280 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA LA GUERRA PERCEZIONE 281 poetica. Poco sembrerebbe distinguerlo, sul versante propria-mente percettivo, da certo Sbarbaro; ma la natura non ě sog-getta in Valeri ad alcuna interpretazione, "non ě mai adoperata come la lastra sensibile dei nostri stati d'animo". Eppure gli strumenti utilizzati da Valeri per ottenere questo risultato a suo modo radicale sono proprio quelli canonici della tradi-zione del nuovo della poesia italiana (certa visivitä pascoliana, certo vitalismo dannunziano, persino: seppur drasticamente abbassato di tono)26: tanto che il confronto pare possibile, piut-tosto, proprio con l'apparentemente antitetico Ungaretti (per quella capacitä 'giapponese' di fare di se stesso, quaiche volta, una "lastra sensibile" dell'esterno, anziehe il contrario: "non ě la natura mimetizzata sull'uomo, ma ě l'uomo accordato alia natura", insomma)27. Poeta discontinuo, Valeri: spesso sin troppo compiaciuto della propria cantabilitä. Ma a volte il suo acquerello risulta perfetto. La celebrata Batte il mattino ě un esempio di que-sta catafratta autosufficienza di superficie (che puö ricordare addirittura certe prose sofficiane). Isolata nel suo bozzolo verbale, all'interno di Crisalide, non mostra alcun carattere 'di guerra'; carattere che invece, contestualizzato il testo nella sua sede originär i a - la rivista "La Brigata" -, e restaurata la data deLT'occasione'28, si rivela appieno: magari solo per la conti-guitä metonimica di quel "razzo d'oro" dell'alba con altri razzi appena lasciati al fronte... Quella di Carlo Stuparich ě produzione per eccellenza 'residuale': ombra - come nel titolo scelto dai fratello Giani nell'or-dinare i suoi testi: Cose e ombre di uno - di un futuro promet- 26 Cfr. Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, cit., p. 355. 21 Questa citazione (come la precedente), da Luigi Baldacci, Per unantologietta di Diego Valeri, cit., p. 135. 28 Sulla rivista la data apposta in calce ě "(in Ireno - Milano-Bologna -1917)". teňte ehe la morte in guerra ha reso per sempre un'ipotesi29. E, se non ě suggestione troppo facile, proprio come unbmbra ě trattata la realtä sensoriale dal piú giovane dei fratelli triesti-ni. Malgrado si dica che "le cose son ferme e recise", nelľaria tagliente di novembre, ľaggettivazione tende a negare deter-minati dati ("senza confine", "senza languore", le "grandi arie sono mute"), facendo del quadro finale non molto piú che una sinopia soffusa di mezze tinte; nell'Impressione (titolo partico-larmente azzeccato, anche se probabilmente non autoriale) la scelta ě di affidarsi alle macchie cromatiche, ma anche qui le "cose", piú che venire mostrate, sono alluse: nel proprio stato "nascentr", infatti. Ma il piú grande talento di 'impres sionista' lo rivela in guerra un poeta grandissimo che prima della guerra sera distinto, piuttosto, per soluzioni di tipo espressionistico: Camillo Sbarbaro. Se ě vero che ě proprio la prosa dei Trucioli la sede del noh uHato ma magistrále sperimentalismo sbarbariano (senza dimentica la preistoria della primissima raccolta poetica, Resi-ne), la lunga sequenza 'di guerra' si distingue, entro ľaureo libro del '20, proprio per caratteri di attenuata violenza lessicale 29 Contrariamente all'opinione del fratello (e curatore della sua opera), Giani Stuparich, che parlava di Cose e ombre di uno come di qualcosa di diverso dalle "tante raccolte di scritti volute dalla pieta dei familiari verso la memoria di un loro Caduto in guerra", e anzi lasci-to "duno scrittore giovanissimo, con una sua personalita gíä ŕormata" (Introduzione, in Carlo Stuparich, Cose e ombre di uno, a cura di Giani Stuparich, Roma, Quaderni della Voce, 1919; poi, con un'avvertenza di Arnaldo Bocelli, Caltanissetta-Roma, Salvátore Sciascia, 1968\ p. XIV). Giani rievocherä diverse volte la figura del fratello, suicidatosi al Cengio il 30 maggio 1916 per non cadere prigioniero degli austriaci: suila sua figura sono imperniati i singolari Colloqui con mio fratello, pubbiicati nel 1925 da Treves e amatissimi da Svevo (a eura di Césare De Michelis, Venezia, Marsilio, 1985). Un ottimo avviamento alia lettura di questo che comunque ě dawero uno dei piú promettenti scrittori della sua ge-nerazione ě il saggio di Renato Bertacchini, Carlo Stuparich, in "Otto/ Novecento", XIV, 1990,3-4, pp. 81-149. 