266 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA cuore... O tu, ch'io conobbi sol nei chiari grandi occhi e i forti tuoi zigomi rossi, io mi credei, nemico, ehe tu fossi un mendicante di conviti rari, mendicante d'azzurro, impenitente peccatore, un ramingo sognatore, un piccolo cervello, un grande cuore: fausto maria martini d'altra gente!... E non ťuccisi, o tu che mi ghermisti la fronte, non ťuccisi sol perché nemico ignoto dai grandi occhi tristi, ebbi paura di morire in te! Uepisodio che ha ispirato la poesia non ě immaginato, ma realmente Carnľ(°N d AT''' n°Vembre 1916 * VeUa dÍ Pai Graůde' * "Nuova Antológia-;, novembre-dicembre 1917. Si ě seguito il těsto di Fausto Mana Marttm, Tutte le poesie, a eura di Giuseppe FarineW, Miláno, Istituto di Propaganda Libraria, 1969. LA GUERRA-PERCEZIONE Con quanto detto nelTintroduzione, ě legittimo considera-re questa sezione, insieme alia seguente, una mise en abtme dell'intero libro. Qui sono raccolti pero testi che tematizzano direttamente 1'atto della percezione sensoriale: nei quali cioě la percezione ě condizione e ai tempo stesso sostanza delle-spressione. Ungaretti, in questo senso, ě il poeta di guerra per eccel-lenza: perché il carattere piú importante della sperimentazio-ne del Porto Sepolto ě costituito proprio dalla frammentarietá delle percezioni, che si traduce - con formidabile conseguen-za - nella frammentazione delle cellule versali e addirittura verbali1. L'knmagine si impressiona nella retina solo per bre-vissimi flash (la stessa aria, medium della percezione, ě "crivel-lata / come una trina / dalle schioppettate"): come testimonia la primissima redazione della piú famosa delle poesie brevi di Ungaretti, contenuta in una lettera a Papini. Ai due versi canonici e vulgatissimi, "M'illumino / ďimmenso", seguono infatti, nel primo getto, tre altri versí che costituíscono il segre-to reticolo ottico di quella visione celebrata: "con un breve / 1 Per questo, come per una volta concordi soctolineano tanto San-guineti che Mengaldo, appare quanto meno fuorviante la storica opera-zione del critico-sodale di Ungaretti (deli'Ungaretti 'tomato allbrdine', perö), Giuseppe De Robertis: che, "con paziente complicitä, andava riscoprendo gli endecasillabi frantumati nei versicoli deWAllegria, non giä per evidenziare la violenza della frattura, ma, direttamente allbppo-sto, per documentare la presunta ortodossia metrica innata del poeta" (Edoardo Sanguined, Poesia italiana del Novecento, cit., vol. II, p. 837; e cfr. Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani delNovecento, cit., p. 385). 268 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA LA GUERRA-PEBCEZIONE 269 moto / di sguardo"2. Mimmenso, insomma, é percepibile solo a partire dalla concentrazione acutissima di uno sguardo breve: in una situazione ehe non puô non ricordare, insomma - consider ando il culto leopardiano di Ungaretti -, quella di un altro celebre exploit entro la tradizione italiana della brevitas liri-ca (L'infinite, naturalmente: ehe non a caso si chiudeva su un naufragio...y. Un osservatore a sua volta acuto come Ardengo Soffici, d'altro canto, ricordava soprattutto, del giovane poeta incontrato nella Libreria della "Voce", "gli occhi felini appena a tratti visibili tra le palpebre semichiuse" . ý 2 Recante il titolo Cielo e mare, il testo é contenuto nella lettera di Ungaretti a Papini del 26 gennaio 1917 (Lettere a Giovanni Papini, cit., p. 91). 3 II cortocircuito tra istante ed etemitä trovera una definizione compiuta nella versione francese del celebre scritto programmatico un-garettiano del '26, Innocenza e memoria — nella quale Leopardí e Mallar-mé vengono fatti reagire costantemenre l'uno con ľaltro: "L'horreur de ľéternité ne nous a pas été cachée. Ľislinct seul régnait. La familiarité avec la mort était telle que le naufrage était sans fin. [.,.] Cette concentration dans ľinstant ďun objet était démesurée. Ľéternité éblouissait ľistant [...]. Ľobjet s'élevait aux proportions ďune figure divine" (Vita ďun uomo. Saggi e interventi, cit., p. 138. Carlo Ossola ha accostato que-sta pagina alia "rappresentazíone di una durata fulminea" riscontrata da Ungaretti in Leopardí, a proposito di A Silvia, nelle lezioni románe del 1950-51: Giuseppe Ungaretti, cit., p. 253; e cfr. ivi, pp. 248-51, per ľinflusso leopardiano sull'uso dei dimostrativi e dei deittici aeWAlle-gria). Nelle Lezioni su Leopardí tenuté alľUniversitä di Roma, quella su Ľinfinito" e "llsogno" (del 1946-47, pubblicata postuma nel 1989, ora in " Vita ďun uomo. Víaggi e lezioni, a cura di Paola Montefoschi, Miláno, Mondadori, 2000, p. 975) čosi Ungaretti commenta Ľinfinito: "sogno delľinfinito, [...] ricordo delľeterno, contrapposti al sentimento delia durata, [...] sono fatti ehe offrono al poeta la possibilitä di liberazione lirica attraverso ad una conquista di stile, cioe attraverso ad una illusio-ne di bellezza proposta dalle parole". 4 Cit. in Giuseppe Ungaretti, Lettere a Soffici 1917-1930, a cura di Paola Montefoschi e Leone Piccioni, Firenze, Sansoni, 1981, p. 5. E in una lettera a Soffici (non datata, ma della fine del '17) Ungaretti ammic- II "bombardamento sensoriale" al quäle la guerra sottopone il soggetto pereipiente fa a pezzi "le coordinate sensoriali in cui l'esperienza dei mondo era precedentemente racchiusa"5. Le fa a pezzi non solo perche cessano di avere valore, ma proprio perche la conseguenza immediata di questo bombardamento e "la dissociazione e scomposizione degli eventi percettivi"6. Se e frantumata la visione dei soggetto, frantumato e lo spazio. Ma frammentato e anche il tempo della pereezione7 ("breve / moto / di sguardo"), e poi anche quello della registrazione di quegli appunti mentali, sulle precarie carte dei mitico "tasca-pane" di Ungaretti8. ca alTinterlocutore proprio ricordandogli quel suo caratteristico tra'tto fisiognomico: "ho avuto la fortuna di un turbine lirico in questi miei occhi che tu hai visto, come quelli della gente dei deserto, allontanarsi nelle palpebre 'a mandarino', per rispecchiarsi nell'anima; noi orientali si vive di miraggi; e dawero la reaitä altro non e" (ivi, pp. 4-5). 