Il PRJMO NoVECENTO: tra MODERNITA, AVANGUARDIE e RINNOVAMENTO Italo Svevo La coscienza di Zeno contenuti, di strutture, e soprat-tuno di "típi psicologici", per il quale pertanto la lingua non ě elemento centrále del těsto. Si noti in proposito la massic-cia presenza di frasi nominali o ellittiche, usate specialmente nella descrizione dei personag-gi, la cui funzione ě quella di raccordare ľapparente oggetti-vitá dei tram somatici e la loro interpretazíone a opera del narratore (cfr. per esempio la presentazione di Angíolina in Senilita; «Una bionda dagli oc-chi azzurri grandi [..,] il volto ill\irninato della vita, un color giallo di ambra incarnato da una bella salute»). In tal modo il paesaggio e i personaggi per-dono le loro caratteristiche reali, in virtú della riflessione che il narratore attua su di essi; e attraverso 1'estremo soggetti-vismo della "coscienza", che interpreta e giudica ogni cosa, tendono a trasformarsi in sim-bolí che rivelano la difficile e contraddittoria interioritá del narratore. La sottile ironia delľautore attraverso le scelte linguistiche Simile ě anche la funzione del discorso indiretto litero, am-piamente presente nei roman-zi, dove si alterna armonica-mente con il discorso diretto e ľindiretto. Efficace ínoltre la ptesenza costante di frasi esclamative e interrogative (per esempio nelle prime pagine della Coscienza: «Vedere la mia infan-zia? [...] Vedo un bambino in fasce, ma perché dovrei essere io quello? [...] Pověro bambino! Altro che ricordare la mia rnfanzia!») il cui compito non ě tanto quello di riprodurre i sentimenti dei parlanti, ma di rappresentare la coscienza esterna alia narrazione, 1'inter-vento delľautore che giudica le affermazioni del protagonista. Ne scaturisce quella sottile ironia che ě tipica di Svevo, e che gli permette di forare la nitida superficie della "coscienza" dei suoi personaggi: in questi interrogativi ě la "coscienza di Svevo" che inteiroga e giudica, assolve o condanna. «Utensile efficacew (Debene-detti), strumento di analisi acutissima, «lingua neutra, convenzionale, largamente co-municativa» (Voza), la lingua di Svevo deve essere dunque vafutata non paragonandola a un astratto metro di bella scrit- tura, come fa per esempio De-voto in una pur lucida analisi delle correzioni di Senilitä, ma inquadrandola nel contesto di una "vecchía Trieste" la cui norma linguistica era a fine Ottocento assolutamente di-versa da quella di ogni altra cittá ítalíana. Iniziato nella primavera 1919, «quattro mesi dopo 1'arrivo delle nostre truppe» a Trieste, sotto la spinta di «un attimo di forte e travolgente íspírazione» (come scrive Svevo nel Profile autobiogmfico del 1928), il romanzo ě compíuto nell'estate del 1922 e pubblicato a Bologna presso Cappel-li nel maggio del 1923, a spese dell'autore, come i due přeceděnu. Vi si analizza la «psicopatologia quotidiana* di Zeno Cosi-ni, personaggio enigmatico e ambivalente, colto non giš sul piano della realtá dei fatti, ma del ricordo che ricom-pone una realtá del tutto personále; la sua ambiguitá ě quindi difficilmente superabile per il lettore, perché la "coscienza" del protagonista, operando spostamenti," ri-mozioni, mistificazioni e lapím, tende sempře piú ad al-lontanare il momento del rendiconto oggettivo, a masche-rare i veri moventi delle azioni. L'anarchico Zeno sceglie infine la liberta, evitando di sce-gliere: tra fumo e disintossicazione, tra salute e malattia, tra moglie e amante, tra sogno e realtá egli dichiara di non voler compiere in nessun caso una scelta definitiva e radi-cale. Un diario immaginario La vicenda é costruita sotto forma di diario immaginario di questo che ě «evidentemente un fratello di Emilio e Alfonso» (come scrive Svevo), da cui si distingue «per la sua etá piú avanzata e anche perché é ricco. Potrebbe fare a meno della lotta per la vita e stare in riposo a contem-plare la lotta degli altri. Ma si sente infelicissimo di non poter parteciparvi. E forse ancora piú abulico degli altri due. Passa continuamente dai propositi piú eroici alle di-sfatte piú sorprendenti. Sposa ed anche ama quando non vorrebbe. Passa la sua vita a fumare 1'ultima sigaretta. Non lavora quando dovrebbe e lavora quando farebbe meglio ad astenersene. Adora il padre e gli fa la vita e la mořte infelicissima. Rasenta una caricatura, questa rap-presentazione; e infatd il Crémieux lo metteva accanto a Chariot, perché veramente Zeno inciampa nelle cose. [...] Ma Zeno si crede un malato eccezionale di una malattia a percorso lungo. E il romanzo ě la storia della sua vita e delle sue cure». La narrazione ě distribuita in grandi sezioni tematiche che scompigliano la cronologia reále, ricostruendo un "tempo misto" che ě appunto quello della coscienza che rilegge gli awenimenti. Con la tecnica delle analisi freudiane, infatti, il narratore scopre légami insospettati fra le situazioni e gli oggetti piú disparati e apparentemente irrelati: tali "libere associazioni" rivelano dunque ľinconscío del protagonista, le sue nevrosi, i suoi pensieri reconditi, la sua ambiguitá e falsitá. Ma a sua volta il narratore tende a proporre al lettore una figura di psicoanalista assolutamente inatten-dibile, ricambiando le accuse di falsitá a lui rivolte dal dot-tor S. Da questo gioco di accuse merociate scaturisce infine la scarsa credibilitá del narratore e ľimpossibihtá per il lettore di accedere alia veritá. La struttura del romanzo II romanzo ě scandito in otto capitoli di lunghezza estre-mamente varia, di cui forniamo sinteticamente gli argo-menti: 1. Prefazione. Lo psicoanalista dottor S., che ha avuto in eura Zeno finché il paziente non ha deciso di troncare la terapia, spiega di aver spinto il suo paziente a serivere la propria autobiografia e ne rivela ľinattendíbilitá. Confessa poi di pubblicarla per vendetta. 