Dal realismo al simbolismo di appropriati alia nostra lingua, traducendolo da un siste-ma di versificazione quantita-tiva ad accento melodico in un sistema sLUabico ad accento ďintensitá, il criterio vigen-te fin dalle origini nella poesia greca antica: l'"equivalenza ritmica". Oggi sappiamo (specie dopo gli studi del grecista Bruno Gentili) che, secondo tale criterio, nell'unita ritmica che stava alia base della lirica greca, il cosiddetto dimetro o "periodo di dodici tempi", sil-labe brevi e sillabe lunghe si disponevano in numero varia-bile formando schemi diffe-renti, ma l'uniformitá del rit-mo veniva assicurata dalla presenza stabile di quattro sillabe lunghe, anche se collocate in posizioni diverse e diver-samente alternate con le sillabe brevi. Ritmi superioři o in-feriori a dodici tempi erano sentiti come equivalentí: il dimetro poteva realizzarsi dun-que in forma piena (o normále), ampliata e decurtata. La percezione delluniformitá ritmica non veniva ostacolata dal fatto che si trattasse di ritmi "anisocroni" (ossia con gli ac- centí diversamente dislocati). Alľanisocronismo degli anti-chi greci D'Annunzio fa corri-spondere la prassi delľanisosil-labismo - fenomeno presente nella nostra poesia delle origini e a lui ben noto -, per cui, per esempio, un componimen-to in endecasillabi poteva be-nissimo ospitare, perché erano sentiti come equivalent! alľen-decasillabo di base, versi de-curtati (di dieci sillabe) o am-pliati (di dodici). Nella «strofa lunga» i versi tra loro vicini possono allora presentare uno scarto - in meno o in piú - di una o due sillabe, solitameme; ma spesso anche di tre; piú ra-ramente di quattro. La 'riabilitazione' del novenario La dominante ritmica delľin-tero poéma é il novenario; nu-merosissime strofe si aprono su questo ritmo, prima di va-riare con equivalenti misure, decrescenti e ricrescenti. Ma la strofa della Laus Vitae puô anche assumere per ľintero "pe- riodo" dei suoi 21 versi un ritmo oscillante attorno a una misura inferiore al novenario. In cosi vigilati organismi ritmi-ci - in cui domina il novenario - i versi usatt vanno dal quina-rio al decasillabo. II quinario, pero, non ha mai il ruolo di forma plena, ma sempře decurtata, e in sostanza satellite (del senario o del settenario). Analogamente, neppure il decasiilabo (peraltro assai raro) ě una misura piena, ma ě la forma ampliata del novenario. Nessun poeta come D'Annunzio - che pure sotto questo aspetto certo deve non poco al Pascoli delle Myricae, e qual-cosa al Carducci delle "barbare" - ha saputo mai trarre dal novenario tanta varieta di figure ritmiche: riabilitando cosi il verso dalla vecchia accusa di monotonia e dal disprezzo in cui lo termero i poeti per seco-li, a cominciare da Dante. Infine, ogni strofa ě Uberá di accogliere una trama anche fit-ta di rime, assonanze, iterazio-ni; ora in fin di verso, ora al-ľinterno; anche con intenzio-nali figure di parallelismi e simmetrie speculari. [Antonio Pinchera] Gabriele D'Annunzio Alcyone 400 Alcyone (o Alcione, con le due grafie usate dall'autore stes-so, che inizialmente adottó la forma Alcione, ma nel 1931 nell'edizione cosiddetta dell'«01eandro», stampata sotto la sua guida come la precedente Edizione Nazionale, uso la piú preziosa Alcyone) ě il terzo libro delle Lauii ed esce nel dicembre 1903 presso Treves, con data 1904. L'elaborazione del těsto ě stata studiata da Franco Gavaz-zeni, che ne ha ricostrmto le fasi compositive (testimoniate anche nell'edizione critica a cura di Pietro Gibellini). La raccolta fu awiata dall'estate 1899. D'Annunzio dal 1898 viveva con il lusso di un principe rinascimentale a Settignano, nella antica villa "La Capponcina", giá dei Capponi, a poca distanza da Eleonora Duse, e nell'estate si trasferisce con Eleonora presso Marina di Pisa. Nel no-vembre 1899 usci in rivista, sulla "Nuova Antologia", il primo gruppo delle Laudi, con sette testi poi smistati nei tre libri futuri, qui ancora indistinti e senza titoli singoli. II lavoro riprende nell'estate successiva ancora in Versilia presso Viareggio; ma la forma vicina alia