5 Antonio Gibeiii, Lofficina della guerra. La Grande Guerra e le tm-sformazioni dei mondo mentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 166. 6 Ivi, p. 168. 7 Come ha scritto Kern nelle sue pagine piü stimolanti: "Una carat-teristica distintiva dei senso dei presente d'anteguerra era un addensa-mento della sua estensione temporale oltre il 'filo di lama' fra passato e futuro, in un intervallo allargato che comprendeva parte dei passato e dei futuro": da Bergson a William James e a Husserl, tutte le piü avanza-te coneezioni filosofiche d'anteguerra erano concordi in questa visione spessa, continua dei tempo. "La guerra contraddiceva su vasta scala tali idee di un presente esteso, isolando il momento presente dal flusso dei tempo" (Stephen Kern, II tempo e lo spazio, ca., pp, 374-5; ma cfr. tutto il capitolo su "La guerra eubista", pp. 367-98). 8 E lo stesso Ungaretti che ci da la piü saporita descrizione di quelle carte: "un giorno lasciai che fosse data alle stampe la mia prima raecolta di poesie, e la colpa fu tutta di Ettore Serra. A dire il vero, quei foglietti: cartoline in franchigia, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di care lettere ricevute... - sui quali da due anni andavo facendo giorno per giorno il mio esame di coscienza, ficcandoli poi alla rinfusa nel tascapa-ne, portandoli a vivere con me nel fango della trincea o facendone ca-pezzale nei rari riposi, non erano destinati a nessun pubblico" (Ricordo 270 LE NOTTICHIAJRE ERANO TUTTE UN'ALBA - LA GTJERRA-PERCEZIONE 271 ■ ■ Ma qucl tempo pulviscolare e quello spazio "discontirmo"9 non vivono autonomamente nella luce totalitaria del soggeí-to lírico; si accendono di coniiriuo, ínvece, epifanicamente, neiľ£ abbraccio delia contingenza" - a contatto, cioě, con le. milic schegge traumatiche di un mondo fenomenico esploso: per quesro "i suoi atti di parola hanno ľintensitä dei trauini"10. In questo senso - sugaerisce Guido Guglielmí - ľUngaretti del Porto Sepolto, tra i suoi due grandi maestrí 'točniciMal-larroé e Apollinaire, sta piü con quest ultimo11. Anche quí, 1'esperienza di Ungaretti vale come sineddoche esemplare della migliore poesia di guerra, nella quale - ha scritto Zanzotto - non ce "la guerra dei re e dei generali e deí vati", bensilacatastrofe "delluomo diventato nella trincea qualcosa di peggio delľinserto in cui si trasforma 11 protagonista della Metamorfosi di Kafka, diventato mero accadimento, insensaíezza pura: in cui ľinsensatezza d i ogni guerra si rivela senza possibilitá di travestimenti rétorici"12. Se infatíi il soggetto lirico, nel Porto Sepolto, íende (lo si ě visto) a espanderst nelluiwerso fenoménico - *fibra" natura- delprimo incontrocon EitoreSerra e della stampa del 1916 del "Porto Sepolto" [1936], in Giuseppe Ungaretti, Vita ďun uomo. Saggi e interventi, cit., p. 281). Cír. Ettore Setra, lltascapane di Ungaretti, in Id., // tascapane di Ungaretti U mio vero Sabä e altri saggi su Cardarelli, Sbarbaro, Barile e Taliáne, prefazione cli Giorgio Caproni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983, pp. 19-50. ' Cfr. Gérard Genot, Sémantique du discontinu dam "Ľallegria" d'Ungaretti, Paris, Klincksieck, 1972. 10 Guido Guglidmi, inlerpreíamne di Ungaretti, cit, p. 21. " "La poesia non si chiude in se stessa (era questa ľambizione di Mallarmé), non si emancipa dalla circostanza, ma ha luogo (e il paral-lelismo puô essere questa volta con Apollinaire) nella disperstone degli occorrimenci. Ě epifanía, řase, accadimento. Ora ě proprio questo elemente temporale che richJede ntWAllegria la struttura del frammento": Guido Guglieimi, Interpretačně di Ungaretti, cit., p. 42. 12 Andrea Zanzotto, Ungaretti: Terra Promessa [1958-1988], in Id., Fantasie di avvicimmento, cit., P- 81- lil ■ tli m le confusa tra le infinite aitre - e a un tempo a pietrificarsi in una scric di erablemi traumatica ("come questa pietra / e il mio pianto / che non si vede": Sono una creaturaf1 - cioe, con entrambi i moti, a versarsi all'esterno di se -, allora questa esperienza lirica assume caratteri radicaimente 'esterni', tutii vissuti sulla superficie trascendentale dellocchio (naturalmen-te inreso come prolungamento estremo del reticolo nervoso e cerebrale). Di piü: il soggetto tende ad annientarsi (come tale)s a costituirsi quale superficie speculare che riflette gli infinki fenomeni del creato. E quello che Mario Barenghi, con sintesi icastica, ha definito fimmanentismo allegresco"14. La poesia che si intitola Annientamento rappresenta il soggetto che usi moduk", "s; smaka", "si radier", "si fissß / nella cenere del gre-to", arriva a cogliere se stesso "nel tuffo di spinalba". La parola chiave e al verso 28: "mi iransmuto" ("in volo di nubi")15. E con maggiore evidenza, in Disiacco: "Eccovi un uomo / uniforme / eccovi una lastra / di deserto / dove il mondo / si speeckia"16. 