282 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA LA GUERRA-PERCEZIONE 283 e ritmica (la prosa di Sbarbaro appare sempře, se non 'nume-rosa', fittissímamente orchestrata)30. Certo: restano i particolari staccati dalla figurazione con gusto della iacerazione iconica e del cozzo timbrico (le "scarpe al sole" - segno di mořte come nel famoso memoriále di Paolo Monelli31 - "tozze; conficca-te per la punta", la cameriera del "caffeuccio" trasformata in "macehina", i "volatili" che, "gozzuti", ti scrutano "nel dormi-veglia", "con occhi di vecchi cattivi")32, ma il risultato sortito da questa straordinaria aeutezza percettiva {si veda U secondo capoverso del Trudolo 34), da una sensibilita cromatica por-tata sino al virtuosismo (ivi il penultimo capoverso: bisognerá Ieggere solo Onofri, per trovare una taíe esaltante, ed esaltata, capacitá tecnica), non ě altro che una sorprendente cancellazio-ne della guerra (che, significativamente, passa per il consueto 'segnale' della nebbia): "La guerra dov'ě?"33 30 Munitissimo esame stilistico quello di Alessandra Zangrandi, Appunti sulh stile dei "Truchli" di Sbarbaro, in "Studí novecenteschi", XXII, 1995,50, pp. 319-64. 31 Monelli spiega il modo dí dire nella prima pagina del suo fortu-natissimo libro: "Nel gergo degli alpini mettere le scarpe al sole significa morire in combattimento" (Paolo Monelli, Le scarpe al sole. Cronaca di gaie e di tristi avventure ďalpini di tnuli e di vino [1921], Vicenza, Neri Pozza, 1994, p. 19). 52 Eugenio Montale, che dedico ai Truchli una delle sue primissi-me recensioni, faceva il nome di Honoré Daumier: cfr. Camillo Sbarbaro [1920], in Id., II secondo mestiere. Prose 1920-1979, a eura di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori, 1996,1.1, p. 6. 33 Nella terza edizione di Fuocbi fatui (Milano-Napoli, Ricciardi, 1962) ě presente un "truciolo" disperso del 1919 che, curiosamente, ha un incipit paratestualmente aggettante (quasi un titolo, insomma) identico a quello di Ricordi del 1918 di Solmi; ma anziché veicolare sensazioní olfattive, si declina come una série di impressioni visive: "La guerra vuol dire I la pergola solare sospesa sulla terra amorosa dí Francia; la fontána di ghiaccioli che ci venne incontro a Buttrio; le vetrine di Bologna, versicolori nella nebbia; a Vigodarzere, tra le sparse ramaglie inerostate di galaverna il sole che levava rosso; i colmi secehi Senza alzare la voce (come ě congeniale al poeta di Pianissimo), ci viene offerta quella che giustamente ě stata definita, della guerra, una "negazione di cui pochi intellettuali del pri-mo Novecento sono capaci e che nel solo Palazzeschi di Lue imperi... mancati appare piů radicale"3". II senso di estraneitä ě infatti lo stato ďanimo dominante di Sbarbaro, negli anni di guerra: estraneo alľinterventismo (al quale si era prestato persino il per antonomasia 'appartato' Ceccardo Roccatagliata Ceccardi), Sbarbaro resta a lungo in una condizione emargi-nata, rispetto al conflitto, anche in senso materiále. Come ha seritto Pasquale Guaragnella, ľesemplatítä" di Sbarbaro ě di rame che mettevano in mostra il fianco di Mariuta; la notte di Udine; ľestate densa di Fara; Cesuna bombardata, presepio ridente nella neve; le dame di Croce Rossa, rondini violette; Duevilie assordata di nidi; la luna di Caminetto gelata e al sole di febbraio i buoi pezzati che arava-no; a Orsara i fioretti in cui rividi gli occhi della sorella; Soleschiano, paesello-monastero; il ciuffo di Muelhenbergia che tréma sul mio capo in trincea...": lo si legge ora in Camillo Sbarbaro, "Truchlí" dispersi, a eura di Giampiero Costa e Vanni Scheiwiller, Milano, Scheiwiller, 1986, p. 93. 34 Franco Contorbia, Sbarbaro e la Grande Guerra, in Atti del Con-vegňo Nazionale di studi su Camillo Sbarbaro, Spotorno, 6-7 ottobre 1973, Genová, Edizioni di "Resine", 1974, p. 150. Non a caso Sbarbaro ě ľunico poeta che rappresenti il fenomeno deUautolesionismo: punto di massima intensita del rifiuto della guerra da parte del "popolo in armi". Questo il senso dell ellittica immagine che apre il Truciolo 27 ("Sulla paglia il vicino innaffiava la cara otite"), che torna piů esplicita alľini-zio della sezione 'di guerra' di Fuocbi fatui: "Alia sveglia, sorprendevo il vicino che innaffiava 1'orecchia di succo di cieuta; delľora di libera uscita, un altro (lo vedo: ocehia aequosi, un naso ignobile) approrittava per recarsi a čerta buca; munito dove occorre di pesi, si precipitava nella speranza dí un'ernia strozzata; il caporalmaggiore, in convalescenza da recidíva di itterizia, si preparava alia visita di controllo cíbandosi di pansecco e fumando sigarette oliate (un pizzico di salolo avrebbe cancellato la traccia della frode)...": Camillo Sbarbaro, Lopera in versi e in prosa, a eura di Gina Lagorio e Vanni Scheiwiller, Milano, Garzanti, 1985, p. 431. 