Dal realismu al simbolismo zi».8 H colle non ě piú quello, essendo stato in parte tagliato per dar luogo a una strada nuova, e piantato e ripulito e pettinato per diventare un giardino pubblico, il Píncio; ma «ermo» era anche quella sera di sabato. E si udivano bensi grida di fanciulli, felici della festa del domani; ma di qua e la, di lontano; e velavano appena la taciturnitä del tramonto. Tornava un contadino con la vanga sulla spalla, dando la faccia rugosa ai bagliori del sole. Tornava una vecchierella con sul capo un piccolo fascio di stecchi. Un'altra le si fermava di contro. Stettero, nereggiando tra uno scintillio diverso e continuo, parlando tra uno scampanio fioco di voci remote. Parlavano a lun-go: tentennavano la testa. II «buon tempo» pareva non lo avessero conosciuto mai. II «Donzellette» non vidi venire dalla campagna col loro fascio ďerba: non ancora la lupinella9 in-sanguinava i campi. Avrei voluto vedere il loro mazzolino, se era proprio «di rose e di viole»! Rose e viole nello stesso mazzolino campestre ďuna villanella, mi pare che il Leopardi non le abbia potute vedere. A questa, viole di marzo, a quella, rose di maggio, si, poteva; ma di aver giä vedutě le une in mano alla donzelletta, ora che vedeva le akre, il poeta non doveva qui ricordarsi. Per-ché il poeta qui rappresenta a noi cose vedutě e udite in un giorno, anzi in un'ora; e bene le rap-presenta, come non solevano i poeti italiani del suo tempo e dei tempi addietro. E come queste, cosi altre; e in ciô ě la sua virtú principále e, aggiungerei se non fosse ozioso e noioso a proposito di poesia parlar di gloria, la principále sua gloria. Vedere e udire: altro non deve il poeta. II poeta ě ľarpa che un soffio anima, ě la lastra che un raggio dipinge. La poesia ě nelle cose: un celto étere che si trova in questa piú, in quella meno, in alcune si, in altre no. H poeta solo lo conosce, ma tutti gli uomini, poi che egli signiflcô, lo riconoscono. Egli presenta la visione di cosa posta sotto gli occhi di tutti e che nessuno vedeva. Erano forse distratti gli occhi, o forse la cosa non poteva essere resa visibile che dalľarte del poeta. II quale percepísce, forse, non so quali raggi X10 che il luminano a lui solo le parvenze velate e le essenze celate. Ora il Leopardi (io pensavo fermando-mi a guardare i monti di Macerata, sui quali si contorcevano alcune nuvole in fiamma, come do-lorando), il Leopardi questo «mazzolin di rose e di viole» non lo vide quella sera: vide st un mazzolino di fiori, ma non ci ha detto quali; e sarebbe stato bene farcelo sapere, e dire con ciô piú precisamente che col cenno del fascio deľľerba, quale stagione era quella dell'anno. No: non ci ha detto quali fiori erano quelli, perché io sospetto che quelle rose e viole non siano se non un tropo,11 e non valgano, sebbene speciali, se non a significare una cosa generica: fiori. E io sentiva che, in poesia cosi nuova, il poeta cosi nuovo cadeva in un errore tanto comune alla poesia italia-na anteriore a lui: ľerrore dell'indeterminatezza, per la quale, a modo ďesempio, sono generaliz-zati gli ulivi e i cipressí col nome di alberi, í giacintí e i rosolacci con quello di fiori, le capinere e i falchetti con quello di uccelli. Errore ďindeterminatezza che si alterna con ľaltro del falso, per il quale tutti gli alberi si riducono a faggi, tutti i fiori a rose o viole (anzi rose e viole insieme, unitě spesso piú nella dolcezza del loro suono che nella soavitá del loro profumo), tutti gli uccelli a usi-gnuolo. Ma non erano usignuoli quelli che io sentivo tra gli uliveti della valle sottoposta; sebbene ďusignuolo sembrassero tre o quattro note punteggiate che promettevano, a ogni momento e sempře invano, il prorompere e il frangersi della melódia: preludio eterno. Quelle note ďusignuolo mal riuscito erano di cingallegre; e io le udivo a quando a quando dare in quegli striduh sbuffi d'ira o timore, che sembrano piccoli nitriti chiusi in gola ďuccello; le udivo, ora qua ora lä, strisciare a lungo la loro limina mordace su un ferruzzo duro duro. 8 «ermo... silenji» h, í'iufmito.w, 1-7; ,Senj; pre čaro mi íu quest'er mo colle,/e questa S|e. pe, che da tanta parle/ delľultimo orizzonte íl guardoesclude /Mase-dendo e mirando, inter-minati / spazi di lä da quella, e sovrumani /si-tenzi, e profondissima quiete/io nel pensiermi fingo [...]» 9 lupinella pianta usata corneforaggio, 10 raggi x lascopertadi Röntgen era allora ľecen-tissima(!895) 11 tropo qualsiasi uso linguistico che trasferisca una parola dal suo signi-ficato proprio a uno tra-slato, simbolico; rose e viole é difatti sintagma petrarchesco (CCVil, v, 46: «Cosi rose et viole/á primavera, e 'I verno ä neve et ghiaccio»), che vale "fiori" (come lo stesso Pascoli sospetla). Analisi del Testo Ľ"lNDÍTERMINAT0" Nel paragrafo II ricorre la rappresentazione, giá incontrata nella prosa del Fanáullino, del poeta come di colui che ha il compito di portare alla luce quanto ě sotto gli occhi di tutti e che nessuno vede (cfr. p. 375, rr. 22-23, «la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta»). Ecco perché Leopardi diviene colpevole di indeterminatezza: I'attribuzione del valore simbolico agli oggetti non deve infatti allontanarsi, per Pascoli, dalla fedeltá alloggetto stesso; una fedeltá cui Leopardi, che mai nella vita reále avrebbe potuto vedere insieme rose e viole, ě venuto meno. Gabriele D'Annunzio Propilo letterario 376 La vita «inimitabiie» ai Gli studí, la vita mondana, il successo precoce Gabriele D'Annunzio nasce nel 1863 a Pescara, da Francesco Paolo Rapagnetta D'Annunzio e Luisa De Benedic-tis, terzo di cinque figli, in una famiglia borghese e agiata, che lo ricopri di attenzioni, anche per la sua precocitä in-tellettuale (ma con il padre, impenitente donnaiolo, il rap-porto non ě facile). Tra il 1874 e il 1881 compie ottimi studí liceali nel presti- , gioso collegio Cicognini di Prato (Eirenze). Ancora colle-giale, pubblica la prima raccoltina poetica, Primo vere, che suscita grande interesse e gli procura le prime amicizie, il critico Giuseppe Chiarini, amico di Carducci, e la cerchia di amici abruzzesi cui fu sempře legatissimo: il pittore Francesco Paolo Michetti, il musicista Paolo Tosti ecc. Dal 1881 si trasferisce a Roma, íscrivendosi alla facoltä di let-tere. Ma la vita briliante della capitale distoglie 1'ambizioso provinciale dagli studi regolari: fecondo poeta e prosatote (nel 1882 due volumi, Canto novo e Terra vergine, ne confer-mano la fama nascente), frequentatore dell'alta societa, D'Arinunzio non prenderä mai la laurea. Nel 1883 sposa la principessa Maria Hardouin di Gallese, da cui avra tre figli. Tra il 1884 e il 1888 ě cronista mondano del giornale "La Tribuna": utile esercizio stilistico su situazioni eleganti e