470 EPOCA 9 LA NUOVA ITALU i8«,.„ D'Annunzio «panico» Un awolgente movimeato musicale 30 y, come l'Estate porta ľoro in bocca. Stormi d'augelli varcano la foce, poi tutte ľalí bagnano nel mare! Ogni passato mal neU'oblib cade. S'estingue ogni desío vano e feroce. Quel che ieri mi nocque, or non mi nuoce quello ehe mi tocco, piú non mi tocca. E paga nel mio cuore ogni dimanda, come ľacqua tra ľuna e ľaltra voce. Cosi discendo al mare; cosi veleggio. E per la dolce landa quinci é un cantare e quindi altro cantare. Le lodolette cantan su le pratora di San Rossore e le cicale cantano su i platani ď Arno a tenzone. w. 32.-36. questi versi danno un'immagi-ne schematica, con un linguaggio artifi-ciosamente letterario (evidente anche neTla scelta di vocaboli come oblio, desto, dimanda), deJTabbandono al sopore esti-vo e marino (che ora chiama in causa non piü la donna, ma il soggetto del poeta, che finisce per meutere al centro del qua-dro le sensazioni della propria persona), che fa cadere ogni male passato, spegne ogni desidetio; i w. 34-35 in particolare oppongono il passato al piesente attra-verso la ripetizione dei verbi mi nocque.. non mi nuoce, mi tocco... nan mi tocca. v. 39. veleggio: il poeta finisce per assimi-lare se stesso alia barca che veleggia verso il mare. La pioggia nelpineto (da Alcyone) Scritta probabilrnente nelľestate del 1902, direttamente per la raccolta di Alcyone, questa lirica costituisce la manifestazione piú celebre e perfetta della poesia dannunziana. La parola vi lascia addensare e intrecciare vir-tuosismo musicale, abbandono sensuale, irnmersione entro una natura ver-deggiante e animata, dando luogo alia prova suprema del D'Annunzio «pa-nico», che si fa catturare dalla fascinazione deíľantico dio Pan, dalla vitalita di un mondo boschereccio, dove si perde ogni distinzione tra gli esse-ri umani e una vegetazione rigogliosa e procace. II movimento musicale ě sinuoso e awolgente, sostenuto dalle piú va-rie rispondenze, dai piú sottili giochi fonici, dalla scelta di parole prezio-se, da pause e ripetizioni studiatissime, dallo stesso snodarsi della libera struttura metrica: questa ě data da 4 strofe lunghe di 32 versí ciascuna, tut- i p'ANNUNZIO E L'ESTETBMO. GABRIELE D'ANNUNZIO - LE LAUDI J versi brevi, ma di varia misura, dal trisillabo al novenario, con rime va-Ljnente disposte (spesso con l'affacciarsi di rime baciate che, per la bre-á dei versi stessi, danno particolari effetti di eco interna). Le prime tre strofě sono introdotte da voci verbali alia seconds perso-(Taci... Ascolta... Odi?...), cheistituiscono un diretto contatto con una rura ferimiinile. Questo rivolgersi a un interlocutore per istituire il con jatto era tipico degli antichi inni greci attribuiti a Omero e a Orfeo: attra-«erso di esso 1'io del poeta si pone come quello di un «eletto scriba in gra-Jo di rendere percepibile una nascosta armonia» (Lorenzini). L'invito alfo donna ě cosi invito ad ascoltare una voce non umana, quella di una nátura resa piú animata e misteriosa dal cadere della pioggia estiva. La prima strofa definisce, in un presente assoluto, tutto sospeso nella propria sensuale immediatezza, i corpi vegetali e quelli umani (del poeta e fjella donna), su cui appunto la pioggia sta cadendo (con qualche eco del-iseconda strofa de La sera fiesolana, cfr. p. 463). La seconda e la terza strofa, introdotte dall'invito alia donna ad ascoltare, seguono il gioco va-jjato dei suoni suscitati dallo stesso cadere della pioggia e la suggestione rjata dall'ascoltarii partecipandovi, sentendosene parte e