LÁ GUERRA-FOLLIA Fin dalľinizio. nelľatto stesso delia crísí deliestate del 14 che dä fuoco alle polveri con tempi sconosciutí alle cerimo mose diplomacie ottocentesche, la Grande Guerra ě coníras-segnata da u no spetracolare ínfittírsi delia cornunicazione'. Ě la príma guerra nella quale svolgano un ruoio importante i mass media (a paríire dal peso delia grande stamps: príma nella pressione a favore delľintervento, poi nella gestíone delia propaganda e in generale del 'fronte interno'). Nelľera delia simultaneity anche k letteratura acquisra una rapiditä e una globalitä di penetrazione in passato sconosciute: prima con ľessere coinvolta nel circuito massmediale íparte-cipando, come se visto, alia campagna per l'intervento), poi attraverso piu tradizionali tam-tam che tuttavia (senza passare necessariamente per il telegrafe del giovane Prinio Conti) si valgono, ora, d i media piü efficient!. Ii caso della rapidissima assimilazione dci versi ungarettíaní del Porto Sepoko, e della loro immediata modellizzazione da parte di un'intera geoera- 1 Per Stephen Kern {II tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, cit., pp. 331-65) si dovette proprio all' incapacity di gestire i nuovi strumenn d i cornunicazione da parle delle cancellerie se la crisi seguita aiľattentato di Sarajevo sfuggi di mano ai governi euro-pei: "Nelľestate del 1914, gli uomini al potere persero l'orientamento nel flusso febbrile, misurato da raffiche di telegrammi, conversazioni telefoniche, memorandum e comunicatí stampa: politici incalliti crol-larono, e negoziatori esperti cedettero, sotto la pressione di con fron t i carichi dt tensione e di notti insonni, tormentandosi per ie probabiii conseguenze disastrose di loro giudizi improvvisati e di azioni fretto-lose" (p. 331). 440 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA zione di poeti, ě in questo senso esemplare2. II fenomeno si deve alla congiuntura partkolarissima di nuovi mezzi di co-municazione adottati da una societa letteraria invece ancora decisamente vecchio stile: a maglie molto strette, moko coesa e interconnessa, nella quale l'informazione ě tendenzialmente senza falle, senza punti di oscuritá. La sítuazione di Dino Campana, alTinterno di questo qua-dro, ě del tutto partičolare. I Canti Orfici avevano battezzato 1'ultimo anno di pace, per 1'Italia, con una novitá poetka poco digeribile e - anche per le circostanze famigerate della man-cata pubblicazione 'fiorentina', con lo smarrimento del mano-scritto del Piú lungo giorno da parte di Papini e Soffici - ben poco digerita. Non erano mancati lettori di grande sensibilita3, ma il poeta di Marradi restava un outsider - anche etimologi-camente parlando: uno straniero, uno che veniva da 'fuori', dalle montagne o da qualche remoto vagabondaggio ďoltre-mare: in ogni caso dallesterno di quella cerchia chiusa che era allepoca, come detto, la cittadella letteraria italiana. Ma se quesťultima veniva raggiunta a stento dai suoi versi (uno dei pochissimi veicoli, dopo gli Orfici, fu "La Brigata" dell'amico Binazzi, resosi poi colpevole della "fantastica" edizione val- 2 Cfr. Antonio Saccone, "Voici un nouveau poete qui est aussi un poete nouveau". I primi lettori del Porto Sepolto, in "Come portati via si rimane". A cento anni dal Porto sepolto (1916), numero monografico a eura di Federica Millefiorini di "Rivista di letteratura italiana", XXXV, 2017,3, pp. 169-79. 3 II solito Boine, in primu: si legga la celebre recensione agli Orfici ("La Riviera Ligure", agosto 1915), in peccato. Plausi e botte. Frantumi. Altri seritti, cit., pp. 200-4. Nella quale si ě scarsamente notáto come siano considerazioni di taglio non ironicamente frenologico, molto in linea coi tempi ("Che se a caso apriamo il Trattato dipsichiatria del prof. Leonardo Bíanchi [...] ci sará facile provate come qualmente la traspo-sizíone illogica delle parole nel discorsó, la sintassi a sald, nonché il salto dei vocaboli ed eziandio di intere proposizioni, ě la diagnostica caratteristica delle seritture dei pazzi", p. 201), a veicolare il celebre "Te deum" finále al "pazzo sul serio" (p. 204). LA GUERRA FOLLIA 441 leechiana del libro, nel '28), Campana era invece, abbastanza misteriosamente, infinitamente ricettivo. Sono note le sue pre-cocissime letture psicoanalitiche'1, ma quello che piú sorpren-de ě la straordinaria cultura specificamente poetica, e non solo italiana, di un personaggio cosi distante dai tradizionali canali ďinformazióne letteraria. Viene quasi da dare un certo credito ai delirí ossessivi del recluso di Castel Pulci (manicomio nel quale il poeta era entrato, per non piú uscirvi, il 12 gennaio 1918), registrati dal buon dottor Pariani: il poeta insiste proprio sulle "comunicazioni", suLT'elettricitä": e sulla "guerra" (ma anche sulla "trioda"): "Sono oceupato in comunicazioni! Sto in comunicazione con Milano; una specie di grammofo-no, di telegrafe senza fili. Io sono in comunicazione con Pa-rigi Londra Berlino. E una forma di suggestione che esercito tra Continenti. La serivo tutta io la stampa. Rappresento dei fatti impossibili. Io sono il soggetto guerra. Son io che faccio sposare le principesse, le principesse sono ľindustria dei mor-ti, i morti sono una specie di eritica che fanno gli alleati alla Germania [...]. Io non vivo. Vivo in uno stato di suggestione continua, sono ipnotico in alto grado, sono tutto pieno di cor-renti magnetiche, faccio il medium magnetko [...]. Mi chiamo Dino, come Dino mi chiamo Edison [.,.]. Moka stampa ě sug- 4 Scrive a Soffici, Campana, il 12 maggio 1915: "Ho trovato aleuni studi, purtroppo tedeschi, di psicanalisi sessuale di Segantini, Leonardo ed altri, che contengono cose in Italia inaudite e potrei fargliene un riassunto per Lacerba, Si tratta di utilizzare la capacita di osservazione di quella gente in favore della nostra sintesi latina" (Lettere di un pověro diavolo, cit., p. 56). Cfr. Lisa Roscioni, Ginevra, 12 maggio 1915. Psicoa-nalisi per serittori, in Atlante della letteratura italiana diretto da Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullä, vol. III, DalRomanticismo a oggi, a eura di Domenico Scarpa, Torino, Einaudi, 2012, pp. 466-71. Da ultimo Alberto Petrucciani {Dino Campana, Ginevra, la Biblioteca (7 aprile-19 maggio 1915), in "Antológia Vieusseux", n.s., XX, 58, maggio-agosto 2014, pp. 53-71), ricorrendo ai registri della Biblioteca Pubblica di Ginevra, ha messo a punto i'intricata questione. 442 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA gestionata ed io fornisco un elemento tema per l'applicazione metodica de la suggestione [...]. Si tratta de lo sviluppo di idee tipo, creazione di tipi speciali suggestionati, invenzione di tipi e di idee. Molte figure sono fabbricate ä la mode du jour [...]. Abbiamo la vita elettrica, per suggestione. La comunicazione suggestiva radiofonica esiste: sono segreti di guerra che non si possono spiegare [...]. II cadavere di Lenin lo mantengono intatto con mezzi magnetici speciali, per mezzo della radiofo-nia [...]