frivole, poi sviluppate nel primo e fortunato romanzo, II Piacere (1889). Dal 1887 intreccia una lunga relazione con Barbara Leoni e consolida molti rapporti intellettuah: con il filosofo Angelo Conti, con il letterato Adolfo De Bosis e con i piú eminenti personaggi della Roma contemporanea, detta "bizantina" (dall'antica e raffinata capitale Orientale Bisanzio) per l'impressione di splendida decadenza che su-scitava. E ormai affermatissímo come scrittore. Tra il 1891 e il 1892 vive a Napoli, collaborando tra 1'altro al giornale "II Martino'' degli amici Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, anche con pezzi critici e saggistici (ě il pe- ú Annunzíu riodo tn cui scopre Nietzsche e Wagner). Intanto il letterato Georges Hérelle gli offre di ttadurre in francese il romanzo Linnocente: traduzione che incomincia a farně un personaggio europeo. Un nuovo legame, con la contessa Maria Gravina, gli dá al-tri due figli, tra cui la prediletta Renata, che D'Annunzio soprannomina gentilmente «la Sirenetta». Nel 1895 compie un viaggio estivo in Grecia con Scarfoglio, Hérelle e al-tri amici. Si trasferisce a Roma. Nasce 1'amore intenso e tu-multuoso con la grande attrice teatrale Eleonora Duse. Nel 1897 ě eletto deputato per 1'estrema destra, ma nel marzo 1900, dopo la repressione del governo Pelloux seguita ai tumulti popolari milanesi, passa clamorosamente a sinistra. Le opere maggiori e l'«esilio» in Francia Dal 1898 si stabilisce con la Duse in Toscana, a Settigna-no, non distante da Firenze, nella villa "La Capponcina". Li vivrá, nel lusso piú prezioso, sino al 1910. In questo periodo nascono alcune tra le opere maggiori, in prosa (il romanzo IlFuoco) e in poesia (il ciclo delle Laudi). Chiuso nel 1904 Pamore con la Duse, altre burrascose re-lazioni si susseguono e si intrecciano senza intervallo. Soverchiato dai debiti (che lo costringeranno a mettere al-1'asta 1'arredo e i libri della Capponcina) e assediato dai cre-ditori, nel 1910 ripara in Francia, trattenendosi dapprima a Parigi, dove frequenta cireoli letterari esclusivi e incontra scrittori e intellettuali illustri come Anatole France, Romain Rolland, Maurice Barrěs e il musicista Claude Debussy (che gli musicherá un testo teatrale). In seguito si ritira sulla co-sta adantica, ad Arcachon, nelle Lande, con la nuova aman-te, la contessa russa Natahá de Goloubeff («matta della piú nera mattezza slava», cosi D'Annunzio). Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, si riporta a Parigi e si schiera a favore delTintervento antitedesco. 377 Dal rjlalísmo al stmbolismo D'Annunzio interventista ed "eroe" di guerra Nel 1915 rientra in Italia ed ě tra i piů fervidi interventisti, tra l'altro con un celebre discorso a Quarto (Genová). Do-po 1'entrata in guerra dell'Italia, nonostante sia piů che cinquantenne, prende servizío al fronte, mosso dalľambi-zione di svolgere in ogni circostanza il molo del superuo-mo e da una valutazione estetizzante delia guerra cosi come di ogni aspetto della vita. Nel gennaio del 1916 un incidente aviatorío gli procura la cecitä permanente all'occhio destro e gravi danni tempo-ranei al sinistra, che lo costringono a una convalescenza veneziana, durante la quale scrive le prose di memoria Notturno. Si impegna poi in molte azioni di guerra rischiose: ľincur-sione aerea su Pola nell'ottobre 1917, quella marina nella Baia di Buccari nel febbraio 1918, il volo su Vienna nell'a-gosto 1918. Ma soprattutto ě clamorosa ľazione promossa subito dopo la fine della guerra, per la riconquista di Fülme e della Dalmazia, assegnate dai trattati di pace alia Jugoslavia: D'Annunzio occupa nel 1919 Fiume, alia testa di un gruppo di Ardití, e tiene la reggenza della cittä sino al Natale 1920, quando il governo italiano interviene per la smobilitazione. Lascia Fiume nel gennaio 1921 e si sposta - con la nuova amante, la pianista Luisa Bäccara, e un piccolo seguito di fedeli - in una villa di Gardone Riviera. Qui resta sino alla morte, nominato nel 1924 dal re, su proposta di Mussolini, principe di Montenevoso. La villa viene ingrandita e via via trasformata in una casa-museo, sovraccarica di ar-redi e reliquie, simbolo di tutte le esperienze della vita e delľarte dannunziana, ammassate in uno spazio in cui domina ľorrore del vuoto e della luce. E questo il fastoso, pittoresco e funereo "Vittoriale degli Italiani", ehe D'Annunzio dona alio stato, invitando a considerarlo «come un qualunque de' miei poemi, come un qualunque de' miei drammi». II D'Annunzio di Fiume aveva certo sperato di poter giocare un ruolo attivo nella politica italiana seguen-te; ma ľawento al potere del fascismo e di Mussolini non consent! la presenza di comprimari pericolosi. Relegato nello splendido isolamento di Gardone ehe lo rendeva po-liticamente innocuo, a D'Annunzio «non restava ehe reci-tare la parte ehe il capocomico assegnava» (Petronio). An-cora lavorando, qui D'Annunzio vive gli ultimi anni, ŕin-ché non verrä stroncato da un'emorragia cerebrale, il 1° marzo 1938. I ^^l^l^t^^t^^^Bjtazione e la conoscenza dľl mer-Con D'Annunzio siamo di fronte a uno serittore dotato di grande talento naturale, che si ě cimen-tato in tutte le forme e i generi: dalla lirica al romanzo, al teatro, alle novelle, dalla prosa di memoria e di introspe-zione alla prosa politica. II suo lavoro letterario, í cui ritmi instaneabili sono spesso determinati anche dalle pressanti necessitä economiche di una vita sfarzosa, ě guidato dalla straordinaria capacitä di cogliere le tendenze dominanti del gusto. Istintivamente "sociologo", cioě intenditore del mercato letterario della nuova societa allargata (per esem-pio il bisogno collettivo del romanzo e del teatro), D'Annunzio fin dall'esordio conquista i favori del pubblico. Uno dei piú acuti studiosi del suo stile di vita oltre che del suo lavoro, Ezio Raimondi, osserva che D'Annunzio «non perde mai il contatto con il pubblico, accettando la propria parte di personaggio come una specie di mito che va insieme vissuto e amministrato secondo il canone indu-striale della domanda e della offerta». Cosi si spiegano mold colpi di scena della sua esistenza: le clamorose prese di posizione politiche (la svolta a sinistra dopo i fatti del governo Pelloux, l'interventismo del 1915, gli eroismi di guerra, Pimpresa fiumana) e lo scandalo di alcuni amori vissuti pubblicamente e trascritti nei suoi libri (l'esempio piu famoso, ma non certo l'unico, ě il rapporto con la Duse, descritto crudamente nel romanzo IlFuoco). L'estetismo e l'identificazione tra vita e opere LI ri-ferimento culturale piu utile per capire D'Annunzio ě l'estetismo, cioě la tendenza a separare l'arte dalTesistenza corrente dandole un valore superiore, e il desiderio che anche lo stile di vita dell'artista