quasi cercando di decifrarli a distanza. Alia presenza della donna e del poeta sotto la piog-j ..ma, al loro lasciarsi bagnare e al loro confondersi con la vegetazione ě de-Jicata in particolare l'ultima strofa, che, a differenza delle precedenti, ini-áa non rivolgendosi direttamente alia donna, ma ripetendo dal finale della strofa precedente il presente Piove (che del resto torna piú volte in tut-to il componimento). Ognuna delle strofě (e quindi anche tutto il componimento) si conclude con il nome della donna, Ermione, che si sostituisce * quello reále di Eleonora Duse: Ermione ě nome mitologico, della figlia di Elena e Menelao, nonché duna antica cittá delTArgolide (a cui ě dedi-Icataun'altra poesia ďeW!Alcyone, intitolata appuntoII nome). Tutto il sapiente e sensualissimo ascolto degli effetti musicali della pioggia conduce a identificare i corpi umani con i vegetali, a superare ogni distinzione tra la condizione sensuale degli esseri umani e la vita segreta della natura. Ma questo orízzonte metamorflco e pánico (che trova il suo cul-mine neU'irnmagine della donna quasi fatta virente, che sembra uscire da scorza (w. 100-101) si proietta su di un leggero sfondo galante e libertino, indicato dal richiamo alia favola bella (che comporta la ripresa di una celebre espressione di Petrarca, Canzoniere, CCLIV, v. 13, «La mia favola breve*) che illude gli amanti, su cui si chiudono sia la prima che rultima strofa. I finah di queste due strofě si ripetono in realtá quasi identicí: i w. 20-31 sono ripetuti di nuovo nei w. nrS-128, solo con una inversione nella po-iizione dei pronomi ai w. 31 e 127, che fanno come ruotare i punti di vista convergent! dei due amanti: t'illuse... m'illude; m'illuse... ťillude). II «pineto» a cui il testo fa riferimento ě, come in altre poesie & Alcyone (tra cui La tenzone qui riportata), ancora quello della Marina di Pisa: e 10 spunto piú diretto per la poesia ě quello della vacanza li passata nell'e-state del 1899 (che, secondo appuntí deilo stesso autore, fu particolarmen-le piovosa). Ma si ě visto giá varie volte (in Lungo I'Affrico e ne La sera fiesolana) quali suggestioni la pioggia estiva lasciasse in D'Annunzio, che in essa riconosceva una rivelatrice della vita segreta, palpitante, misteriosa di 47 J Grande metamorrbsi panica La pioggia estiva rivelatrice della vita misteriosa avoirs £poca9 la NUGVA ITALI . Taci. Su Ic soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole piú nuove che parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse, Piove su k tamerici salmastre ed arse, piove su i pirn scagliosi ed irti, piove su i mírtí divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti, piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, w. 3-;. i suoni che giungono alle soglie del bosco non appartengono piú al mondo umano, ma sono parte ďuna piú ampia armonia naturale, in grado di esprimere un Iinguaggio «piú nuovo». v. 6. parlano: il verbo parlare viene qui forzato e reso transitivo (parlarparole). v. io. tamerici: sono le piante che giä ľa scoli aveva scelto per intitolare la sua príma raccolta, per ľappunto le Myricae (cfr. p. 493). w. 14-15. mirti I di-rini: altri arbusti Iliedí-terranei, che nella |radi7Íonc antica efä-no sacri a Venere e indicavani i". dikí'j specie quella amorosa, e ľanu v. 17. accolti- raccolti. v. 19. coccole aulenti: fruni o bacche dá ginepro, indicati corne partie ' jrxa-i" odorosi {aulenti). ■ una nátura in perpetua «attesa»: e in tutto Alcyone ľuccu* e i. porto con la terra estiva hanno una presenza essenziale e detenr^° D'altra