. Sono stato investito dalle onde elettriche durante la guerra, sono stato mezzo distrutto. Nel 1916 venne Marconi a Genova. Attrassi l'attenzione della polizia marconiana e mi ruppe la testa"5. La follia di Campana, per Pariani, consiste essenzialmente nella sua convinzione che lessere al centro di questa fanto-matica rete di "comunicazioni" provochi "terremoti, guerre, epidemie, resurrezioni, cataclismi". Campana a Castel Pulci "leggeva il giornale, le cui notizie interpretate a suo modo ser-vivano in accrescimento dei deliri e degli sproloqui"6. Per la mentalitä razionale del medico, e questo un caso da manuale di inversione psicotica tra causa (gli avvenimenti del mondo) ed effetto (la reazione del soggetto nei loro confronti). La psi-cosi di Campana consiste nel credere di essere lui, al contrario, la causa di quegli avvenimenti. Delia guerra, per esempio. In generale (e prima di essere internato in manicomio) Campana era convinto di avere causato lui, quella guerra. Primo Conti ricorda una sua dichiarazione in tono 'ufficiale': '"Guar-date che qui siamo in piena guerra, questa guerra spaventosa, 5 Tutte le citazioni provengono da Carlo Pariani, Vita non román-zala di Dino Campana, con un'appendice di lettere e testimonianze, a cura di Cosimo Ortesta [1978], Miláno, SE, 2002, pp. 24-31 (si cratta della sola sezione campaniana del libro pubblicato dallo psichiatra da Vallecchi nel 1938: Vite non romanzate di Dino Campana scrittore e di Evaristo Boncinelli scultore). 6 Ivi, p. 32 e p. 22. LA GUERRA-FOLLIA 443 tragica... Sappiate che il colpevole della guerra sono io, che la causa di questa guerra e il mio amore con Sibilla Aleramo"'7. Interrogato sui Conti Orfici, risponderä: "Serve ad ammazzare la gente quel libro"8. A parte la concezione ontologica della poesia9 - portato della sua cultura simbolista -, pare insomma che Campana, sia pure nelle forme paranoico-deliranti che gli sono proprie, sia l'unico poeta importante della sua generazione (insieme al Palazzeschi di Due imperi... mancati) che awerta la parte di responsabilitä - sul piano retorico e mitopoietico, cioe quello specificamente pertinente alla poesia - che la letteratura italia-na ha avuto nei confronti della guerra10. Ma la cosa terribile, 7 Primo Conti, La gola delmerlo, cit., p. 153; la stessa testimonianza in Gabriel Cacho Millet, Dino Campana fuorilegge, Palermo, Novecen-to, 1985, p. 165. II solipsismo di Campana, per cosi dire positivo, ricorda quello negativo del soldato temerario incontrato al fronte da André Breton quando questi prestáva servizio presso il centro psichiatrico della seconda armata francese: "in piedi sul parapetto in pieno bom-bardamento, dirigeva col dito i proiettili che passavano [...]. Queste le sue certezze: la pretesa guerra non era che finzione, le parvenze dei proiettili non potevano fare alcun male, le apparenti ferite non erano che maquillüge, i morti prelevati dagli anriteatri erano distribuiti di not-te sui falsi campi di battaglia" (André Breton, Entretiens (1913-1952), Paris, Gallimard, 1969, pp. 36-8, cit. in Antonio Gibeiii, L'o/ficina della guerra, cit., pp. 74-5). 8 Carlo Pariani, Vita non romanzata diDino Campana, ed. cit., p. 26. * Documenti eccezionali due lettere a Emilio Cecchi: in quella del 10 marzo 1915 Campana afferma: "Infine io credo nel riprodursi sim-bolico degli avvenimenti e che Ü mio avvertimento ě un simbolo di cui devo dare un'interpretazione che ě la sola giustificazione di 1/1000 ecc scala - delľuniverso" (Lettere di un pověro diavolo, cit., p. 40); terri-bilmente eloquente poi la riflessione sull"'incubo" deü'esistenza e della non esütenza degli oggetti (lettera del 17 dicembre 1916: ivi, pp. 233). 10 Si veda il violento rigetto nei confronti della retorica bellica di dAnnunzio, nella lettera a Carlo Carrä del Natale 1917: "non ho po-tuto leggere il discorso del Vate. E troppo letterato anche nei migliori e peggiori momenti. A me seinbra che sia la massima cloaca di tutto il 444 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA LAGUERKA-FOLLIA 445 "ľincubo", ě che Campana sa bene che proprio i Canti Orfici, la violenza a tratti cieca e disperata di quel libro infero e sublime, dl quel "piccolo libro contenente poesie patriottiche"11 scritte dal poeta germaniem, fa parte integrante di quel repertorio e di quella retorica di gruppo che in qualche modo, spettralmente, ha causato la guerra. Non solo: ľaspetto piú oscuro di questa responsabilitä consiste nel fatto che prenderne coscienza non gli permetta di rinunciare a quella violenza. Ancora nel '16, non solo Campana continua a serivere poesie; ma sogna di fare, con quei "frammenti" (tra le cose piú alte delia poesia italiana del Novecento), un nuovo "libro". E sa di soggiacere di nuovo, in questo modo, a una logica omicida. "Io credo che sarebbe la cosa piú dolorosa che si potesse fare. Ma avanti o indietro ě come ě tutto uguale!"12. La consapevolezza di questa natura delia propria poesia si intreccia non a caso, nei primi anni di guerra, alľambivalente atteggiamento nei confronti delia guerra stessa. Biformato a piú riprese alla visita di leva, esiliatosi nella nazione per anto-nomasia pacifica, la Svizzera13, Campana mostra spesso ľansia di unirsi al popolo in armi, anch'egli alia ricerca di una guerra farmaco ("Io anderö in Francia; non sono soldato, e eurero i letteratume presente passato di tutti i continenti e non mi sento di ritro-varmi nei suoi discorsi. I II dolore del Vate non ě il dolore del poeta: ě senza nobiltä senza silenzio, senza umiltä, senza luce. II Vate grammo-fono, quale meceanismo piü tedesco di questo?" (ivi, pp. 280-2; Cacho Millet propone due possibili discorsi del Vate, entrambi pubblicati dal "Corriere della Sera": Parole ai combattenti del 20 novembre 1917, in prima pagina, oppure Voci della riscossa. Alle reclute del 99 sul numero del 25-26 dicembre 1917). 11 La definizione ě in una lettera dal manicomio a Pariani (22 ottobre 1927): ivi, p. 295. 12 Lettera a Cecchi del 2 maggio 1916: ivi, p. 170. 13 Cfr. Franco Contorbia, Campana, Ginevra, ľintervento, cit. Cfr. le lettere a Mario Novaro del 12 aprile 1916 e a Boine del 19 apríle 1916: hettere di un pověro diavolo, cit., pp. 158-9. feriti: forse potrei guarire io stesso ma non ci tengo oramai piú")14; ma nello stesso momento vede bene "la situazione in-tollerabile che si produrra in Italia per qualche anno come im-mediata conseguenza della guerra. Tutti i mangiapane ultimi venuti che daranno fiato agli organi magni della cultura per scoprire quello che noi sappiamo benissimo per averlo impa-rato a nostre spese senza tanto chiasso [...] a noi che sappiamo che tutto ě sforzo individuate sembra giá enormemente stupida e ridicola l'idea di un miracolo nazionale prodotto dal mecca-nismo della guerra"15 (in questi mesi d'altronde Campana ě in stretto contatto epistolare con Boine, impegnato nella sua deludente tournée al fronte al seguito di padre Semeria - "un giro per i carnai di lassu": "Anche la guerra ě come tutto il resto: fa un po' piú di rumore")16. Mostra le stimmate del com-plesso di esclusione, Campana ("Ci sono dei soldáti qua e sento suonare la tromba e sento che io non partiro mai. Inchioda-to all'infamia")17, ma, nel precipitate verso Castel Pulci, vede una (peraltro ormai impossibile) partenza per la guerra, tout court, come un andare alla morte18. Le ultime testimonianze prima della reclusione in manicomio lo vedono contrapporre alla guerra e alla morte proprio quel rapporto mutuamente di-struttivo con Sibilla Aleramo che giá in altre occasion! gli era parso simboleggiare la violenza che oscuramente temeva19. La M Ě la giá citata lettera a Cecchi del 10 marzo 1915: ivi, pp. 39-40. 