definitiva l'opera la raggiunge nella terza estate di lavoro (1902), la piú in-tensa, vissuta tra la Versilia e il Casentino, quando il libro ě compiuto circa per metá. Sergio Solmi nel 1939 coniö per Alcyone la fortunata formula del «diario Hrico di un'estate». Ma i piú recenti studi di Gavazzeni hanno individuato nel libro una struttura profonda di tipo non naturalistico e descrittivo, come indi-cava Solmi un tempo, bensi di tipo mitico: l'opera infatti ri-vela la natura di un canzoniere organico, scandito in cinque sezioni da quattro Ditimmbi, metro che D'Annunzio foggia idealmente, per suggestione nietzschiana, sul diti-rambo greco (che era di forma corale e di ispirazione dioni-siaca e che si ritiene abbia originato la tragédia). I Ditiram-birappresenterebbero perciô il momento "dionisiaco" del-la raccolta (cioě febbrilmente e concitatamente ispirato, poiché Dioniso ě il dio dell'ebrezza), mentre le parti restan-ti sarebbero riservate all'istinto apollineo (cioě ad aree te- stuali piú equilibrate e meditative, legate ad Apollo, dio della bellezza e della serenitä), secondo quell'intreccio e al-ternanza dei due principi vitali ed estetici messo in luce da Nietzsche nella gjä piú volte citata Nasáta della tragédia. Sulľalternanza Dioniso-Apollo si sviluppa una vicenda mitica, che passa dall'illusione del mito al suo fallimento: il Ľitirambo TV e ultimo, dedicate all'audace volo di Icaro, punito con la morte, rappresenta lo scacco ultimo, il crollo di un sogno divino precluso all'uomo. H percorso mitico di Alcyone precede perciô verso la pienezza ma declina tristemente, con la coscienza della perdita del mito. A questo percorso si intreccia quello naturale e stagionale: dall'estate incipiente della prima sezione al ripiegamento del-l'autunno che ě il tema dell'ultima sezione, e eorrisponde alia malinconia dell'uomo moderno privato di miti (secondo la diagnosi di Nietzsche). In questo complessivo itinerario dell'awentura umana si colloca una serie di "metamorfosi" (estratte soprattutto dalla mitologia classica) e di "drcolari" passaggi tra uma-no e naturale con acuto antropomorfismo della nátura e simbolica vegetalizzazione dell'umanita. L'evoluzione tematica ě accompagnata da quella formale, nella quale sono stati individuati «tre differenti hvelM stili-stici [.,.] preraffaellita (sezione prima), impressionistico (sezione seconda), classicistico-arcaizzante (sezione terza, quarta e quinta)» (Gavazzeni). II preraffaellismo della prima sezione produce in particolare metri arcaizzanti, che riecheggiano la lauda sacra e la ballata stilnovistica; mentre per l'impressionismo della seconda sezione (pensiamo a testi famosi come La pioggia nel pineto, Le stirpi canore, Albasia, tutti nel metro della «strofa lunga» ereditato da Mala), si puô evocare, per analógia, la vibrantě dissoluzio-ne musicale del grande musicista contemporaneo Claude Debussy, anche amico e collaboratore di D'Annunzio. Alcyone comprende 88 liriche, distribuite in cinque sezioni dalla presenza dei quattro Ľitirambt (ognuno preceduto da un testo preparatorio a metro fisso e sempře con titolo latino). '"1 dal realismo al simbolismo Gabriele D'Annunzio La prima sezione propone íl tema base della compenetra-zione natura-arte, con le ballate II janciullo e una serie di testi {Lungo I'Affrico, La sera fiesolana ecc.) ambientati nel giugno, preludio alia imminenza dell'estate. Dopo Furit aestus (Infuria il calore estivo, citazione virgiliana), il Diti-rambo I celebra il tempo della mietitura. La seconda sezione sviluppa il motivo del trionfo estivo e delľimmersione trasfigurante nella nátura (contiene testi ce-lebri come La pioggia nel pineto, Le stirpi canore, Albásia). Dopo Terra, vale! (Salve, terra!, citazione ovidiana), il Diti-rambo II mette in scena Glauco, proiezione dell'autore, per-sonaggio ovidiano trasformato da pastore in divinitä marina. La terza sezione, awiata dalla immedesimazione di Glau-co=dio marino=autore, ě fitta di riferimenti mitici: o vere e proprie metamorfosí o comunque trasfigurazioni emble-matiche dell'universo animale e naturale, dove