CAMILLO SBARBARÜ CAMILLO SBARBARO Uopera in versi e in prosa Poesie ■ Trucioli • Fuochi fatui Cartoline in franchigia ■ Versioni a eura di Gina Lagorio e Vanni Scheiwiller Uopera in versi e in prosa Poesie • Trucioli • Fuochi fatui Cartoline in franchigia ■ Versioni a eura di Gina Lagorio e Vanni Scheiwiller SCHEIWILLER GARZANTI che vide Provenzano umiliarsí; e il polso della vita b col rampollare delTacqua nei marmi di fonte Gait Grazia del sole suITantica pietra! sul fermo volto fa secoli, incanto di quello che passa! NelTincontro spetra, ripreso nel gorgo del tempo, 1'aspetto di eterno-si sostanzia di questo 1'efflmero, come il gňdo silenzio. čerta erbolina che ha in bocca un sapore di agretto (n0 cercai mai di conoscerne il nome: la profanerebbe), tyj vano di una di quelle finestre lassü (quale?) mi rifugjjj una sera a guardar ŕuori; a vedere in strada non arnVavo-vedevo in faccia una casa in costruzione. Ero solo e imbruniva. Tra le impalcature brillö un momento una luce (un operaio forse che s'accendeva la pipa). Con del legno e un po' di fuoco si costruivano dunque le case. Punto fa emulazione, corsi in cucina in cerca di qualche fuscello e, persuaso di fabbricare anch'io una casa, sprecai qualche fiammifero. (Chi di li avesse pronosticato in me un costruttore...) Mi sembra ieri. Ero a benedizione nella chiesa dei cappuccini. Nell'alzarmi dalla panca, Benedetta mi ri-cordö che dovevo farmi il segno della croce; ma ormai avevo voltato le spalle all'altare e mi segnai rivolto all'uscita. Benedetta m'era dietro e non potei vedere ľocchiata tra confusa e disapprovatrice che ebbe, ma la indovinai nel sorriso indulgente della donna ancora inginocchiata cui era rivolta. Lessi in quel sorriso: E cosi piccolo! bisogna scusarlö... Cartolina da Nervi: ľanima vuota m'empie lo stormire / leggero delle foglie, / il respiro del mar profondo eguale. Nulla stringe il cuore come la contentezza dei miseri. v _ Sputerai sangue anche tu - era stato alParrivo il benvenuto degli anziani. Destati, si scivolava come per ^itie daUe cuccette sovrapposte, si usciva nel gelo della notte řriulana, rigata da razzi, pausata in lontananza dal tapúf} del cecchino. (Irraggiungibili a un passo le latrine _ la corvé dell'indomani - allagate da dissenteria; ma a ucjire «mucositá» il tenentino rimandava in riga per usurpazione di parola di sua spettanza.) Alla sveglia, sorprendevo il vicino che innařííava 1'orecchia di succo di cicuta; dell'ora di libera uscita, un altro (lo vedo: occhi acquosi, un naso ignobile) approfit-tava per recarsi a čerta buca: munito dove occorre di pesi, si precipitava nella speranza ďun'ernia strozzata; il caporalmaggiore, in convalescenza da recidiva di itteri-zia, si preparava alla visita di controllo cibandosi di pansecco e fumando sigarette oliate (un pizzico di salolo avrebbe cancellato la traccia della frode)... Tra tanti presi al laccio, un cardellino. Si chiamava Filipazzi; corto, nero; riformato, sbattuto per errore in fanteria. All'ora cbe si poteva pensare, incapace di sostenere il silenzio che si stabiliva, saltava in mezzo alla camerata; concentrandosi, lo sguardo a terra, cantava. A quel filo-ďaria-di-řuori che entrava con la canzonetta in voga, qualche těsta si alzava, qualcuno sorrideva. Uscendo da una corvé, da un turno di guardia, lo vedevo arrivare con 1'aria furbesca di chi proporrá un'infrazione alla disciplina; e, vinta con un lazzo la mia resistenza (nel rievocare le belle clienti di quando era 431 lavorante da Prandoni, aveva, a esempio, un suo modo di schioccare dalla golositá la lingua, irresistibile) si sgat-taiolava insieme attraverso i campi alla casa di contadini dove, a un tavolo imbandito di radicchio, si tornava per un'ora borghesi: scarto che bastava a alleggerire 1'btera giornata. E quante, per sua iniziativa, scappate nei dintorni che il mio pavido rispetto per i regolamenti non avrebbe mai osato.