15 Lettera a Soffici congetturalmente datata luglio 1915: ivi, p. 63. 16 Lettere di Boine a Campana, rispettivamente del 22 ottobre e del 15 novembre 1915: ivi, p. 87 e p. 94. 17 Lettera a Cecchi del 15 agosto 1917: ivi, p. 248. 18 "Dunque il 19 sono chiamato alla visita e saro abile, non senten-domi di discutere la mia jella [...] tu amico dunque se vuoi salutarmi fa presto perché non rítorneró" (a Carrá, 2 ottobre 1917: ivi, p. 260); "Dunque, Bino, sono triste a morte, e presto muoio, il che non mi impedirá d'andare soldato il 19" (a Binazzi, 3 ottobre 1917: ivi, p. 261). 19 Lettera a Soffici del 16 dicembre 1917: "Ho deciso di finirla. Sibilla mobilita contro di me il fango delle vie ma preferisco morire 446 LE NOTTICHIARE EKANO TUTTE UN'ALBA stessa passione per Sibilla, d'altro canto, ha mostrato sempře la stessa ambivalenza violenta. Rinunciare alia poesia, rinunciare a questa insopportabile responsabilitá, significa rinunciare alia vita. E Campana con-seguentemente si presenta, docile, a Castel Pulci. Mancano ancora nove mesi alia fine della guerra: ma per lui ě finita, fi-nalmente. La resa di Campana ě ancora lontana tuttavia quando, in piena guerra, la forza dirompente del suo antagonismo lette-rario gli detta ancora due componimenti straordinari (tra loro cosi solidali che Enrico Falqui li consideró tre parti di un solo componimento, a cui diede il titolo di Prospectus: che ě invece, come ha mostrato Fiorenza Ceragioli, titolo autoriale valido solo per il primo componimento, a sua volta suddiviso in due sezioni). Come ai tempi del Quaderno, precedente all'ordina-mento degli Orfici, anche qui la polemica metaletteraria passa per il pastiche della maniera da avversare (Césare Galimberti ha parlato di "frottage surrealistico avanti lettera")20. II Prospectus affianca (come giá nel grottesco frammento Biologia)21 i piuttosto che tornare con Lei. II commissariato mi ha fatto chiaramente comprendere che se non torno con Sibilla mi manda al fronte. Tu mí hai visto e sai il mio stato. E meglio dunque che abbrevi le mie sofferenze" (ivi, pp. 279). 20 Cesare Galimberti, Dino Campana, Milano, Mursia, 1967, pp. 120-1 ("I Prospectus preludono piú specialmente al surrealismo o a esperienze vicine a quel movimento"). Cfr. anche Maura Del Serra, L'immagine aperta. Poetka e stilistica dei "Canti Orfici", Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 310-20. 21 Nel frammento, ai due avversari di Campana ě data direttamente la parola: "Sauflci Essendo una carogna in decomposizione abbraccio l'universo. Guardate il mio cromatismo i miei verdi e violetti. Quanto al resto il mio scheletro ci sono dunque esiste. I P,S. A volte infi-lo una camicia rossa per spaventare i passeri I Monsieur Pappin - Per la mia ingenuitá naturale volli fare lo sbirro ma poi vidi la nlosofia": Dino Campana, Taccuini, a cura di Fiorenza Ceragioli, Pisa, Scuola Normále Superiore, 1990, p. 195. LA GUERRA-FOLLIA 447 dioscuri di "Lacerba", Soffici e Papini (per Campana emblema di ogni male letterario possibile e immaginabile), nella parodia grottesca dei loro versi22. II procedimento a mosaico di Campana "denota la capacitá dell'artista di trarre dalla lettura di un'opera, come altre volte dallbsservazione di un quadro, una drammatica ricomposizione della realtá, in questo caso cultu-rale, politica e sociále"23. Infatti Campana inserisce nel pastiche delle frasi rivelatrici ("Sono partiti tutti per il fronte", "Si Salvi Chi Puo"): che svelano, di quella retorica letterariamente insulsa, la carica neanche troppo velatamente omicida (Papini e Soffici sono i piu accesi interventisti sulla scena letteraria): "Letteratura nazionale. / industria del cadavere"24. 22 II primo frammento ricombina in un disegno ripugnante versi e vocaboli isolati della poesia sofficiana Masque, pubblicata su "Les Soirees de Paris" il 15 giugno 1914, e ripresa nell'edizione in volume (1915) del Giornale di bordo lacerbiano (vi figura tra l'altro, in evidenza, la parola prospectus); il secondo frulla immagini isolate tratte dalle Cento pagine di poesia di Papini (cfr. Ylntroduzione di Fiorenza Ceragioli alia citata di Dino Campana, Taccuini, cit., p. 21) insieme a drastici giudizi campaniani. Si veda per questi ultimi la lettera a Binazzi del 3 otto-bre 1917 (pubblicata dal destinatario in "La Brigata", ottobre-dicembre 1917, pp. 270-71, nonché da Giuseppe Raimondi in "II Mondo", 11 ago-sto 1951: la si legge ora in Lettere di un pověro diavolo, cit., p. 261), che ě in pratica una redazione alternativa, o un avantesto diretto (nel qual caso si dovrebbe postdatare al '17 la redazione di questa parte del cosid-detto Taccuino Matacotta), di Prospectus e Cara mama. Su questa lettera, giustamente usata come chiave per Prospectus, e sui procedimenti di pastiche straniante di Campana dei quali si puó considerare paradigma, cfr. Neuro Bonifazi, Campana Papini Soffici (Intorno a una lettera diDino Campana), in Id., Dino Campana, Roma, Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri, 1964,19782, pp. 281-94. 25 Fiorenza Ceragioli, Introduzione, cit., p. 21. 2A E notevole come Campana, spesso aduso a proiettare sui prossi-mo comportamenti propri, in una delle sue ultime sfuriate contro Papini lo accusasse proprio di aver "iniziaro una nuova forma di poesia con l'energia succhiata da Campana. Ma fu dissolvimento. Fu sperpero, im-putridume, fu la guerra" (lettera di Leonetta Cecchi Pieraccini a Emilio 448 LE NOTTICHIAEE ESANO TUTTE UN'ALBa Nel secondo componimento, la retorica letteraria - stavolta piü popolaresca: "Al rombo del cannon" - ě denunciata assieme a un piu evidente riferimento figurative*: a un affresco raffigu-rante Vitalin del pittore pompier Giulio Aristide Sartorio (forse nel Fregio delta Camera dei deputati in Palazzo Montecitorio a Roma). L'arte 'ufficiale' e retorica viene contrapposta all arte brut e disperata dell"'artista ingenuo" che, nel caos dell'imme-diato anteguerra ("un mistero che non sa spiegare"), si rivolge al suo unico punto di riferimento certo: la "mama". Campana, artista tutt'altro che ingenuo, non ha dubbi su quale partito scegliere: "La mano di una persona gentile, il canto dei soldáti che partono, la donna al lavoro china sul solco sono, insieme con Partista ingenuo, un'umanitä positiva a cui Campana da la propria adesione. Di contro, un'umanitä banale e retorica: gli arcipreti con voce di bue, i caporali con voce tonante, i santi insulsi, la riproduzione dell'affresco presuntuosamente deco-rativo del Sartorio e Pornamento di frasche sportive sul treno, come se i soldáti partissero per una gara"25. In questi suoi estremi frammenti, insomma, Campana rivela appieno i suoi "propositi estremi di sabotaggio culturale", come ha scritto Edoardo Sanguined: proprio mettendo in causa Cecchi, 4 gennaio 1918, in Gabriel Cacho Millet, Dino Campana fuori-legge, cit., p. 145). Che Papini sia in questo caso essenzialmente una figura proiettiva appare evidente dal fatto che, nella stessa tescimonianza, alia consueta autoaccusa da parte di Campana di essere "il responsabile della guerra", si accompagna stavolta la parallela accusa, a Papini, di avere causato "il disfacimento della poesia italiana". La guerra e la fine della letteratura italiana, per Campana, sono in qualche modo collegate. E lui si sente corresponsabile dell'uno come dell'altro disastro. 