spesso ri-torna il personaggio guida di Glauco identificato con il poeta. Si ha dunque: Dafne mutata nella pianta delľolean-dro (L'oleandro), il classicheggiante dialogo tra Glauco e Ardi alia ricerca del fiume Serchio (Bocca di Serchio), la perenne mutevolezza del mare (Ľonda). Dopodiché, íl preditirambo Stahat nuda aestas (Stáva nuda ľestate, anco-ra da Ovidio) introduce al Ľitirambo III, celebrazione del-ľestate «ardente e selvaggia», trasformata in donna ehe il poeta ama e possiede. La quarta sezione prosegue il tema mitico-metamorfico, specie nei primi testi {Versilia, personificazione della omo-nima «ninfa boschereccia»; o La morte del Cervo, lotta tra un centauro emerso dal Serchio e il cervo). I Madrigali dell'estate preannuncíano il declino estivo. II tema "icario" si sviluppa nel Ľitirambo IV, ed e preparato dal pre-ditiram-bo Aldus egit iter (Volô piú in ako, citazione ovidiana). L'impresa di Icaro, come s'e detto, segna un momento chiave: il fallimento del sogno superumano ě, piú in gene-rale, il fallimento del mito stesso, e coincide non a caso con la fine dell'estate e lapprossimarsi delTautunno. Sul passaggio reále e simbolico estate-autunno si impernia l'uitima sezione, che si apre con la ballata Tristezza, e pro-segue sulla stessa linea con Le ore marine, con la suggesti-va Vndulna, con le liriche dei Sogni di terre lontane (tra cui I pastoři) e con il settembrino Novilunio. SuiLE FONT) Tra le numerosissime fonti di Alcyone e capitale il sostrato filosofico di Nietzsche; molti testi poi si ispirano a poeti francesi simbolistí di timbro parnassiano e bucolico, come Henri de Régnier - superandolo per la qualitá del nsultato - o Francis Jammes, e al giovane André Gide, autore del poema-saggio Les nourritures terrestres (I nutrimenti terre-stri, 1897), impregnato di naturismo e panismo. Né si puó dimenticare Tinfluenza di autori inglesi, prediletti da tempo, come Shelley e, in misura minore, Swinburne. Sempře presente ě Dante, e present! a píene mani sono i poeti clas-sici, specie latini (P Ovidio delle Metamorfosi in primo luo-go, com'e owio, ma anche Virgilio, Lucano, i greci del-YAntologta Palatina, Omero ecc). E poi importantissimo, come sempre in D'Annunzio, il contributo offerto dai vocabolari, strumenti di appoggio cui Felaborazione di Alcyone deve molto: prima di tutto il vocabolario storico della lingua italiana Tommaseo-Bellini, poi, per la latinita, il Forcellini, poi anche dizionari specia-li come quello di termini marináři o di voci botaniche. Ma per chiarirne il meccanismo d'uso, ricco e complesso, rin-viamo all'Analisi e approfondimenti a p. 410. La piCi antica lirica di Alcyone, stesa nel giugno 1899, ě la finissima trascrizio-ne di stati d'animo suscitati dall'apparire della sera nella campagna di Fieso-le, presso Firenze, in compagnia di un'amica (la Duse) presente solo per di-scretissimi cenni. II ruolo di protagonista ě assegnato non ai due amanti che guardano silenziosi, ma alia sera e alia nátura, indagate dal poeta - primo travestimento "mitico" - con intenzione antropomorfica: ogni aspetto naturale ě dolcemente umanizzato. Altro tratto che connota la poesia ě la devo-zione francescana per cui la lode alia sera riecheggia (per linguaggio, solu-zioni metriche e immagini) il Cantico delle creature (Gavazzeni). Metro Una strofa di quattordici versi ě seguita da un terzetto a mo' di antifona (riecheggiantc lc "sequenze" ritmiche del francescano Cantico delle creature). Tale schema base (w. 14 +3) ě ripetuto tre volte. La metä esatta dei versi delle tre strofe (21: 42) sono endecasillabi, liberarnentc associati a novenari (5), settenari (3), quinari (6); nonché a versi di misura eccedente il limite dell'endecasilkbo, doe di 12 o 13 sillabe. Per capire la precisione del) organismo metrico, si notino quest! dementi: a) ogni strofa si apre con due endecasillabi e si chiude con un quinario; b) endecasillabo ě sempre l'ottavo verso tu ogni strofa: cioě ľinhio della seconda metä della strofa; c) il quinario finale rima con il primo verso del terzetto-antifona; d) nelle antifone