parte alcuni motivi, situazioni, immagini di quests poesi- - * parte giä contenuti nel Taccmno XIII, in un appunto precedente' ^ so soggiorno pisano, relative a una visita_alla pineta di Astura (1 1 """ ne di Nettuno, presso Roma), del 1897. Citiamo solo un passo t =, -. per lo sviluppo dei w. 10-17 e 33-39 delia poesia: «La. pincia č s-Jva - " ^ ta chiusa da cespugli fitti, da mirti, da tamerici. Qua e lä h gines'ť rispkndono con i loto gialli fiori. La pioggia discende su !r. verdur crepttío che varia secondo la densitä del fogliame». ■ ■ ■ I ■ P m ■ j jnunz10 E l'esxetismo, gabkiele d'annunzio - le laubi su i frescíii pensierí che l'anima schulde novella, su la iavola bella che ieri ťillusc, che oggi m'ilhide. o Ermione. Odi? La pioggia cade su la solitaria verdura con un crepitío che dura e varia nell'aria secondo le frotide piú rade, men řade. Ascolta. Risponde al pianto il canto delle cicale che il planto australe non impaura, né il ciel cinerino. E il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il gtnepro alrro aneóra, strömen ti diversi sotto innumerevoli dita. E imrriefsi noi siam nelk) spirto Silvestře, ďarborea vita viventi; w. :. suü'onda delle parole piú nuo-mipensseri si affacciano coroe qualcosa ■Mfresco e di nuovo, come qualcosa che Amt cfcehiuso. Lo schiudere porta in sé un cocnotato evidentemente naturale corae lo sebiudersi dei fiori), e quasi im-mette l'anima in una dirnensíone non piú umana, ma vegetale e panica. B 29. favola bela: l'iHüsioae ďamore, 1'in-.lamoratneclo. v< J5- veřdura: la vegetazíone del pineto. "v. 36-39. la sensibilita accesa del poeta presta attenzione ad ogoi dutala e vana-ione del suono crepitante della pioggia, lotata e variazione che sono causate dal-a maggiore o minore intensita deila ve-fietazioue, su cui cadono le gocce. w. 43-45. il pianto australe i il suono del venio australe, estivo e proveniente dal meridione: le cicale non sono spaventate né da questo suono (esso non le impaura), né dal cielo mívoloso {cinerino - gri-gio, color cenere). ■w. 46-51, la natura nelle sue forme divie-ne sínfenia, in cui tntte le piante sono stramenti, suonati datle innumerevoli dita della pioggia. w. 52-55. il poeta t la donna sono come assimilati alio spirto Silvestře, aUo spirito del bosco, sino a vřvere la stessa vita de-gli alberi (la coppia si trasforma mitolo-gicamente in sostanza addirittnra arbo-rea, quasi seguendo il modello delle miti che metamorfosi dall'äimano al vegetale). e. 474 EPOCA g LA Ní'OVŕ, íttó% iSSlj p jlNMUNZIO E L'ESTETJBMO. GABRIELE d'aNMUMHO - LE LAUB! 475 e il tuo völto ebro e molle di ploggia come uoa foglia, e le tue chiome 6o auliscoßo come ie ciliare ginestre, o creatura terrestre che hai nome Ermione. 65 Ascolta, ascolta. L'accordo delle aeree cicale a pocoa poco piü sordo si fa sotto il pianto 70 che cresce; ma un canto vi si mesce piü roco che di iaggiü sale, daU'urriida ombra remotä. 75 Piü sordo e piü fioco s'alienta, si spegne. Sola una nota an cor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne. 80 Non s'ode voce del mare. Or s'ode su tutta la fronda crosciare l'argentea pioggia che monda, 85 il croscio che varia v. 60. auliscoiio: profumano (aulire ě voce arcaizzante). Da notáre, anche qui, la similitudine fra le chiome e le ginestre, sempře nella logica della metamorfosi. v. £z. una volta compiuta la metamorfosi, la figura femminile non poträ assumere se non i tratti d'una creatura non umana. w. 65-80. il raddoppiamento di ascolta da l'awio ad un crescendo della sinfonia della natura, che la poesia tende