaggini» del padronc-suceube. 426-428. ilbicchiere... in premio della confidenza: la pantomíma, igesti, comeleparoíe, danno vivace espressivitá a questo dialogo fatto di piecole astuzie ricattatorie, di oppottunistiche blan-dizie, ma condotto da Perpetua con calcolaca determinazione («quasi volesse succhiargli dagli occhi il segreto»). Converrá ricordare che, per un commediografo come il Maggi, i gesti sono «i sentiment del corp». 435-441. neva la vital... Brával come quando...: la cadenza esclamativa, lepause del dialogato, ereano una tensione tragicomica che precede la confessione, il racconto del «mirabile caso». 11 De Sanctis in questa formula epica awertiva ľeco parodistica delľeccidio di Troia. 48 445 455 460 Perpetua s'awíde ďaver toccato un tasto falso; onde, cambiando subíto il tono, «signor padrone,» disse, con voce commossa e da commovere, «io le sono sempře stata affezionata; e, se ora voglio sapere, é per premura, perché vorrei poterla soccorrere, darle un buon parere, sollevarle ľanimo...» II fatto sta che don Abbondio aveva forse tanta voglia di scaricarsi del suo do-Ioroso segreto, quanta ne avesse Perpetua di conoscerlo; onde, dopo aver respinti sempře piii debolmente i nuovi e piú incalzanti assalti di lei, dopo averle fatto piů ďuna volta giurare che non fiaterebbe, finalmente, con molte sospensioni, con molu ohimě, le racconto il miserabile caso. Quando si venne al nome terribile del 45° mandante, bisognó che Perpetua proferisse un nuovo e piu solenne giuramento; e don Abbondio, pronunziato quel nome, si rovesciô sulla spalliera delia seggiola, con un gran sospiro, alzando le mani, in atto insieme di comando e di supplica, e dicendo: «per amor del cielo!» «Dellesue!» esclamó Perpetua. «Ohchebirbone! ohehesoverchiatore! oh che uomo senza timor di Dio!» «Volete tacere > o volete rovinarmi del tutto ?» « Oh! siam qui soli che nessun ci sente. Ma come fara, pověro signor padro-ne?» «Oh vedete,» disse don Abbondio, con voce stizzosa: «vedete che bei pa-reri mi sa dar costei! Viene a domandarmi come farô, come farô; quasi fosse lei nelľimpiccio, e toccasse a me di levarnela.» «Ma! io ľavrei bene il mio povero parere da darle; ma poi...» «Ma poi, sentiamo.» «11 mio parere sarebbe che, siecome tutti dicono che il nostro arcivescovo 4G5 c un sant'uomo, e un uomo di polso, e che non ha paura di nessuno, e, quando puô fate star a dôvere un di questi prepotenti, per sostenere un eurato, ci gon-gola; io direi, e dico che lei gli serivesse una bella lettera, per informarlo come qualmente...» «Volete tacere ? volete tacere ? Son pareri codesti da dare a un pover 'uomo ? 470 Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena, Dio liberi! ľarcivesco-vo me la leverebbe?» 450-453. al nome terribile... piu solenne giuramento... supplica: Ľaggcttivazione iperbolica, la reiterazione dei giuramenri richiesti, ľabbandonarsi alla complessitá espressiva del gesto («insie-mt di comando e di supplica») caratterizzano in chiave tragicomica il personaggio radicato nel proprio tenace istinro di conservazione. 455-457- Oh che birbone!... volete rovinarmi del tutto?: Perpetua sfogailsuo risentimento con indignazione impulsiva che spaventa un don Abbondio capace di fare il «fancastico» solo gri-dande 1 torto. 4ós 4.68. il nostro arcivescovo... cigongola: la sensatezza del patere sarä riconosciuta dallo stesso don Abbondio, ma solo nelcolloquio col cardinale Borromeo, appunto ľ arcivescovo di Miláno (cap. XXVl). Perpetua interpreta sommariamente, con desiderio di rivalsa, Io spirito di giustizia delí arcivescovo, un omm depols nella sua ottica paesana. 471-471. una schioppettata... me la leverebbe?: la perversita dei tempi tende plausibile ľassillo 49 678258829073 I PROMESSI SPOSI «Eh! lc schioppettatc non si danno via come confetti: e guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte ehe abbaiano! E io ho sempře veduto che a chi 475 sa mostrare i denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto; e, appunto perche lei non vuol mai dir la sua ragione, siam ridotti a segno che tutti vengono, con licenza, a...» «Volete tacere?» «Io taccio subito; ma ě pero certo che, quando il mondo s'accorge che uno, 480 sempre, in ogni incontro, ě pronto a calar le...» «Volete tacere ? E tempo ora di dir codeste baggianate ?» «Basta: ci penserä questa notte; ma intanto non cominci a farsi male da sě, a rovinarsi la salute; mangi un boccone.» «Ci pensero io,» rispose, brontolando, don Abbondio: «sicuro; io ci pen-485 serô, io ci ho da pensare.» E s'alzö, continuando: «non voglio prender niente; niente: ho altra voglia: lo so anch'io che tocca a pensarci a me. Ma! la doveva accader per ľappunto a me.» «Mandi ahnen giů quesťaltro gocciolo,» disse Perpetua, mescendo. «Lei sa ehe questo le rimette sempre lo stomaco.» 4?o «Eh! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro.» Cosi dicendo, prese il lume, e, brontolando sempre: «una piecola bagattella! a un gakntuomo par mio! e domani com'andrä?», e altre simili lamentazioni, s'awiô per salire in camera. Giunto su la soglia, si voltô indietro verso Perpetua, mise il dito sulla bocca, disse, con tono lento e solenne: «per amor del cielo!» 