13 "Ma sono / come questi sassi tarlati / nella fionda del tempo / eome la scagiia del sasso battuto / dell'improvvisata strada di guerra" (Percha). "II calore, la plasticita, l'animazione della vita si occulta nella cosalitä della non vita. Le sostanze si scambtano. il pianto 'non si vede'; ě come una pietra; si approfondisce quanto piü si mineralizza": Guido Guglieimi, Interpretazione di Ungaretti, cit, pp. 20-1. 14 Mario Barenghi, La pietra del San Michele [1981], in Id, Ungaretti. Un ritratto e cinque studi, cit., p. 86. 15 Corsivo mio. I! moto ě reciproce: il soggetto trammuta se stesso all'atto di transfondere liricamente la realtä {in una lettera a Papini, non datata ma del dicembre del '16, scrive Ungaretti: "tra centanni s'aecor-geranno che in fatto di sensibilita, di transfusione lirica della realtä, sono piü avanzato di tanti altri incensati, - di un secolo almeno": Lottere a Giovanni Papini, cit, p. 80; in una lettera precedente, del 12 luglio 1916, aveva giä affermato che "l'arte ďoggi ě una trasfusione della realtä": ivi, p. 62). 16 Corsivo mio. Letto in questo modo, il prima Ungaretti (3'Ungaretti 'egizio') rende meno inopinato il successivo indirizzo 'baroeco' preso dalla sua poesia; se ě vero che "l'uomo baroeco non ě un soggetto 272 LE NOTTICHIARE EEANO TUTTE UN'ALBA ,A GUERRA-PEKCEZIONE 273 Perdono peso, a questo punto, í prcsupposti Ideologic! del soggetto storico d i quest i testi, ľinterventista déraciné Giuseppe Ungarettí; ment re il soggetto del testo "si riconosce come proiettato nelľessere, 'abbandonato nelľinfinito', uomo di pena' naufragato nel 'porto sepolto'". Tanto ehe u n let tore simpatetico come Zanzotto ha potuto leggere questo Ungaretti come proťeta "di quelío ehe poi doveva precisarsi come 'esistenzíallsmo'"17. Su questi caratteri originär! delia poesia ungarettiana ú innesta poi, nel corso del eruciale 1916, ľesempio delia poesia giapponese. E una questione abbastanza nota - e molto controversa. Qui basti rícordare ehe sul quinto fascicolo delia rivista napoletana "La Diana" {25 maggio 1916) apparve-ro - nella traduzione del principále animatore delia rivista, Gherardo Marone, in collaborazione con Harukichi Shimoi -aleuni brevi testi d i Akiko Yosano (altri, tra i quali quelli di Suikei Maeta, appariranno nei numeri successivi). Negli stessi laseicoli apparivano testi di Ungaretti (proprio d i se-guito nel numero 5, ad esempio, ľimportante Fase): tanto ehe spontaneamente Marone, nel presentarne altri ai suoi lettori, lo paragonerä proprio a Suikei Maeta1*. Nel 1917, poi, Marone nel senso ehe la fiíosoŕia moderna attríbuisce a questo termíne. La sua emotivitä non proviene dalľinterno, da una inferiorita spirituále, ma dafľesterno, da forze nei confront! delle quali egli ě passivo. U suo ani-mo ě sospeso, silenzioso, in ascolto nei confront! di quakosa ehe viene da fuori" (Mario Pernioia, Barocco, espressionismo, inespressionismo, in Id., Enigmi. II momenta egizio nella societa e nelľarte, Genová, Costa & Nolan, 1990, p. 110). Espressionismo e barocco - col Benjamin del Dramma barocco tedesco, naturalmente -, allora, quali tenderize "en-trambe contrassegnate da un incontenibile e Impersonale voiere artistka" (ivi, p, 104). 17 Le ultime citazioni da Andrea Zanzotto, Ungaretti: Terra Promes-sa, cit., pp. 81-2. 18 Nel n. 1-2 del 1917, cosi Marone - con síngolare sincretismo eso-rico-crociano - presenta Ungaretti: "C'e un altro poeta nel mondo che bisogna cominciare a citare ed amare perché forse ě il piu puro di tutti cura per Rice i a rdí u n volume dl Poesie Giapponesi, e lo invia tra gli altri alFamico Ungarettí19, Diversi an ni dopo quando un tale Enzo Palmieri affermö che "i'Ungaretti e l'ungaretti-smo si troverebbe nelle traduzioni dal giapponese moderno di Gherardo Marone", riferendosí al volume del '17 ma da tan do lo erroneamente al '12, Ungarettí - assecondato, da allora si no a oggi, da una sehiera dí eritici fedelí - rispose piccato che alluscita del volume 'giapponese' II Porto Sepolto era stampa-to giä da mesi25. [...]. La poesia di Ungaretti ě nuova in Italía perché ě soltanto poesia: la sua estensione caratteiística ě la straordinaria brevitä che la rende forte-mente prossima aiia fantasiosa e grande poesia giapponese, dell'immen-so Suikei Maeta speciaímente". 19 Che ne da ricevuta in data 27 giugno 1917 ("Ora le gustero; e riu-scirö con te nel nostro mondo di incantesimi"): Giuseppe Ungarettí, Da una lastra di deserto. Lettere dal fronte a Gherardo Marone, cit., p. 113, 20 La risposta polemica di Ungaretti, che sosteneva esse re statě piuttosto le traduzioni di Marone influenzate dal Porto Sepolto, si legge in "LItalia Letteraria", nei numeri del 7 e del 21 maggio 1931. D'altro canto la TOga giapponese era giä stata un vezzo piuttosto diffuso nella poesia europea, alrneno dalla meta deU'Ottocento (in Italia si pensa a certo ďAnnunzio: cfr. Niva Lorenzini, Giapponeserie e giapponismo alla prova della poesia. D'Annunzio, Govoni, Saba, in Elpidio Jenco e la cul-tura del primo Novecento, atti del convegno di Víareggio, 27-28 ottobre 1989, a cura di Mirko La mi, Viareggio, Pezzini, 1991, pp. 13-8; Bruno Basiíe, D'Annunzio e la Urica Orientale, in Id., II tempo e le forme. Studí letterari da Dante a Gadda, Modena, Mucchi, 1990, pp. 213-41}, prati-cata come "civiltä del irammento. dell'allusivo e dell'ambiguo" {Flavia Arzeni, Dimmagine e il segno. 