sia di squisita qualitá: cfr. qui p. 300. D'Annunzio si conforma nelle opere, pre-ziose da ogni punto di vista (stile, contenuti), e nella vita privata che lui stesso definisce «inimitabile»: l'abbiglia-mento elegantissimo, gli amori con donne belle, note e perlopiu stravaganti, le case lussuose, stipate come musei, gli sport mondani e audaci: dai cavalli alle corse dei cani, all'automobile e all'aereo (la parola «velivolo» ě di sua invenzione), seguendo con tempestivita anche il pro-gresso tecnologico. «Io ho per temperamento» scrive «il bisogno del superfluo [...] ho voluto divani, stoffe pre-ziose, tappeti di Persia, piatti giapponesi, bronzi, avori, ninnoli, tutte quelle cose inutili e belle che io amo con una passione profonda e rovinosa.» e 1NTRODUZIONE ln italia delle nuove correnticulturalieuropee Altro dato da sottolineare ě la prontezza di D'Annunzio nell'assimilare le novitá cultu-rali e letterarie e nel trasportarle in Italia, perlopiú dalla Francia: in particolare nel passaggio cruciale dal naturali-smo al simbohsmo, nell'accogliere l'esperienza dei narra-tori russi appena tradotti in Francia, nel recepire il deca-dentismo nei suoi vari aspetti. Perció la sua scrittura pro-cede secondo le piu aggiornate esperienze europee, fino a impossessarsi negli anni novanta del pensiero di Nietzsche, per lui fondamentale sia nella riflessione sul mito e sul tragico, sia nella proposta dell'ideologia del superuo-mo, che peraltro veniva incontro a sue gia evidenti predi-sposizioni: di una specie di atteggiamento superomistico si puo dire che abbondino infatti, prima dell'incontro con Nietzsche, quasi tutte le opere e in particolare i romanzi, e gli stessi comportamenti biografici. O meglio: in D'Annunzio preesiste un dandy estetizzante, che Pinsegnamento di Nietzsche fa evolvere in superuomo, fornendogli un'i-deologia. Gabriele D'Annunzio Le opere: i romanzi, k «0 rinnovarsi o morme! Nella prefazione al romanzo breve Giovanni Episcopo (1891) D'Annunzio scrive: «0 rinnovarsi o morire!». Queste parole possono valere come il manifesto della sua intera carriera, distinta da un conti-nuo "rinnovamento" di forme, temi, modi, presente con-temporaneamente in prosa e in poesia, gestite sempre in parallelo. II critico Luciano Anceschi ha osservato che, se il lavoro di D'Annunzio si puô definire manierista, cioě fondato sulla ripresa di esperienze culturali altrui, D'Annunzio non si orienta pero verso un unico «Modello Esemplare», ma verso «molti, successivi, e variabilissimi Modelli Esemplari che si sostituiscono continuamente tra loro». Si aggiunga che D'Annunzio raggiunge, nonostante ľuso dei vari «ModeIli», una propria originalita, sia strutturale sia stili-stica, e che dentro il costante "rinnovamento" ě lo serittore italiano piu sensibile alia cultura simbolista e decadente europea. Da ciô gli derivano sia l'attenzione al simbolo na-scosto sotto il reale e alle segrete "corrispondenze" (per usare il termine baudelairiano); sia il potere attribuito al-ľarte e alla parola, che egli giudica un esercizio di "veg-genza" quasi magicamente divinatoria. Uno stile fastoso, aulico e musica . II laboratorio tec-nico e linguistico dannunziano ě eccezionalmente ricco: lo stile ě elevato e nobile, dominato anche in prosa da vo-lontä di ritmo e musicalitä; il lessico ě aulico e arcaico, ra-ramente si abbassa al quotidiano, ed ě alimentato regolar-mente dalla perlustrazione dei vocabolari, strumenti ap-prezzatissimi da D'Annunzio che li saccheggia con siste-maticitä. I suoi testi di riferimento sono molteplici: dai testi letterari classici (ľantichitä romana e greca e la nostra tradizione illustre) a quelli contemporanei specialmente stranieri, a testi di critica, ad articoli di giornale, a manuáli vari e perfino a guide turistiche, oltre ai vocabolari giä ri-cordati, Da questi modelli D'Annunzio ricava molto spesso veri e propri calchi, persino sfacciatamente. Tale aspetto fu colto dai contemporanei, che lo accusarono di plagio in una famosa polemica, scatenatasi tra il 1895 e il 1896, che «finiva con l'essere ancora una operazione pubblicita-ria» (Raimondi). II punto critico piu interessante della questione ě forse questo: D'Annunzio pone sullo stesso piano disparati materiali che usa come fonte, alia stregua di element! da riplasmare e fare propri, si tratti di autori il-lustri delle piu varie epoche e culture, o di testi molto meno prestigiosi e piu occasionali, di voci e intere citazioni vocabolaristiche, di lettere private alle sue donne e di sue note di taccuino. II tutto viene riutilizzato come una specie di grande "vocabolario", per creare una pagina che nonostante la combinazione degli apporti resta inconfondibil-mente dannunziana. La scrittura di D'Annunzio risulta molte volte stucchevole per l'eccesso di magniloquenza, di enfasi e autocompiaci-mento, ě sovraccarica di temi fastidiosi (il superuomo, la joesie, il teatro retorica patriottica ecc), ma altre volte raggiunge risultati aerei, musicalissimi, di penetrante intensita, specie in Alcyone e nelle prose memoriali del periodo "notturno". Tecnicamente, non va dimenticata la sapienza metrica e ritmica, che consent! a D'Annunzio, partendo dalla lezio-ne carducciana delle Odi barbare, di arrivare a soluzioni brillanti, come l'invenzione della «strofa lunga» di Maia, riutilizzata liberamente anche in Alcyone. FINoA QUI PWKucC. E di verga NELLElfctoo Non sorprende che D'Annunzio esordisca appena sedi-cenne, con la raccoltina poetica Primo vere (1879), sulla scia del piu autorevole maestro italiano dell'epoca, il Car-ducci "barbaro", lasciando giä intravedere una delle co-stanti della propria ispirazione: il sensuale abbandono alla nátura e all'istinto. Nel 1882 Angelo Sommaruga, un editore operante in Roma molto adatto a D'Annunzio perché attento ai gusti del pubblico borghese e alla necessitä di un'oculata propaganda, gli pubblica sia le poesie di Canto novo (dove ancora dominano i metri barbari e nei contenuti sensualismo e panismo) sia i racconti abruzzesi di Terra vergine, omaggio al verista Verga, ma con le debite differenze: D'Annunzio esprime una naturalitä primitiva improntata a un arcaismo estetizzante, molto lontana dalľausteritä del modello. Giä agli esordi, D'Annunzio ě al passo con i tempi, ma per ora si limita a seguire i maggiori modelli italiani. Nel 1883 il nuovo volume, non piú in metri barbari ma solo moderní, Intermezzo di rtme (sempre per Sommaruga), suscita scandalo per ľerotismo dei testi: il dibattito relati-vo (con seritti di Chiarini e di altri critici di nome) viene raccolto da Sommaruga in un libretto "promozionale", Alla ricerca della verecondia (dove prevalgono le prudenze moralistiche). Nel 1886 esce una raccolta poetica di gusto arcaizzante, Isotta Guttadauro, vicina