2. Preambolo. Zeno narra gli inizi della sua auto-analisi. 3. II fumo. I continui tentativi di Zeno di cessare di fumare, fino al volontario ricovero in una casa di eura da cui riesce a fuggire, 4. La morte di mio padre. Resoconto degli ultimi incontri tra Zeno e il padre, che lo giudica inetto e abulico; dram-matica sequenza della morte (appena prima di morire il padre colpisce il figlio con uno schiaffo). Lo schiaffo pa-terno acuisce il senso di colpa di Zeno e stimola alio stesso tempo il bisogno di difendersi e di vendicarsi (bisogni che. come ha individuato Mario Lavagetto, determinano il rac-conto di Zeno nei capitoli seguenti). 5. La storia del mio matrimonio. II maldestro e comico cor-teggiamento di Zeno alle quattro sorelle Malfenti, figlie di 53 B77+A iL PULMO NOVECENTO: TRA MODERNITA, AVANCUAKDIE Ľ R1NNOVAMENTO un ricco e autorevole uomo d'affari. Zeno passa daU'una all'altra tra dinieghi ed equivoci. Innamoratosi della piü bella, Ada (che pero si fidanza con il brillante e attraente Guido), sposerä la piü brutta, Augusta, Tunica che non lo rifiuti. 6. La moglie e l'amante. Zeno descrive la vita matrimoniale (abbastanza riuscita nonostante le premesse) e la telazione extraconiugale con la giovane e remissiva Carla, di condi-zioni sociali molto modeste. 7. Storm di un'associazione commerciale. II fatuo e superficiale Guido awia un'impresa commerciale e si associa Zeno. Ma il dilettantismo di Guido porta l'impresa al fal-hmento. Guido, disperato, simula un finto suicidio per impietosire la moglie Ada e farsi concedere un grosso prestito, ma l'esito ě involontariamente drammatico: sba-gliate le dosi del veleno, Guido muore dawero. Zeno, con abili operazioni di borsa, argina la perdita economi-ca e ottiene il commosso ringraziamento di Ada e della famiglia. 8. Psico-analisi. L'ultitno capitolo in forma di diario (dal 3 maggio 1915 al 24 marzo 1916) testimonia - a detta di Zeno - la sua guarigione, dovuta all'awento della guerra. O meglio, alla consapevolezza che «qualunque sforzo di dárci la salute ě vano. Questa non puö appartenere che alla bestia», Solo «una catastrofe inaudita» puö quindi guarire l'uomo, facendolo scomparire dalla faccia della terra, che «ritornata alla forma di nebulosa errerä nei cieli priva di parassiti e di malattie». La narrazione in prima persona La novitä tecnica del terzo romanzo di Svevo consiste an-zitutto nell'uso della narrazione in prima persona, o meglio (espediente singulare e nuovissimo) del resoconto personale scritto a fini psicoterapeutici, che automatica-mente esclude sia il giudizio del narratore sul personag-gio, sia la possibilitä per il lettore di aver accesso alla ve-ritä dei fatti narrati. Questi sono infam totalmente filtrati dalla "coscienza di Zeno", che rilegge a distanza di tempo il proprio passato, scegliendo a suo piacere che cosa dire e che cosa tacere, inteipretando e travisando gesti, atteg-giamenti e parole di un tempo. Solo attraverso il montag-gio dei materiali ě quindi possibile aprire uno spiraglio sulla veritä, o quanto meno sulle contraddizioni del per-sonaggio, sulle «tante veritä e bugie ch'egli ha qui accumulate*, come indica il dottor S. nella Prefazione. L'autoi-ronia ehe scaturisce da questa impostazione del romanzo ě evidente soprattutto, sul piano piü strettamente stilisti-co, nelle numerose frasi parentetiche, esclamative e interrogative attraverso cui il narratore-protagonista tenta un giudizio su di sé, sempře rinviato e mimetizzato nella narrazione stessa. Uno degli aspetti piü rilevanti e innovativi del romanzo ě il trattamento del tempo. Su questo problema si sono mi- 54 surati quasi tutti i critici di Svevo, a partire da una vec-chia ipotesi che lo scrittore, in quanto autore nella Coscienza di un'analisi memoriále, fosse collegabile con Proust (per l'opera dello scrittore francese cfr. p. 307). Giä Debenedetti aveva negato la parentela con Proust, il cui ciclo romanzesco ě orientato al recupero miracoloso del Tempo grazie aü'atto della letteratura e della scrittura. Debenedetti ha opposto al «Tempo ritrovato» di Proust una concezione temporale ben diversa in Svevo, basata su un «inesorabile, perpendicolare presente», che non con-sente possibilitä di recuperi effettivi per il passato. Lo sciittote francese sperimentale Alain Robbe-Grillet ha parlato a sua volta per Svevo di «tempo malato», ambi-guo e distorto. Mario Lavagetto ha sottolineato che la ir-regolare successione dei fatti nella Coscienza ě dettata dalla tecnica psicoanalitica, segue perciö un ordine provocate dalle hbere associazioni della fantasia e della memoria. Come Génette ha fatto per Proust, Lavagetto ha prospet-tato una cronologia possibile per gli eventi narrati nella Coscienza, sulla base di rifetimenti ricavabili dal testo e servendosi di date giä proposte da Tullio Kezich. Con-frontando il tempo delle vicende narrate con la progres-sione con cui Zeno le espone, ne risulta un tempo anoma- 10 e capriccioso, modellato secondo la logica misteriosa dell'inconscio. Nel romanzo il tempo appare articolato su un doppio binario: diversa ě infatti la tipologia dei tre ca-pitoli iniziali rispetto a quelli seguenti, e ancora diverso ě 11 ruolo del capitolo finale. I primi due capitoli (e rultimo) potrebbero essere conside-rati alia stregua di una "cornice" del romanzo (nel senso tecnico che il termine assume quando si riferisce per esempio al Decameron): qui il tempo ě quello del nartato-re, che rievoca awenimenti passati, seguendo le "istruzio-ni" dello psicoanalista. La data in cui do awiene non ě de-lineata, ma si potrebbe far risalire ai primi mesi di guerra (estate-autunno 1914), mentre la prima data certa del romanzo, il 15 maggio 1915, ě iudicata nel capitolo finale, organizzato sotto forma di diario. II corpo centrale ě eostituito dai capitoli che vanno dal III al VLT, che sono invece monotematici, e nei quali il tempo ě quello del ricordo, che scaturisce in maniera disorganica e fluttuante dalle libere associazioni del protagonista. Cosi i riferitnenti alle prime sigarette (nel capitolo dedicato al fumo) rinvierebbero ai primi anni settanta, la morte del padte (nel quarto capitolo) al 1890, la storia del matrimo-nio e dei tradimenti (intrecciata alle vicende dell'associa-zione commerciale) au'ukitno decennio del secolo, la morte di Guido cadrebbe nel 1895, mentre la lotta contro il fumo riprende il soprawento sugli altri awenimenti a par-tire dai 1896, in occasione del terzo compleanno del figlio di Zeno, e prosegue fino al 1916, data finale del tempo romanzesco. Non sarä casuale il fatto che l'ottavo capitolo, intitolato Psico-analisi, recuperi apparentemente l'andamento diari-stico di un testo tradizionale, proprio mentre si aceinge a tirare le somme con la grande novitä della eura pskoanali- tica, che ě essenzialmente tesa a scompaginare e ristruttu-rare la cronologia reale a vantaggio di una atemporalitä as-soluta. Frequentissimi sono peraltro in tutto il romanzo gli sfasa-menti tra l'ordine lineare dei ricordi recuperati alia memoria e l'ordine che il narratore utilizza: un tale sapiente uti-Uzzo dell'intreccio ě funzionale alia sorpresa che Svevo vuol suscitare nel lettore di fronte alle "rivelazioni" che via via il romanzo propone. Spesso anzi proprio episodi ehe sembrano minimi o irrilevanti (come il breve cenno all'im-magine della locomotiva nel secondo capitolo) risultano nel prosieguo della narrazione di fundamentale importan-za narratologica. I temi Romanzo a tesi, La coscienza diZeno h strutturata nei capitoli centrali in vaste zone tematiche che rinviano ad argo-menti particolarmente can alio stesso autore. Cosi il terzo capitolo ě dedicato al fumo, cui fa costante riferimento YEpislolario sveviano (soprattutto le lettere alia moglie) e ancor prima lo straordinatio testo che ě il Diario per la fi-danzata; il quarto capitolo, dedicato interamente alle ulti-me ore di vita e alia morte del padre di Zeno, rinvia alle ttaumatiche esperienze della morte dei genitori, come ap-paiono ancora daü'Epistokrio, e come giä Svevo aveva avuto modo di rivisitare nei primi due romanzi; i capitoli quinto e sesto vanno visti in parallelo, nell'ironico e mal-destro andirivieni che il protagonista attua fra Augusta, la donna-madre, rifugio sicuro e ptivo di rischi, e le altre donne, amtnirate e sognate come attraente evasione dall'e-sistenza borghese dei benpensanti. II settimo capitolo, infi-ne, ripropone uno dei temi pin amati da Svevo: quello del rapporto tra il contemplatore e il lottatore, incarnati in questo romanzo rispettivamente da Zeno e da Guido; ma con la consueta irónia Svevo capovolge ancora una volta gli schemi acquisiti, facendo soccombere il lottatore e trionfare il sognatote, cosieché risultano radicalmente sconvolte e scardinate le teorie schopenhaueriane (come era successo peraltro anche alle teorie darvviniane dell'ere-ditarietä nella commedia Le teorie del conte Alberto, dove veniva irrisa la troppo facile schematická del riferimento culturale). II capitolo finale della Coscienza ha suscitato niolteplici in-terpretazioni, non sempre realistiche e accettabili: la «cata-strofe inaudita» che conclude il romanzo non ě certo una profezia dell'awento di Hitler o della guerra atomica (anche se profetici appaiono i riferimenti alia inarrestabile crescita demografica, all'incombere dell'inquinamento e al condizionamento crescente della tecnologia), ma piuttosto una amara tiflessione sul tema particolarmente cato a Svevo della malattia. Malata ě ľumanitä perché non puô esi-mersi dalla riflessione, mentre la «salute» ě consentita esclusivamente alla bestia, «che conosce un solo progres-so, quello del proprio organismo», owero che puô limitar-si a seguire ľistinto; ma la «malattia» ě owiamente apprez-zata da Svevo, che nell'«occhialuto uomo» identifica il mi-to schopenhaueriano del superuomo votato al nichilismo 55 iL P (UMO Novi-CENTOi TRA MODERN l'ĽÄ, AVANGUARDIE E KIN NO V A ME NTO Italo Svľvo Scheda La coscienza di Zeno nel quadro europeo: ironia, ambiguita, modernita La coscienza di Zeno ě stato uno dei romanzi piú studiati e analizzati della nostra lettera-tura, anche perché la sua ambiguita e la sua ironia (due ca-ratteri-chiave del modo di rac-contare di Svevo, in particola-re in questo těsto) hanno dato vita a letture e interpretazioni polivalenti e diverse. Molte problematiche cultuiali sono coinvolte nel romanzo: la psicoanalisi innanzitutto, interna alla struttura stessa dell'o-pera (e il rapporto contraddit-torio che Svevo autore e Zeno protagonista hanno con essa); la riflessione sul tempo e sul soggetto; il confronto con gli esemplari di romanzo moderno fuori d'Italia, e la definizio-ne, correlata a questi aspetti, del genere di romanzo che La cosáenza rappresenta. La cosáenza di Zeno ě senz'al-tro un romanzo di analisi di un protagonista che si confessa, ma ě qualcosa di piú, poiché tematizza la "coscienza", cioě la assume a terna centrále, e la mette a titolo, ma lo fa con un costante atteggiamento ironico e ambiguo. Ricordiamo alcune parole molto acute di Eugenio Montale: «Svevo resta felice-mente un narratore di tempra goldoniana, un poeta tragico-mico». La grande chiarezza di Svevo nasconde, grazie alľironia che di continuo la innerva, una so-stanziale problematická, una continua e maliziosa destabi- lizzazione delle certezze, e