11 giapponismo nella cultura europea tra Ottocento e Novecento, Bologna, il Mulino, 1987, p. 223; cfr. ora Giorgio Sica, II vuoto e la bellezza. Da Van Gogh a Rilke: come l'Occidente in-contrö il Giappone, Napoli, Guida, 2012), E senz'altro Ungaretti poteva averne incontrato deglt esempi giä nel periodo trascorso a Parigi fra il 1912 e il '14 (si veda l'equilibrata sintesi recente di Anna Lisa Somma, Le 'giapponeserie' di Giuseppe Ungaretti nel dibattito critico italiano, in "Soglie", 2010, 2, pp. 60-71). Luciano Rebay ha indicato precise corri-spondenze fra akuni testi del Porto e gli haikai (sarä meglio correggere, 274 LE NOTTI CfflARE EEANO TUTTE UN'ALBA LA GUERRA-PESCEZiOWE 275 Che sia stata o meno influenzaro dalla poetka attirna'c d i haiku e tankü (il Saba áúľintermezzo quasi giapponese, come I vedremo, non ne farä invece mistero: forse perché non ceno su quel registro puniava davvero le sue carte), quella di Ungaretti diviene da subito una maniera popolarissirna. Specie, come ě • naturale, tra gli alírí poeti di guerra. Si ě vísío come le poesie < deWUbriaco di Bontempelli facciano íl verso a stilemí e siti.-ü- ■ zioní delia poesia dí guerra futurista; m a il suo indubbío gcnio mimeíico e manierista fa in tempo anche a parodíare II Porto \ Sepolto, e forse in u n caso con precise intenzioni satirkhc2'. anzi, tanka) tradottí da Marone; componimenti nei quali Jo "scopo ě di | fissarc una breve immagíne dístiilandoia nel minor numero di parole ' possibile e il cui Stile ricorda da vicino quello degli haíkaí; come in qucsti una grande irnportanza ě riservata ai titoli, veramentc parti in-íegranti della composizíone" (Luciano Rebay, Le origini della poesia di í Giuseppe Ungaretti, preťazione di Giuseppe Prezzolini, Roma, Edizioni ■ ■ dí Storia e Letteratura, 1962, p. 62; e dr. le pp. 57-63; c fr. poi Atsuko ' Suga, Ungaretti e la poesia giapponese, in Atli del convegno internationale su G. Ungaretti, Urbino, 3-6 ottobre 1979, a eura di Carlo Bo e Mario 5 Petrucciani, Urbino, 4 venu edizioni, 1981, vol. II, pp, 1363-6, e Nicola \ D'Aniuono, Wartime e letteratura, introduzione aila ristampa anastatica ľ da lui curata de La Diana, Salerno, Avagliano, 1990, pp. 26-7). Mentre cli recente Carlo Ossola, introducendo aila nuova edizione della Vita i'un uomo, ha sottolineato il ricorrere (ma soprattutto nei versi successivi ; al Porto) della scansione rit mica 'giapponese' con "brevitas al centro" (Ungaretti, poeta, Venezia, Marsilio, 2016, p. 29). 2> Mi riferisco al primo componlmento della sezione Cori, entro Ii Purosangue; "fcglie. / Dai pensieri dell'albcro / cadiamo. Non eravamo stanche. / Nel cuore dell'albero / le fog lie nuove son mille. / Q nan-do noi saremo niente / ľalbero sarä tutto verde. // gocciole. / Le figlie dell'albero / sono cadute e niente. / Noi noi / viviamo fulgide / di raggi / brividi. // raggi. / Scivolo, Corro, Mia / questa goecia. Questa, mia. / Qui stiamo in cento. / Quando ľanimo ě contento / tutto ľalbero scintilla. / Briila, gocciastella, / Ľalbero zampilia / di pupiile". Nel se-condo componimcnto, poi, "i morti ai vivi" recitano a tin certo punto: "cadere inerti / come foglie finite / eternamente / cinti di niente" (i due brani si leggono in Massimo Bontempelli, Opere scelte, a cura di Luigi ; La riptesa di stilemi ungarettianí e evidente in diversi dei riostri poeti; due futuristi Sicilian! pronti a tornare allordine, Luciano Nicastro e Vann'Antô, e un futurista romano che sta per affaccendarsi a tutťaltro, Giuseppe Bottai. In tutti Y imprinting paroliberista ě ancora visibile, ma ben piu fruttuosa-mente {e con risultati tutt'aitro che indecorosi) appare messa a frutto la lezione del Porto. II caso di Vann'Anto e il piú curi oso, e mostra come la peneírazione dell avanguardia nelle piu remote contrade fosse stata veloce ma anche priva della pretesa capacitä d i fare terra bručiaca delle diverse rcalcä cultural! gia-centí nel sostrato, Versato nella ricerca antropologica, ľavan-guardista pentito cerca di fondere (ne! Fante alio da terra, libro davvero singolare uscito nel '32) la mitopoiesi elaborata dal po-polo in armi, il suo linguaggio semplicc e le sue enfasi ingenue, con í ritrovati tecnici, versali e fonosimbolici, delľavanguardia (futurista e appunto ungarettíana') - a loro volta riassumibi-li in una lezione di semplificazione metrica e sintatíica. Ě un dato eloquente che, con grande frequenza, il dato radicaie so-pravvivente a questa doppia semplificazione sia proprio la con-centrazione sensoriaie (il leitmotiv dell'ululato nell'abbastanza impressionante frammcnto estratto dalla lunga suite Baltaglia del Sabotino, la percezione opacizzata del paesaggio da parte dell'"automa-vcdcua" di Chiarore lunate piú nebbia, i I sense di assorta immobilitä nellbmbra che restituisce vividamente la moko ungarettíana Nel sepolcro dell'ombra). Baldacci, Milano, Mondadori, 1978, pp. 911-2). Sembra insomma che Bontempelli qui faccia il verso alia celeberrima Soldáti di Ungaretti. I due iibrí, II Purosangue-ĽUbiaco e Allegria di Naufragi, escono lo stesso anno, 11 1919 (anche se í componimenti del Purosangue recano la data-zione d'autore del '16), ma la poesia di Ungaretti (con datazione d'autore "luglio 1918") esce sul numero dei giugno 1918 deiia rivista bolognese "La Raccolta" {II Porto Sepolto del resto ha sempre goduto di grande fortuna a livello per cosi dire parodico: si veda la declinazione da parte dello specialista Luciano Folgore nel Foglio matricolare a lui dedicato in fondo a questo volume). 