i versi mediáni farmo assonanza fra loro; tace f mice I paipitare, e riprendono una rima perfetta della strofa precedente; e) il terzetto-antifona ha questa combinazione fissa: v. 1: endecasillabo, con attacco sempre uguale Laudata sir, v. 2; ternario (sempre uguale: O Sera) +• verso di dodici sillabe; v. 3: quinario. Si tenga presente inoltre che in D'Annunzio ľuso delľassonanza, qui ispirata dal Cäntico di san Francesco (Gavazzeni), corrisponde di tatto a quello della rima, perciô assonanze e rime si alternano in fin di verso. Riguardo infine ai versí di 12 o 13 sillabe, essi vanno considerati come affini o addirittura equivalenri agli endecasillabi, in base al criterio, che D'Annunzio rispetta sempre, deU'"equivalenza deí ritmi", ricavaio dalla metrica greca antica (err. scheda SuUa «strofa lunga», pp. 399-400). [Antonio Pínchera] 41'opra lenta "il lavoro pa- ziente". 7 rame "rami"; I'uso del femminile ě toscano. 8-9 la Luna... cerule la Luna (person if icata) sta per appari- re nel cielo, 10 il noslro sogno I'illusio- ne amorosa, equivalente alia «favola bella» della Pioggia nel pineto, v. 29. 12 norturno gelo sintagma dantesco (Inferno, II, v. 127). 19 la pioggia che bruiva la pioggia cadendo sul fogliame produce un armonioso rumore. Probabile ricordo di Paul Verlaine: «oh bruit doux de la pluie>? (oh bruire dolce della pioggia)(Gibellini). 20 tepida perché quasi estiva; fuggitiva di breve du-rata. 23 i pini... diti i germogli nuovi dei pini sono ccmpara- ti a drta umane. 24 che,., perde "osdllanc, quasi giocando, al venticello che passa leggermente". 27 fierio... falce giatagliato dalla fake. 28 trascolora "cambia colore", doe ingiallisce seccando. 29 fratelli olivi detti cosi, francescanamente. 30-31 che... sorridenti il pallore verde argentato degli ulivi dä ai colli (cfhn) una colo-dtura tenue e vibrantě cone in un sorriso 32 vesti aulenti "abitiodo-rosi" (si riferisce ai profumi naturali che si alzano dalla terra umida, dal fieno teglia-to, dalle piante, dai fiori). Aulenti ritornera nella Pioggia nel pineto, v. 19. 33 cinto che ti cinge allude al giro dell'orizzonte che cir-conda il cielo serale o agli aromi naturali appena citati (v.32). 33-34 il sake... fien II ramo di salice-usato peravvolgere i fascidi fieno tagliato. 36 il fiume e l'Arno, che scorre sotto la collina di Fiesofe. 36-37 le cui,.. rami le sor-genti deliJArno stanno tra piante antiche e ombrose. 38parlano ilmormorio delle sorgenti (font/, v. 36). 3942 per qual segreto... chiu-da il poeta immagina che il profilo ondulato delle collme sia simile a quello di labbra umane chiuse per non rivelare un enigmatico segreto. 42 la volontä di dire sintagma dantesco, usato nella Vita Nuovd (Gibellini). 46 consolatrici per coloro che le osservano, le colline sembrano recare conforto e pace. 49 la tua pura morte il di- leguarsi della Sera nella notte che arriva. 50 I'attesa della notte. Fresche le mie parole ne la sera ti sien come il fruscio che fan le foglie dei gelso ne la man cli chi le coglie silenzioso e ancor s'artarda a l'opra lenta su l'alta scala che s'annera contro il fusto che s'inargentä con le sue rame spoglle mentre la Luna e prossima a le soglie cerule e par che innanzi a se distenda un velo ove il nostro sogno si giace e par che la campagna giä si senta da lei sommersa nel notturno gelo e da lei beva la sperata pace senza vederla. Laudata sii pel tuo viso di perla, o Sera, e pe' tuoi grandi umidi occhi ove si tace l'acqua dei cielo! Dolci le mie parole ne la sera ti sien come la pioggia che bruiva tepida e fuggitiva, commiato lacrimoso de la primavera, su i gelsi e su gli olmi e su le viti e su i pini dai novelli rosei diti che giocano con l'aura che si perde, e su '1 grano che non e biondo ancöra e non e verde, e su 1 fieno che giä pati la falce e trascolora, e su gli olivi, su i fratelli olivi che fan di santitä pallidi i clivi e sorridenti. Laudata sii per le tue vesti aulenti, o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce il fien che odora! Io ti dirö verso quali reami d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti eterne a I'ombra de gli andchi rami parlano nel mistero sacro dei monti; e ti dirö per qual segreto le colline su i limpidi orizzonti s'incürvino come labbra che un divieto chiuda, e perche la volontä di dixe le faccia belle oltre ogni uman desire e nel silenzio lor sempre novelle consolatrici, si che pare che ogni sera l'anima le possa amare d'amor piü forte. Laudata sii per la tua pura morte, o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare le prime stelle! 