al preraffaellitismo inglese (il ce-nacolo di artisti decadenti che si rifacevano alla pittura e alla poesia prerinascimentale italiana) e piú in generále al decadentismo francese e inglese. In questi stessi anni, mentre nello scenario culturale europeo sta tramontando il naturalismo, D'Annunzio awia la sua lunga esperienza di romanziere, indirizzandosi verso un genere moderno destinato ai favori del pubblico. Lo colpisce molto la lettu-ra di A rebours (Controcorrente, 1884) di Huysmans, per il suo estetismo sfrenato, tra raffinatezze e perversioni macabre. RPiacere. un romanzo estetizzante e simbolista Nel 1889 esce II Viaceré, il suo primo romanzo, stampato con il maggiore editore d'Italia, il milanese Treves, da allo-ra suo editore, scelto accortamente per collegarsi con il piú attivo centro della penisola e con la piú moderna indu-stria culturale. Attentissimo alle novitä europee, II Piacere é un romanzo di gusto simbolista-decadente. Ambientato 379 Dal realismo al simbolismo in una Roma elegante e frivola, propone un eroe contem-poraneo, un estéta aristocratico, letterato e uomo cli mon-do, Andrea Sperelli, primo di una galleria di dandy e "su-peruomini", nonché primo ritratto dell'autore, delle sue passioni amorose, letterarie, mondäne. Ľintreccio erotico ě scandaloso e drammatico, lo stUe ě prezioso, con abbon-danza di forme arcaiche e con continui effetti lirici. Per ľanalisi dettagliata cfr. Lopera, pp. 384-385. Ľintimismo influenzato dai romanzieri russi e ľesperienza delia "bontä" Nel decennio 1880-90 si diffonde in Francia la conoscenza del romanzo russo ottocentesco (da noi presentato alle pp. 246-250). D'Annunzio leggeva con molto interesse le tra-duzioni francesi cercandovi un'altra strada da percorrere, dopo la liquidazione naturalista e ľesperienza estetizzante del Viaceré. Ľawicinamento ai narratori russi significa per lui ľappropriazione di nuove tematiche intime; da un lato la bontä e la pieta sorrette da una potente spinta religiosa e cristiana (secondo il modello di Tolstoj), dalľaltro ľos-sessivo conflitto psicologico, con lo scavo tra patologie e alterazioni mentak (Dostoevskij). Con il racconto lungo Giovanni Episcopo (1891, in volume nel 1892), delirante confessione in príma persona di un delitto ďamore ambientato in una squallida Roma piceolo-borghese e impiegatizia, D'Annunzio si aeeo-sta äbílmente al modello formale e tematico di Dostoevskij. Nel piú complesso romanzo Ľinnocente (seritto nel 1891, edito in volume nel 1892) tende invece a congiungere ľesperienza di Tolstoj (cioě il fascŕno delia "bontä", delia natura e delia campagna, percepito pero in senso estetizzante con eccessi stueehevoli) con ľimpulso patologico alla Dostoevskij, ehe nella fattispecie provoca un tremendo infanticidio. La vicenda deWInnocente ě questa: il dissoluto dandy-su-peruomo di turno, Tullio Hermil, seopre ehe la moglie, sempre tradita ma fedehssima, ě incinta di un altro uomo; accetta la gravidanza per evitare scandaH, ma poi espone il bimbo («l'innocente») al gelo, per provocarne la morte. Ľ romanzo é raccontato in prima persona dal protagonista secondo lo schéma dostoevskijano delia "confessione" (giä usato nAYEpiscopo). Lo stile, molto piú ehe nel Viaceré, tende verso una dimessa sobrietä. a Poema paradisiaco II correlato poe-tico di questo "abbassamento di tono" ě la raccolta delle Elegie romane (1892), traserizione di un amore sullo sfon-do seducente di Roma; e piú ancora il Poema paradisiaco (1893) (o "poema dei giardini", secondo il significato del greco parädeisos). Con questo testo, D'Annunzio inaugura una nuova moda poetica, anch'essa trasportata dagli am-bienti letterari francesi: il passaggío dal parnassianesuno al simbolismo, la lettura delľallusivo poeta e drammarurgo belga Maurice Maeterlinck, ľingresso dei temi delia 380 "bontä" e delia "pieta". H Poema paradisiaco rappresenta perciô il versante languido e colloquiale del grande speri-mentatore D'Annunzio: insomma la voce piú estenuata del suo sempre letteratissimo decadentismo. I temi privile-giati sono il ripiegamento introspettivo, le malinconie di amori prossimi a spegnersi o comunque dolorosi, la rievo-cazione dei lontani affettí familiari alia ricerca di una rige-neratrice "innocenza". La tecnica stilistica ě "bassa": ricca di ripetizioni, di segmenti di discorso diretto, di interrogative ed esclamative, di punti di sospensione: tecnica ehe erea inconsuete analogie con Pascoli e ehe preannuncia molte scelte del futuro erepuscolarismo. La decisiva scoperta di Nietzsche e di Wagner Nel frattempo D'Annunzio andava giä oltre: i primi anni novanta vedono la scoperta di Nietzsche e di Wagner. Dal 1891 D'Annunzio ě a Napoli e ha ripteso ľattivitä giorna-listica, specie sul "Mattino" delia coppia Scarfoglio-Se-rao, con numerosi articoh critici dove elabora il supera-mento del naturalismo. Qui auspica la creazione del romanzo moderno, dalla prosa allusiva, tanto musicale da «gareggiare con la grande orchestra wagneriana nel sug-gerire ciô ehe soltanto la musica puô suggerire»; e presen-ta Nietzsche come ľassertore di un nuovo modello di uomo moderno, «libero, piú forte delle cose» e, ideologica-mente, «rivoluzionario artstocratico». Il TmoNfo vella mokte Ma Giorgio Aurispa, protagonista del romanzo edito allora, Trionfo delia morte (1894), non ě ancora un superuomo, perché torbidamente malato nella volonti. Colto, appassionato (come D'Annunzio) di Wagner e in particolare del Tristano e hotta (l'opera del 1859 simbolo di amore e morte), Giorgio ě legato con una relazione distruttiva a Ippolita Sanzio. Oppresso dalla sua stessa sensualitä, infine uccide la donna e se stesso. La tra-gica vicenda amorosa di Tristano e Isotta sembra fungere da modello alla catastrofe di Giorgio e Ippolita. (Sul per-sonaggio di Ippolita e sulle rappresentazioni femminili perverse di D'Annunzio e delia cultura decadente, cfr. IN-TERSEZIONI: Immagini femminili tra fine Ottocento e primo Novecento, pp. 416-421.) II tema del superuomo trionfa invece nel romanzo Le vergini delle rocce (1895): il tentativo di riscattarsi dalla mediocritä della democrazia coeva (del «grigio diluvio democratico» si parla sprezzantemente néílntroduzione del romanzo) fa desiderare al protagonista Claudio Cantelmo, attraverso il matrimonio con una di tre nobili sorelle, di mettere al mondo un futuro re di Roma. II debole intreccio pero si dissolve in figurazioni simboliche, dentro una prosa intonata musicalmente, da romanzo-poema-sinfonia. ĽIMPEGNO critico e tNVENTIVO per la rinasctta del m1to Nel 1895 D'Annunzio rilascia un'intervista a Ugo Ojetti, autore di un volume di colloqui con i piú cerebri scrittori Gabriele D'Annunzio italiani dell'epoca (Alla ricerca dei letterati): qui auspica con enfasi un