(C'ě stato, c'ě ancora dalle parti di Precotto un paesino a nome Soleschiano, raccolto in una radura intorno a una chiesa che nel ricordo ě una cattedrale? - tra taňte stradě polverose di carriaggi e ďuomini in marcia, inatteso come una tregua.) In previsione ďuna rivista alle armi, verificava la pulitura sempře deficiente del mio fucile; la mia tenuta all'ora delPuscita, perché non me ne privassero; se vi mancavo, rispondeva per me alTappello. Non mi lascia-va mai solo; m'insolentiva se franavo. E quando i tentativi di dissipare dal mio volto Pombra li vedeva fallire, spiandomi impotente, posava la mano sulla mia. AI gesto, a quel calore umano che mi empiva di rimorso e di invidia, non sapevo piú allora che lui almeno aveva uno spiraglio cui guardare, che prima o poi per lui un varco si sarebbe aperto nella gabbia. Ma quando quel giorno venne, non fu di gioia per il cardellino. Lo vedemmo in silenzio far su le sue robe; e giá porgeva in giro la mano, quando, come rawisandosi, ďun salto fu di nuovo in mezzo alla camerata: lasciarci senza averci dato ancora una volta quel che ci era piú necessario del rancio, non aveva potuto. Assicuratosi quindi ďavere su di sé le foto, che taňte volte ci aveva fatto passare, delle lavoranti sue colleghe (era innamorato di tutte), dando come stava le spalle, schizzó in aria col braccio un addio ch'era un imperioso arrivederci e, senza piú voltarsi, infiló come scappando 1'uscita. Una voce che non giungeva parlava laggiú di bombardě. puori, sulla campagna vicentina trionfava ľestate. Nei banchi i piú dormivano. Sgomitato dai vicini, quello che njssava s'alzava di soprassalto, a mezza voce s'informava jntorno affannoso che era, che si voleva da lui; ma la voce laggiú giá lo elogiava: - Bravo! riferisci allora tu sulle bombardě... - Ľaula s'apriva su un cortile che lo strepito delle cicale assordava; uno ogni tanto chiedeva la parola; ostentando in mano la penna degli appunti, awertiva: - Signor capitano, le cicale disturbano... - Si era alľallegro corso allievi ufficiali di Sandrigo, 1'anno... Dove sei, che ě di te, Tito Alessandrini? Sbattuto alla scuola ufficiali di fanteria, anche nei ranghi seguitava in piedi il suo sonno; prima delle dieci, 1'ora probabilmente che a casa s'alzava, neppure ai compagni dava udienza. All'esame, dei suggerimenti che ci soffiava alle spalle il sergente, si giovô per non imbroccare per distrazione una risposta. Inutilmente, perché la promozione era per tutti prevista. E giá era stato assegnato a un reggimento in linea in uno dei settori piú caldi, quando, a prelevarlo, arrivô dal Comando un ordine telegrafico: «11 soldato Alessandrini Tito passava a *** per iniziarvi un corso di addestramento nelľArma del Genio». Apprendemmo la notizia con vivo compiacimento per lo smacco che infliggeva al direttore della scuola; ma piú ancora per la simpatia che Alessandrini s'era conquistato col solo spettacolo della sua olimpicita. Prima di lasciarci, forse anche per scusarsi con noi della sua fortuna, ci diede un cornetto ďargento per scaramanzia. Le avevo viste in fureria e davanti allo sbarramento che segnava il prowisorio confine della patria, ora non potevo impedirmi di scorgervi come in filigrána il fante che con quelle pinze (e piú con ľesca ďuna licenza) 432 433 strisciando in terra lo aveva aggredito; eroel salutato qualchevolta, m'avevano detto, dal nemico impietosito-quando su quel