25 Fiorenza Ceragioli, Introduxione, cit., pp. 22-3. Per Maura Del Serra Cara Mama "mima infine, attraverso la proiezione del poeta nel personaggio 'ingenuo' autore della lettera, il punto piu alienance delľas-surdo caos bčllico, tinto di retorica dannunziano-nietzschiana e di con-nivenze del potere religiose" {Dino Campana, Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 66). LAGUERRA-FOLLIA 449 "la ragione ultima della poesia, con un rimescolamento che non ha Peguale per anni e anni". Proprio, cioé, portando la lacerazione della condizione espressionista, "questa lacerazio-ne entro il verbo", "sino al suo punto di frattura, e oltre, tra-scinando Pintiera patológia della coscienza poetka collettiva dentro Palíenazione della propria mente"2Ŕ. Ma la frammentazione di stampo manierista delľidentitä letteraria, riflesso diretto delľalienazione dei soggetto dal suo contesto socioprofessionaíe (la casta dei poeti), ha in un altro Campana - quello sadomasochistico di taňte parti dei Quader-no e degli stessi Orfici - un ulteriore, inquietante corrispettivo: la frammentazione delľidentitä corporea. Se é vero che lo spe-cifico della poesia di Campana, dello sparagmôs rituale delľidentitä lirica che gli Orfici mettono in scéna, é il paradosso per cui "é la perdita delľidentitä, la scissione delľio che inaugura il viaggio verso una ricomposizione impossibile"27, le immagini di spersonalizzazione e di reificazione dei soggetto avranno in questo poeta un senso completamente diverso da quello che potevano avere in un caso come quello di Sbarbaro. Cosimo Ortesta ha indicato i luoghi campaniani nei quali "ľio scisso si proietta e si percepisce in un oggetto, in una 'macehina che agi-sce', nel tentativo di riunire in un insieme, ma alľesterno, le pro-prie parti separáte"28: come nel torturante emblema dei Russo. A 'serivere' non é piú, dunque, la finzione centripeta dei 'soggetto' quanto i suoi organi ridotti a 'macehine' schizofreniche (esattamente le "macehine" di cui paria Campana a Pariani in manicomio): il terrore finále é precisamente la sanzione deíini- 26 Edoardo Sanguineti, Introduzione alla sua antológia Poesia italiana dei Novecento, cit., pp. LIV-V. 27 Cosimo Ortesta, Post/azione alľedizione cit. di Carlo Pariani, Vila non romanzata di Dino Campana, ed. cit., p. 139. Ringrazio Marzio Pieri per avermi segnalato questo misconosciuto caposaldo della critica campaniana. 28 Ivi, pp. 146. 450 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA tiva di questa condizione frammentata - appunto lo sparagmós, la mořte orfica delfanciullo coperto disangue (secondo 1'enig-matico esergo da Whitman posto al colophon degli Orfici). La dialettica infinita tra "frammento" modernista e wagneriano "sogno deila vita in blocco", che domina la ricerca poetka di Campana, va letta anche in questa chiave. La follia di guerra di Bontempelli ha caratteristiche alquanto simili a questa ossessione di Campana. Gli ultimi, laceranti epi-sodi della suitě Uubriaco non si limitano piú a proporre una visione frammentaria del paesaggio, della zona di guerra. Ora ě lo stesso corpo del poeta a disperdersi in frammenti. In Voluttá la confusione corporea (che nelTinferno della trincea ě condizione comune) ě ancora declinata secondo un registra lieve, scher-zoso; in Grottesco il corpo, "un coso / enorme duro immoto che gela", ě giá spezzettato (i piedi poggiati "uno lá 1'altro lá sui due poli / del mondo"): esattamente come "la Materia Universale" che sotto gli occhi del soggetto "si sfascia" in una miriade di "spilletti che ronzano ronzano". AI punto di Armonia, siamo ormai in pieno "delirio" (ě 1'ultima parola del těsto). La trincea con i suoi orrori ("grumi di sangue", "pezzi di cervello") si so-vrappone "alfioraiosullangolo delCorso": mentreleimmagini brucianti delle "rose", dei "garofani", dei "giacinti" acquistano il rilievo assurdo e tremendo delle nature mořte di Van Gogh. La conclusione {Vita) non puó che essere la confusione com-pleta delle categorie di "vita" e "mořte", La vita ě "uccidere", ě "vitamitragliatrice": che spezzetia gli uomini che si trovano sulla sua traiettoria in "grappoli rossi", in "pezzi di carne", in unbrrenda macedonia, una "pasta lunatica di strazio ďuomini". Anche la prosa che Alvaro intitola Incubo, senza poi mai decidersi a raccoglierla in volume, documanta il momento in cui il trauma fisico (la ferita alle braccia subita sul Carso, dalla quale lo scrittore non si riebbe mai del tutto), nella stasi ob-bligata dellbspedalizzazione, dá luogo a un disturbo psichico che minaccia di rivelarsi, per il soggetto, ben piú distruttivo di quello subito dal proprio corpo. E il cortocircuito che, come LA GUERRA-FOLLIA 451 vedremo, minaccerä di ridurre per sempre al silenzio Rebora, all'indomani dello shell shock del Natale del 1529. A porre a repentaglio la salute mentale del soldato di Alvaro - come in Bontempelli e, vedremo, in Savinio - e la confusione di un corpo che non sente piü appartenergli del tutto. Le braccia non bastano a "tenere" le "piaghe" di cui sono costellate, i "piedi" stanno "per recidersi", la "mano" viene "smarrita" ("come quello che si raccattö di terra il troncone del suo braccio che il cannone gli aveva tagliato"). A quel punto la stanza d'ospe-dale torna implacabilmente a essere la "buca cärsica" dove il trauma s'e prodotto: vita' e 'morte' tendono a confondersi tra loro, come il passato recente al quale si e crocifissi, e il futuro al quale non si ha piü accesso. II libra di guerra di uno scrittore eminentemente postbel-lico come Savinio ha il proprio nucleo proprio in quei Chants de la mi-mort che, nell'imminenza dello scoppio del conflitto, avevano messo in evidenza il giovane fratello di Giorgio de Chirico nella capitale delle avanguardie, uscendo sulla cele-brata rivista di Guillaume Apollinaire, "Les soirees de Paris". La condizione sospesa della "mezza-morte" e la particolare forma di trance saviniana, quella che lo farä indicare tra po-co da Breton come uno dei predecessori piü sicuri del neo-nato surrealismo30. Piü in generale, la follia dell'allentamen-to dell'identitä corporea - che come si e appena visto certa poesia della Grande Guerra arriva a contemplare per la prima volta nei suoi testi piü estremi - e per la ricerca di Savinio 29 Riferisce Giovanni Boine a Mario Novaro: "Rebora tomato da Podgora corse il rischio di impazzire. Una granata da ultimo scoppiö, la trincea tutta all aria gli buttö, gli uomini come bombe in giro scaraven-tö, e lui per tre giorni rise": Lettere a Mario Novaro, a cura di Giuseppe Cassinelli, Bologna, Boni, 1984, p. 89. 30 "Che cosa e dunque la mezza-morte? Uno stato o piuttosto una funzione psichica che non ridesta ifantasmi assopiti nel fondo dell'ani-ma, ma ne crea di nuovi e impreveduti" (Gian Carlo Roscioni, Nota, in Alberto Savinio, Hermaphrodite, Torino, Einaudi, 1974, p. 240). 