moderno «Rinascimento» rieco di contenuti mitici, secondo l'insegnamento di Nietzsche, che nella sua Nascita della tragedia (1872), studiando la civiltä greca, af-fermava che la morte del mito tipica della modernita segna la morte della poesia. Importanza decisiva ha, in questo stesso anno, la giä citata crociera compiuta in Grecia, in un'epoca in cui le Campagne archeologiche avevano assunto straordinario rilievo (si pensi, per citare il easo piú noto, alle scoperte di Schlie-mann a Micene). La produzione teatrale Insieme con la carriera politica, nel 1897 D'Annunzio av-via quella teatrale (favorita dall'incontro con la Duse): coincidenza significativa poiché, come scrive Contini, «il teatra ě uno strumento di presa sulle moltitudini»; e, come sottolinea Raimondi, «teatro e politica [...] rivelano [a D'Annunzio] la realtä complessa della "moltitudine", che ě non piü soltanto un pubblico anonimo e distante, ma una forza da conquistare in un dialogo diretto, in una li-turgia essenzialmente fisica». Si collocano in questi anni molti testi teatrah, prima in prosa poi in versi, dominati da tematiche voluttuose e catastrofiche, tra cui Sogno d'un mattino dt primavera (rappresentato a Parigi con la Duse); La citta morta (ancora a Parigi, ma in francese con la fa-mosissima attrice Sarah Bernhardt); La gloria; Francesca da Rimini (1902, la prima tragedia in versi, di materia medievale e dantesea, passata al filtro di un manierismo archeo-logico decadente); La figlia di lorio (1904, ancora in versi, ambientata in un Abruzzo mitico e atemporale). Seguorfo testi drammatici di chiara implieazione politica: Piů che l'amore (1906, dove trapela l'incipiente nazionalismo); La Nave (1908, in versi, di marca imperialista). Del 1909 ě Fe-ira, di tematica incestuosa; mentre il misticheggiante Le martyre de saint Sébastien (II martirio di san Sebastiano) -scritto in francese - sarä musicato dal grande compositore Claude Debussy. (Sul lavoro teatrale di D'Annunzio ali-mentato dal mito, cfr. intersezioni: Mito, cultura, letteratu-ra: qualche percorso, pp. 422-427.) Una menzione merita infine Cabiria (1914), soggetto cinematografico, che testi-monia l'incursione in tutti i campi tentata da D'Annunzio. II rifaeimento di Carito novo Ritornando agli anni novanta, nel 1896 D'Annunzio riela-bora, rifacendola quasi del tutto, la raecolta poetica giova-nile (1882) di Canto novo. Le due edizioni sono diversissi-me tra loro, tanto da poter dire che si tratta di "due libri" piuttosto che della revisione di uno. Del resto, tra il 1882 e il 1896 D'Annunzio aveva attraversato le esperienze fon-damentali che si sono dette, dall'adesione alla cultura sim-bolista aH'awicinamento a Nietzsche. II rifaeimento di Canto novo si inquadra in questo contesto: e infatti abban-dona 1'originario naturalismo e deserittivismo a favore di un nuovo orientamento mitico. La struttura generale ě molto sfoltita (da piú di sessanta testi si passa a ventisette) e nfatta sobriamente (perciô la definizione delľautore a Treves, di un «libro quasi grecamente composto»). Canto novo del 1882 presentava un disordinato aceumulo di metri ("barbari" carducciani e tradizionali) e un taglio com-posito, indulgendo a maledettismi di maniera e ad accenti di ribellismo sociale. D'Annunzio elimina i metri tradizionali, conservando le barbare, ma con tecnica piú raffinata e con un ritmo piú originale ehe anticipa le novitä di Maia e Alcyone; e fa cadere maledettismo, deserittivismo e toni di maniera, lasciando prevalere un sensualismo panico di cui accentua il significato simbolico-mitico. L'ambizioso romanzo II Fuoco Nel 1900 esce ll Fuoco, complesso romanzo dai tanti ingre-dienti. D'Annunzio stáva allora vivendo la relazione con la Duse, attrice celebre, un po' piú anziana e piú volte tradita. Nel Fuoco D'Annunzio squaderna 1a loro storia con parti-colari anche sgradevoli: la crisi in atto, un nuovo amore (reale) con una giovane amica della Duse, ľinvecehiamento e la gelosia delľattrice. La vicenda si svolge in una decadente Venezia (efficacemente ritratta), e ne é protagonista Stelio Effrena, altro dW/y-superuomo, intellettuale briliante ehe diseute con una cerchia di colti amici (tra cui Daniele Glauro, dove é trasposto ľamico Angelo Conti) di pro-lisse questioni estetiche e letterario-musicali. Anche qui ha un posto notevole il culto di Wagner (ehe entra persino in scéna; inoltre il romanzo si chiude con la sequenza del suo funerale, awenuto in effetti a Venezia nel 1883). Le Laudi, ľesito poetico piu alto Nel 1903 escono i primi tre libri delle Laudi (il cui titolo completo, di ispirazione francescana, é Laudi del Cielo del Mare della Terra degliEroi), dove, almeno per ampi tratti, si esprime il massimo dei risultati poetici raggiunti da D'Annunzio. Ogni libro doveva prendere il nome da una delle sette stelle della costellazione delle Pleiadi (le miti-che giovani trasformate in stelle per proteggere la vita umana). Del progetto (incompiuto) vedono la luce nel 1903 Maia, Elettra e Alcyone. Seguiranno Merope (1912) eAsterope (1933), raccolte di magniloquenza civile e politica (Merope sulla guerra di Libia, Asterope sulla prima guerra mondiale). Maia inaugura il cielo (esce nel maggio 1903, presso Treves) ed é aperta da due componimenti ehe funzionano come esordio per ľin-tera serie delle Laudi: Alle Pleiadi e ai Fati e Ľannunzio. Alle Pleiadi e ai Fati, in terzine, ricco di reminiscenze dan-tesche, introduce il tema-mito di Ulisse, ľeroe e viaggiato-re, eletto a figura-guida di Maia. Ľannunzio tiprende la struttura metríca delle antiche laudi (Gavazzeni) ed é scandito dal grido «11 gran Pan non é morto!», ehe annun-cia un nuovo paganesimo, poiché Pan (dio delia potenza sessuale) rappresenta la pienezza della vita cosmica e ľi-dentificazione dio-natura. Su queste basi si sviluppa ľine-briante ritorno alľantica Grecia, sede di tutti i miti, ehe 381 DAL REALtSMO AL SIMBOLISMO costituisce la Laus Vitae (Lode delia Vita), il poema di 8400 versi che occupa quasi per intero Maia e che vede ľ originale creazione metrica della «strofa lunga» (cfr. pp. 399-400.) L'iNTRECcio del poema Lo spunto autobiografico ě la crociera dell'estate 1895 sullo yacht di Scarfoglio, con altri amici. Ii viaggio, miticamente trasfigurato, ě il perno del-ľopera, ed ě preceduto da una lode alia vita in tutti i suoi vari e molteplici aspetti. Dal canto terzo inizia il pellegri-naggio ai luoghi dell'antichitä (ľ«Ellade santa»), e subito awiene l'incontro con Ulisse, eroe "tutelare" dell'impresa. Itaca, Patrasso, Olimpia, Delfi, Aténe, Delo, sono le tappe principáli del viaggio, piene di rievocazioni classiche e mi-tologiche. L'eroismo degli antichi campi di battaglia ri-chiama al poeta per contrasto ľorrore delle cittä moderne, prive di