groviglio di filo spinato venne a aleggiare una farfalla. Invidia di lei, di quell'essere infimo per la nostra presunzione. Andava veniva ignara di frontiere. Oh la fragile iridata creatura! come desiderai in quell'at-timo scambiarmi con lei, barattare il mio peso d'uomo con la sua libertä, questa vita d'anni con la sua di giorni. Mi rivedo in una radura, tra un cerchio di ufficiali chiamati a rapporto, sull'attenti davanti a un generale venuto, nell'imminenza d'un'azione, a ragguagliarsi sul morale della truppa. Come il tenente da piü tempo al battaglione, toccava a me riferire; ma neppure nella circostanza il mio aspetto doveva essere, temo, molto marziale. - Che significa quella smorfia? - s'imbizzl il generale - Stancbü stanchi di che? - Bersagliato intorno da sguardi apprensivi o riprovatori, allargai le braccia in un gesto che trovava la domanda per lo meno superflua. Fui prontamente fatto sparire. - Che t'e saltato? - si preoccuparono i compagni al mio rientrare in riga. Ma giä aveva preso il mio posto, rimediava alla stecca il nuovo comandante di battaglione. Lo udii dire: - ... ma s'anche fosse, dal giorno che presi io il battaglione in pugno... - Era da due giorni. Una voce, questa sl marziale, soffocava il filo della mia. (M'aspettavo mi chiamassero a dar spiegazioni o almeno mi punissero; non ne fu niente.) Di quella lezione impartita da esperti in omicidio, resta nella memoria la tecnica per ricuperare nel minor tempo l'arma e proceder indi spediti a altri ammazzamenti. Trapassato da parte a parte, il cecchino stramazzava puntuale ma Iasciava inerme il suo giustiziere. Semplicis-simo, owiare all'inconveniente: impugnato quel che del manico fuorusciva, l'istruttore piantava un piede nel ventre del caduto e, facendo leva col ginocchio disponi-bile, in men che non si dica estirpava l'arma. Venuti appositamente d'oltremare per ridestare in una truppa stanca spiriti sanguinari, parevano piuttosto, quei baldi, ginnasti che si esibissero in palestra: fulminei nel balzare dall'uno all'altro dei fantocci in divisa e nel gioco persino eleganti non fosse stato l'urlo belluino che cacciavano nel conficcare il coltellaccio. Inquadrati a assistere alla pratica dimostrazione, i nostri erano stati awertiti di non dar segno di combatte-re diversamente; awertimento superfluo a calpesta-fan-go, consapevoli da tre anni che la guerra era per essi altra cosa. Uscivo dalla trincea, tornavo alla luce, ai paesi innocenti bombardati, alle abetaie arrossate qua e lä dalla mitra-glia. Era un mattino tepido e coperto e camminavo accompagnato ma solo traverso opere di guerra, quando udii un suono di campane, fievole. E ecco, per non so quäle dimenticanza, di qua e di lä cominciarono a chiamarsi i paesi invisibili. Scampanlo domenicale quäle l'altipiano udiva ieri udirä domani. Era la vita impassibi-le che cancellava la guerra come l'erba la fossa recente. Prolungavo ad arte l'illusione. Sorridevano nel viso nascosto malinconicamente gü occhi miopi, perduti dietro le macchie della vegetazione. Si batteva i denti, di notte, sull'altipiano. Era una gara a chi resistesse di piü al freddo che teneva quegli uomini allo scoperto, buttati in terra di qua dei reticolati? ingombri d'armi e inermi contro la civetta che veniva a schernirli (l'ordine delle retrovie era di mandar fuori la pattuglia, ma il Comando in linea paventava le «grane»), aspettavano immobili per ore il barlume che Ii liberasse 434 435 fino a qui dell'alba. L'ufficiale sembrava non vedere i soldáti soldáti evitavano di guardar 1'ufBciale - ďistinto non accrescerne il disagio. Caffě Pedrocchi. Assaporando ťiride creata da un cri stallo. Vi