402 Dal realjsmo al simbolismo Analisi del Těsto ... e ľantropomoreism naturale Furit Aestus Da Alcyonc 404 Francescanesimo e antropomorfismo del paesaggio sono i due grandi motivi tematici che ispirano La sera fiesolana. Del "francescanesimo" s'e giä accennato. Si osservi la scansione della lirica, dove ognuna delle tre strofe ě seguita da un terzetto chiaramente ispirato al Cantico delle creature due-centesco di san Francesco, con la formula di lode naturale: Laudata süpel [...] / o Sera ecc. (variata per tre volte). In Alcyone questa formula francescana ě ripetuta nel componimento che segue La sera {Lulivo), che inizia «Laudato sia l'ulivo nel mattino!», e, subito dopo, nella Spica, che inizia a sua volta: «Laudata sia la spica nel meriggio!» Nella Sera si noti ancora l'immagine chiave dei w. 29-30: e su gli olivi, su i fratelli olivi / che fan di santita pallidi i clivi. II vistoso clima di omaggio a san Francesco (la "fratellanza" delle creature na-turali, k mistica "santitä" del paesaggio) in questo sintagma si ě stabilito sull'autografo, come si ri-cava dall'edizione critica, dopo altre forme che ancora non avevano elaborato il linguaggio "france-scano": infarti fratelli ě la versione definitiva dopo eterni-puri-sereni; e santitä proviene da castitä. Riguardo all'altro terna ehe domina il testo, ľantropomorfísmo dei fenoméni naturali, esso é un elemento ehe non solo sostiene l'intera poesia, ma piů in generale introduce al fondamentale at-teggiamento "mitico" di Alcyone, ehe non si ferma al puro dato fisico, ma lo interpreta e lo trasfi-gura in una sua particolare visione: nella Sera fiesolana, come in moltissimo Alcyone, il paesaggio "sente", "patisce", "parla" come fosse una creatura vivente. Vediamo i punti del testo che mantfe-stano questa tendenza. La prima strofa presenta la comparsa personificata della Luna (v. 8) e l'immagine finale (w. 11-14) della campagna che "beve" la pace notturna. Le tre antifone (strutturate stilisticamente alio stesso modo) introducono sempre un vocadvo alia Sera, anch'essa personificata in una creatura umana dal viso di perla e dai grandi umidi occhi (w. 15-16), dalle vešti aulenti e dalla cintura femminile (w. 32-34), che infine viene meno, cedendo alia notte in una motte indolore (w. 49-51). La seconda strofa accentua ľumanizzazione della natura in una serie di trarri: la pioggia ě detta commiato lacri-moso de la primavera {v. 21); i germogli dei pini sono chiamari delicatamente novelli rosei diti e di essi si dice che giocano con il vento (w. 23-24); il fieno pati la falce (v. 27), ossia fu tagliato, ma con pietosa umanizzazione (da osservare che nelľautografo prima di pati D'Annunzio aveva scritto un piú neutroprozrô); per arrivare ai fratelli olivi, giä segnalati sopra, di chiara eco francescana, e con una puma massima di antropomorfismo nel "sorriso" (v. 31) che trasmettono ai colli. La terza strofa prosegue sulla stessa traccia, con l'immagine del fiume che "chiama" il poeta e la compagna, e le cui sorgend parlano misteriosamente (w. 35-38); sino alia fantasia piú vistosa e piú aggrovigliata delle colline paragonate a hbbra umane che custodiscono un segreto e che hanno un'apparenza "consolatrice" (v. 41). Questa compatta compenetrazione ed equivalenza natura = uomo si distende in tre strofe musica-hssime, composte ognuna di un solo periodo slntattico (e ritmico), con frequenza di enjambements ehe ne garantiscono la fluida continuitä. Ě il componimento collocato prima del Ditirambo I, e, come ognuno dei quattro pre-ditirambi di Alcyone, ha un titolo latino (sempre una citazione da autore dassico) e lo stesso schema metrico. Annuncia I'estate al suo colmo (il Ditirambo I e quello della mietitura). Un falco stride nel color di perla: tutto il cielo si squarcia come un velo. O brivido su i mari taciturni, o sofflo, indizio del subito nembo! O sangue mio come i mari d'estate! Metro Tie stanze di otto endecasillabi sciolti. L'ultimo verso ě un endecasillabo tronco. furit Aestus: citazione da Virgilio, Eneidel,v. 107 e II, v. 759: "infurialacanicola". 