284 LE NOTTIC HI ARE ERANO TUTTE UN'ALBA LA GUEBSAPERCEZIONE 285 "queUa di essere (o di sentirsi) sempře 'altrove' rispetto alia guerra e alia sua logica"35. Ma estraneo ě, il poeta figure, soprattutto rispetto alle ansie di palingenesi dei suoi coetanei. Non per caso un poeta che pure ha fatto della messa fra parentesi del soggetto e del "correlative soggettivo" il suo modo di guardare il mondo36 non ě affatto incline alia spersonalizzazione gregaria che abbiamo imparato a conoscere spesso, negli intellettuali coinvolti nel-la guerra, Nelle Cartoline in franchigia, anzi, ricorre spesso la protesta di non avere tempo per se stesso; e Sbarbaro ha la luci-ditä per deprecare il "graduale metodo di incretinimento" del corso ufficiafi al quale ě costretto a prendere parte: 115 gior-ni di trincea furono i soli in cui potei pensa re cioě essere"37. Caratteristico il gesto con il quale, suo malgrado promosso 35 Pasquale Guaragnella, Esercizi di scrittura sulla Grande Guerra. Camillo Sbarbaro e i volit delte emozioni [2009], in Id., í volti delle emo-zioni. Riso, sorriso e malinconia nel Novecento letterario italiano, Firen-ze, Societa Editrice Fiorentina, 2015, p. 109. 36 L'espressione ě di Piero Bigongiari, e riguarda Palazzeschi: cfr, U 'correlative) soggettivo di Palazzeschi [1977], in Id., Poesia italiana delNo-vecento, Miláno, il Saggiatore, 1960, 1978*, vol. I, pp. 87-94. Anche nel saggio sbarbariano contenuto nello stesso volume, Sbarbaro alle origini del Novecento [1958], ivi, pp. 269-84, Bigongiari deserive in modo sug-gestivo il particolarissimo atteggiamento di Sbarbaro, sempre sospeso tra i poli della "euriosítä" e delia "estraneitä": in Sbarbaro il dolore "ha perso qualsiasi velleitä di farsi, come in Leopardi, strumentale. II poeta ha cauterizzato, si direbbe, persino il proprio dolore; toglie qualsiasi finalita ai propri moti, Ü ferma [...] quei moti divengono statici, e direi stati del moto": p. 272. Giorgio Barberí Squarotti, nella sua fitta monografia {Camilla Sbarbaro, Miláno, Mursia, 1971, p. 146), riassume ľespe-rienza di Sbarbaro nel mito delľ"uomo-pietra", ehe ha mineralizzato le proprie emozioni. I "Trucioli rappresentano, insieme con le Remlíanze di Jahier, i versi di Rebora, gli seritti di Boine, la cestimonianza piú di-retta sul carattere reificato e mercificato delľuomo nelľetä capítalistica". 37 Camillo Sbarbaro, Cartoline in franchigia [1966], in Id., Lopera in versi e in prosa, cit., p. 567. sottotenente, dopo breve presenta (vanamente) domanda per venire retrocesso di nuovo a soldato semplice. II sarcasmo con il quale Sbarbaro vive la condizione militare ě tutto nel "signor-si" risposto, con "un concentrato di rassegnazione e di beffa", al superiore ehe gli grida "buono a mente"iS. II poeta-soldato rigetta tutti gli alamari del suo ruolo prezioso e ricercato. Non vuole essere nienťaltro ehe un "buono a niente" (accetta sólo ľidea di soccorrere i feriti, e infatti si arruola nella Croce Rossa, stornato al fronte per un "desiderio di mutamento" ehe le biografie sbarbariane non spiegano a sufficienza): e rifiuta qualsiasi utilizzazione della sua parola - 'demoeratica' o meno ehe sia ľintenzione di chi intende sfruttarla39. Non ě un caso insomma ehe, tra i grandi poeti italiani della sua generazione, Sbarbaro sia ľunico ad avere avuto sostan-ziali rapporti con dada. E non ě un caso, forse, ehe proprio il Truciolo 34 compaia {in una versione scorciata, stretta fra un pugno di versi di Soupault e un'incisione di Richter) nel terzo numero di "DADA"40. Assolutamente privi di qualsiasi cari- 38 Ibidem. 39 Caratteristico, per il rapporto di Sbarbaro con le proprie parole 'dentro' la guerra, ľepisodio narrato in una lettera a casa deí 9 otto-bre 1917: "... predicavo alľaperto in un cerchio d'ufficiaii quando ii colonnello (ehe mi guardava finora con sospetto), passando, fu conquiso dalla facondia con cui snocciolavo il mio imparaticcio, Per fortuna a una domanda (essenziale sul ŕunzíonamento delľarma e ehe, digiuno di meceanica, io non m'ero nemmeno posto e m'avrebbe lasciato a bocca aperta) ci fu nell'uditodo chi rispose per me; cosi a tempo ehe nessuno s'accorse ehe stavo insegnando ciô ehe non sapevo; e meno dí tutti il di-rettore del corso ehe seduta staňte m'incaricô di stendere una Memoria sulľarma, destinata al Comando d'Armata": ivi, p. 612. "° II brano di Sbarbaro, sulla rivista zurighese di Tristan Tzara (ehe esce nel dicembre del '18), prende il titolo di Môrar, luogo di composi-zione del "Truciolo" (e reca una dedka "a Thédis Griŕhn / anímaletto ghiribizzoso": una sua riproduzione anastatica íigura in Camillo Sbarbaro. immagini e documenti, catalogo della mostra, Spotorno-Genova 1981, a eura di Domenico Astengo, Miláno, Scheiwiller, 1981, s.n. di p,, 286 LE NOTTICHIARE