452 LE NOTTI CHI ARE ERANO TUTTE UNALBA un sicuro punto di partenza. (Non ě privo di significato ehe la Metafisica nasca, a Ferrara nelľultimo anno di guerra, in un nevrocomio) Savinio da ora in poi indichera sempře, nella propria incessante attivitä multimediale, ľorizzonte di un travali-camento della condizione umana verso una condizione ehe si definirebbe oggi "post-umana"31. Hermaphrodito ě il testo che inaugura questa avVentura: non sorprende che in esso la guerra non venga temuta né deprecata. E considerata da Savinio, in effetti, niente di piü che una fatalita32: uno stadio limina-re, si potrebbe anche pensare, ehe ľumanitä deve attraversare per affrancarsi da sé33. (Ľarticolo La realtä doráta (Arte e sto-ria moderna - Guerra- Conseguenze), pubblicato sulla "Voce" c\ " Lemblema piü eloquente di questa ricerca ě il celebre racconto compreso in Casa "la Vita", II signor Münster (Casa "la Vita" [1943], Miláno, Adelphi, 1988, pp. 247-93), il cui protagonista perde gradualmente tutte le parti del suo corpo restando in un particolare stato di coscienza. Münster scopre nei proprio stato di "potersi 'praticamente' considerare un altro" (p. 260): Savinio ritorna in questo modo al celebre ]e est un autre di Rimbaud, dandogli un senso nuovo. Münster non terne la sua nuova condizione. Anzí: "terminô la sua morte nel sentimento ineffa-bilmente felice di una nascita cosciente e che ľuomo si ě scelta da sé" (p. 293). Savinio persegue insomma la condizione in cui ognuno possa essere "padre di se stesso" {"il signor Münster, ľuomo che si disgrega e piano piano va in pezzi, e cosi termina felicemente di morire assisten-dó alia visione della propria nascita cosciente, quella ehe si ě scelta da sé solo, h il segno definitivo e delusorio delľermafroditismo metafisico vissuto da Savinio": Alfredo Giuliani, Savinio deifantasmi, introduzione ad Alberto Savinio, Hermaphrodito e altri romanzi, a eura di Alessandro Tinterri, Miláno, Adelphi, 1995, p. XVIII). 32 "Perché mozzare a' grandi movimenti popolari - come ě la guerra - la loro caratteristica di fatalita? [...] Non mi oppongo al fatto della guerra; - sarei uno stolto. Dico ehe bisogna lasciarglí la nuditä del suo carattere": Alberto Savinio, Hermaphrodito [1918], ivi, pp. 38-9. 35 Tutta la parabola letteraria di Savinio ě del resto leggibile, per un suo interprete storico, come "permanente stato di guerra contro lo 'spirito borghese' e la sua 'materia'" (Walter Peduľiä, Alberto Savinio [1979], Miláno, Bompiani, 19912, p. 34). LA GUERRA-FOLLIA 453 nel 1916, termina con ľimmagine della "spiritualita generata dalľarte moderna" come "un intrecciato metallico fasciante il mondo", dalla quale "verrä issata con gli argani e con la grue un'opera; uomo di ferro, ammettiamo (per contentare gli an-tropomorfisti), ehe ricordi la strillante effigie daomeana del dio delia guerra (questo per gli artenegrizzanti)"; "quelľintrecciato metallico ě il palco ove si slancierä alia danza ľuomo a venire. La gestazione di colui si compie: ne ho la prescienza [...] Da quel lievito scaturirä il prototipo della genialita mediterranea - ľuomo ä coulisse, ľuomo religioso, ľuomo pellicano [...]-... Ma quelľuomo, ov'e?... Chi ě.. .")34 In quanto stadio liminare e ancipite (da un lato la condizione umana, dalľaitro quella postumana), la guerra non puö essere rappresentata che da un testo ancipite e multiplo: da un testo ermafrodito, insomma35. "L'anatema ě scagliato contro ľantropocentrismo [...] ľuomo deve morire a se stesso. Savinio ehe, come Apollinaire, non recide tutti i légami con il passato [...] compie una scelta predsa, quella della 'mezza morte'. Mezza morte, ehe significa non essere morti e non essere vivi, Hermaphrodito ehe significa non essere maschio e non essere femmina, sogno piü veglia, ehe significa poter attingere alľuno o alľaltro campo semantico, senza avere limitazioni di linguaggio né di prospettíve"36. M Alberto Savinio, La realtä doráta (Arte e storia moderna - Guerra - Conseguenze), in "La Voce", 19 febbraio 1916. Cito dalla ripresa ehe di questa rarita saviniana ha fatto il compianto Rocco Carbone, in "Para-gone/ Letteratura", XLII, 1991, 28 (498), pp. 94-5. 35 Anche se Savinio ha sempre badato a restringere la valenza del ti-tolo del suo primo libro alia sua natura linguisticamente duplice, italia-na e francese (cfr. Marco Sabbatini, L'argonauta, Vanatomico, ilfunam-bolo. Alberto Savinio dai Chams de la mi-mort a Hermaphrodito, Roma, Salerno Editrice, 1997, pp. 125 sgg.). Ma il plurilinguismo saviniano ě ben lontano dal limitarsi, qui, a una condizione semplicemente binaria. 36 Silvana Cirillo, Alberto Savinio. Le molte facce di un artista di ge-nio, Milano, Bruno Mondadori, 1997, p. 78. 454 LE NOTTI CHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA II senso, in Savinio, ě sempře reticolare e metonimicamen-te differito. Molto difficile, insomma, antologizzarlo. II brano qui presente sembra adatto: anzi tutto perché fa parte della sezione del libro che si intitola Poesie (entro La festa muratoria), e poi perché sembra di udirvi l'eco di akre voci dei poeti di guerra, pur se debitamente straniate e deformate. Si veda per esempio la 'voce' Mutamenti (quanto mai significativa, si capi-sce, in questa chiave di lettura), che si esercita in "paradossi" sulla realtä della guerra, "mutandola": il toponimo "tragico" del "San Michele" ě cosi interscambiabile con i "paradisi" -mentre "gli ossi" dei caduti sono controdolorosamente mutua-biliin "sorrisi"... Un fenomeno eccezionale della Grande Guerra fu la straor-dinaria diffusione delle 'leggende', ossia delle false notizie che, passate per canali non istituzionali e misteriosamente diffuse in luoghi diversi, e magari tra loro molto distanti, del fronte (o delle retrovie), venívano prese per vere - con conseguenze a volte grottesche, altre volte tragiche. Fu proprio in seguito alia sua esperienza al fronte che Marc Bloch, infatti, elaborö quelle Reflexions d'un historien sur les fausses nouvelles de la guerre11 che, pubblicate nel 1921, ebbero un peso decisivo per gli stori-ci (i quali presero sempře piú a interessarsi delle testimonianze orali quali fonti alternative rispetto ai tradizionali documenti, feticcio della storiografia positivista). La guerra viene trattata dal grande storico come "un immenso esperimento di psico-logia sociale"38. Laspetto interessante delle "false notizie", per 37 Marc Bloch, Riflessioni di uno storico sulle false notizie della guerra [1921], in Id., ha guerra e le false notizie. Kicordi (1914-1915) e riflessioni (1921), introduzione di Marcel Aymard, Roma, Donzelli, 1994, pp. 77408. Del těsto si veda anche la riproposta recente, a eura di Francesco Mores, in Joseph Bedier-Marc Bloch, Storia psicologica della Prima guerra mondiale, Roma, Castelvecchi, 2015, pp. 81-114. 