1 i o iE NOTTI CHI ARE ESANO TUTTE UN 'ALBA Tanto in Vann'Antô che in Sbarbaro (nei versí da Rimanen-ze), ma anche nel secondo frammento di Carlo Stuparich, torna il motívo delia nebbia. E una prcsenza signíficativa, perché indica lo sforzo del soggetto percipiente di farsl una ragione malgrado tutto naturale delia propria visione continuartiente intralciata, ostacolata, frammentata. La nebbia ě inťatti un elemente naturale che pero tende a confondcrsi con gli innaturali fumi deíla baltaglia tecnologica; e con clementi tecnologici, infatti, spesso sincrcíistica mentě si combina (a esempio coi "ri-flettore" che "metre un mare nel la nebbia", nel Pettegrinaggio di Ungaretti)22. Chi dá uninterpretazione originale del motivo delľímpe-dimento fisico alia percezione, ritagliandolo con decisione, ě Bottai. La luce lunare, anziehe illuminare il paesaggio, ne am-morbidisce i contorni: e quel gesto lieve e carezzevole, come "una dolce benda / di carezze / sulla fronte", consente alľar-dito appostato "nelľagguato" una pausa inattesa: tutta mentale. Ma quel sollievo, quel la "benda", ě dato signiíicativamente proprio dali a sospensione della vista. La eura alle ferite (spirituals passa per u n volontario accecamentrp. 22 In Ungaretti tuttavia il terna, ben attestato, cielľottundimcnto sensorial ě piu spesso legato, piuttosto, a un eccesso di iliumínazione, alla fenomenologia áéX'abbaglio; ed ě sempře, in questi casi, memoria delľ"Affrica"; come nelľ'Allibisco" di Lindow di deserto. Parricolar-mente evidente, questa sovrapposizione tra dato percettivo e dato memoriále (non ě altro che questa, del resto, la formula di base della poesia ungarettiana, in tutte le sue stagioni), in una poesia esclusa áúVAllegria che reea ii titolo Nebbia [Vita ďun uomo. Tutte le poesie, cit., pp. 427-8) ma si sostanzia tutta di immagini orientali ("A poppa / gli en:; .ii soriani / ballavano", ecc), che sostituiscono (come fossero, allor- ,na nebbia tutta mentale) Je immagini del presente, attingibili solo per via negativa ("E abbiamo finalmente smarrito ľitinerario della cit ta", ecc). 23 La poesia di Bottai, data alle stampe proprio alla vigiíia della Marcia su Roma, ě stata dimenticata: oceukata dalle ben piú rilevanti vicende politiche e politico-culturali del futuro Ministro deil'Educa-zione Nazionale (ma tralasciata anche dalle insistite proposte di re- LA GUEB.R A-PEKCEZIONE 277 Se insomnia la tematizzaziooe del vedere e un dato assolu-tamente preminente, nei nostro repertorio, e forse il caso di cominciare a indicate le diverse tipologie dello sguardo riscon-trabili. Si possono identificare due londamentali gramtnatiche della visione: nella maggior parte dei testi, il dato ottico viene declinato impressionisticamente, facendo ricorso alle retoriche romantiche dell'indeterminatezza e dello 'stumato'. Nella (reale) scarsa visibility del paesaggio, la resa del dato visivo e cerca-ta attraverso un trascolorare delie impression! Tuna neliaitta, che si appuntano soprattutto su quanto spicca comunque all'o-rizzonte: le macchie di colore. £ il cöte che potremmo definire della "benda". Altri poeti, invece, reagiscono in modo diametralmente op-posto, cercando a tutti i costi di dividere il campo visivo in zone otticamente priviiegiate, perseguendo cosi una specie di cadrage mentale. Esemplare il testo di Fiumi, nel quale la luce dei riflettori, anziehe mettere "man nella nebbia" (con sug-gestione vagamente turnenana), ritagiia con nettezza precise porzioni di "firmamento". Le sue "gömene di luce", non per caso, sono definite "sbarre" e "lame": a tal punto acuminate da resecare i dati vertical! che si oppongono al loro passaggio si- visione' storica sui personaggio). Sospesa fra momenta di incondila deücatezza, come quello che si e appena letto (spessissimo legata a immagini lunari), e ferine manifestazioni di aggressivitä, che ncordano ben attestati töpoi della tradizione espressionistica vociana (in Terra, a esempio - "Mi sdraio / sui campo sterrato [...] addento la terra rossa [...] mi strazio le labbea / che vogliono bere / l'odore / di questa soli tudine" - si trova la riscrittura di un celebre passaggio del Mio Carso di Scipio Slataper), alt rove - specie nelle prose liriche - vi hgura invece un impressionismo fortemente cromatico, che sarä piü giusto aecostare alle prove esemplari di un Onofri. In ogni caso, seppur non originale nelle soluzioni teeniche ed espressive, quello di Bottai appare uno dei libri meglio costruiti della 'poesia di guerra'. Cfr. Lorenzo Cantatore, Giuseppe Bottai. Poesia e politico culturale, in "BVE Quaderni", 1996, 4, pp. 13-36. 278 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UNALBA lenzioso e micidiale. Conseguenternente, i colon si accendono suddividendosi seconuo le tinte primarie: blu, giallo. (A voler cercare un esempio figurative, bisognerebbe stavolta pensare a I Kandinskij pi ú geonietrico e smaltato ~ ma sempře memore del coiorismo fauve degli esordi.) La stessa costruzione per-cettiva ě nel brano di Bontempelli ehe non a case si intitola Geometria: anche qui le "strisce di luce" sono de lie lame che "tagliano il buio", e "il mondo" divienc una cosiellazione di "triangoH acuti invisibili". Proprio sotto lo stemnia delia "lama" potremmo raggruppare quest! testi. Si tratta, ě evidente, di una precisa necessita psichica. II mondo caotico del paesaggio di guerra, per essere accettato, ha bisogno d i essere razionalizzato, ritagliato secondo assi di rilerimento culturali preesistenti, che possono essere quelli tradizionali del repertorío poetice (negli autori delia "benda"), oppure quelli della memoria pi u recente, dcll'avanguardia futurista o cubista (negli autori della "lama"). ImmaginJamo il buon Ferdinande Caioli, a esempio, ehe si sveglia in cascrma alle "cinque e mezzo di mattina": i dati sensorial! confusi (per sicuazione complessiva ma anche per metabolisme) esigono di essere 'messi in ordine' e lo schema disponibile piü adatto e quello della 'tavola parolibera' divenuta ormai formulario disponibile e ricettivo (come nelle "cartoline futuristé" ideate