per-cio crea prospettive plurime e "aperte", che rendono mobile, affascinante, molteplice la nar-razione e ne garantiscono la modernita. Suona molto op-portuna al proposito un'altra osservazione di Montale: con La coscienza di Zeno siamo di fronte a uno «strano libro, sta-gnante eppure conrinuamente in moto». Sulla fondamentale ironia di Svevo (proiettata su Zeno), si ricordi nel romanzo la tenace accusa mossa a Zeno dal padre (nel capitolo La mořte di mio padre), che gli rimproverava la «tendenza a ridere delle cose piú serie». Zeno reagisce cosi, accettando ma anche ribaltan-do 1'accusa: «io credo che egli avesse il difetto di considerare come série troppe cose di questo mondo». Zeno crede dun-que nella dimensione del gjoco e dello scherzo (cioě in ironia e ambiguita), e infatti al padre che lo giudica «pazzo» per le sue irresolutezze negli studi universitari (il passaggio dalla facoltá di legge a chimica e il ritorno a legge), risponde pre-sentandosi, dopo essersi sotto-posto a esami clinici, niente-meno che con un certificato medico di pazzía muníto di bolli. Satira questa anche sociále (aspetto su cui tornere-mo). L'ironia di Svevo ě stata da al-cuni accomunata alla poetica delT( be avuto alcun motivo di tenrare o srmulare un suicidio. 71 iL PIUMO NOVECENTO: TRA MODERNITA, AVANGUARDIE E tlNNOVAMENTO Augusta invece aveva taciuto. Era stata tanto commossa dalla disperazione di Ada che avreb-be temuto di oltraggiarla mettendosi a discutere. Del resto essa era fiduciosa che ora le spiega-zioni della signora Malfenti avrebbero convinto Ada delTingiustizia ch'essa mi usava. Devo di-re che avevo anch'io tale fiducia ed anzi confessare che da quel momento gustai la certezza di assistere alla sorpresa di Ada e alle sue manifestazioni di gratitudine. Giä da lei, causa Basedow,20 tutto era eccessivo. Ritornai all'ufficio ove appresi che c'era alla Borsa di nuovo un lieve accenno all'ascesa, lievis-simo, ma giä tale che si poteva sperare di ritrovare il giorno dopo, all'apertura, i corsi della mattina. Dopo cena dovetti andar da Ada da solo perche Augusta fu impedita di accompagnarmi per una Lndisposizione della bambina. Fui ricevuto dalla signora Malfenti che mi disse che doveva attendere a qualche lavoro in cucina e che perciö avrebbe dovuto lasciarmi solo con Ada. Poi mi confessö che Ada l'aveva pregata di lasciarla sola con me perche voleva dirmi qualche cosa che non doveva esser sentito da altri. Prima di lasciarmi in quel salottino ove giä due volte m'ero trovato con Ada, la signora Malfenti mi disse sorridendo: - Sai, non e ancora disposta a perdonarti la tua assenza dal funerale di Guido, ma... quasi! In quel camerino mi batteva sempre il cuore. Questa volta non per il timore di vedermi amato da chi non amavo. Da pochi istanti e solo per le parole della signora Malfenti, avevo ricono-sciuto di aver commessa una grave mancanza verso la memoria del povero Guido. La stessa Ada, ora che sapeva che a scusare tale mancanza le offrivo un patrimonio, non sapeva perdo-narmi subito. M'ero seduto e guardavo i ritratti dei genitori di Guido. II vecchio Cada21 aveva un'aria di soddisfazione che mi pareva dovuta al mio opetato, mentre la madre di Guido, una donna magra vestita di un vestito dalle maniche abbondanti e un cappellino che le stava in equilibrio su una montagna di capelli, aveva l'aria molto severa. Ma giä! Ognuno dinanzi alla macehina fotografica assume un altro aspetto ed io guardai altrove sdegnato con me stesso d'indagare quelle facce. La madre non poteva certo aver previsto ch'io non avrei assistito al-l'interramento del figlio! Ma il modo come Ada mi parlö fu una dolorosa sorpresa. Essa doveva aver studiato a lungo quello ch'essa voleva dirmi e non tenne addirittura conto delle mie spiegazioni, delle mie Proteste e delle mie rettifiche ch'essa non poteva aver previste e cui perciö non era preparata. Corse la sua via come un cavallo spaventato, fino in fondo. Entrö vestita semplicemente di una vestaglia nera, la capigllatura nel grande disordine di capelli sconvolti e fors'anche strappati da una mano che s'accanisce a trovar da far qualche Cosa, quando non puö altrimenti lenire. Giunse fino al tavolino a cui ero seduto e vi si appog-giö con le mani per vedermi meglio. La sua faccina era di nuovo dimagrata e liberata da quel-la strana salute che le cresceva fuori di posto. Non era bella come quando Guido l'aveva con-quistata, ma nessuno guardandola avrebbe ricordata la malattia. Non c'era! C'era invece un dolore tanto grande che la rilevava tutta. Io lo compresi tanto bene quell'enoime dolore, che non seppi parlare. Finche la guardai pensai: «quali parole potrei dirle che potrebbero equi-valere a prenderla fratemamente fra le mie braccia per confortarla e indurla a piangere e sfo-garsi?» Poi, quando mi sentii aggredito, volli reagire, ma troppo debolmente ed essa non mi send. Essa disse, disse, disse ed io non so ripetere tutte le sue parole. Se non sbaglio cominciö col ringraziarmi seriamente, ma senza calore di aver fatto tanto per lei e per i bambini. Poi subito rimproverö: - Cosi hai fatto in modo ch'egli e morto proprio per una cosa che non ne valeva la pena! Poi abbassö la voce come se avesse voluto tener segreto quello che mi diceva e nella sua voce vi fu maggior calore, un calore che risultava dal suo affetto per Guido e (o mi parve?) anche per me: - Ed io ti scuso per non esser venuto al suo funerale. Tu non potevi farlo ed io ti scuso. Anche lui ti scuserebbe se fosse ancora vivo. Che ci avresti fatto tu al suo funerale? Tu che non lo amavi! Buono come sei, avresti potuto piangere per me, per le mie lagrime, ma non per lui che tu... odiavi! Povero Zeno! Fratello mio! Era enorme che mi si potesse dire una cosa simile alterando in tale modo la veritä. Io prote-stai, ma essa non mi senti. Credo di aver urlato o almeno ne sentii lo sforzo nella strozza.22 - Ma e un errore, una menzogna, una calunnia. Come fai a credere una cosa simile? 