1 Un falco... perfa I'appanzb-ne enígmaťca e inquietante del falco nel cielo meridiano (v. 23: nel cuore del meriggio) proba-bilmente influenzerä il giovane Montale della prima raccolta, ossďseppä(1925), nella poe-w Spessoil male di were ho in- contrato, w, 7-8: «nella sonno-lenza / del meriggio [. „1 il falco alto levator color di perla sintagma dantesco (Vita Nuoval che D'Annirnzio utilizza piú volte in Alcyone (dr. qui al-meno La sera fiesolana, w. 15-16: il aviso di perla)i della Sera). 4 o soffio... nembo movi-mento dell'aria che segnala un improwiso temporale. Gabriele D'Annunzio gannoda "stringe in estrema tensor" • Binerzia "elemento inerte. 17 dira "crudele" (latinismo). La forza annoda tutte le radici: sotto la terra sta, nascosta e immensa. La pietra brilla piu d'ogni altra inerzia. La luce copre abissi di silenzio, simile ad occhio immobile che cell molütudini foUi di desiri. L'Ignoto viene a me, l'Ignoto attendo! Quel che mi fu da presso, ecco, e lontano. Quel che vivo mi parve, ecco, ora e spento. T'amo, o tagliente pietra che su l'erta brilli pronta a ferire il nudo piede. Mia dira sete, tu mi sei piü cara che tutte le dolci acque dei ruscelli. Abita nella mia selvaggia pace la febbre come dentro le paludi. Pieno di grida e il riposato petto. L'ora e giunta, o mia Messe, l'ora e giunta! Terribile nel cuore dei meriggio pesa, o Messe, la tua maturitä. Analisi del Testo Un testo Dl furore uionisiaco e panico Identita io = natura La potenza dell'ignoto Le antitesi naturali Ii tema dell'estate e qui manifestato nella sua pienezza selvaggia e crudele, come forza dionisiaca, ed e espresso in forme imperiose e incisive. II culrnine dei testo e nei due versi finali, dove si canta la Lerribile [...1 maturitä dell'estate, nel cuore dei meriggio. Quasi in un sacro mistero panico, la natura estiva e svelata neue sue violente contraddizioni: si vedano al v. 9 gli abissi di silenzio e al v. 11 le molütudini folli di desiri ("desideri", con forma arcaica). L'io dei poeta, in una netta "metamorfosi" panica, si identifica con la natura impetuosa: come dice il v. 5, O sangue miß come i mari d'estate! La violenza natutale, tremenda e insieme attraente, mette in contarto il poeta con l'Ignoto (verso cui tende sempre la scrittura di D'Annunzio): si veda infam al v. 12 L'Ignoto viene a me, l'Ignoto attendo'. Da questa percezione scatta una trasformazione energica delle sensazioni abituali, come si legge nella coppia di versi 13-14, sünmetrici ma antitetici: Quel che mi fu da presso, ecco, e lontano. I Quel che vivo mi parve, ecco, ora e spento. Di qui seguono in serie ossimori e contrapposizioni: l'at- trazione verso la pietra tanto tagliente che ferisce (w. 15-16), l'amore per la sete crudele (v. 17), la compresenza di pace e febbre (w. 19-20), di grida e riposo nelTanimo (v. 21). Anche la sintassi e il ritmo sono taglienti, con frequenti esclamative e misure brevi (a distici e versi singoli). Composta probabilmente nell'estate del 1902, questa lirica é tra le piú famose di Alcyone. Cantando le mille modulazioni della pioggia estiva che cade sulla vegeta-zione della pineta versiliana, D'Annunzio non si limita a registrare il fenomeno acu-stico della nátura colpita dall'acquazzone, ma esprime anche la prima metamorfosi panica della raccolta: il trasformarsi del poeta e della compagna Ermione (la Duse) in elementi vegetali, via via immersi nell'inebriante vita naturale. Parecchie immagini sono desunte dal poeta parnassiano francese Régnier, ma il tono ě complessivamente diverso per ľintensitä trasfigurante del testo dannunziano. 