insinuo la mano che si tatua delicatamente Immagino una pelle cosi in luogo della nostra, pallida L'uomo lá in fondo che legge il giornale, attraversato da una zona ďarcobaleno. L'abetaia ě piena di prodigi. Gli altissimi ceri che mi si serrano intorno, sprizzano al sorger del sole iridi sfavil-lanti: sono le lagrime di resina di fresco sgorgate limpide come acqua. I tronchi buttano fumo e par fiato di viventi. Dopo 1'acquazzone, grondando che giá lo stellato le occhieggia sopra, simula l'abetaia una pioggia a ciel sereno. Altri alberi ingialliscono da un solo lato e nei giorni coperti Tocchio si illude che il sole li tocchi. La stapelia ha schiuso il palloncino cinese del boccio, appiattato tra i gambi carnosi; e ora spalanca raso terra il grande fiore di cuoio scamosciato che, awicinato, pute. Cera una volta in piazza Soziglia un vetusto caffě dove, tra specchi nebbiosi dorature spente e divani di velluto polverosi, amavo qualchevolta indugiarmi a respirare aria di passato: un passato remoto, risorgimentale. II cameriere, in carattere col locale, serviva caffě-tisana e rosoli agli ultimi frequentatori: dei soprawissuti, specie di mummie con inverosimili faux cols, che restavano li ore a guardarsi in faccia. Per intonarmi alTambiente ordinavo uno siroppo di rose che non bevevo. Una notte, ricordo, - era giá quasi l'ora di chiusura - a rbare il silenzio che vi regnava, irruppe nel caffě uno, andare a bisbigliare qualcosa all'orecchio del cameriere - c^e uscl 1111 *stante dal suo sonno, mentre un movimento di curiositá passava tra i clienti. Certo, mi dissi, la notizia che Carlo Alberto ě partito per Oporto. La palma laggiú, mossa dalla brezza, ě, al prkno sole, un crepitar di faville. All'imbrunire ammiccano a mezz'aria per 1'abitato minuzzoli di stagnola verdolina, lucciole che si kiurbano. Se quel che leggi di tuo ti appaga, segno che sei vuoto; spera se ti delude. Deploriamo 1'incoscienza; e senza questo sughero quanti si terrebbero a galia? Trafigge il chiasso di acuti; gratuiti: tra tanta gente vuol solo, lui piccolo, esser notáto. Promette. Di ogni grande impresa non ě il prkno lievito la furente volontá di distinguersi? Ci sono fatti nella mia vita che non so piú se siano stati perché li ho resi in parole e quindi, come realtá, bruciati. Quando una pagina mi accontenta, cessa di appartener-mi - staccata al punto che posso senza rossore lodarla. Al balzo che dalla soglia dove siede in permanenza la Parca fa sulla bambina che passa, m'aspetto il fattaccio; mi rassicura la passivitá con cui la supposta vittima si presta all'improwiso sequestro. E invece a un gesto di pieta, impulsivo, che assisto. Sa la vecchia che vita attende una creatura nata cosi e, fidando in oscure forze, ora tenta a rischio dell'anima di correggere il destino. Spaventata lei stessa di quel che fa, stringe a sé la piccola 436 All mentecatta, in un subisso di carezze le passa sul pov viso stravolto, sulla bocca sguaiata la ventosa della sut quasi la succia; buttando parole incomprensibili (e 1, gente si scosta), scongiuri certo contro il malocchio esorcismi forse sacrileghi; senza pigliar fiato, affannosa' ché il miracolo ha da eompiersi subito o piú. Finché eorí sollievo ďognuno, la lascia e, ricaduta sconfitta sulla soglia, di la segue degli occhi scerpellini l'innocente che dimentica gia della forzata sosta, riprende a camminare lo sguardo vuoto vagante. La forza delTaforisma ě nella sua perentorieta, come quella dello sgherro nel ceffo. Forza-sopruso. Ho letto anch'io dei romanzi gialli e in trincea Fantomas mi fu di grande soccorso. Ma appena il mistero accenna a chiarirsi, chiudo il libro: a fine pranzo