ER ANO TUTTE UN'ALßA LA GUERRA-PERCEZIONE 287 ca ideologica, Sbarbaro e Palazzeschi sono gli unici poeti che mostrino un tale assoluco, epidermico e istintivo rifiuto della guerra: e non ě un caso che siano infatti gli unici italiani, forse, a partecipare in pieno della sensibilita, se non propriamente del movimento (se cosi si puó chiamare), che si chiama dada. In questo Sbarbaro ě ancora piú radicale di Palazzeschi, per-ché il suo non ě neppure un rifiuto, neppure una negazione: ě piuttosto, come detto, una cancellazione41. Lo dice chiaramente un Fuoco fatuo del '19: "Uscivo dalla trincea, tornavo alla luce, ai paesi innocenti bombardati, alle abetaie arrossate qua e lá dalla mitraglia. Era un mattino te-pido e coperto e camminavo accompagnato ma solo traverso opere di guerra, quando udii un suono di campane, fievole. E ecco, per non so quale dimenticanza, di qua e di la cornin-ciarono a chiamarsi i paesi invisibili. Scampanio domenicale quale 1'altipiano udiva ierí udirá domani. Era la vita impas-sibile che cancellava la guerra come 1'erba la fossa recente"''2. • "La vita impassibile" (quella che aveva osservato in "tutto il illustrazione 47). Era stato Alberto Savinio a mettere in contatto Sbarbaro con Tzara. 41 L'interrogativo chiuso fra parentesi, alia fine del Truciolo 34, e, come ha visto bene Franco Contorbia (Sbarbaro e la Grande Guerra, cit., p. 142) 'preparato' da una serie di osservazioni che si leggono nelle Car-toline in franchigia: "Uscito dalla trincea all alba, mi ritrovo ora, ripulito e rinnovellato, in un paesaggio insolito: aperto che spalanca il cuore [...] E che silenzio! Da chiedersi se la guerra c'e. {Prevedo ne uscirä un truciolo: una parola-pilastro giä c'e e un pilastro basta a gettare un ponte)": lettera a casa del 29 ottobre 1917 (siamo a pochi giorni da Caporetto... e il commento di Sbarbaro e irridente nella sua lapidarietä: "gli ulti-mi sconquassi fan temere che ogni licenza sarä sospesa"): Cartoline in franchigia, cit., p. 601. Commenta Bärberi Squarotti: "l'irrealtä prevale nettamente come termine chiave contro la realtä della guerra cacciata, allontanata, canceliata anzi" {Camillo Sbarbaro, cit., p. 152). "2 Camillo Sbarbaro, Fuochi fatui, in Id., Lopera in versi e in prosa, cit., p. 435. mondo muto delle cose")43, significativamente rappresentata da elementi vegetali, ě oggetto di invidia: "Paesaggio d'alta montagna, freschezza e innocenza della vegetazione! Indif-ferenza di tutto ciô che ě eterno alia nostra Grande Guerra. Gli alberi! Invidio soprattutto gli alberi"44. La piccola vicenda umana - ridicolizzata dall'uso delle maiuscole, cosi poco sbar-bariane - dilegua a fronte della forza prepotente del paesaggio (con antiantropocentrismo di taglio leopardiano). Viene - ap-punto - canceliata. Ě in trincea che Sbarbaro inizia la sua prima raccolta di muschi e licheni. Ma neppure Sbarbaro - come dimostrerä il suo ritorno - ha avuto la forza di vincere la guerra: cioě di cancellarla davvero dalla sua esistenza. Chi in vece ha fatto delľanníentamento della realtä feno-menica della guerra la premessa esaltante per una comples-siva renovatio della propria grammatica della visione, ě stato senza dubbio Carlo Carrä. Non si tratta tuttavia, nel favoloso Guerrapittura (forse assoluto capo d'opera del pittografismo futurista)45 dell'interventista Carrä, di una forma di rifiuto della realtä (nella fattispecie, della guerra); bensi dell'applicazione conseguente di un principio del "Manifesto tecnico" La pittura futurista, firmato con Boccioni, Russolo, Balia e Severini nelľa-prile del 1910: "il moto e la luce distruggono la materialitä dei corpi"46. E anche la suggestione "medianica" - che accomuna queste tavole di Carrä a un filone segreto ma ben attestato, en- 45 Nel componimento di Pianissimo che inizia "Mi desto dal legge-ro sonno solo": Lopera in versi e in prosa, cit., p. 24. Camillo Sbarbaro, Cartoline in franchigia, in Id., Ľopera in versi e in prosa, cit., pp. 596-7. 45 Cfr., su questo repertorio, Luigi Ballerini, Futurismo parolibero e "oggettotipografico", in Id., La piramide capovolta, Padova-Venezia, Mar-silio, 1975, pp. 70-6. \, La pittura futurista [11 aprile 1910], in Marinetti e i futuristi, a eura di Luciano De Maria con la collaborazione di Laura Dondi, Milano, Garzanti, 1994, p. 26. E il quarto e ultimo precetto della pars construens del manifesto. 