58 Id., La guerra e le false notizie, ed. cit., p. 86. LAGUERRA-FOLLIA 455 lui, ě costituito dal fatto che in esse "gli uomini esprimono inconsapevolmente i propri pregiudizi, gli odi, le paure, tutte le proprie forti emozioni"39. Gran parte del materiále usato da Paul Fussell per mostrare la risorgenza del pensiero mitico durante la guerra, non a caso, ě tratto proprio dal repertorio delle 'leggende'. E in queste deviazioni, in questi scarti, che viene alia luce un sostrato antropologico profondo: che mostra come spesso le soluzioni di continuitä operate dall'irrompere della modernita siano piú apparenti che reali40. Ě interessante come Bloch attribuisca parte della responsabi-litä, nella nascita e nel diffondersi delle "false notizie", al ruolo "considerevole" della "censura": "Durante tutti gli anni di guerra essa non solo ha imbavagliato e paralizzato la stampa, ma addirittura il suo intervento, sempre ipotizzato, anche quando non si verifieava affatto, non ha cessato di rendere non credibili agli occhi del pubblico persino le notizie veritiere che lasciava filtrare. Come ha detto assai bene un umorista: 'Nelle trincee prevaleva lbpinione che tutto poteva essere vero, ad eeeezio-ne di quello che si consentiva di stampare'"41 (anche in questo caso, non diverso ě ľatteggiamento che si ha oggi, spesso, nei confronti dei mass media). E stato un protagonista della prima 59 Ivi.p. 84. 40 Non a caso anche la nostra contemporaneitä riserva un bacino di raecolta pressoché infinito ai ricercatori di 'leggende metropolitane* (dal bambino nel forno alľalligatore nella fogna, per citare due delle piü diffuse). Ma - anche in questo caso - pare proprio che la Grande Guerra (magari per la sua eccezionale 'copertura', in termini mediali) abbia costituito un punto di partenza decisivo. Non a caso uno dei piú assidui raccoglitori di questi straordinari materiali - veri e propri reper-ti di archeológia culturale -, Césare Bermani, ha dato ampio spazio (nel suo Spegni la luce che passa Pippo. Voci, leggende e miti della storia con-temporanea, Roma, Odradek, 1996) alla discussione delle tesi di Bloch, e alľinfinito materiále offerto dalla prima guerra mondiale. Marc Bloch, Riflessioni di uno storico sulle false notizie della guerra, cit., p. 104. 456 LE NOTTI CHI ARE ERANO TUTTE UN'ALBA guerra mondiale, Winston Churchill, a dire - dopo una guerra ulteriore - che prima vittima di una guerra ě sempře la veritä. In altri termini, le "false notizie" o 'leggende' non sono al-tro ehe la 'contro-informazione' ehe la collettivitä di guerra finisce per elaborare, in tempo di guerra, per difendersi dal bombardamento propagandistku e censorio. A ben vedere, questo atteggiamento nevroticamente difensivo - ehe si vale di un uso distorto delle conoscenze e dei mezzi di comuni-cazione 'ufftciali' - ě simile a quello dei soldáti 'simulátoři' che, per evitare il fronte, fingevano di essere affetti dalle piü diverse patologie, flsiche o mentali. Perché tali simulazioni avessero qualche possibilitä di successo, infatti, si imponeva ľ"appropriazione" e "ľuso antagonistico del sapere medico ufflciale da parte dei subalterni, con esiti ehe ľaltezza delia posta in gioco e la miseria delia condizione del soldato rendo-no non di rado spaventosi"42. La 'leggenda' piú tipica della Grande Guerra ě senza dub-bio la resurrezione dei caduti43: terna topico, s'ě visto (si rin- 42 Antonio Gibelli, L'o/ficina della guerra, cit., p. 146 (ma si vedano, sul fenomeno, le pp. 136-63). 43 Alia ricca galleria di 'leggende' che ci offre Fussell (cfr. La Grande Guerra e la memoria moderna, cit., pp. 145-69), vale la pena aggiungere quelle riportate da Bermani (Spegni la luce che passa Pip-po, cit., pp. 4-5): "Ad Ampezzo (Udine), nel luglio 1914, 'si rinveniva fortuitamente uno scheletro raccolto in una bara. La notizia passö ra-pida di bocca in bocca. Curiosa, la popolazione accorse ad osservare quelle povere ossa. II ritrovamento dello strano scheletro e la speciale posizione delle ossa diedero origine [...] alia convinzione che fra non molto tutto il mondo sarebbe stato coperto d i cadaveri e di ossa umane. I Infatti qualche giorno dopo scoppio la guerra mondiale, che avverö esattamente i pronosticľ. I Prima di diventare leggenda, questa vicenda ha quindi dato luogo a una sorta di divinazione popolare e 'la morte' (lo scheletro) ha richiamato immediatamente ľimminente scoppio della guerra. I 'Una mattina di buon'ora una donna di Paularo stava falciando l'erba in 'nionť, quando venne colpita da un sordo cal-pestio che si avvicinava, Di li a poco vide sbucare da una macchia, in LAGUERRA-FOLLlA 457 via, sopra, al capitolo La guerra attesa), giä dell'immaginario popolare dei romantici Arnim e Brentano messi in musica da Mahler44. Ma evidentemente - se le 'leggende' incarnano le paure piú profonde della collettivitä - il suo ricorrere - nella memorialistica, nella letteratura colta, nelle arti figurative e persino nel cinema della Grande Guerra (si ricorderä il vio-lento uso allegorico fattone da Abel Gance in J'accuse) - ci deve dire qualcosa di importante. Ci conferma anzitutto come I'esperienza della guerra abbia portato con sé un'estrema confusione tra le cátegorie di vita e di morte; ma indica anche come, dopo la fine della guerra, si sentisse come in realtä nulla fosse finito. L'immagine del soldato morto ehe si rialza e rico-mincia a marciare armato di tutto punto ě in rondo un oscuro avvertimento collettivo del carattere irreversibile della guerra moderna: dell'apertura del Novecento come campo di violen-za. Infatti ě potuto accadere che soldáti richiamati alľinizio fila indiána, un plotone di Alpini silenziosi. Gli Alpini non cantavano, com'e loro costume; le passavano accanto e lei invano attendeva una di quelle parole galanti di saluto, che i soldáti indirizzano immanca-bilmente alle donne giovani. La donna rimase molto meravigliata e li osservô attentamente, mentre Je passavano davanti. Erano visi stanchi, gli occhi bassi, le schiene curve. Ma quando le passö vicino l'ultimo della fila, ella ebbe la spiegazione del misterioso comportamento. L'ultimo della fila invece di un viso umano, aveva l'aspetto mostruoso del teschio della Morte. I La Morte stessa spingeva quei giovani verso la piu alrta cima battuta dalle granáte nemiche infondendo nei loro cuori il presentimento della loro prossima fine'" (entrambe le testimonianze citate da Bermani provengono da un articolo di Dolfo Zorzut apparso nel 1931). II mito dell"'esercito furioso", composto da soldáti morti in bat-taglia, ě originario dell'area germanica, e trova attestazioni sin dall'an-tichitá (una eco si trova anche nella Germania di Tacito, XLIII; nel cinema contemporaneo si ricorda ľepisodio forse piú impressionante di Sogni di Akira Kurosawa, 1990): cfr. Carlo Ginzburg, I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Torino, Einaudi, 1966, p. 53. 458 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA della Seconda guerra mondiale fossero gli stessi che per ulti-mi erano stati richiamati nella Prima. II tema ě attestatissimo anche nel nostro repertorio, e de-clinato in modi assai diversi45. La versione di Trilussa ě bona-ria e rassicurante. Lo spunto espressionista del "fricandö de teschi", del "montarozzo ďossa" che si puö trovare appena smuovendo la terra del campo di battaglia (esperienza che ciascuno poteva faře nei mesi successivi alla fine dei combat-timentí)46, viene subito fugata dalla retorica comunitaria ("li sotto, pero, diventeranno / tutti compagni, senza / nessuna diferenza"), seppure piegata a un ěsito grottesco e sarcastico da un gusto del paradosso di una čerta efficacia (nell'amara clausola finale, che capovolge la retorica dell'impianto: "Solo adesso ciavemo per lo meno la speranza / de godesse la pace e l'uguajanza / che cianno predicato tanto spesso!"). In Nicola Moscardelli - poeta ingiustamente dimenticato, del quäle un'antologia complessiva potrebbe essere un libro di un certo rilievo - lo shock della ferita desta una reverie di visionaria confusione del soggetto con la terra - essa stessa fermentata dal sangue delle vittime, le ossa pietre tra le pie-tre -: si dorme accanto ai morti, ci si confonde coi morti. Sieche - con una logica serrata, pur nel suo assurdo - i morti non 45 Non manca neppure, nella sparuta e irrimediabilmente retorica produzione 'di guerra' di Annie Vivanti (si veda, sopra, il capitolo La guerra-comunione), un componimento dal titolo Parlano i caduti (Per una targa commemorativa di Leonardo Bistolfi); "'O Italia, / Non per la gloria dell'armi, non per umano / Plauso o gratitudine umana / Noi derhmo a Morte il fior di nostra vita; [...]