non senza irónia dal solito Cangiullo alia maniera d i un formulario buroeratico, con le varič caselle da riempire: AMO-RI-POĽSIA-GUERRA-SALUTE, ecc). Ma il caos percettivo delia guerra coinvolge tutti i sensi, m-turalmente. Ľudito ě continuamente aggrcdito: sino a indur-rc nel soggetío percipiente stati di trance, o di ungarettiano "clormiveglia". Agli "scalpellini" minuti di Ungaretti - ehe, nel mezzosonno appunto, trasiigurano in memoria d Alessandria d'Egiíto la percezione effettiva delle "schioppettate"24 - corri-sponde il "piecone sordo" di Rebora: e i suoi "colpi mordend" 14 Cfr. Luigi Paglia, Ľurlo e lo stupore, cit,, pp. 118-9. LA GUERRA-PERCEZIONE .279 PIA: seöibramo accompagnare il comune "carniniriamentü" d i cht í ascolta: ínequivocabilmente dire t to "a morte" (Rebora del re- sto fu coipito proprio nelľudito, come e noto, restando vittima í del cosiddetto shell-shock). Ma anche unonomatopea normal \ jiiente innocente, come íl "gluglü" di una Fonte nella macerie t ■ (mentre il mutismo del campanile diroccato daí bombarda-menti,quasifuggitonedariaínsiemeai suoiultimi rintocehi,ě on "obelisco del caos", un emblem a de! diruto presente), non puô ehe essere sentita come un "fossile" del passaío inesploso: -; che, per contrasto, richiama il minaccíoso paesaggio - anche ' sonoro - circostante. Solmi ci ricorda, in una delle beiiissime prose d i Medita-\ zioni milo scorpione, ehe una delle tracce mnestíche pi it insi- stent:!, nella coscienza del reduci (la poesia d i guerra sol m ia na ě sempře poesia del ricordo d i guerra), ě legata alle devastan • ! ti sensazioni ol fat dve che alia guerra erano legate. Odori d i '■■ morte (in prevalenza), ma anche odori d i vita quotidiana (le 1 _ "sigarette Sport trovate nella trincea austriaca abbandonata"). ' Nicastro, invece, ha il merito di restituire con forza le sensa- \ zioni squisitamente tattili della figura umana ehe si staglia i \ solitaria neiľ'oceano ďaria": sensazioni rarissime nella guer-I ra di trincea, dominata dalla contingentazione degli spazi e : da u n senso di opprimente costipazione; molto piu diffuse - ě dato supporre - nella guerra alpina (nella quale l'"oceano d'aria" puô essere anche segno di minaccia, veicolo di gelo mortale). ; L'attitudine impressionista (il côté "benda", insomma) cono- sce diverse gradazioni. Diego Valeri, poeta antinovecentesco -nella bclla lettura di Luigi Baldacci25, e come tale prima culto [ per pochi poi revénant polem ico quasi a la page - per il suo ■ ostinato riiiuto 'oggettivista' del simbolo e delľanalogia, puô essere constderato una sorta di 'grado zero' della percezione ) 23 Cfr. Luigi Baldacci, Per un'antologietta di Diego Valeri [1972], in Id,, Librettid 'opera e altri saggi, Firenze, Vallecchi, 1974, pp. 108-29. 280 IE NOTTÍ CHIARE EEANO TUTTE UN'ALSA poetka. Poco sembrerebbe distinguerlo, sul vcrsante propria-mente percettivo, da certo Sbarbaro; raa la natura non é sog-getta in Valeri ad alciuia interpretazione, "non ě mai adoperata come la lastra sensibíie dei nos tri stati d anämo". Eppure gli sttumenti utilizzati da Valeri per ottenere questo risultato a suo modo radicale sono proprio quelli canonici della tradi-zione del nuovo della poesia italiana (ccrta visivüä pascoliana, certo vitalismo dannunziano, persino: seppur drasticamente abbassaío di tono)26: tanto che il confronto pare possibile, piut-tosto, proprio con lappareniemente antitetico Ungaretti (per quell a capacitä 'giapponese' di fare dl se stesso, quaiche volta, una "1 astra sensibile" dell'estemo, anziehe il contrario: "non ě la natura mimetizzata suli'uomo, ma ě l'uonio aecordato alla natura", insomma)27. Poeta discontinuo, Valeri: spesso sin troppo compiaciuto della propria cantabilitä. Ma a volte il suo acquerelio risulta perfetto. La celebrata Balte il mattino ě un esempio di que-sta catafratta autosuKidenza di superficie (che puö ricordare addirittura čerte prose sofheiane). Isolata nel suo bozzolo verbale, all'interno di Crmlide, non mostra alcun carattere 'di guerra'; carattere che in vece, contestualizzato il testo nella sua sede onginaria - la rivista "La Brigata" -, e restaurata la data deir'occasione'28, si rivela appieno: magari solo per la conti-guitä metonimica di quel "razzo d'oro" dell'alba con altri razzi appena lasciati al fronte... Quella di Carlo Stuparich ě produzione per eccellenza 'residuale': ombra - come nel titolo scelto dal fratello Giani nel 1'ordinäre i suoi testi: Cose e ombre di uno - di un futuro promet- 26 Cfr. Pier Vinceazo Mengaido, Poeti italiani del Novecento, cit, p. 355. 27 Quesia citazione (come la precedente), da I.uigi Baidacd, Per un'antologietta di Diego Valeri, cit,, p. 115. 28 Suila rivista la data apposta in calce ě "(in treno - Milano-Bologna . -1917)". LA GUERRA PERCEZIONE 28! • tente che la rnorte in guerra ha reso per sempre un'ipotesi29. E, \ se non ě suggestione troppo facile, proprio come unbmbra ě ' trattata la realtä sensoriale dal přu giovane dei tratelli triesti- ' ní. Malgrado si dica che ule cose son ferme e reci sc", nell'aria '• tagliente di novembre, l'aggettivazione tende a negate cleter- 't minati dat i ("senza confine", "senza languore", le "grandi arie '■ sono muté"), íacendo del quadro finale non molto piü che una l sinopia soffusa di mezze tinte; i\c\VImpressiotte {titolo partico- larmente azzeccato, anche se probabilmente non autoriale) la I scelta ě di affidarsi alle maechie cromatiche, ma anche qui le "cose", piú che venire mostrate, sono alluse: nel proprio stato i "nascentí'", infatti. Ma il piú grande ta lento di 'impressionista' lo rivela in guerra