405 Dal realismo al simbolismo Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole piú nuove che parlano goccíole e foglie lontane. Ascoha, Piové dalle nuvole sparse. Piové su le tamerici salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti, piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l'anima schiude novella, su la favola bella che ieri ťilluse, che oggi m'illude, o Ermione. Odi? La pioggia cade su la solitaria verdura con un crepitio che dura e varia nell'aria secondo le fronde piú rade, men rade. Ascolta. Risponde al pianto il canto delle cicale che il pianto australe non impaura, né il ciel cinerino. E il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancóra, stromenti diversi sotto innumerevoli dita. E immersi noi siam nello spirto silvestre, ďarborea vita viventi; 406 e il tuo vólto ebro ě molle di pioggia come una foglia, e le tue chiome auliscono come le chiare ginestre, o creatura terrestre che hai nome Ermione. Ascolta, ascolta. L'accordo delle aeree cicale a poco a poco piú sordo si fa sotto il pianto che cresce; ma un canto vi si mešce piú roco che di laggiú sale, dalľumida ombra remota. Piú sordo e piú fioco s'allenta, si spegne. Sola una nota ancor tréma, si spegne, risorge, tréma, si spegne. Non s'ode voce del mare. Or s'ode su tutta la fronda crosciare l'argentea pioggia che monda, il croscio che varia secondo la fronda piú folta, men folta. Ascolta. La figlia delľaria ě muta; mala figlia del limo lontana, la rana, canta nelľombra piú fonda, chi sa dove, chi sa dove! E piove su le tue ciglia, Ermione. Piove su le tue ciglia nere si che par tu pianga ma di piacere; non bianca ma quasi fatta virente, par da scorza tu esca. E tutta la vita ě in noi fresca aulente, il cuor nel petto ě come pěsca intatta, tra le pälpebre gli occhi son come polle tra l'erbe, i denti negli alveoli son come mandorle acerbe. Metro «Strofa iunga» di 32 versi, ripetuta quattro volte. II ritmo complessivamente si genera dalla misura dd ternario, che compare da solo ben 27 volte e che si raddoppia nel senario (IrequentissLrno), esi triplica nel novenario. LI novenario compare solo nove volte, ma ě la misura guida della Pioggia ndpineto poiché to si legge sovente "sottotraccia": infatti, per esempio, si provi a riformulare Vinciptl della lirica (w. 1 -6), cosi: Tací. Su le soglie del bosco I non odo parole che dici I umane; ma odo parole I piii nuove eke parlano goccíole. Ecco uscir fuori il ritmo di quattro perfetti novenari di fila. [Antonio Pinchera] 1 Taci il poeta si rivolge alia compagna in-vitandola al silenzio, per percepire con estrema attenzione (cfr. v. S: Ascolta; v 33: Odi?: v. 40: Ascola, v. 65: Ascolta, ascolta; v. 88: Ascolta) i suoni straordinari (le paro/e piú nuove del v. 5) emessi dalla nátura. 5-6 parole... che parlano "parole pro-nunaate da" (con la figura retorica della "figura etimologica") 13 scagliosi con la corteccia ruvida, a sca-glie; irti perle foglie aghiformi. 14-15 mirti divini il mirto ě pianta sacra a Venere, nella mitologia classta. 16-17 fulgenti... accolti risplendenti grazie ai fiori, ora chiusisi per la pioggia. 19 coccole aulenti "bacche profumate". 20-21 vólti silvani divenuti del colore e della sostanza del bosco. 24 vestimenti "abiti". 29-31 la favola... illude nchiama Petrarca, Canzoniere CCUV, 13 «la mia favola breve», ma I'immagine della favola come metafora della vita era gia classica (Cicerone, Seneca). 32 Ermione nome della mitologia greca (Ermione é la figlia di Elena) con cui qui e in altre liriche di Alcyone D'Annunzio chia-ma la Duse. 35 verdura "fogliame". 36-39 con... rade il suono della pioggia varia a seconda del fogliame, piú o meno fitto, su cui cade. 41 pianto "la pioggia". 43 pianto australe suono minaccioso del vento australe, o dl mezzogiorno, sul bosco. 45 cinerino "grigio, nuvoloso". 49-51 stromenti... dita come se gli al-beri fossero strumenti musicali suonati da dita innumerevoli 56 ebro "inebriato" di gioia per II piacere deH'immersione naturale. 60 auiiscono "profumano". 66 aeree o perchécantano tra i rami, o perché il loro canto nasce dall'arla vibrantě (cfr. v. 89: la cicala ě detta figlia delta-ria). 