288 LE NOTTI CHI ARE ERANO TUTTE UN ALBA tro la ricerca delle avanguardie storiche -47 trova in quel manifesto un antecedente preciso ("Chi puô creder ancora aľľopaci-tä dei corpi, mentre la nostra acuita e moltiplicata sensibilita ci fa intuire le oscure manifestazioni dei fenoméni medianici?")48. La straordinaria Divagazione N° 4 - che pare illustrare l'in-terno di un cervello in guerra (nella N° 1 si parlava di una "trincea nel MIO cervello") ma assomiglia anche, in maniera inquietante, a un bersaglio - rinvia da un lato alle figure con "vortici di parole" di certi inediti pittogrammi del '1449, ma anche, dalľaltro, all'Ovale delle apparizioni, opera capitale del periodo 'metafisico' di Carrä. Proprio al 1917 - poco prima probabilmente del 'mitico' ricovero di Carrä al nevrocomio di Ferrara dove nacque' la Metafisica - risale la poco nota poesia pubblicata su "La Brigata". Che si conclude con ľenunciazio-ne, direi programmatica, "Assisto alia creazione del secondo spazio". Ma preliminare a tale creazione seconda (alia lettera, una palingenesi) e, evidentemente, quella che ľespressionista Franz Marc - poco prima di cadere in combattimento - aveva definite "zweite Gesicbi", "seconda vista"50. 47 Dopo la pionieristica ricerca di Germ ano Celant {Vuturismo eso-terico, in Lucinie ilfuturismo, "il verri", 33-34,1970, pp. 108-17), si veda il documentatissimo libro di Simona Cigliana, Vuturismo esoterico. Con-tributi per una storia dell'irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento, prefazione di Walter Pedulla, Roma, La Fenice, 1996. 48 La pittura futurista, cit., p. 24. 49 Ne sono riprodotti due alle pp. 35-6 di Carlo Carrä, Tutti gli scrit-ti, a cura di Massimo Carrä, con un saggio di Vittorio Fagone, Milano, Feltrinelli, 1978. Si pensa anche alle Formes circulaires (1912) del cubi-sta "orfico" Robert Delaunay: "volte a rappresentare nell'archetipo del cerchio, attraverso il contrasto dei colori dello spettro solare, il ritmo e il dinamismo delle forze che animano ľuniverso" (Simona Cigliana, Vuturismo esoterico, cit., p. 245). 50 Cfr. Franz Marc, La seconda vista. Aforismi e altri scritti, a cura di Elena Poutiggia, Milano, Abscondita, 2007. Da leggere con Arturo Mazzarella, U veggente e ilguerriero [1987], in Id., La visione e ľenigma. D'Annunzio HofmannstkalMusil, Napoli, Bibliopolis, 1991, pp. 99-122. LA GUERRA-PEECEZIONE 289 L'avanguardia europea, prima di implodere nelle proprie palinodie, crede di intravedere proprio nella guerra la super-vista tanto vagheggiata, quella percezione superumana che consentira di finalmente prescindere dai fenomeni. E l'estrema illusione, o se si vuole lestremo accecamento31: il futuro sara in un ospedale, a Ferrara (o piu radicalmente, come capita a Marc, sotto una zolla: a Verdun). Fa un effetto particolare, dopo queste visioni seconde e su-perne, leggere la declinazione ironicamente quotidiana che, del tenia della percezione, offre Giulio Barni in questo frammento del '16, restate inedito sino a mezzo secolo dopo. In questo caso, il suo buon senso popolaresco pud effettivamente fare da salutare controveleno. Scrutare il cielo, per i soldati comuni, non e infatti tanto un anelito neoromantico alia trascendenza (reso tanto piu urgente dalla condizione terrena, anzi tellurica, nella quale la guerra ha sprofondato chi contempla), quanto un piu semplice oroscopo, individual e collettivo. Che interpre-tare correttamente pud essere allora, e alia lettera, questione di vita o di morte. 51 La Blendung alia quale si intitolera originariamente Auto da f e di Elias Canetti (1935). 290 L£ NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA iA GUERRA-PERCEZIONE Immagini di guerm di Giuseppe Ungaretti Fellegrinaggio di Giuseppe Ungaretti Assisto la none violentata L'aria ě crívelSata come una irina dalle schioppettate degli uomini ritratti nelle trincee come ic lumache nel loro guscio Mi pare che an affannato nugolo di scalpellini batca il lastricato di pictra di lava delle mie strade e io 1'aseolti non vedcndo in dormiveglia Valloncelio di Cima il 6 Agas to 1916 In agguato in questi budelli di macerie ore e ore ho strascicato la mia carcassa usata dal fango come una suola o come un seme di spinalba Ungaretti uo'no di pena ti basta un'illusione per farti coraggio Un riflettore di la mette un mare nella nebbia Valloncelio deU'albero isolato il 16 Agosto 1916 Giuseppe Ungaretti, II Porto Sepoko, cit. Giuseppe Ungaretti, II Porto Sepolto, cit. 292 LE NOTTICHIASE ERANO TUTTE ON'ALBA LA GUEKRA-PERCEZIONE a-r>- TT da odttama delSaboimo D'improvviso e alto sullc macerie il limpido stuporc dell'immensitä L'uorao s'e curvaro sull'acqua sorpresa dal sole e #i rinviene un'orabra cullata e piano franta in riflessi insenati tremanti di cielo Vallone il 19 Ägosto 1917 La Riviera Ligure ottobre-novembre 1917; poi in Giuseppe IWetti Mem, d, Kaufray, Firenze, Vaüecchi, 1919. Si e seguitoil teste di Id Ilri~a ePOeSW' * CUrä di