a ripro-durre in forme sottilmente iterative, sino all'acme rappresentato dal canto della ra-na, nei w. 75-75. Mentre la strofa precedente ha insistito sul mondo vegetale, in grado di animarsi sotto ie innumerevoli dita della pioggia, ora si insiste sulla so-noritä del mondo animale, con una vera e propria gara canora tra la cicala e 3a r»- ' na. Le■ cicale erano giä present: nella stto fa precedente (v. 42): ma ora la rana (ii cui nome sarä fatto esplicitamente sob a! v. 92) mischia al loro il suo canto pni m-co. I w. 75-79 insistono su di u vrapporsi e sospendersi di note (amplifi-cato dal ríchiamo al siSonzio del mare, v.-80): poi e la cicala (chiamaía figlta ittSé-ria) a tacere, lasciando il» d 1.1 rana (qualificata come figlia del Urm, del. fango, w. 90-91). v. 82, crosciare: forma plti riccrcata, pet . «scrosciare» (piú avanti, al v 85, st avri croscio per «scroscio»), w. 85-88. siruazione identica c specutare a quella presentata, a proposito delk ' too I I I ■ ■ 1 ■ ■ ■ 105 secondo la froada piá folta, men folta. Ascolta. La figlia deE'aria ě routa, ma la figlia del limo lontana, la ran a, canta neii'ombra piú fonda, chi sa dove, chi sa dove! E piove su le tue ciglk, Ermlone. Piove su le tue ciglia nere si die par tu pianga ma di piacere; n011 biaoca ma quasi fatta virente, par da scorza tu esca. E tutta la vita h in noi fresca aulente, il cuor nel petto ě come pěsca intatta, tra le pälpebre gli occhi son come poUe tra ľerbe, i den ti negli alvěoli son come mandorle acerbe. E aíidiani di fratts in fratta. frond" .~ei vv. 36-39, con {'inversions da «pi:i rade, men rade» a «piú foils, men folta*. P.ipetizior.i e invcrsioni sono del ■ costanti in tutta il componimento (err anche v. ;i e v. 127). Da notáre altre-si il nvci'Lcarsi sonoro di folta in ascolta, al verso sn.-cessivo; questo in s is t err sul proccdunc'iHi iteradvo produce un effet-T "! fort j ř,;iggestione sonora, che daun «■> invt.- quasi il cadere della pioggia, dall'aitrr <»fre una serie di eontrappunti iL-icah. 1'iJtima strofa inizia ripetendo inmcKir. q iK..i identito il finale della strofe precedente (al modo che nelle canzoni attuche le parole deli'ultimo verso d'una if ti í iorn^vano nel přímo della strofa ** .nssiva). Al suo centre ě la figura fem-minĽt, p "cse'ttata al punto finale di una nteEa-ľnríosi vegetale tutta svolta nel segno della freschezza (v. 102): Ermione ě virente (verdeggiante), il suo colori- ha perso ogni connotato omano distin-to dalla totalita naturale; essa, addirittura, sembta uscire da una corteccia d'aibero. Ma questa metamorfosi si impadronisce anche ilell'io de! poeta e i due amatiti si inuovono insietne entro ia natura vegetale: il loro cuore e una pesca non ancora toccata, gli occhi che si scoprono tra le paipebre vengono equiparati a sorgend che sorgono dal basso, polle tra l'erbe, i loro denti sono mandorle acerbe (per giungere poi ai volti / silvani, vv. 116-117). w. iio-iij. Ora la coppia si muove verso un dove mdeterminato, un «non-luogo» ddl'efiusione sensuale e panica (con la ri-petizione di cht sa dove al v. 115, che ripe-te il v. 94, che era aferito al luogo impre-cisato del canto della rana). 