non vado a mettere il naso in cucina. Marzo. Sul muro di cinta il tralcio del glicine s'incipria di azzurro. II fico ě nelTorto un candelabro bianco che butta per sgranchirsi i bracci a Capriccio e lingueggia qua e la di fiamme verdoline. Dal greto, vivo di nuovi ruscelli, giorno e notte squilla il rospo il tremulo assolo. Se la cecitä di cui beneficiamo per assuefazione dalla nascita cadesse come una benda, ci lusingherebbe forse meno il nostro aspetto che troviamo cosi bello da attribuirlo an che a Dio. Chi abbraccia tutti, crede ma non abbraccia nessuno. La vita ě in bianco e in nero; senza il nero, neppure il bianco. Ragazzo, raggranellavo i soldi e da Varazze andavo a piedi a Savona per acquistare magari «La signora Auta-ri» In ginnasio, della mia sete di letture contagiai i compagiu; leggevamo quel ehe capitava, libri innocenti e Ljjoibiti alla rinfusa. Allarmato dall'estendersi della epidémia, il clero locale intervenne: il parroco bandi dal pjjjpito la crociata, il eurato improwisatosi braccio «ecolare entrô nelle case a sequestrar libri. Alla voce del pastore, il paese si sollevô; io fui additato come la pecora nera; le famiglie ci diedero la caccia, ci frugarono addosso, scovarono libri ŕin sotto i materassi. Aizzati dalla persecuzione, eseogitammo per il corpo del reato i nascondigli piú imprevedibili. II giovedi, giorno di va-canza, io lo passavo in un orto; rimovendo da una muriccia di fascia čerta pietra, ritiravo, invaso da formi-che, «Resurrezione» (ehe lessi sino in fondo con una costanza di cui sarei oggi incapace). La cosa arrivô al punto ehe il vescovo se ne interessô; disapprovata dalľalto, la persecuzione ebbe termine e con essa, nei miei compagni, la scarlattina. Una spia di quanto ľetä ci muta, della prowisorietä delle nostre sensazioni (e opinioni): non é molti anni, ľodore della ruta mi offendeva come quello della cimice dei campi; oggi ne stropiccio le ŕoglie tra le dita. Nelle mie camminate di ragazzo, quando arrivavo in una cittä scendevo dal marciapiede perché il rumore dei passi non richiamasse ľattenzione. Mi dicono (e quasi ricordo) ehe da piccino alla vecehiet-ta, vicina di casa, cui Benedetta mi affidava uscendo, minacciavo senza motivo le peggiori torture ehe la mia mente bambina poteva eseogitare. Giä grandicello, se-questrai e legai per una zampa un gattino; alle vergate ehe con erescente furore gli assestavo (mi vedo: gli occhi fuor del capo), pazzo di spavento il gattino guaiva. stiracchiava, tentava balzi; la pelliccia sprizzava scintülc Non smisi che quando quell'aria chiusa ru carica ji elettricitä e mi sentii le mani tiepide di sangue. In germc c'era allora anche in me ľanima d'un carnefice? L'episo' dio ero solo ŕinora a conoscerlo; vergognandomi me ne confesso - e non per alleggerirmi del rimorso. Capita che quello che scrivo mi prenda la mano, acquisti mio malgrado un'andatura cantante. La parola s'insedia da sé nello schema d'un verso; impossibile sloggiarla spezzare quel ritmo gratuito. E il campanello d'allarme: non c'e che alzarsi e uscire. Ragazzine e ragazzini, dopo aver occhieggiato da fuori, invadono il caffě, vengono al mio tavolo. L'insegnante ha letto loro la poesia a mio padre. La fama, nel suo aspetto piü amabile. Attaccata alla vettura che mi porta a Solaia, riconosco Graziella, la mula un tempo proprieta della villa. In vista della villa scendo, per risparmiare alia povera bestia di rifare il noto viale, attaccata a una vettura di piazza. Arrivava in ufficio bianco di sonno e si lasciava andare come uno straccio davanti alia macchina. In quel sonno gli capitö di scrivere: «Vi spediremo quanto prima le caviglie del piede». (La «caviglia» ě un pezzo d'arma-mento per rotaie). Lo tenevo ďocchio e quando franava lo imboccavo sollecito d'una popolare (ne avevo per questo sempre qualcuna in tasca): solo il fumo gli dava una momentanea riviviscenza. Saputo che diceva in giro: «in ufficio, scriviamo insieme i trudoli», a compensarlo di quella almeno ambita collaborazione, mi sentii in debito di cingere anche lui dell'«amato alloro». Su una che a quel tempo lo rappresentava, usci, da me f^jjeggiata, una poesia col suo nome. Modesto, non se jnorgogli; e, non meno saggio, non si lasciö dalla -organa distrarre da piú concrete occupazioni. Non mi rjsulta infatti che nel Parnaso abbia in seguito mosso jjtri passi, per cui il suo nome resta affidato a quell'unica priniizia- Si chiamava Angelo Ravä. Sc il tuo dôvere ě in una il tuo piacere, quale altra felicitä ccrchi su questa terra? Raffaello Franchi quando mi conobbe ebbe a dire che mi prevedeva piú amaro. Amaro? nella radiče, se mai: la radice contorta che permette alľalbero di essere all'aria un mazzo di fiori. Prodigalitä, risorsa del pověro: il modo che ha di non scntirsi povero. Quando, come si dice, mi pungeva ľestro, mi davo a imbrattare fogli su fogli, come per fermare qualcosa che Stesse per sŕuggirmi; la mia scrittura, lodata per la chiarezza, diventava nell'impazienza cosi sommaria che appena scritto stentavo a leggerla. Ma una volta fatto correre la penna, avrei potuto stracciare; non appunti: la mia, era stata la corsa sul trampolino di chi si tuffa. Sapevo che le parole, le ŕrasi vive sarebbero tornate da sé negli abbozzi successivi; il resto, inutile rimpiangerlo perché, se era caduto, non era necessario. Garanzia ai miei occhi di questa necessitä, il ritrovare tal quale in un vecchio abbozzo la frase ora fresca ďinchiostro. Ragazzo, finiti gli esami, cacciavo la testa sotto il rubinet-to nella insensata speranza di cancellare sin la traccia di ciö che avevo studiato. Ma studiare, specie a quelľetä, 440 441 incide si vede il cervello di solchi come un disco N0n molti anni, dormivo ancora sotto l'incubo d'un esam°^ dare e mi capitava di svegliarmi con sulle labbra 1 parole: «Tiro da A una retta a...». La lavagna era quell orizzontale, del liceo e ü problema che dimostravo' quello della perpendicolare a due sghembe. La prevenzione per ciö che leggi ne ostacola einteiligen za come chiude la gola quella per un cibo. Solleva un quintale e lo sgomenta il piü lieve dei pesi-costretto a far la sua firma, piove sulla fatica. Chi non fa subito fa moke volte: quante, fin che non fa ricorda di dover fare. Non vedo felicitä di cui, perche sia, non tocchi conten-tarsi. Quando m'accade di metter gli occhi su quello che ho scritto, la delusione ognivolta di non aver detto ciö che unicamente m'importava. Che cosa, se da dire non ho nulla? O forse ciö che importava l'ho detto arrivando con Faffanno in gola della corsa? o giä tutto col pnmo vagito? Anche della mia lingua ho una conoscenza approssimati-va. Tante parole le evito, malsicuro del loro significato; e se non le cerco nei dizionari, non e solo che dei dizionari diffido, ma che una parola non assimilata in tanti anni, non divenuta carne e sangue, mi saprebbe sempre di accatto. Se ringraziare il sole e giä pregare, anch'io prego - da miope; senza chiedere. Ln che in gioventü mi sm arrii in un labirinto e invano BJLi cercai un'useita. Documentato. Un'ayventura e PL'r a? n. i;^tP A\ mi a sun temoo non m'accorsi, si „. anni LCLL»x ^ ——--- t Adelle piü Hete di cui a suo tempo non m accorsi, si :he! alio. Come e fiera la piccolina delle sue nascenti albicoccl non altrettanto Tarmigero, del bastone di marescia fj avevo