Cafl° Milane, Mon- 0 vecchio Sahotino, tu non ci fai paura! : O vecchio Sabotino, se dal tuo inferno sbuca il gran Maligno, la bestia, gliela schiaccercmo la testa! Libereremo Gorizia, 1 anima nostra in letizia; libereremo aIIa gloria la nostra santa vittoria, la pace! e non si morirä. Melle ore calde e serene, dura il bombardamento come un temporale nel sogno, S affolta per la momagna, . sotto il cielo impassibile e il candore del sole. Tutta la montagna s'oscura di fumo: e un bosco iniprovviso di eipressi fantastici che si sehiantano e stroncano 304 l£ NOTTÍ CKIARE EKAKO TUTTE UN'ALBÁ LA GUESEA-PEECEZIONE 305 Sfasciando al cuorc fmte neUa macene Ch era per dmiore dl elemente Rehorn iornano coJpi mordenti, E in galeotra pista , A morte van camminamenri. \ "La Tcmpra", 2 febbraio 1917. Si í seguito il testo di demente Rebora Poesie, prose e traduzium, cit. Gluglú, e'era una volta, e sempře e'e, í'acqua a sgorgare - e ja fontána piů. Dicitura delľämcn sul paese che fu. Finest re e soglie, ai fossile ritrovo delíe stradě - ma insegne a dettar legge son rimaste; e a dritta, a mancina, seritte di bot-teghe späcciano la rovina. Al cielo spalancata ora la chiesa - breve inferno dí sami; giú dal la croce, crocefisso G esu. Obelisco del caos, il campanile muto: rincorse il suo clangor nelľaria la campana, e ľha perduto. Risorto il cimitero - incombe - in liberta di scheletri ie tombe. Gluglů, e'era una volta, e sempře c'ě, nel forato silenzio ľac-qua che va giú: cam m i no ancora a chi non sa il destino - dal curvo spillo, spruzzi dan spruzzi, cerchietti ricciuti, gócciole in gingillo, sorsate ďeco, perché? - e viene e va-perché? - e si e no - per dove ě spreco non s'attinge piü. 1916 "La Raccolta", 15 kgÜo 1918. Si č seguito il testo di Clcmcnte Rebora, Poesie, prose e traduzioni, cit. LA GTJERRA-PERCEZIONE Principio di novembre di Carlo Stuparich 307 La guerra vuol dire: La guerra, nel ricordo olfattivo, vuol dire: lbdore del cuoio marcio. Quello del sudore. Ľodore delľescremento raffermo. Quello del sangue fresco sotto il sole, denso, dolce, un po' nau-seabondo. L'odore della putrefazione. L'odore delľanice nella borraccia. L'odore delle sigarette Sport trovate nella trincea austriaca abbandonata, in pacchi semicircolari di carta marrone. L'odore di pece arsa degli apparecchi Mazzetti-Niccolai contro i gas. L'odore di gomma del respiratore inglese. L'odore di mandorla pungente dell'iprite. L'odore della polvere brucia-ta. L'odore dell'erba, annusata la faccia contro terra, spiando la piega del terreno-riparo per il prossimo balzo. (1968) Sergio Solmi, Meditazioni sullo scorpione, Miláno, Adelphi 1972 Si ě seguito il testo di Id., Poesie, meditazioni e ricordi, torno II, Meditazioni e ncordi, a eura di Giovanni Pacchiano, Milano, Adelphi 1984 Oggi l'aria ě chiara e fine e i monti son cupi e tersi, poveri anni persi in fantasie senza confine. Qui ogni pietra ha un contorno ogni fibra un colore, i rami tendono intorno una rigidita senza languore. Foglie gialle cadute per troppa secchezza, segnano 1'asprezza di grandi arie mute. II cielo ě azzurro di profonditá le cose son ferme e recise. Passó un respiro d'eternita in queste solitudini derise. Novembre 1915 Carlo Stuparich, Cose e ombre di uno, a cura di Giani Stuparich, Roma, Edizioni della Voce, 1919. 308 hnpressione :> 1 s:.ítA guerra- percezione d Carlo Stuparích ' * di Diego Valeri ä £/i?ä<ľ Fanbri Oggi la terra funia, e nebbia vela i i íeggero vestírsi delia pri-mavera. íntravvedo la dolcezza delia sua carne rosa-celeste. Píú dolce ě questa prima primavera attraverso una parete diroccata. Lo spacco m'incorničia con durí frastaglí di píetra coiori te-neri dí cose nascenti. Al fronte, 20 marzo 1916 Bacte il manino al ferrígno bastione dei nuvoloni notturni: repente s'apre una lunga fessura lucente, scoppía uno squarcio di fiamma prii su. Un razzo ďoro; e un sussulto, un tremore ďoro per lbmbre; oro a rivoli, a onde,,. Piu in alto: spíagge di nuvole bionde, caime e profonde laguně di biu. Carlo Stuparích, Cose e ombre di mo, cit. "La Brigata", ottobre-novembre 1917. Si ě seguito íl těsto di Diego Valeri, Crisalide, Ferrara, Taddei, 1919. i 310 Stracci di nebbia lenti di Camillo Sbarbaro LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA Stracci di nebbia lenti e ceneri d'ulivi. Quasi a credere stenti che vivi. E la pioggia una ninna-nanna di triste fanciulla; al corpo che giace la terra, una culla. Romano diEzzelino, 1918 M»»o. SchdwUler, 1955. Si 4 se.ui.o il LA GUERRA-PERCEZIONE da Trucioli di Camillo Sbarbaro 27 Mi destai un giorno uomo matricolato. Sulla paglia il vicino innaffiava la cara otite. Quando mi inflissero un fucile, dentro mi raggrinzii, vergine violentata dal mascalzone. Pure non e questa vita meno logica dell'altra. Bussa qualcuno alle porte dltalia con un maglio lampeggiante ma il vivandiere-sanguisuga mesce un tristo vino dove si scorda. E ci conducono arcangeli stellati, soavi alcuni come fanciulle. Cinguettano sulle vie polverose le automobili del Comando. Margherite in un prato sbocciano nella notte improvvisi fiori di luce, Con occhi di condannati a morte guardiamo i tetri borghi pas-sare. Si marcia. Si fanno sulle soglie a ridere le donne sanguinarie. 