/ Noi non per akro morimmo se non, Italia, per te, / Noi non invano morimmo poiché morimmo per te" (Tutte le poesie, cit., p. 231). 46 Cfr. Paul Fussell, La Grande Guerra e la memoria moderna, cit., pp. 86-8 (il paragrafo si intitola "L'ossario"). Come ricorda Gibeiii, "lo stesso poteva accadere fino a poco tempo fa nei dintorni di Gorizia" (L'officina della guerra, cit, p. 111). Per tutto questo si rinvia, sotto, al capitolo La guerra postuma. LAGUERRA-FOLLIA 459 possono fare altro che levarsi. I ruoli si scambiano: con un moto mentale che abbiamo ormai imparato a conoscere bene. Ii futurista di complemento Silvio Cremonesi, invece, mette in scena un piccolo teatrino - una 'sintesi', se vogliamo - nel quale la solidarietä fra i caduti delle diverse nazioni, evocata con ironia un po' greve da Trilussa, viene ripresa con accenti, invece, schiettamente comici. II sorriso e tuttavia un po' gelato dall'insistenza maniacale con la quale dei cadaveri viene evocata la diversa comistenza. E un tratto assurdamente naturali-stico (quello per cui il morto piü 'recente', e quindi piü dum, sprofonda nei corpi ormai putrefatti dei cadaveri piü 'vecchi' e Ii lacera, Ii sdrucisce orribilmente), che perö doveva avere una tangibile sostanzialitä per chi, nell'immediato dopoguerra, si trovava ad avere un'atroce confidenza (magari per dare loro sepoltura) coi milioni di cadaveri sparst sul terreno europeo. Un brano tanto sciatto sul piano formale viene cost riscattato da un aspetto apparentemente banale che perö rivela un arriere-pensee, in chi lo ha scritto, assurdamente inquietante47. 47 Viene alla mente uno dei piü terribili Frantumi di Boine, nella sezione Delirii: "- Alberi? arbusti? ciuffi e cespugli? Son tentacola-ri meduse di vermini in sguisciamenti tetanici; son fiotti liquefatti di purulenza carnosa queste roggie che colano; sono cianotiche anatomie di flaccidi muscoli questi mucchi e queste capanne; sono ossame, son scheletri, son curve gabbie di toraciche casse questi serpeggiamenti ari-di di redole e muri, su per le ripe [...]- Non sono io stesso un gonfio cadavere, con ripugnevoli macchie pel viscidume del corpo? Oh oh oh, non sono io stesso dissoluto carname, con brandelli di penduli muscoli ai tendini nudi, e di putredine rivoli giü pel bianchiccio dellbssa? I -In questa apocalittica morgue, inerte sprofondo come in inghiottente pantano: son lavato, son corso, son permeato e imbevuto di liquefazioni tombali; come in reti, s'impigliano gli stecchi dellbssa in grovigli di visceri; s'inforcano rigidi, metacarpi, de falangi in moribund i convulsi di macerati cuori; abbandonata, infine, la guancia saffloscia sulle visci-de-spalancate occhiaie di non so che proteso, in alto, viso..." (Delirii, in "La Riviera Ligure", agosto 1915; ora in Id., IIpeccato. Plausi e botte. Frantumi. Altri scritti, cit., pp. 272-73). 460 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UNALBA Malaparte presta a una deíle sue rare poesie il proprio tem-peramento instancabilmente polemico. E cosi anche i suoi morti viventi (come in Triktssa e Cremonesí), ciarlieri e gioco-si, appartengono a una comunitä sovranazionale. Che pero qui viene implicitamente contrapposta alla collettivita presente, quella del tempo di pace, Piu vivi - questo il giudizio impli-cito dell'autore di Viva Caporetto! -, questi morti, di coloro ehe, a venťanni di distanza, hanno bellamente dimenticato il sacrificio di diecimila italiani in terra di Francia. Un destino 'deterritorializzato' che fa dei morti di Bligny e di Reims (i luo-ghi che videro in effetti il giovane Suckert colpito dai gas tede-schi) dei morti di seconda classe, rispetto a quelli, massxficati ma comunque retoricamente monumentalizzati, delle "rive del Piave", delle "rupi del Grappa". Ľunico poeta che ci faccia pero davvero sentire la voce delia morte ě Rebora. Anche nella poesia A un compagno di Alvaro, lo abbiamo visto (sopra, nel capitolo La guerra-riflessioné), chi parla ě gia defunto, anche se pensa a un impossibile ritorno a casa, finita la guerra. Ma ě Rebora che ci getta addosso la presenza ossessiva delia morte - con la quale, come s'ě visto, ha dovuto intrattenere orribili commerci - sin dal suo primo, terribile verso. Voce di vedetta morta ě il punto di non ritorno: suo, e di un'intera generazione (nonché, dice giustamente Matteo Giancotti, "una riflessione densissima sul significato definitivo e annichilente della guerra")48. In una pagina fra le taňte espunte dal suo Diario sentimentale della guerra, Alfredo Panzini (che gli ě legato da un'amicizia sincera fra opposti), alľaltezza del gennaio del '16, riporta frasi di Rebora che espongono in forma 'umana' quanto avrä da dire, di li a poco, Voce di vedetta morta: "Rebora, nel suo letto 4! Matteo Giancotti, nota di commento a Voce di vedetta morta neiľedizione a sua eura di demente Rebora, Frammenti di un libro sulla guerra, Genová, San Marco dei Giustiniani, 2009, p. 84. LA GUERRA-FOLL1A 461 all bspedale, con un riso atroce svelando la dentatura bianca nel volto di Cristo, mi diceva: Ah lei mi dice, caro Panzini, che io sono metafisico e poeta, Sappia che dopo 1 esperienza della guerra, sono diventato piú metafisico e poeta di prima. Devo dire taňte cose!'. E si mordeva l'indice. 'Devo dire le cose che i vivi non sanno, perché le sanno soltanto i morti; e noi siamo morti tornati per pochi giorni alla vita"49. Non ě questo, pero, il linguaggio che ascoltiamo dalla Voce di vedetta morta. Vengono i brividi ma sembra davvero che il poeta, qui, condivida quella che potrebbe essere la logica autre di un cadavere ("Forsennato non piango: / Affar di chi puó, e del fango"). Infatti 1'oggetto estraneo, 1'alieno, alla fine non ě piú il morto che parla, bensi quel vivo cui il morto si rivol-ge: un vivo votato al silenzio, che pero una notte afferrerá "la donna" ele "sofíimz" implacabile lbrrore della condizione dei "putrefatti di qui". Quella specie di uomo dovrá "stringčr/e il cuore a strozzarla". Mostruoso portavoce della vedetta morta, il sopravvissuto ě dunque a sua volta, ormai, un morto che cammina. Anzi, piú precisamente, un morto che parla. E se ě vero che i suoi testi 'di guerra' Rebora inizia a scriverli prima di arrivare al fronte (con Notte a bandoliera, pubblicata all'inizio del '15 ma seritta nel marzo del '14), ě solo con lo shell shock subito poco prima del Natale 1915, con l'esplosione dell'obice da 305 vidno alia sua trincea sul Podgora, ě solo dopo essere rimasto sepolto dalla frana seguita alio scoppio, ě solo dopo essere state letteralmente disseppellito dai commilitoni, ě solo durante 49 Alfredo Panzini, Diario sentimentale della guerra, a eura di Marco Antonio Bazzocchi, Bologna, Pendragon, 2014, p. 289. Questa edi-zione integra per la prima volta il noto těsto di Panzini, II romanzo della guerra nell'anno 1914, pubblicato presso lo Studio Editoriale Lombardo nel '15 e poi piú volte ristampato, di una série di passi presenti sui qua-derni manoseritti e tagliati dalPautore come questo citato (e due lettere a lui indirizzate, di Rebora, che non sono presenti in nessuna delle loro diverse edizioni). 