72 20 Basedow si tratta della malattia che aveva colpito Ada, il morbo di Basedow, causato da una disfunzione della tiroide eile provoca anche uno stato di eccita-zione e irntabilitä {si noti l'ironia dell'espressione tele-grafica cauia Basedow, anziehe "a causa del morbo di Basedow"). 21 [I vecchio Cada so-prannome del padre d Guido. 22 strozza "qola". 23soverchio "eccessivo". Essa continue sempre a bassa voce. - Ma neppure io seppi amarlo. Non lo tradii neppure col pensiero, ma sentivo in modo che non ebbi la forza di proteggerlo, Guardavo ai tuoi rapporti con tua moglie e Ii rnvidiavo. Mi pa-revano migliori di quellt ch'egli mi offriva. Ti sono grata di non essere intervenuto al funerale perché altrimenti non avrei neppure oggi compreso nulla. Cosi invece vedo e intendo tutto. Anche che io non l'amai: altrimenti come avrei potuto odiare persino il suo violino, l'espressio-ne piü completa del suo grande animo? Fu allora che io poggiai la mia testa sul braccio e nascosi la mia faccia. Le accuse ch'essa mi ri-volgeva erano tanto ingiuste che non si potevano discutere ed anche la loro irragionevolezza era tanto mitigata dal suo tono affettuoso che la mia reazione non poteva essere aspra come avrebbe dovuto per riuscire vittoriosa. D'altronde giä Augusta m'aveva dato l'esempio di un silenzio riguardoso per non oltraggiare ed esasperare tanto dolore. Quando perö i miei occhi si chiuse-ro, nell'oscuritä vidi che le sue parole avevano creato un mondo nuovo come tutte le parole i 50 non vere. Mi parve d'intendere anch'io di aver sempre odiato Guido e di essergli stato accanto, assiduo, in attesa di poter colpirlo. Essa poi aveva messo Guido insieme al suo violino. Se non avessi saputo ch'essa brancolava nel suo dolore e nel suo rimorso, avrei potuto credere che quel violino fosse stato sfoderato come parte di Guido per convincere dell'accusa di odio l'animo mio. 5 j Poi nell'oscuritä rividi il cadavere di Guido e nella sua faccia sempre stampato lo smpore di essere lä, privato della vita. Spaventato rizzai la testa. Era preferibile affrontare l'accusa di Ada che io sapevo ingiusta che guardare nell'oscuritä. Ma essa parlava sempre di me e di Guido: - E tu, povero Zeno, senza saperlo, continuavi a vivergli accanto odiandolo. Gli facevi del bene 360 per mio amore. Non si poteva! Doveva finire cosi! Anch'io credetti una volta di poter approfit- tare dell'amore ch'io sapevo tu mi serbavi per aumentare d'intorno a lui la protezione che poteva essergli utile. Non poteva essere protetto che da chi lo amava e, fra noi, nessuno l'amö. - Che cosa avrei potuto fare di piú per Iii? - domandai io piangendo a calde lacrime per far sentire a lei e a me stesso la mia innocenza. Le lacrime sostituiscono talvolta un grido. Io non 6} volevo gridare ed ero persino dubbioso se dovessi parlare. Ma dovevo soverchiare le sue asser-zioni e piansi. - Salvarlo, caro fratello! Io o tu, noi si avrebbe dovuto salvarlo. Io invece gli stetti accanto e non seppi farlo per mancanza di vero affetto e tu restasti lontano, assente, sempre assente finche egh non fu sepolto. Poi apparisti sicuro armato di tutto il tuo affetto, Ma, prima, di lui non 570 ti curasti. Eppure fu con te fino alia sera. E tu avresti potuto immaginare, se di lui ti fossi preoc-cupato, che qualche cosa di grave stava per succedere. Le lagrime m'impedivano di parlare, ma borbottai qualche cosa che doveva stabilire il fatto che la notte innanzi egli l'aveva passata a divertirsi in palude a caccia, per cut nessuno a questo mondo avrebbe potuto prevedere quale uso egli avrebbe fatto della notte seguente. 75 - Egli abbisognava della caccia, egli ne abbisognava! - mi rampognö essa ad alta voce. Eppoi, come se lo sforzo di quel grido fosse stato soverchio,23 essa tutt'ad un tratto crollö e s'abbatte priva di sensi sul pavimento. Mi ricordo che per un istante esitai di chiamare la signora Malfenti. Mi pareva che quello sveni-mento rivelasse qualche cosa di quanto aveva detto. JiO Accorsero la signora Malfenti e Alberta. La signora Malfenti sostenendo Ada mi domandö: - Ha parlato con te di quelle benedette operazioni dt Borsa? - Poi: - E il secondo svenimento quest'oggi! Mi prego di allontanarmi per un istante ed io andai sul corridoio ove attesi per sapere se dovevo rientrare o andarmene. Mi preparavo ad ulteriori spiegazioni con Ada. Essa dimentieava che 3*5 se si fosse proceduto come io l'avevo proposto, la disgrazia sicuramente sarebbe stata evitata. Bastava dirle questo per convincerla del torto ch'essa mi faceva. Poco dopo, la signora Malfenti mi raggiunse e mi disse che Ada era rinvenuta e che voleva salu-tarmi. Riposava sul divano su cui fino a poco prima ero stato seduto io. Vedendomi, si mise a piangere e furono le prime lagrime ch'io le vidi spargere. Mi porse la manina madida di sudore: - Addio, caro Zeno! Te ne prego, ricorda! Ricorda sempre! Non dimenticarlo! Intervenne la signora Malfenti a domandare quello che avessi da ricordare ed io le dissi che Ada desiderava che subito fosse liquidata tutta la posizione di Guido alla Borsa. Arrossii del- 73 Ulli iL PRJMO NOVECENTO: TRA MODERNITA, AVANGUARDIP. E RINNOVAMENTO la mia bugia e temetti anche una smentita da parte di Ada. Invece di smentirmi essa si mise ad urlare: - Si! Si! Tutto dev'essere liquidato! Di queE'orribile Borsa non voglio piú sentirne parlare! Era di nuovo piú pallida e la signora Malfenti, per quietarla, 1'assicuró che subito sarebbe sta-to fatto