28 Perche nella linea oscura una macchina improvvisamente s e messa a buttar fiamme e pallottole collerica, l'alto monte schiu-de su lei il lungo occhio luminoso, umanamente. Scova e considera un attimo il botoletto; poi, rassicurato, disto-glie l'occhio e lo chiude. 312 29 LE NOTTICHÍARE EIÍANQ TUTTE UN'AIBA Ho scoperto qui sopra due scarpe al sole. Tozze; conficcate per la puma. Ľuorao deve essere bocconi, la bocca disgustata premuía contro il suolo. II crocerossíno ľha nascosto in tretia con un po' di calce e di terriccio. Mi sovvíene la parola dei fante: lasciarci le scarpe, Intorno non c'é che caríaccia e latte di concentrato vuote. 30 Awentata; stretía un po' nelle spalle, Piú che la bibita reca intorno í seni piccoletti. Mi piace nel caffeuccio vederla tenere a bada ľufficialetto da- vanti a cui il terrítoriale strapazzato si impala. Mi píace guar-dare questa macchina di vera eguaglianza muoversi con inso-lenza sulle lunghe gambe. 31 La seíva buia di scavi e ďinsidie, sbarrata di vigne spinose, ha, . la notte, voči inumane. Starnutí, sghignazzamenti d i volatiíi; che vedo, nel dormive-glia, occhialuti, gozzuti, con occhi di vecchi cattivi. Mi salva dalľincubo lo scricciolo - forse il pezzetto di tu rc h i no che : d i giorno saetta tra i rami e balzella sulla neve - imniagine d i nie neila selva - che sferruzza nelle pausc le sue limettine ďargento. 32 La lotta, che scalcia la terra. delľantiaerca col caccia, é, nel dormiveglía, la rabbia impotentc ďun toto contro una farfalla. 33 Sulľerbaglía sommersa che porgc okre il pelo delľacqua i fio-retti bianco-giallini, il rospo ha gonfiato il suo palloncino e canta. tA GXJERRA PERCEZÍONE 313 ípiinta di diamante, la nota riga il crisíallo grigioroseo della sera, in cui i lustri occhi attoniti dei canali, le casupole chiotte, ., glí jälberi spirituali harmo un'immobilitä di stampa. Terra veneta. La mia, di Liguria, chiude una belíezza ardua, ■ída conquistare. Questa si abbandona; é calda, amorosa... Rinfunciullito, mi chino sulľargine. Per gioco, tíro un sasso nelľacqua. La beštia ammutolisce e s'ímmergerebbe; ma per v un po' il gozzo enfiato dal canto la trattiene a galla, bersagiio al passante. Nátura coi poeti é spietata. Ma per cantare anch'io sono pron-: to & perdermi. 34 : Altipiano, Collinette soavi come seni di fanciuHa. Una, íaggiú, a ŕiiari ďaiberelli verde-giallí. Cascinali sfondati, allegri. Ali'alba si catnmina s u carta vetrata. Aghi minuzzoh di vetro ovunque. Ogni pozzanghera una rastra. Polvere di vetro im-bianca e irrigidisce ľerba. Tutto cigola e brilla. Alla carezza dei sole ľaltipiano si stende in una calma beata. Si scambia per una nuvoletta la luna. II tramonto ne fa un quadro chiassoso. Pennellate erudamente giusiapposte: striscioni ďarancione, di rosso cupo, ďardesia che sono i monti lontani: interroíti da candori abbaglianti. Piú tardi i colori si fondono. II delo si sbava di viola con pre-sentirnentí ďoro. Armonie nascono che ľocchio coglie con la prcmura de!le gíoie uniche e intrattenibili. Delicatezze e iride-scenze da bolia di sapone. A moment! si vive in un vetro soffiato. 314 NOTO CHIAKE ERANO TUTTE UU\I3A SSLü TÍÍOlÍM annef ľaltÍpía°°-Isolotti vi Nagano í ca.cmak La luna e un nnbuto cclestino; e la tinta contagiosa creaalpaesaggioun'atmosfera irreale. "contagiosa, Sughero, galleggio in questo incerto. (Laguerra dove?) LA GUEEKA-perce2ione 315 Riflettori sulfa campägna circondaria (materia prima) di Lioneüo Fiunii a Paolo Buzzi Morar, 2 Novembre 1917 Kei firmamento, rigido come un acciaio biu, di dietro i! catafal-co d'ebano dei bastioni di civconvaHazione, unimprowisa sbar-ra di bianchissimo aliuminio, Si aha tastando, rötea, stramazza. Ma un'altra: piü sottile e piü lunga: una gömena di luce pulve- rulenta. Ma un'altra: e ancora un'ahra. I riflettori. Si tängono si limano si elldono, silenziosamentc, come le lame d'un duello gigantesco ed inverosimile, sullo schermo biu dei firmamento, Una lama cozza in un legnoso profilo nero (albero? unten na electrica?) e lo ghigliottina. Poi spazza sopra la testa, in alto, saettando, grossa e pulvisco- lante. Sul