un poeta grandissimo che prima della guerra sera distinto, } piuttosto, per soluzioni di tipo espressionistico: Camíllo Sbar- í baro. Se ě vero che ě proprio la prosa dei Trucioli la sede del ? non urlato ma magistrále sperimentalismo sbarbariano (senza II dimentica la preistoria della primissima raccolta poetica, Resi-l ne), la lunga sequenza 'di guerra' si distingue, entro 1 au reo li-( bro del '20, proprio per caratteri di attenuata violenza lessicale ■ 29 Contrariamente all'opinione del fratello (e curatore della sua ; opera), Giani Stuparich, che parlava di Cose e ombre di uno come dí qualcosa di diverso daile "taňte raccolte di seritti volute dalia pieta dei 1 íamiliari verso la memoria di un loro Caduto in guerra", e anzi lasci- l to "duno serittore giovanissímo, con una sua personalita giä fermata" . (Introduzione, in Carlo Stuparich, Cose e ombre di uno, a eura di Giani '' Stuparich, Roma, Quaderni della Voce, 1919; poi, con un'avvertenza di í Arnaldo Bocelli, Caltanissetta-Roma, Salvátore Sciascia, 1968', p. XIV). I Giani rievocherä diverse volte la figura del fraiello, suicidatosi al Cengio " il 30 maggio 1916 per non cadere prigioniero degli austriaci: suila sua X figura sono imperniati i síngolari Colloqui con tnio fratello, pubblicati \ nel 1925 da Treves e amatissimi da Svevo (a eura di Césare De Micheiis, Venezia, Marsilio, 1985). Un ottimo avviamento alla lettura di questo - che comunque ě davvero uno dei piü promet tend serittori della sua ge- nerazione ě il saggio di Renato Bertacchini, Carlo Stuparich, in "Otto/ " f Novecento", XIV, 1990, 3-4, pp. 81-149. Iii 282 LE NOTTICHIAEE ERANO TUTTE UN'ALBA LA GUERRA-PERCEZIONE 283 e rííJTiíca (la prosa di Sbarbaro appare sempře, se non 'n ume-rosa', fittissimamente orchestrata)30, Certo: restano i particoiarí staccati dalla figurazione con gusto delia lacerazione icon ica e de! cozzo timbríco (le "starpe al sole" - segoo di morte come nel famoso memoriále di Paolo Monelli31 - "tozze; conficca-te per la punta". la cameríera dei "caffeuccío" trasformata in "macehina", í "volatili" ehe, "gozzuti", ti serutano "ncl dormi-veglia", "con ocehí di vecehi cattivi")32, ma il risultato sort i to da questa straordinaria acutezza percettiva (si veda il secondo capoverso dcl Truciolo 34), da una sensibilita cromatica po r-tata sino al vírtuosismo (ivi il penultimo capoverso: bisognerä leggere sob Onoíri, per trovare una tale esaitante, ed esaltata, capacitä tecnica), non ě altro ehe una sorprendente cancellazio-ne delia guerra (ehe, signiŕicativamente. passa per il consueto 'segnale' delia nebbia): "La guerra dov e?"}) 50 Munirissimo esame stilístíco queilo di Alessandra Zangrandi, Appunti sullo stile dei "Trucioli" di Sbarbaro, in "Sfudi novecenteschi", XXII, 1995, 50, pp. 319-64. 31 Monelli spiega il modo d i dire nella prima pagina dei suo fortu-naiissimo libro: "Nel gergo deglí alpini metíere le scarpe al sole significa morire in combattimento" (Paolo Monelli, Le scarpe al sole. Cronaca di gaie e di tristi awenture ďalpini di muli e di vino [1921], Vicenza, Neri Pozza, 1994, p. 19). u Eugenio Montale, ehe dedicô ai Trucioli una delle sne primissi-me recensioni, r'aceva il nome di Honore Daumier: cfr. Camillo Sbarbaro [1920], in Id., 11 secondo mestiere. Prose 1920-1979, a eura di Giorgio Zampa, Miláno, Mondadori. 1996,1.1, p. 6. 33 Nella íerza edízíone di Fuochi fatui (Milano-Napolí, Ricciardi, 1962) é presente un "truciolo" disperso dei 1919 ehe, euriosamente, ha un incipit paratestualmente aggettante (quasi un titolo, insomma) identico a queilo di Ricordi dei 1918 di So! m i; ma anziché veicolare sensazioni oifattíve, si dedina come una serie di impressioni visive: "La guerra vuol dire I la pergola solare sospesa sulla terra amorosa. di Francia; la fontána di ghiaccioii ehe ci venne incontro a Buttrio; le vetrine di Bologna, versicolori nella nebbia; a Vigodarzere, tra le sparse ramaglie inerostate di galaverna il sole ehe levava rosso; i eoimi secehi Senza alzare la voce (come e coogeníale ai poeta di Pianissimo}, cí víene offerta quella ehe giustameníe ě stata definita, delia guerra, una "negazione di cuí pochí intellettuali del pri-nio Novccento sono capací e ehe nel solo Palazzesehi dí Due imperi... rnanaiti appare piú radicale"'4. 11 senso di estraneitä e infatti io stato ďanimo dominante di Sbarbaro, negli anni di guerra: estraneo alľinterventismo (al quale si era prestalo persino íl per antonomasia 'appartato' Ceccardo Roccataglíata Ceccardí), Sbarbaro resta a lungo in una condizione emargi-nata, rispetto al conflitío, anche in senso materiále. Come ha seritto Pasquale Guaragnella, ľ'esemplaritä" di Sbarbaro ě di ráme ehe mettevano in mostra il fianco di Mariuta; la notte di Udine; 1 est ate den sa dí Fara; Cesuna bombardata, presepio ridente .nella neve; le dame di Croce Rossa, rondiní violette; Dueville assordata di nidi; la luna di Caminetto gelata e al sole di ťebbraio i buoi pezzatí ehe arava-no; a Orsara i fioretd in cui rividi gli ocehi delia sorelía; Soieschiano, paesello-monastero; il ciuffo d i Muelhenbergia ehe tréma sul mio capo in trincea...": io si legge ora in Camillo Sbarbaro, "Trucioli" dispersi? a cura di Giampiero Costa e Vanni Scheiwiller, Miláno, Scheiwiller, 1986, p. 93. 