com'essa desiderava. Poi la signora Malfenti m'accompagnö alla porta e mi pregö di non precipitare le cose: facessi il meglio che credessi nell'interesse di Guido. Ma io risposi che non mi fidavo piú. II rischio era enorme e non potevo piú osare di trattare a quel modo gl'interessi altrui. Non credevo piú nel giuoco di Borsa o almeno mi mancava la fiducia che il mio «succhiellare» potesse regolar-ne l'andamento. Dovevo liquidare perciö subito, ben contento che fosse andata cosi. Non ripetei ad Augusta le parole di Ada. Perché avrei dovuto affliggerla? Ma quelle parole, anche perché non le riferii ad alcuno, restarono a martellarmi l'orecchio, e m'accompagnaro-no per lunghi anni. Risuonano ruttavia nell'anima mia. Tante volte ancora oggidi le analizzo. Io non posso dire di aver amato Guido, ma ció solo perché era stato uno strano uomo. Ma gli stetti accanto fraternamente e lo assistetti come seppi. II rimprovero di Ada, non lo merito. Con lei non mi trovai mai piú da solo. Essa non senti il bisogno di dirmi altro né io osai esige-re una spiegazione, forse per non rinnovarle il dolore. In Borsa la cosa fini come avevo previsto e il padre di Guido, dopo che col primo dispaccio gli era stata awisata24 la perdita di tuna la sua sostanza, ebbe certamente piacere a ritrovarne la meta intatta. Opera mia di cui non seppi godere come m'ero atteso. Ada mi trattö affettuosamente tutto ů tempo fino alla sua partenza per Buenos Aires ove coi suoi bambini andó a raggiungere la famiglia del marito. Amava di ritrovarsi con me ed Augusta. Io talvolta volli figurarmi che tutto quel suo discorso fosse stato dovuto ad uno scoppio di dolore addirittura pazzesco e ch'essa neppure lo ricordasse. Ma poi una volta che si riparló in nostra presenza di Guido, essa ripeté e confermo in due parole tutto quello che quel giorno essa m'aveva detto: - Non fu amato da nessuno, il poverino! AI momento ďřmbarcarsi con in braccio uno dei suoi bambini lievemente indisposto, essa mi baciö. Poi in un momento in cui nessuno ci stava accanto essa disse: - Addio, Zeno, fratello mio. Io ricorderö sempře che non seppi amarlo abbastanza. Devi sa-perlo! Io abbandono volentíeri il mio paese. Mi pare di allontanarmi dai mieí rimorsi! La rimproverai di crucciarsi cosi. Dichiarai ch'essa era stata una buona moglie e che io lo sa-pevo e avrei potuto testimoniarlo. Non so se riuscii a convincerla. Essa non parlo piú, vinta dai singhiozzi. Poi, moíto tempo dopo, sentii che congedandosi da me, essa aveva voluto con quelle parole rinnovare anche i rimproveri fatti a me. Ma so ch'essa mi giudicö a torto. Certo io non ho da rimproverarmi di non aver voluto bene a Guido. La giornata era torbida e fosca. Pareva che una sola nube distesa e niente minaccíosa offuscas-se il cielo. Dal porto tentava di uscire a forza di remi un grande bragozzo25 le cui vele pende-vano inerti dagli alberi. Due soli uomini vogavano e, con colpi innumeri arrivavano appena a muovere il grosso bastimento. AI largo avrebbero trovata una brezza favorevole, forte. Ada, dalla tolda del piroscafo, salutava agitando il suo fazzoletto. Poi ci volse le spalle. Certo guardava verso sant'Anna ove riposava Guido. La sua figurína elegante diveniva piú perfetta quanto piú si allontanava. Io ebbi gli occhi offuscati dalle lacrřme. Ecco ch'essa ci abbandona-va e che mai piú avrei potuto provarle la mia innocenza. Analisi del Těsto 24 awisata "annundata 25 bragozzo barcone d Guido e Zeno: una rivauta occultata 74 La nvaka tra Guido e Zeno che occupa il capitolo ě mimetizzata e occultata, per volontä di entrambt tnfam , due per— sono si rivali in amore e soci in affari, ma soprattutto ono concorrena nella spietata "lotta per la vita». E in questa lotta Zeno, che all'imzio del cap to"o sembrava destmato a soccombere per la sua inerzia e inettitudine, finisce per trionfare; ľente Guido, che spiccava sta m campo economico sia amoroso, subisce un tracollo totale é irrime- iL «DiSORDtNE» TEMPORALE II trionfo di Zeno ě clamoroso soprattutto nell'occasione del faljÜrnento e della mořte di Guido, dopo la quäle Zeno riesce a riparare al disastro economico. E ancora di piü nel fatnoso episodio dello scambio di funerale, quando Zeno percepisce tutta la gioiaper la vittoria, dimostrando at-traverso un "atto mancato" i suoi veri sentiment! verso colui che con ipocrisia aveva sempře chiamato «grande amico». Lo stesso Svevo riconosce Timportanza di quest'ultima trovata, quando rivela nel saggio Soggiorno londinese: «In quanto alla Coscienza io per lungo tempo cre-detti di doverla al Freud ma pare mi sia ingannato. Adagio: vi sono due o tre idee nel romanzo che sono addirittura prese di peso dal Freud. L'uomo che per non assistere al funerale di colui che diceva suo amico e ch'era in realtä suo nemico si sbaglia di funerale ě freudiana con un co-raggio di cui mi vanto». Anche in questo capitolo ě attuato un cospicuo sfasamento tra fabula e intreccio: in particolare (nella parte non antologizzata) viene notevolmente anticipato l'affare del solfato di rame, evento che causerä il tracollo finanziario. Tale scarto rispetto alla fabula ě owiamente calcolato: evidenzia subito il contrasto fra il protagonista e Tantagonista, Zeno e Guido, i cui ruoli stanno per ribaltarsi proprio in virtu del dissesto finanziario che il maldestro affare provocherä. Si aggiunge inoltre un altro fattore che, latente nei capitoli precedent!, esploderä in questo: la gelosia di Zeno verso Guido. I reali sentimenti di Zeno sono rivelati dall'ira e daU'Lncredulitä che egli prova nel sentir parlare del malessere di Guido, e confermati dall'assenza "involontaria" al funerale. Zeno a. «contempiatore» Zeno, r«inetto», il «contemplatore» fratello di