ritrovata in sogno e ti premevo con le parole e le braccia. Una riga diritta tra le ciglia ti ritirava il sangue M viso e tenevi gli occhi fissi come risucchiata in te. pure, al mio affanno, dal lavoro di maglia li alzavi sfbrzandoli a un sorriso. Disperato io ti baciavo, tu mi contraccambiavi con un balbettio senza suono dei lab-bri. Accogliesti quella eomparsa come uno scampo; e con un piccolo riso. «Che cose!» dicesti «Un flgliolone cosi, uscito da me poverina!» Giocavi a non raccapez-zarti: volevi persuadermi che 1'uccellino del tuo cuore s'era gia involato alia stretta. Io ti guardavo adorando. Sfuggiti alia forcine, dei capelli ti ricadevano sulla fronte, la nuca - che tu non curavi. Avevi il tuo golfino di lana grigio e al collo un po' di colore. Lo salvo dalla striglia lo sdegno che m'ispirava: impedito di prender la mira, avrei mancato il bersaglio. Non awerto nessuna parentela con chi in treno, invece d'aver l'occhio al paesaggio, non importa se visto le mille volte, lo tiene su un libro, sia pure la Commedia. Da giovane fui tentato di mettere qualcosa in serbo per il tempo che non avrei piu potuto esprimermi; ma di arrivarci non credevo e mettere in serbo alcunche non era nelle mie possibilita. Anche in questo prowide per 442 443 me il caso e dispensandomi dal rossore d'una scoperti menzogna. Quante lettere scritte e non spedite; trattenute non p^ convenienza o per generosita; ma perché, una volta smaltito il risentimento e ricuperato il possesso di ^ spedirle si scopre superfluo. H eritico che liquidö il mio primo «Trucioli» con una immagine: «la vecehietta che a chiesa vuota seguita a borbottar preghiere, senza accorgersi che la funzione (= il frammentismo) ě finita» pubblicö in seguito, mi dico-no, un eccellente vocabolario. Fatti di assestamento. Eccolo che passa l'abietto individuo, carico di delitti impimibili. Farcito: un budello che cammina con sotto-braccio la gonfia borsa di legale; un ovo sodo che si sposta mandando avanti lo sguardo basso. Non ho mai udito la sua voce, non ascolto ciö che di lui dicono: basta vederlo passare. Potessero, gli incensi umani, distrarre per un momento almeno dalla conoscenza di sé. Nessima lode nessun onore, se lo merita, gli toglierä di restare ai propri occhi il pover'uomo che ě. Awicinata, giä trapela ďun riso tra lusingato e incredu-lo: che questi si metta in spese per lei, giostri per cosi poco? un uomo! Chi ti loda si incensa. Matematica: un mondo che ľuomo s'e fabbricato per pifare almeno li certezza: la sua terraferma, non jjuporta se anch'essa illusoria. gimandare, di poco che sia, ě giocare d'azzardo. 5olo ciö che non si paga costa. Cede anche lui, il cipresso, alia frivolezza di metter fiori, ma chi Ľ vede? Come una sconvenienza, li dissimula nell'asciutto aspetto di asceta. Immutato nel mutar delle stagioni, illeso dal tempo, s'erge, incrollabilmente ritto, sulla minutaglia che folleggia intorno; dall'alto della statura le rimprovera il breve tripudio; e quando il soprawenir dell'inverno awera il previsto rěpulisti, su-perstite sulla terra desolata, predica con ľimpassibile contegno la caducitä la vanitä di tutto — il quaresimalista. Ah ipocrita! Par si, a distanza, fuso in bronzo; ma accostato, scrutato dentro... ratti, vespe, scorpioni, ra-gnatele, detriti... Che cosa non nasconde nell'abbottona-tissimo abito di prete, il moralista dalla coscienza sporca. Adesso la stapelia ha alzato come braccini, puntato al cielo, i baccelli rigonfi del frutto - che si scuciono di costa, liberando la bambagia dei semi. Da animale si diventa tanto prima uomo quante piu sconfitte si toccano. Bontä, altruismo, saggezza: rese a discrezione.