462 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA la trafila snervante delle visite e dei ricoveri post-traumatici che Rebora comincia a pensare a quel suo libro terribile che, infine, si risolvera a lasciare disperso50. Un libro che doveva far udire la sua voce dissepolta. E che prova a impaginare, Re-bora, proprio rnentre si applica alia traduzione del racconto di Leonid Andreev che narra l'apologo di Lazzaro, il risorto (lavoro che comincia tra la fine del '16 e l'inizio del '17, viene abbandonato, ripreso alia fine del '18 e pubblicato nel 19). La simmetria fra i loro rispettivi destini non potrebbe apparirgli piu stringente51: "si sente anche lui riemerso, tutt'altro che im- 50 Sia pure con tutte le cautele del caso (e considerando come le sue poesie del 1916-17 proseguano, in mold sensi, forme e motivi di quelle del 1914-15), si puô considerare il repertorio delle piu allucinanti poesie di guerra di Rebora nel quadro delia vera e propria sindrome post-traumatica della quale fu affetto. Sulle dinamiche dello shell-shock (e sulle politiche, nel trattarlo, della psichiatria del tempo di guerra) cfr. Bruna Bianchi, Le nevrosi di guerra [1983-1994], in Ead., La follia e la fuga. Nevrosi di guerra, diserzione e disobbedienza nell'esercito italiano (1915-1918), Roma, Bulzoni, 2001, pp. 23-157 (e si veda la sintesi della stessa autrice, Psichiatria e guerra, nell'edizione italiana curata da Antonio Gibelli di La prima guerra mondiale [2004], a cura di Stéphane Audoin-Rouzeau e Jean-Jacques Becker, Torino, Einaudi, 2007, vol. I, pp. 323-40), e Antonio Gibelli, Esperienze traumatiche dei combattenti [2000], in Id., 11 colpo di tuono. Pensare la Grande Guerra oggi, Roma, manifestolibri, 2015, pp. 89-103. Sul grande protagonista, ideologico e scientifico, della psichiatria di guerra si veda Sergio Luzzatto, "Un chierico grande vestito da soldato". La guerra di padre Agostino Gemelli, in Gli italiani in guerra. Conflitti, identita, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, vol. Ill: La Grande Guerra: dall'lntewento alia "vittoria mutilata", a cura di Mario Isnenghi e Daniele Ceschin, Torino, UTET, 2008,1.1, pp. 452-62. 51 II parallelo ě svolto dallo stesso Rebora in diverse sue lettere, nonché in un appunto tardo che risale a quando - distrutte tutte le residue carte in suo possesso - era appena entrato, novizio, all'Istituto della Caritä al Monte Calvario di Domodossola: "Solo oggi (6 aprile 1930), dopo la S. Comunione, al Vangelo che verteva sulla Resurrezione di Lazzaro - nella Chiesa di Santa Francesca - ho compreso perché LA GUERRA-FOLLIA 463 punemente, dal regno dei morti", ha scritto Adele Dei, e "chi ritorna dall'aldila e stato comunque toccato, non pud sottrarsi a un fatale, progressivo degrado, a una sorta di interna, orren-da decomposizione"52. E dawero Yincipit dello scrittore russo (che muore a sua volta, quarantottenne, nell'autunno di quel 19) dice, spettralmente, quanto ha da dire Rebora: "Quando Lazzaro usci dal sepolcro, dov'era stato tre giorni e tre notti neU'enimma sovrano della morte, e vivo ritorno alia propria dimora, nessuno colse in lui quella funesta estraneita che rese terrifico col tempo il suo nome stesso"53. Funesta estraneita al consorzio umano e quella del reduce che non puo impedirsi di far sua la voce del morto. Chi e pas-sato attraverso la guerra, dice Rebora (con immagine simile a quella di Savinio, ma del tutto rovesciata nella sua connota- il Signore, a me ancora ignoto, mi avesse lasciato cadere vilmente in amore e in trincea, la dove, disceso in ospedale, ebbi la nozione-visione di essere Lazzaro (onde tradussi etc. [...]). Lazzaro ě la figura del pecca-tore, morto alla grazia, sepolto nelle conseguenze e schiavo nelle fasce del peccato" (Dai Diarispirituali (1929-1956), a cura di Giulia Raboni, in "L'ospite ingrato", IX, 2,2006, p. 131, cit. in Adele Dei, La parola esplosa di demente Rebora, in "Studi e problemi di eritica testuale", 91, 2017, p. 185). II passo pare confermare la tesi di Giancotti (in Un libro impos-sibile?, introduzíone alTedizione a sua cura di Clemente Rebora, Fram-menti di un libro sulla guerra, cit., p. 7), secondo il quale a scatenare il turbamento che spezza in due 1'esistenza di Rebora - prima degli orrori visti al fronte, ben prima del trauma nella trincea sul Podgora - sarebbe stata la relazione con la pianista russa Lydia Natus, che "aveva posto fine alla castitä serbata per ritrosia e per desiderio di intensificazione spirituále", facendo venire "a un punto di rottura" la "severa disciplina che 1'uomo si era dato fino a quel momento". 52 Adele Dei, Sulfilo della spadá, introduzíone all'edizione a sua cura, con la collaborazione di Paolo Maccari, di Clemente Rebora, Poesie, prose e traduzioni, cit., p. XXV. 53 Leonid Andreev, Lazzaro e altre novelle, traduzione di Clemente Rebora, Firenze, Vallecchi, 1919; ora, con uno scritto di Piero Gobettí, Firenze, Passigli, 1993, p. 19. 464 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA zione psicologica ed emotiva), partecipa delia condizione delia "vitamorte": al parí del paesaggio violentato, delia vegetazione deformata dalla guerra. Come aveva del resto profetizzato, príma ancora ehe la guerra scoppiasse, nelľaltro componimento ehe s'intitola appunto Prima: "Era un cespuglio di siepe, / Avi-do slancio fedele / Al vento, ehe ľingannava [...]/ Ma dove é speranza di fiore / S'accora la terra, / Donando alla luce il tor-mento / Di chi amore accettô; / La terra in un bulbo / Palese al cespuglio / Vitamorte stiHô"3". . 54 Pf™e«teRebora, Prima {datata "principio 1915») in "T a P" i Ligure", 1 luglio 1916; ora in Id Poesie DrrZ.ľ A • ™ra J.U., roesie, prose e traduzioni, cit., p. 166. U GUERRA-FOLLIA Prospectus di Dino Campana 465 Calze dí seta acidi veleni Iustrini fiammiferi chitarre, scatolette a combinazione. La Cherie il modello delle bambole, frondami romanzi Au Bubbon dAmetiste II Bazar Giolitti e C. rende noto che i commessi Nietsche La Cherie II genio solare La gioventú latina Sono partiti tutti per il fronte Au devant on vois nella polvere sperperata dei ďannunzio e Rimbaud aigre e maigre Stenterello violet qui se tord Watteau confit dans le bleu du jour, (Satanisme macrot, industria del cadavere) linea degli orienti e del progresso S. Francesco, delicatezze di sbirro, la luna non si stacca dal monte, Italia giolittiana frasaismo borghese, imperialismo in-tellettuale, rospi, serponi e il domatore, ascelle di maestrine in sudore zitelle mature coll'ombra distesa al passo domenicale, Louis XIV (l'ltalie e'est moi) Acetílene sulIAmo secolare rigo-vernature delle lettere industria del cadavere onesta borghese tecnica cerebrale, manuále del pellirossa Vo alla latrína e vomito (veritá)