Alfonso Nitti e di Emilio Brentani, non ě pero Lm-prowisamente diventato un «lottatore»; semplicemente si ě ritagliato con ironia una nicchia nel caos, da cui puö guardare alla lotta per la vita con disincantata sfiducia. Egli sa (e lo rivela nella pagina finale del romanzo) che la vita attuale e inquinata alle radia e che qualunque sforzo di darci la salute ě vano: accetta quindi la malattia come uno stato positivo, tipico del «contemplatore» che conosce Í propri limiti, mentre la salute ě possibile solo a chi non si interroga sul proprio operato, o alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. In questo capitolo ě pure evidentissima l'alterazione della veritä che Zeno attua, e che Svevo con ironia sottolinea: quando non vuole riconoscere l'amore di Ada per Guido {la sua relazione col pověro morto. Non doveva somigliare ajfatto a quella ch'essa aveva avuta col vivo); quando ne-ga il proprio odio verso di lui (Era enorme che mi si potesse dire una cosa simile alterando in tale modo la veritä) o misconosce le affermazioni di Augusta (le sue parole avevano creato un mondo nuovo come tutte le parole non vere) o rifiuta il giudizio di Ada (II rimprovero di Ada, non lo merito). Egli ribadisce invece la propria innocenza, e quando Ada parte per il Sudamerica si rarnma-rica solo di non poterne piü modificare il giudizio di colpevolezza {maipiü avrei potuto provarle la mia innocenza): si tratta di una clamorosa affermazione, la cui infondatezza ě chiara al lettore, anche se il narratore mostra di credervi con tutte le sue forze. Psico-analisi Dalla Coscienza di Zeno, cap. VIII II capitolo tinale (di cui riproduciamo solo 1'ultimo frammento) abbandona la struttura monotematica dei precedenti, trasformandosi in una sorta di "diario di guerra" che copre il periodo dal 15 maggio 1915 al 24 marzo 1916. Zeno si di-chiara guarito non in virtú della psicoanalisi, ma del commercio e della guerra sopraggiunta. 24 Marzo 1916 Dal Giugno dell'anno scorso non avevo piü toccato questo libercolo. Ecco che dalla Sviz-zera il dr. S. mi scrive pregandomi di mandargli quanto avessi ancora annotate. E una do-manda curiosa, ma non ho nulla in contrario di mandargli anche questo libercolo dal qua- 75 76 iL PRIMO NOVECENTO: TRA MODERNITA, AVANGUARDIE 0 R1MNOVAMENTO le ehiaramente vedrä come io la pensi di lui e della sua eura. Giacché possiede tutte le mie confessioni, si tenga anche queste poche pagine e ancora qualcuna che volentieri aggiungo a sua edificazione. Ho poco tempo perché il mio commercio occupa la mia giornata. Ma al signor dottor S. voglio pur dire il fatto suo. Ci pensai tanto che oramai ho le idee ben chiare. Intanto egli crede di ricevere altre confessioni di malattia e debolezza e invece riceverä la de-scrizione di una salute solida, perfetta quanto la mia etä abbastanza inoltrata puö permettere. Io sono guarito! Non solo non voglio fare la psico-analisi, ma non ne ho neppur di bisogno. E la mia salute non proviene solo dal fatto che mi sento un privilegiato in mezzo a tanti martiri. Non ě per il confronto ch'io mi senta sano. Io sono sano, assolutamente. Da lungo tempo io sapevo che la mia salute non poteva essere altro che la mia convinzione e ch'era una scioe-chezza degna di un sognatore ipnagogico1 di volerla curare anziehe persuadere. Io soffro ben-si di certi dolori, ma mancano ďimportanza nella mia grande salute. Posso mettere un impia-stro2 qui o )ä, ma il resto ha da muoversi e battersi e mai indugiarsi nell'immobilitä come gl'in-cancreniti. Dolore e amore, poi, la vita insomma, non puö essere considerata quäle una malattia perché duole. Ammetto che per avere la persuasione della salute il mio destino dovette mutate e scaldare il mio organismo con la lotta e soprattutto col trionfo. Fu il mio commercio che mi guari e voglio che il dottor S. Io sappia. Attonito e inerte, stetti a guardare il mondo sconvolto, fino al prineipio dell'Agosto dell'anno scorso. Allora io cominciai a comperare. Sottolineo questo verbo perche ha un significato piü alto di prima della guerra. In bocca di un commerciante, allora, signifieava ch'egli era disposto a comperare un dato articolo. Ma quando io lo dissi, volli significare ch'io ero compratore di qualunque merce che mi sarebbe stata offerta. Come tutte le persone forti, io ebbi nella mia testa una sola idea e di quella vissi e fu la mia fortuna. L'Olivi non era a Trieste, ma ě certo ch'egli non avrebbe permesso un rischio simile e lo avrebbe riservato agli altri. Invece per me non era un rischio. Io ne sapevo il risultato felice con piena certezza. Dapprima m'ero messo, secondo l'antico costume in epoca di guerra, a convertire tutto il patrimonio in oro, ma c'era una certa difficoltä di comperare e vendere dell'oro. L'oro per cosi dire liquido, perché piü mobile, era la merce e ne feci incetta. Io effettuo di tempo in tempo anche delle vendite ma sempre in misura inferiore agli acquisti e le mie vendite furono tanto felici che queste mí dáváno i grandi mezzi di cui abbisognavo per quelli. Con grande orgoglio ricordo che il mio primo acquisto fu addirittura apparentemente una sciocchezza e inteso unicamente a realizzare subito la mia nuova idea: una partita non grande ďincenso. II venditore mi vantava la possibilitä d'impiegare l'incenso quäle un surrogato della resina che giä cominciava a mancare, ma io quäle chimico sapevo con piena certezza che l'incenso mai piü avrebbe potuto sostituire la resina di cui era differente toto genere? Secondo la mia idea il mondo sarebbe arrivato ad una miseria tale da dover accettare l'incenso quäle un surrogato della resina, E comperai! Pochi giorni or sono ne vendetti una piecola parte e ne ri-cavai l'importo che m'era oecorso