495 e disparve. del curate, la cui paviditi ha tratto dalle minacce dei bravi la conclusione piü disperata («conr ona s'ciopettada in del s'cennon » come diecva ň Porta dei Dodes soniti); la paviditä resta sempre c inesorabilmente ľclememo dominante delia sua condotta. 47'3-474- guai se questi cani... abbaiano: č ľespressione idiomatica ras che haja no mord (Chc-rubini). 474-4S a.Eio ho sempre veduto... pronto a calar k.... Perpetua sa ehe un atto di violenza contro un prete avrebbe provocato reazioni tali da impensierirc un don Rodrigo e di fronte alla viltä del padrone sfoga i] malumore aceumulato contro la sua autoritaria vigliacchcria («Volete tacere?»). E lacommedia acida di una convivenza piena di intesc, di tacite complicity, di risentimenti ehe nei momenti eruciali scoppia con le espressioni icastiche e plcbee del mil. lassagió i bragh. Anchc nel Porta del Meneghin Tandceggia (il Meneghino Tanghcro): «...I'ha tanto faa c pregaa / che pari el resgiô ľ ha lassaa giô i colzon» («ha tanto fatto e pregato che il padrone ha poi calato le brache »). 482-483- Basta... mangi un boccone: Perpetua ha una sua diplomazia, una sua stratégia di-scorsiva. Inizialmente toccando un tasto falso aveva fatto - come \m attrice domestica - la voce commossa, ora rendendosi conto che ogni insistenza e inutile esercita ľ autorita del buon senso e sospendc la discussione. 494-495- «per amor del cielo1.» e disparve: lamimica verbale di don Abbondio si e manifestata con insistent! ripctizioni («Volete tacere?») c intercalando l'csclamazione «per amor del cielo!» che sottolinea su diverse tonalitä ora il timore ora la stizza. L'ultima esclamazione suona come una supplica e, con ľuscita di scena del protagonista, chiude la sequenza delia ttagicommedia domestica. Capitolo II Si raeconta che il principe di Condé dorm! profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma, in primo luogo, era molto affaticato; secondariamente aveva giä date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciö che dovesse fare, la mattina. Don Abbondio in vece non sapeva altro ancora se non che l'indomani sarebbe giorno di battaglia; quindi una gran parte della notte fu spesa in con- 5 suke angosciose. Non far caso delTintimazione ribalda, ně delle minacce, e fare il matrimonio, era un partito, che non volle neppur mettere in deliberazione. Confidare a Renzo l'occorrente, e cercar con lui qualche mezzo... Dio liberi! «Non si lasa scappar parola... altrimenti... ehmh> aveva detto uno di que' bravi; e al sentirsi rimbombar queü'ebm! nella mente, don Abbondio, non che pen- 10 sare a trasgredire una tal legge, si pentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua. Fuggire? Dove > E poi! Quant'impicci, e quanti conti da rendere! A ogni partito che rifiutava, il pover'uomo si rivoltava nel letto. Quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men male, fu di guadagnar tempo, menando Renzo per le lunghe. Si rammentö a proposito, che maneavan pochi giorni al tempo proibito 15 per le nozze; - e, se posso tenere a bada, per questi pochi giorni, quel ragazzone, 1-6. il principe di Condé... consulte angosciose: il ventiduenne Luigi Ii di Borbone, figlio di Enrico ii, che al comando dell'esercito francese sconfisse, il 16 maggio 1643, gli Spagnoli nelle Ardenne. Lo aveva celebrato il grande predicatore J. Bossuet (1627-1704), ma il narratore si rifa ad una pagina dei Siede de Louis xiv in cui Voltaire, ecliando appunto sulla commemorazione dei Bossuet, scriveva: «Si osserva che il principe, avendo dato rutti gli ordini la sera, vigilia della battaglia, s'addormento cos'i profondamente che fu necessario svegliarlo per combatterc. Lastessa cosasi raecontadi Alessandro. Ě naturale che un uomo giovane, spossatodallafatica...». L'ironico aecostamento d'un condotticro secentesco con il consultarsi angoscioso di don Abbondio ha un duplice effetto: da un lato la dimensione illustre dei Condé schiaccia comkamentc quella angu-sta dei ptete, questi dall'altro contagia con la sua meschinitä il modello eroico dei paragone e lo rende grottesco. La ripresa dei tono epico-comico accennato dalla passeggiata - come avvertiva coi perspicacia L. Russo - «qui ha il suo pieno sviluppo» e sottolinea l'effetto di contrasto con la ra'lentata chiusa pantomimica dei capitolo precedente. 7. deliberazione: come «consulte» ě termine ironicamentc preso dal linguaggio alto-diplo-matico per quello che dovtebbe essere «un solenne dibattíto dinanzi al tribunále della propria coscienTa». 12. i\ggire? Dove?Epoi!: l'eroe della paura riesce a coneepire come sua unica ed estrema azione ipotetica quella della fuga; ma la sua ě fräse da teatro drammatico, esaurisce col punto esciamativo il dinamismo delle interrogative. 15-1S. tempo proibito per le nozze: quello tra la prima domenica dell'Avvento - che nel 1618 cadeva il 11 novembre - e l'Epifania. Quindi cinque giorni dopo la passeggiata dcl 7 novembre, 50 51 ^999985