ogni spinta eroica. Per antitesi, lasciata la Grecia, il poeta si rigenera a Roma, in un altro «luogo santo»: la Cappella Sistina affrescata da Michelangelo, i cui titanici personaggi (allegoria del Dolore umano) sollecitano al ri-scatto daU'awilente condizione dell'uomo moderno, invi-tando come Ulisse all'eroico isolamento in se stessi («Sil solo [...] e nel tuo cammino sii solo, / sii solo nelľ ultima altura»). Procedendo dai mitici luoghi sacri, D'Annunzio esamina le contraddizioni contemporanee: il popolo che ha bisogno di nutrimento fisico e ideale, i demagoghi che dispensano menzogne, le guerre che infuriano. Appartan-dosi nella sohtudine del Deserto (la necessitä ritemprante della solitudine era indicata nel Cosi parlô Zaratbustra di Nietzsche, del 1883), D'Annunzio incontra la Felicitä e per lei compone un «canto novello», utilizzando la «mitica forza» del linguaggio italico. Infine stende un omaggio a Carducci, il «Maestro» che prima di hi aveva dato espres-sione al classicismo ellenieo e anticristiano, e conclude con una preghiera alia Natura, «madre immortale», al cui ab-braccio si abbandona, prima di essere cbiamato a nuove imprese poetiche. Il fondamento mitico fornlto da Nietzsche Main (av-viata nel 1896 e stesa quasi integralmente nel 1902-03) mette a frutto una ricca serie di esperienze culturali. L'o-rientamento di fondo proviene dalla giä citata Nascita del-la tragédia di Nietzsche, con l'esakazione della civiltä gre-ca arnica contro la decadenza della modernita: attraverso questa interpretazione, la Grecia appare a D'Annunzio come la culla dei miti e del tragico e il viaggio ě un ritorno alia fonte della civiltä occidentale. Perciö Maia «segna [...] la progressiva riconquista delia classicitä, non solo sul piano estetico o letterario, ma anche su quello ideologico» (Gibellini). A questa luce vanno intese altre opere dan-nunziane: non solo la riscrittura di Canto novo (1896) e l'impresa del teatro, ma lo stesso Alcyone basato su analo-go fondamento mitico. In Maia il viaggio greco si alterna con quadri italiani (una parentesi toscana, e poi la visita alia Cappella Sistina di Michelangelo), perché il Rinascimento italiano secondo D'Annunzio rinnovô la cultura classica; mentre il riferi-mento ai luoghi contemporanei vale come invito a ripristi-nare nella nuova realtä sociále un terzo possibile Rinascimento. E chiaro perché D'Annunzio definisse Maia «ij primo poema moderno ehe raccoglie in sé la materia in-candescente della vita nova e i ricordi del Passato augustom Numerosi spunti provengono inoltre dalla cultura france-se tra i due secoli (opere come quelle di Edouard Schuré sui Santuarid 'Oriente, di Charles Diehl sulle Escursioni ar-cheologiche in Oriente, oppure i testi erotici e di manieri-smo alessandrino di Pierre Louýs, o la traduzione degli antichi Inni orfirí a opera del parnassiano Leconte de Lisle). Nello stile, il "poema" pecea spesso di eloquenza e retori-citä, ma contiene aleuni squarci lirici non di rado afŕini ad Alcyone. E con Alcyone che D'Annunzio tocca il veitjce del suo lavoro poetico. Elaborate dal 1899, Alcyone, terzo libro delle Laudi, esce alia fine del 1903 (il secondo libro é Elettra, pure edito nel 1903, di cui ricor-deremo almeno i celebri ritratti di cittä provinciali italiane, Le cittä del silenzio). Alcyone si presenta in apparenza come la trascrizione "urica" di un'estate in Versilia trascorsa in compagnia della Duse, ma piú profondamente si rivela la suggestiva mitiz-zazione del dato naturale, ancora una volta secondo l'inse-gnamento di Nietzsche. La raccolta, che include alcune delle poesie piu meritatamente famose di D'Annunzio, ě un canzoniere organico di accurata struttura. Per ľanalisi dettagliata cfr. Lopera, pp. 401-402. I vecchi temi e ľattualitä dell'aeroplano in Forse che «forse che no Nel 1910 esce ľultimo romanzo di D'Annunzio, Forse che si forse che no, con ľapporto di recenti esperienze perso-nali: l'entusiasmo per il volo che aveva portato D'Annunzio a frequentare i primi campi d'aviazione e a cimentarsi come pilota (il protagonista maschile Paolo Tarsis ě aviato-re); I'amore per Giuseppina Mancini, vittima di gravi di-sturbi mentali (il cui resoconto fu steso nel 1908 in un'o-pera edita postuma, Solus ad solam, utilizzata nel romanzo per descrivere la follia della protagonista femminile, Isabella). Gli elementi di modernita tecnologica (aerei, automobi-h) conferiscono attualitä al romanzo: ě di questi anni il mito delle nuove tecnologie esibito sia dai futuristi, Ma-rinetti in testa, sia da Mario Morasso, amico di D'Annunzio e autore di libri che inneggiano alle nuove inven-zioni meccaniche (in particolare, "La nuova arma {la mac-china), del 1905 (cfr., nel vol. 7, pp. 236-241, lntersezio-Ni: limito della velocitä e delta macchina). Ma l'opera in-treccia miti moderni con vecchi temi dannunziani: infat-ti D'Annunzio ricava dalľultima tragédia, Fedra, ľele-mento delľincesto e lo unisce a quello del delirio mentale. Di primaria importanza lo sfondo, proiezione dei senti- Gapriel£ D'Annunzio menti turbati dei protagonisti: la decaduta Mantova, la te-tra Volterra. Ľunico a salvarsi dal fosco intreccio amoroso ě Paolo, con la catarsi del volo: partendo alia Ventura, dal Lazio atterra sulle coste della Sardegna. In Forse ehe si forse che no si assiste alia disgregazione delle strutture narrative e a una prevalenza del carattere oni-rico-simbolico: l'opera si risolve in una serie di frammenti allineati con sapienza ritmica e musicale e con gusto deca-dente-visionario. La fase "notturna" Con le prose antinarrative, di memoria e di diano mtitola-te Lefaville del maglio si apre dal 1911 una nuova fase nel lavoro dannunziano: non piů romanzi, né raccolte poetiche, ma 1'affermarsi della prosa lirica, al confine tra le due categorie di poesia e prosa. Si ě giä osservato come il romanzo in D'Annunzio tendesse a far predominate le partí linche e si caratterizzasse per ľevocazione antirealistica e simbolico-onirica, che (insieme con la perlustrazione delľ"ignoto") si potenzia nelle prose dell'ioltimo periodo, dove manca il sostegno di un filo narrativo. Questi sinteticamente i testi: Le faville del maglio (scintille originate dal fabbro quando batte con il martello, «maglio», suU'mcudine; cioě noticine stese dalľartista in mar-gine a opere maggiori) uscite sul "Corriere della Sera" a puntate dal 1911 al 1914 e poi raccolte in due volumi nel 1924 e nel 1928; Contemplazione della morte (1912), serit-ta per la morte di Giovanni Pascoli e dell'amico francese Adolphe Bermond; la Licenza (1916) e il racconto La Leda senza cigno (1913), in volume insieme nel 1916; il Nottur-' no, steso prevalentemente nel 1916 ed edito nel 1921; il senile Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto, pubblicato nel 1936, ma collettore di frammenti spesso preesistenti. Tale fase ě conosciuta con ľaggettivo di "notturna", sia perché prende il nome dalla piu nota di queste opere, il Notturno; sia perché ľindagine dell"'ignoto" si esprime in modi sottili favoriti dal mistero della norte, come si legge in una favilla del 1912: «Sembra che la piu potente arte evocatrice debba essere, come la magia, notturna». Ma non si deve pensare (come talora impropriamente si legge) che ci troviamo davanti a un D'Annunzio spontaneo, immediate, privo di strumentazione retorica e di compiaci-menti linguistici e superomistici, La letterarietä ě un elemente costitutivo di DAnnunzio, sempre presente nella sua pagina, anche in quella dall'apparenza meno ornata. Le prose "notturne" non si distinguono dunque per "sem-plicitä" e "genuinítá", ma per uno stile privo di costruzio-ne romanzesca, concentrate sul proprio io interiore e sui segreti nascosti sotto le cose. Il manefesto del simbolemo "notturno": Dfi±'.