13 congiun-gersi e disciogliersi degli amanti si identi-flea con l'azione del vigor rüde della ve-getazione die si allaccia e si intrica alle gambe dei duc. Notevole la precisionc 476 EPOCAg tANUOVAEBLl- 't-!f- *" ,>Wf,7k/ e ľestetusmo. GABRIELE d'ANNUNZIO - 477 Tesicativra di aí5ertare la sfiiggente stell'estaíĽ Figuru iitojogica or congiunti or disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i malleoli c'intnca i ginocchi) 115 chi sa dove, chi sa dove! ! E piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, 120 su i nostri vestirnenti leggieri, su i freschi pensieri che l'anima schiude novella, 125 su la fa vol a bella, che ieri m'illuse, che oggi t'illude, o Ermione. terminologica, sino al riferimento a par-ticolari anatomiri, come i malleoli (forma assai raramente usata nellit 1 poetica). Stahat nuda Aestas (da Alcyone) Scritta probabilmente nel 1902, costituita da trelasse di otto cnil-..-MlLibi sciolti ciascuna, questa poesia vuol essere come un tentative d 1 lk. rare, ľimmagine di una sluggcnte figura femminile che rappresenta I'c s .a'.. *J-to forma di una narrazione al passato remote, il poeta ricorda I'H :'-■>» «".-so apparire e svelarsi di questa figura. In un primo momento (prim hci (seconda lassa) l'ha raggiunta in un bosco di ulivi, chiamandola pc. :imck; i n fine (terza lassa), l'ha vista voltarsi per un attimo e dirigersi verso il lido, dove, messo un piede in fallo, ě caduta a terra, «tra le sabbie e ľacque*, > svelando la sua immensa nudita. \ La figura si presenta sotto věsti mitologiche: ě una dea, che, come quelle delľantichitä, puô manifestarsi solo all'improwiso: presenza so'are e • umida inquietante nefla sua femminilitä fascinosa ma distante da!' m-r." (magicamente intrecciata con una vegetazione piena di vibrantě energia). Nel tracciare questa figura, D'Annunzio si ricollega alia sugg- -.110.1.- > hi1 in tanta letteratura «decadente» assumevano le irnrnagtni delle divinitä rem- . mínili classiche, gli aspetti corporei e fisici di tanle antiche person |tu u.o if "•* , ,. lohche (e í crinci hanno potuto fare riferimento a varí precedent!, I «311'gltro in Nerval e in Rimbaud). Mella definizione deiilmmagine i mo- I classici sono direttamente determinant!: e lo stesso titolo ě ricavatc | v: >vidio. Metamorfosi, II, 28, «Stabat nuda Aestas et spicea serta ge - I fat-.-4"L'Estale stáva nuda e portava ghirlande di spighe": il poeta laťno | g^ífita cosi la figura delľEstate, immobile presso il trono di Apollo). Ma | jg pi-eaosita deffimmagine (sostenuta daM'accurata scelta del lessíco) e ľin- 1 "ť,none di caricarla di valori mitici e simbolici sembrano sfumare nel gia- j ■■(q ci un ínseguímento libertino, in un dilettevole erotismo da vacanza ma- 1 -lina (the ha il suo apice neľľimprowisa caduta dell a donna, che, una vrl 3 ts emnta sulla riva, force il piede in.fallo). | Primamente in tra vid: il suo piě stretto scorrere su per gli aghi arsi del pini ove estuava ľaere con grande tremito, quasi bianca vampa effusa, Le cicale si tacquero. Piti rochi si fecero i ruscelli. Copiosa la résína gemette giu pe' fnsli. Riconobbi il colúbro dal seniore. Nel bosco d egli ulivi la raggiunsi. Scorsi ľ ombre cerulee dei rami su la schiena falcata, e i capei fulvi nell'argento pailadio trasvolate senza suono. Piu lungi, nella stoppia, ľallodola balzô dal solco raso, la chiamô, la chiamô per nome in cielo. Allora anch'io per nome la chiamai. Dileíte-rok eíotäsm® W. 1-4. in un primo momento vidi il suo piede stretto (l'aggettivo ne indica l'agi-efti e 1'eleganza) scorrere sul terreno del-, lapineta, coperto dagli aghi riarsi dei pint, dove I'aria estuava (ardeva, ribolliva: iatinistno, dalla stessa radice di aestas), f: con un grande / tremito (si noti Venjam-bemenl), simile a una bianca vampa, a un'ondata di calore effusa Wtto intorno. v. 6 Copiosa: occorre leggere copiosa, una dleresi che scompone il dittongo -io e in-s- serisce un effetto di musica rallentata ; (tafforzato