per appropriarmi della partita intera. Nel momento in cui incassai quei denari mi si allargö il petto al sentimento della mia forza e della mia salute. II dottore, quando avrä ricevuta quest'ultima parte dei mio manoscritto, dovrebbe resütuir-melo tutto. Lo rifarei con chiarezza vera perché come potevo intendere la mia vita quando non ne conoscevo quesťultimo periodo? Forse io vissi tanti anni solo per prepararmi ad esso! Naturalmente io non sono un ingenuo e scuso il dottore di vedere nella vita stessa una manife-stazione di malattia. La vita somiglia un poco alla malattia come ptocede per crisi e lisi4 ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita ě sempre mortale. Non sopporta eure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo cre-dendoli delle ferite, Morremmo strangolati non appena curati. La vita attuale ě inquinata alle radici. L'uomo se messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha mquinata l'aria, ha impedito il Libero spazio. Puö awenire di peggio. LI triste e attivo ani-male potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre fotze. V'e una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirä una grande ricchezza... nel numero degli uomint. Ogni metro quadrato sarä occupato da un uomo. Chi ci guarirä della mancanza di aria e di spazio? Sola-mente al pensarci soffoco! Ma non ě questo, non ě questo soltanto. Qualunque sforzo di dárci la salute ě vano. Questa non puö appartenere che alla bestia che Italo Svevo 1 ipnagogico che sogna mentre sta per addormen-tarsi. 2 impiastro pomata, un-guento medidnale. 3 toto genere "totalmen-te", latino. 4 procede... lisi procede attraversö peggioramenti e aggravamenti. conosce un solo progresso, quello dei proprio organismo. AUorche la rondinella comprese che per essa non c'era altra possibile vita fuori dell'emigrazione, essa ingrossö il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte piü considerevole dei suo organismo. La talpa s'interrö e tutto il suo corpo si conformö al suo bisogno. II cavallo s'ingrandi e trasformö il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarä stato e non avrä mai le-so la loro sali i te. Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori dei suo corpo e se c'e stata salute e nobilta in chi Ii inventö, quasi sempre manca in chi Ii usa. GH ordigni si comperano, si ven-dono e si rubano e l'uomo diventa sempre piü furbo e piü debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano pro-lungazioni dei suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha piü alcuna relazione con l'arto. Ed e l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge dei piü forte spar! e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: Sotto la legge dei possessore dei maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno piü, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerä un esplosivo incomparabile, in confronto al quäle gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quasi innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' piü ammalato, ruberä tale esplosivo e s'arrampieherä al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto poträ essere il massimo. Ci sarä un'esplosione enorme che nessuno udrä e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerä nei cieli priva di parassiti e di malattie. pre-'im- änalisi del testo La forma del diario II capitolo finale sostituisce alla struttura di ricordi intrecciati e disorganici, tipica dei capitoü f cedenti, una forma diaristica chiusa: il mutamento di prospettiva ě radicale, e ne scaturisce un' plicita condanna della terapia psicoanahtica (commenta infatti Zeno: al signor dottor S. voglio pur dire il fatto suo; e giä prima aveva affermato: «Se fossi ben sicuro di saper ridere di lui senz'adirar-mi, sarei anche capace di rivederlo. Ma ho paura che finirei col mettergli le mani addosso»). II consuntivo dell'intera vicenda biografica che il protagonista attua risulta perö ancora una volta in-ficiato dalla stessa inattendibuitä di Zeno {come potevo intendere la mia vita quando non ne conoscevo quest'ultimo periodo?), che riconosce il proprio complesso edipico in modo piuttosto grosso-lano e approssimativo, piü per compiacere il dottore che per reale convinzione. Le pagine piü interessanti sono quelle finali, nelle quali la vicenda della guerra é ingigantita a catastrofe inaudita, escatologica: portando alle estreme conseguenze le teorie darwiniane, Svevo preco-nizza la fine del mondo come unica possibilitä perché cessi la malattia dell'uomo, owero la sua in-guaribile ricerca di senso. Come ha notáto G, Lucchini, Svevo riprende due articoh scritti molti anni prima (L'uomo e la teoria darwiniana e La corruzione dell'anima), ma giunge a conclusioni diametralmente opposte: l'occhialuto uomo, proprio seguendo i ritmi dell'evoluzione, anziehe co-struire un mondo migliore, giungerä a distruggerlo definitivamente; divenuto sempre piü furbo e sempre piü debole, infatti, dopo la sparizione della legge del piü forte, sarä in balia del primo paz-zo criminale disposto a morire pur di portare con sé nella distruzione ogni traccia di urnanitä. E con rottimistica visione darwiniana, anche quella nietzschiana viene ricusata: non un superuo-mo, ma un uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' piü ammalato sarä colui che chiuderä la vicenda della Terra, liberandola di parassiti e di malattie, owero della presenza stessa di ogni essere vivente. E accanto a Darwin e a Nietzsche, non poteva certo mancare l'autore prediletto di Svevo, Schopenhauer: ě a lui infatti che egli pensa nel chiudere La coscienza diZeno con un lampo di pessimi-smo "cosmico" degno della visione del mondo «come volontä e rappresentazione».