\ttenzione II testo cardine del simbolismo "notturno" dannunziano, quasi un manifeste, ě la "favilla del maglio" del 1911 inti- tolata Dell'attenzione. Qui D'Annunzio chiarisce il segreto della sua nuova arte serívendo: «Di tutte le mie facoltä quella che piü assiduamente stimolo e aguzzo ě ľattenzio-ne». Questa specie di «attenzione» stimola la "veggenza" e la capacitä "visionaria", le grandi qualitä esercitate dal D'Annunzio "notturno", nel suo cammino «dentro ľigno-to». Anche lo stile ě sensibiiissimo: attento al ritmo, sfrutta musicalmente le consuete strutture iterative e simmetri-che, usa una sintassi franta, spesso nominale, é ricco di antitesi, ossimori, di interrogative retoriche ehe producono un effetto di "trasognamento". H Notturno, di cui si troverä antologizzato un frammento alle pp. 413-414, ě un diario lirico della guerra, seritto per gran parte nel 1916. D'Annunzio era in zona di guerra: dopo ehe (dicembre 1915) era morto il suo píú fidato compagno di volo, il pilota Giuseppe Mira-glia (commemorate nel Notturno), nel gennaio 1916 durante un ammaraggio forzato nelle acque di Grado (provincia di Gorizia) fu egli stesso vittima di un infortunío ehe gli proeurô la cecitä totale e definitiva delľoccbio de-stro e fece temere anche per il sinistra. Costretto alľim-mobilitä e al buio per due mesi, assistito dalla figlia Renata (da lui affettuosamente chiamata «la Sirenetta»), D'Annunzio si fa ritagliare da Renata sottili liste di carta sulle quali verga una riga per striscia con serittura incerta: sono questi i "cartigli" su cui ě stesa buona parte del Notturno, poi pazientemente ricopiati da Renata stessa. II lavoro fu ripreso piü avanti dalľautore - che presto tornô a impe-gnarsi nelle azioni di guerra - e stampato nel 1921, presso Treves. II títolo, Notturno, é un riferimento alio state di cecitä che per contrasto rende piü acuti gli altri sensi e la concentra-zione delľartista. L'opera, anche per la connessione con le imprese di guerra che rievoca con molta enfasi, ebbe grande risonanza; e nel 1921 molti critici si aecorsero della no-vitä dello stile dannunziano: frammentista, inattesamente moderno nella brevitä sintattica. L'allora giovane critico Emilio Cecchi rese omaggio al vecchio maestro con pagine di grande acume, intitolate Esplorazione d'ombra, dove de-scrive il ritorno in scena di D'Annunzio con una maliziosa battuta: «Era tornato il gatto. Ed era giusto che il gatto fosse tornato di notte, a passi di velluto. Si ristabili d'in-canto il senso dell'ordine. Si fece un silenzio pieno di ge-rarchia». Cecchi intuisce anche che il D'Annunzio "notturno" ě molto vicino alle «ricerche e scoperte dei "giova-ni"», alludendo alla letteratura vociana (di cui parleremo nel vol. 7, p. 268 e ss.), anch'essa lirica, frammentista e in-novativa. La laboriosa e multiforme camera di D'Annunzio si chiu-de su una sperimentazione di notevole modernita, dove frammenti di penetrante intensita convivono con gli atteg-giamenti del superuomo, ormai vecchio e recluso nel suo stesso mito, in quella claustrofobica casa-museo che ě il Vittoriale, pensata a lode di sé, 383 Gabriele D'Annunzio II Piacere DaTI compositivi ed editoriali H primo romanzo dannunziano fu scritto tra ľestate e il di-cembre 1888 nell'ospitale casa "II Convento" dell'amico pitto-re Francesco Paolo Michetti a Francavilla a Mare, in Abruzzo, e fu stampato presso Treves, a Milano, nel 1889, con notevole successo ma anche con qualche scandalo per la vicenda sca-brosa e ľirnmoralitä del protagonista. Nel 1895 usci la tradu-zione francese del romanzo (con il titolo ĽEnftmt de volupté, letteralmente "II ragazzo di piacere"), a opera dell'amico Georges Hérelle, traduttore di D'Annunzio per molů anni. II těsto fu rimaneggiato strutturalmente dall'autore, prima di passarlo a Hérelle, sia per rendere piú lineare la scansione delia vicenda, sia per eliminare alcuni episodi o parúcolari dedot-ti troppo smaccatamente da testi del decadentismo francese. Il protagonista, Andrea Sperellí, ě un dandy, intellettuale finissimo e poeta, ma altrettanto finemente immerso nella piú scintillante ed esclusiva vita mondana di Roma. Andrea ě diviso tra due relazioni amorose: con la bellissima ex amante, la sensuale e inafferrabile Elena Muti, ricom-parsa in citta sposata con un lord inglese dopo averlo ab-bandonato ďimprowiso piú di un anno prima, e la pura e spirituále Maria Ferres, moglie di un ministro del Guatemala (un tocco di esoúsmoO, incontrata di recente nella residenza in campagna della cugina di lui, durante la con-valescenza per una ferita ricevuta in un duello. L'attiazio-ne verso le due donne antitetiche (Elena rappresenta 1'eros corrotto e fatale; Maria la dedizione nobile e dolce) tor-menta Andrea, che in un suo perverso gioco mentale, in-gannando entrambe le donne, tenta di intrecciare i due amori, per crearne un terzo, immaginario e perfetto. La vicenda si colloca in prevalenza in una Roma aristocratica e snob, tra corse di cavalli, ricevimenti principeschi, pranzi fa-stosi, concerti, vendite alľasta, pettegolezzi, case eleganti e si-gnorili. Andrea altema cinicamente le due relazioni finché al culmine di un incontro erotico con Maria (perdutamente in-namorata di lui, ma costretta a lasciare Roma perché il marito ě stato scoperto mentre barava al gioco) la chiama inawerúta-mente con il nome di Elena, facendole intuire la sua finzione. 