34 Franco Contorbia, Sbarbaro e la Grande Guerra, in Atti del Con-vegno Nazionale di studi sa Camillo Sbarbaro, Spotorno, 6-7 ottobre 1973, Genová, Edizíoni di "Resine", 1974, p. 150. Non a caso Sbarbaro ě ľunieo poeta ehe rappresenti il fenomeno delľautolesionismo: punto di massima intensita del rihuto delia guerra da parte del "popolo in ármi". Questo il senso delľellittica i m mági ne ehe apre ii Truciolo 27 ("Sulla pagiia il vicino ínnaffiava la cara otite"), ehe torna piú esplicita alľini-zio delia sezione 'di guerra' di Fuochi fatui; "Alla sveglía, sorprendevo il vicino ehe innaffiava ľorecehia di suceo di cieuta; delľora di libera uscita, un altro (lo vedo: ocenia acquosi, un naso ignobile) approfittava per recarsi a čerta buca: munito dove occorre di pesi, si precipiiava nella speranza di un'ernia strozzata; il caporatmaggiore, in convalescenza da recidíva di itterizia, si preparava alla visita di controllo cibandosi di panseceo e fumando sigaretíe oliate (un pizzico di salolo avrebbe cancellato ía traccia delia f rode)...": Camillo Sbarbaro, Ľopera in versi e in prosa, a eura dí Gina Lagorio e Vanni Scheiwiller, Miláno, Garzanti, 1985, p. 431. 284 LE NOTTI CHI ARE ERANG TUTTE UN'ALEA LA GUERRA PERCEZÍONE 285 "quella dí essere (o dí sentirsi) sempře alt rove' rispetto all a guerra e all a sua logica"35. Ma estraneo e, il poeta ligu re, soprattutto rispetto alle ansíe dí palmgenesi dei suoi coetanei. Non per caso un poeta che pure ha tat to delia messa fra parentesi del soggetto e del "cor-relativo soggettivo" il suo modo dí guardare il mondo56 non ě affatto incline a Ha spersonalizzazíone grcgaria che abbiarro ímparato a conoscere spesso, negJi intellettuali coinvolti nel-la guerra. Nelle Carloline in franchigia, anzi, ricorre spesso la pro tes ta di non avere tempo per se stesso; e Sbarbaro ha la luci-ditä per deprecare il "graduale metodo di incretinimento" del corso ulílciali al quale ě costrctto a prendere parte: "i 15 gior-ni d i tríncea furono i soli in ciii potei pensare cíoě essere"57. Carattenstico il gesto con il quale, suo malgrado promosso 55 Pasquale Guaragnella, Esercizi di scrittum snila Grande Guerra. Camillo Sbarbaro e i volti delle emozioni [2009], in Id., I volti delle emo-zioni. Riso, sorriso e malinconia nel Novecento letterario italiano, Firen-ze, Societa Edítrice Fiorentina, 2015, p. 109. 36 Ľespressione ě di Piero Bigongiari, e riguarda Palazzeschí: cfr. II 'correlativo soggettivo di Palazzescbi [1977], in Id., Poesia italiana del Novecento, Miiano, il Saggiatore, 1960, 19783, vol. I, pp. 87-94. Anche nel saggio sbarbariano contenuto nello stesso volume, Sbarbaro alle origini del Novecento [1958], ivi, pp. 269-84, Bigongiari descrive in modo suggestive il particolarissimo atteggíamento di Sbarbaro, sempře sospeso tra i poli delia "euriositä" e delia "estraneitä": in Sbarbaro il dolore "ha perso qualsiasi velieitä di farsi, come in Leopardi, Strumentale. II poeta ha cauterizzato, si direbbe, persino il proprio dolore; toglie qualsiasi finalitä ai propri moti, Ii ferma [...] quei moti divengono statici, e dírei stati del moto": p, 272. Giorgio Bärberi Squarotti, nel la sua ŕitta monografia {Camilla Sbarbaro, Miláno, Mursia, 1971, p. 146), riassume ľespe-rienza di Sbarbaro nel míto delľ"uomo-pictra", ehe ha mineralizzato le propríe emozioni. I "Truäoli rappresentano, insieme con k Resukanze di Jahier, i versí di Rebora, gli seritti di Boine, ia testimonianza piit di-retta sul carattere rciŕicato e merciiieato deiľuomo nelieta capitalistica". 37 Camillo Sbarbaro, Cartoline in franchigia [1966], in Id., Lopera in versi e in prosa, cit., p. 567. sottotenente, dopo breve presenía {vanamente) domanda per venire retrocesso di nuovo a soldato semplice. II sarcasmo con íl quale Sbarbaro víve la condizione míiitare ě tutto nel "signor-si" risposto, con "un concentrato di rassegoaxione e di beffa", al superiore ehe glí grida "buono a nienté"^, H poeta-soldato rigetta tutti glí alamarí del suo ruolo prezioso e ricercato. Non vuole essere nienťaltro ehe un "buono a niente" (accetta sólo ľ idea di soccorrere i ferit i, e infatti si arruola nella Croce Rossa, stornato al fronte per un "desiderio di mutamento" ehe le biografie sbarbariane non spiegano a suŕficienza): e rifiuta quaisiasi utilizzazione delia sua parola - 'demoeratica' o meno ehe sia ľintenzionc d i ch i intencie sfruttarla39. Non e un caso insomma ehe, tra i grandi poeti italiani delia sua generazione, Sbarbaro sia ľunico ad avere avuto sostan-ziali rapporti con dada. E non e un caso, forse, ehe proprio íl Truciolo 34 compaia (in una versione scorcíata, stretta fra un pugno di versi d i Soupault e un'incisione di Richter) nel terzo numero di "DADA"40. Assolutamente privi di quaisiasi cári- 38 Ibidem. 59 Caratteristico. per il rapporto d i Sbarbaro con le proprie parole "dentro" la guerra, ľepísodio narrato in una leítera a casa del 9 otto-bre 1917; "... predicavo alľaperto in un cerchio d'ufficiaii quando ii colonnello {ehe mi guardava finora con sospetto), passando, fu conquiso dalla facondia con cui snocciolavo il mio imparatkcío. Per fortuna a una domanda (essenziale sul funzionamento delí'arma e ehe, dígiuno di meceaníca, io non m'ero nemmeno posto e m'avrebbe lasciato a bocca aperta) ci fu nelľuditorio chi rispose per me; cosi a tempo ehe nessuno s'accorse ehe stavo insegnando ciô ehe non sapevo; e meno di tutti íl cli-rettore del corso ehe sedma staňte m'incaricô di stendere una Memoria. sulľarma, destinata al Comando dArmata": ivi, p. 612. 40 II brano di Sbarbaro, sulía rivista zurighese di Tristan Tzara (ehe esce nel dicembre del '18), prende il titolo di Môrar, luogo di composi-zione del "Truciolo" (e reca una dediča "a Thédis Grifŕin / animaletto ghiríbizzoso": una sua riproduzione anastatica figura in Camillo Sbarbaro. Immagini e documenti, catalogo delia mostra, Spotorno-Genova 1981, a eura di Domenico Astengo, Miláno, Scheiwiiler, 1981, s.n. di p.,