cielo dbccädente, dove zampillano pistilli di camini dbpi-fici, un ovale color piombaggine addensa una massa sospetta. Ma la sbarra scandaglia: barcolla un poco per il cielo, poi inve-ste di botto l'ovale piombaggine. E questo si aureola: si fa incan-ciescente come un massello di metallo in fusione: giallo di zolfo. Davanti al passo imbottito di silenzio deil'erba massiccia, nella notte tantastica, alti cardi. ispidi si accendono di biancori fosfo-rcscenti come bizzarri candelabri spalmati di lanosi lampi di magnesio. "La Scalata", maggio 1917. Si ě seguito il těsto di Poeti futuristi dadaisti e modernisti in Itália, a eura d i Glauco Viazzi e Varmi Scheiwiller, Miláno, Alľinsegna dei pesce ďoro, 1974. 316 Li! NOTT1CH1ARE ERANO TUTTE UN ALBA . la GUERRA-PESCEZIONE 317 Casetma cinque e mezzo di maltina di Ferdinande* Caíoii PIAZZADARMI * SOLDÁTI + 0BE5EMEZZ0 ppi .. ItťJ r ».........izi. Lí: ZMZiIZiiZNZI !Z! im' -SI iZI IjlI I.TI iZi 1x1 i~: ~í IXi LQ ÍZi IZ!!Z| SZIEIIx! iZtlZMZUZI DII izi lzi1x1ízi ízi sjq ,. IZI izilti iZI 1x1 izi IZI LZI m IZ! IZI IX! ÍZI IZf Elll !ZI:-| trIIZII BEOS! li ES msrrnrsli i ZA MARC1APIEOE nwliton _ ŽŽ_ * |»ntt T™—~—™-—— nwdlnm . fííHHiíHiH • i A ' **) FORSE...................... yicrcio. neu'aurora dl Carlo Carrä AI giovane amico FRANCESCO MERIANO Non vi sono altri uornini nel paesaggio L'opalc dellaria gommoso dondola sotto l'arco flessuoso de' ■■: violett! Ne' riflessi delle circonfluenze riconosco gli aloni de' fiati Stupore di tutte le vetrerie d'Europa Le ritagliate vegetazioni deH'alluminio percuotono 11 bianco egoismo di queste merlettate architecture che sfavillano mo-struose ne' silenzi d unbpera che meraviglia le argentene oriental! Fra stalattiti e cataste di rocca attonita la strada mi scopre Cammino sui diamanti della terra e nella cadenza musicale sfoglio la iresca Rosa della mia giovinezza Dai lacci delle Volontä cosmiche si sgranano frammenti di sommitä non ancora da Dio toccate Ne' miei occhi dilatati si sono purificati i diamanti dell'iride Assisto alia creazione del secondo spazio Pievc di Cento, gennaio 1917 Carlo Carrä, Guerrapittura, cit. "La Brigata", aprüe 1917. LE NOTTICHIASE ERANO TUTTE U H VLB/ II tempo di Giulio Bami Se il tempo diventa sereno il 10 faremo Tazione se ii tempo diventa sereno.. Ed i soldáti scrutarono le Stelle e il firmamente, pesarono respirando ii iremito del vento. Ma il 9 si vide splendere un cerchio intorno alla luna la luna era velata dun velo nebuloso. I soldáti e gli uřficiali che stavan da 30 giorni in attesa dellazione si guardarono Tun Ialtro si sarebbero baciati. AI! alba de! 10 pioveva. 1916 ľ%6 ° Bamí'Anma dIfrmtiem> Milano> Alľinsegna del pesce dbro, LA GUERRA-EIFLESSIONE La guerra, un sentíero per molti ínterrotto dalla morte: Urn berto Boccioni, Scipio Slataper, Renato Serra, Carlo Stuparich. E tanti altri (pubbiicare gli scríttí del caduti ín guerra sara, nei pri mi anní del dopo, una delle piú sentite forma di lutto gene-razionale)1. Non potremo mai sapere se íl loro atteggiarnento sarebbe stato destinato a cambiare. alia fine. Chi riusci invece a vedere la luce, alľuscita dal tunnel, ne usci radical mentě cam-biato. La converúone di tutti i parametri e di tutti i paradigm! cultural i, vissuta in prima persona da ciaseuno, ma ínopinata o imprevedibile negli altri - nei compagni fedeli del tempo ine-sploso - provoca in molti poeti, al loro ritorno nclľambiente letterario che faticosamentc si andava ricostruendo, delle erisi vioiente. 1 Si veda per esempio X Antológia degli serittori morti in guerra, a eura di Césare Padovám, Fírenze, vailccchi, 1929. Gli autoři raccolti sono Giovanni Bellini, Enrico Elia, Renato Serra, Eugenio Vaina de Pava. Rugge-ro Fauro, Alberto Caroncini, Giosuě Borsi, Scipio Slataper, Mario Pichl, Carlo Stuparich, Césare Battisti, Umberto Boccioni, Vittorio Locchi, Mario T. Rossi, Giulio Bechi, Vincenzo Picardi, Ugo Ceccarelli, Nino Oxi-lia, Rodolio Fumagalli, Giovanni Costanzi, Enzo Petraccone, Gualtiero Castellini, Leonardo Cambini, Ugo Tommei, Annunzio Červi e Napoleone Battaglia. Lo spirito delľoperazíone ě tutto nelle prime parole delia preriiessa: "Questa antológia raceoglie i saggi di ventisei serittori italiani morti in guerra: diciotto decorati di medaglie al valore, tre medaglie ďo-ro, tredici volontari. Non uno che, inquieto o pavido, abbia atteso il suo destino: tutti git sono andati incontro, con passo fermo, hanno recato k loro offerta prima che la patria chiedesse. Non una frase, nei loro seritti di cotnbattenti, men che sincera e convinta, religiosa e severa. Ecco lo stato di servizio deila lettcratura italiana durante la guerra" (p. V).