384 I modelu letterari e le fonti interne II ritratto del dandy ed estéta ě ispirato al romanzo di Huysmans del 1884, A rebours (cfr. pp. 313-314), dove il personaggio del duca Jean Floressas Des Esseintes offre il prototipo del genere, pero con una serie di disagi nevrotici e psicosomatici ignoti al prestaňte Sperelli. Des Esseintes suggerisce a D'Annunzio soprattutto il codice dell'esteti-smo piú raffinato: stravaganze negli arredi, squisitezza del-le collezioni librarie e pittoriche, dove sono al primo posto i manieristi e gli irregolari di tutte le epoche (dai latini della decadenza al simbolismo letterario e pittorico del secon-do Ottocento), e il culto di uno stile di vita artificiale e ari-stocratico, awerso al gusto medio, di cui si disprezza la volgaritä. Ma per il resto il romanzo di Huysmans ě lonta-no dal Piacere: non vi si rintraccia alcuna vicenda effettiva; né tanto meno gli intrighi passionali ed erotici che ínvece D'Annunzio predilige costantemente. 11 Piacere si awale di una xicca rete di sostegno letteraria, períopíú dedotta dai romanzieri francesi del secondo Ottocento. Tra gli autori piú citati: Flaubert, Maupassant, i Goncourt (anche dal monumentale diario pubblicato da Edmond dal 1887 al 1896); i narratori postnaturalisti, come Paul Bourget, molto attento alľintrospezione psicolo-gica anche nelle personalita nevrotiche e tormentate, e lo svizzero Henri Frederic Amiel, autore lui pure di un diario alľepoca molto noto (Journal iníime, 1883-84); narratori minori allora in voga di area estetizzante e decadente (come Joséphin Péladan, Jean Lorrain ecc). II lavoro di D'Annunzio ě sempře "a mosaico", con ľintreccio di ma-teriali dísparati e con una riuscita estremamente personále. Inoltre D'Annunzio, per la descrizíone della Roma salottiera aristocratica e altoborghese, sfrutta molto spesso i pezzi della propria collaborazíone giornahstica degli anni 1884-88 alia "Tribuna" di Roma, ricavandone sequenze narrative o de-scriáoni o dettagh ďambiente e di personaggi o spunti vari. Alio stesso modo reimpiega anche frasi ed espressioni delle lettere spedite a Barbara Leoni (suo grande amore dal 1887 e modello almeno parziale di Elena, incrociato con altri, per esempio la giornalista Olga Ossani, altra piú breve relazione di quegli anni). Gabriele D'Annunzio TeMI e personaggi II nucleo centrále del romanzo ě il triangolo amoroso Andrea-Elena-Maria. Andrea viene sempře piú tentato dall'«infame pensiero» (cosi l'autore) di arrivare a una sin-tesi tra le due donne, sovrapponendo le due diverse iden titáin una terza ideálee migliore. Con ció,lartificio, cheě il principio sempře seguito dal dandy (come giá avevano insegnato Baudelaire e poi Huysmans), ha la meglio sul naturale, e la ricerca estetizzante prevale sulla ricerca affet-tiva: la sacrificata ě Maria, la piú debole del terzetto, perché Tunica profondamente coinvolta nella relazione e fi-duciosa di non essere ingannata. La costruzione formale basata sul "raddoppio" II "duaUsmo" o "raddoppio" tematrco diventa anche ele-mento formale e costruttivo, perché I'alternanza e la so-vrapposizione delle due tipologie femminilí ritorna di con-tinuo come una specie di ritornello o leitmotiv che funzio-na da cardine del těsto. D'Annunzio, narratore antirealista, cerca 1'unitá nel romanzo attraverso effetti di tipo ritmico e musicale: ripeti-zioni, ripresa di sequenze estese o minute, legami simboli-ci. Nel Piacere gioca in particolare sul "raddoppio" delle scene che vedono comparire le due donne, creando sim-metrie continue; entrambe nei convegni con Andrea pre-parano il tě, entrambe sono interrotte dai baci di Andrea; il primo incontro di Andrea con Elena ě favorito dalla cugina di lui, e cosi il primo con Maria; e ancora: Elena e Maria sono diversissime, ma accomunate da un particolare, la voce molto simile (cosi Andrea riascolta Maria in Elena, come chiede a Maria gesti che gli ricordino la precedente amante). Uno stile musicale e poetico Lo stile ě ricco e prezioso, con predilezione per forme rare e accurato studio sintattico che spinge la prosa verso risultati li-rici. Nella prefazione al romanzo del 1894, Trionfo della morte, D'Annunzio, che ormai conosce anche Wagner ed ě affa-scinato dal suo tentativo di «dramma totale» dove convergo-no tutte le arti (musica, letteratura, scénografia), sottoknea la propria ricerca di «un ideál libro di prosa moderna che - es-sendo vario di suoni come un poema [...] - armonizzasse tutte le varieta del conoscrmento e tutte le varieta del mistero, al-ternasse le precisioni della scienza alle seduzioni del sogno; sembrasse non imitare ma "continuare" la Natura». Un romanzo "simbolista" Perché si puô parlare per II Piacere di un romanzo "simbolista"? La cultura di riferimento ě soprattutto di area estetiz-zante-decadente, con attenzione sia all'analisi psicologica sia alle «corrispondenze» e alla teoria del simbolo. Ľattitudine centrále di D'Annunzio, sulla scorta degli svolgimenti della cultura europea degli anni ottanta, ě di cogliere gh aspetti piú nascosti del reále, che si rivelano agli animi sensibili. Altro elemento molto accentuato ě la consonanza del pae-saggio con i sentimenti degli uomini: la fonte ě in particolare il giá citato diario (Journal intime) di Amiel, assertore deľľidentitä tra paesaggio e stato ďanimo. Dunque la bel-Hssima Roma dello sfondo (non la Roma classica, ma quel-la rinascimentale e barocca che D'Annunzio predilige) ě descritta in pagine stupende ed i quasi un altro personaggio del romanzo, data la frequenza e ľintensitä delle sue apparizioni. Ma il paesaggio romano funziona sempře come specchio o volontaria enfatizzazione o contrapposizio-ne negativa delle passioni umane. [II ritorno di Elena] 1 tepor ľimpíego continue della forma apocopata (cfr, appena oltreae/ e poi: esa-lavan, levavan, sorgon ecc.) tende verso effetti poetici. 2 palazzo Zuccari un pa-lazzetto della fine del Cinquecento, cosi detto dal suo costruttore, il pitto-re e architetta Federico Zuccari (1540-1609). Si trova tra via Gregoriana e via Sistina, nelle immediate vi-cinanze di piazza di Spagna. Da II piacere, libro I, cap. I II romanzo si apre il 31 dicembre 1886 in un dolce pomeriggio romano. Nella sua elegantissima dimora su piazza di Spagna, a palazzo Zuccari, Andrea Sperelli con-te ďUgenta aspetta ansiosamente l'ex amante Elena Muti (che, dopo un'appas-sionata relazione, lo aveva lasciato ďimprowiso nel marzo del 1885). Rientrata Elena in cittá, incontratala casualmente, Andrea ('aveva invitata a casa propria, pur sapendola sposata con un nobile inglese. Elena arriva, ma si sottrae con ambi-guitá agli abbracci di lui. L'anno moriva, assai dolcemente. II sole di San Silvestro spandeva non so che tepor vela-to, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel eiel di Roma. Tutte le vie erano popolose come nelle domenicke di maggio. Su la piazza Barberini, su la piazza di Spagna una moltitudine di vetture passava in corsa traversando; e dalle due piazze il romorio confuso e continuo, salendo alla Trinita de' Monti, alia via Sistina, giungeva fin nelle stanze del palazzo Zuc- cari, attenuato. 385