71 un canto di rane, come apparirá ai versi seguenti. 84 che monda "purificatrice". 91 limo "fango", con allusione alio sta- gno, popolato di rane. 100-101 ma... esca la donna, nel colmo della metamorfosi, appare verdeggiante (v/renfe) come fosse userta dalla corteccia di un altera. 107 polle "fonti". 108alvěoli "gengive". Gabriele D'ANrJUNZto 110 di f ratta in f ratta "tra i ce-spugli". 112 il verde vigor rude degli sterpi aggrovigliati. 113 malleoli "caviglie". E andiam di f ratta in f ratta, or congiunti oř disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i malleoli c'intrica i ginoechi) chi sa dove, chi sa dove! E piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l'anima schiude novella, su la favola bella che ieri m'illuse, che oggi ťilfude, o Ermione. Analisi del Těsto Sono due, e intrecciati tra loro, i livelli sémantici che emergono nella Pioggia nel pineto: a una prima lettura, sembra dominare lo seroscio della pioggia sugli alberi e sugli arbusti, di cui si ammira la musicalissima riproduzíone verbale, ritmica e fonica. Ma il piano piú profondamente alcyonio ě la "metamorfosi" progressiva, per cui il poeta e la compagna via via si trasfigurano in elementi vegetali. St coglie qui il rovescio dell'antropomorfismo che s'ě visto nella Sera fiesolana: se la nátura aleyonia ě assimilata a creature umane (come nella Sera), le creature umane tendono a loro volta ad assimilarsi alia nátura (come nella Pioggia), secondo il progetto mitico "circolare" alcyonio. Quando il poeta (w. 4-5) serive [...] odo / parole piú nuove allude non tanto al suono suscitato dal-ľacquazzone, ma alia inaudita metamorfosi mitka che sta per compiersi. Bichiamiamo quanto ha seritto Gianfranco Contini, mettendo in guardia contro la piú banale interpretazione della lirica «volgarmente intesa in senso ononiatopeico quando non acustico, mentre ě una "danza" o "fuga" vigilatissima sul motivo dell'amore-illusione, deli'amore-gioco». Vediamo la progressione della "metamorfosi" vegetale: essa conosce un primo impulso nella seconda meta della prima strofa, w. 20-21: piove su i nostri vólti J silvani, con l'assimilazione del viso alia sostanza del bosco; un decisivo sviluppo nella seconda metá della seconda strofa, w. 52-64; E immersi/'noisiam nello spirto I silvestre, / ďarborea vita viventiecc, proseguendo con due compatte similitudini: tra il viso femminile investito dalla pioggia e la foglia; tra i capefli profumati e le ginestre. II culmine del processo si ha nella quarta strofa, che ě tutta un seguito di irnmaginose similitudini uomo-natura: la donna verdeggiante come uscisse dalla corteccia di un albero (w. 99-101); i due cuori simili al frutto della pesca; gli occhi come sorgenti ďacqua; i denti come mandorle (w. 102-109). A metamorfosi compiuta, la chiusura della stanza riprende, con minimi ritoechi, i tredici versi finali della prima stanza (ľenumerazione simmetrica della pioggia che cade sui due protagonisti), conferendo alia poesia una raffinata "circolaritä" melo-dica. II livello melodico-fonico e i ritomi musicali sono come sempře aceuratíssimi. In sintesi si osservi che non solo D'Annunzio insiste su moltissime rime (anche interne) e assonanze e sulla ripetizione fitta di fonemi (vocali e gruppi consonantici), ma anche sulla combinazione accorta di una serie di parole chiave; piove (10 occorrenze); pioggia (3) e il suo sinonimopianto (3) con piangere (1); udire {odo, odi. in tutto, 5 occorrenze); ascoltare {Ascolta: 5 occorrenze). Su questa rete poggia, o quasi, 1'intera sintassi della lirica, leggera e simmetrizzante. Si consideri il caso molto vístoso di simmetria sintattica, nella prima strofa, dei cinque piove a inizio di verso (w. 10, 12, 14, 20, 22) che reggono 1'intero segmento, che ě una enumerazione (a coppie o terne) di fenoméni precedutí dal costante su (10 occorrenze); cinque elementi naturali {tamerici, pini, mirti, ginestre, ginepri) + tre umani {nostri volíi, nostre mani, nostri vestimenti) + due di pertinenza sentimentale {i freschi pensieri, la favola bella).