le nottí chiare ľkano TUTTh un,. ■ ISENNODIPOÍ 699 La guerra senza poesia . Quello della guerra concepita come scontro cavalleresco tra pari, che tanti giovani spinse in strada a festeggtare I'm gresso nel conflitto, neli'agosto del 1914 e nel maggio del 19|5 - a festeggiare que!la che, per mold di loro, era la loro morce ormai prossima -, era un 'mito' che giä agli albori della modernita, nel Cinquecento, si era potuto constatare tale; con la celebre invettiva contro fabomtnoso ordigno" deil'archibu-gio, nel IX e nell'XI canto átW Orlando Furioso (ottave 90-91 e 26-27), giä Ludovico Ariosto antivedeva come la tecnologia militare Giorgio Rochat, La grande guerra 1914-1918, Scandicci, La Nuova Italia, 2000 (riproposto dal Mulino nel 2008 e nel 2014). Alia mia reazione scomposta ('15-'18 ma quale mito, in "Alias. Supple men to del 'manifesto'", 17 giuguo 2000) si puó senz'altro preferireila ben piu argomentata disamina di Giovanna Proeacci. Un libro di proset e di poesia. A proposito della riedizione di La grande guerra 1914-1518 di Mario Isnenghi e Giorgio Rochat, in "Storia contemporaries^ 280, 2016, pp. 227-46 (hiip://ojs.francoangeli.it/_ojs/index.php/icoa/arti-cie/view/2971/75), che vale anche come ampío aggiornamento:Bib!i6-.. graflco sul dibattito storiograhco in corso. La come sempře briliante risposta a viso aperto di Isnenghi, L'anniversario della Grande guerra in Italia. Spunti e contrappunti a meta del guado (ivi, pp. 216-26, hiip://, ojs.francoangeli.it/_ojs/index.php/icoa/article/view/2970/74! precede per la versta la cricica cui si riferisce ('"Dovevi occuparti di Caporetto per tutta la vita', intuisco che mi vogliono far capire alcuni. 'Aveýš cominciato cosi bene'. 'Cos'e questa storia di Vittorio Veneto e che I'ltaiia ha vinto? Certe cose non si dicono'"), e ricorda come la.prima edizione del libro in questione "fu oggetto di rampogne deluse.Uh sedi e in particolare da parle di un recensore imprevedibile" quatilo innominato (p. 220), Un'ampia riflessione sulle interpretazioni (e;le ap- ; propriazioni ideologiche) ě quella recente di Quinto Antoneili, Cento , anni di Grande Guerra. Cerimonie, monumenty memorie e cóntrotné-morie, Roma, Donzelii, 2018. Per una sintesi rapida ma equilibrata del dibattito jnche internazionale si veda Alberto Mario Banti, La Grande Guerra, in Id., Le questioni dell'eta contemporanea, Roma-Bari,.'Later- dei combattimento a distanza - quelía oggi perfezionata sind ailefficienza psicotica dei droni telecomandati da operátori Iche si trovano a decine di migliaia di chilometri dal teatro di guerra3'' - avrebbe spazzato via ogni ipotesi di epica cavallere-sca ("per te la militar glória é distrutta, / per te il mestier de ľarme é senza onore"). Baštarono i primi giorni di trincea, in ogni caso, a fare a pezzi ii niko' eroico anche nel pi ú candido ed entusiasta dei giovani guerrafondai. La guerra 'reale', una vo.Ua di piü, mo- i strava la sua atroce irónia: la verila mostruosa di quella che /Jünger chiamerä la "batíaglia dei maieriali"'*, combattuta da macehine micidiali delle quali i soldati erano mere appendi-ci dí servizio, tra loro perfettamente fungibili e, dunque, dei tutto dispensabili e sacrifieabili. Le statistichc ci dicono che, [ .delle vittime militari dei conflitto, circa il settanta per cento mori in conseguenza a colpi ďartiglieria, mentre meno delí u-no per cento cadde ucciso nel corpo a corpo'7. Diego Leoni •f ha riportato le parole di un u f fičia le dello Stato Maggiore che nel 1916 esplicitamente, a fronte degli aspetti 'impossibilľ (e, ■. per chi lo leggeva, inimmaginabili) delia "guerra verticale", '■; esprimeva proprio questo disorientamento: 55 Nuirita ía bibliografia al ritardo. Spiccano per elaborazione fi-íosofica Grégoire Chamayou, Teória dei drone. Principi filosofici dei diritto di uccidere [2013], traduzione di Marceilo Tari, Roma, Deri-veApprodi, 2014; e, per raggelante magistero d i serittura, William Langewiesche, Esecuzioni a distanza [2010], traduzione di Matteo Co-dignola, Miláno, Adelphi, 2011. Si veda anche la densa riflessione di Enrico Donaggio, Che male c'é: indifferenza e atrocitä tra Auschwitz e i nostri giorni, Napoii, ľancora dei mediterraneo, 2005. 56 Ernst Jünger, Neue tempeste ďacciaio [1920], traduzione di Giorgio Zampaglione, introduzíone di Giorgio Zampa, Parma, Guanda, 1990, p. 73. 57 Cfr. Emilio Gentile, Due colpi dipistola, dieci milioni di morti, la fine di un mondo, cit., p. 62. i UM;. ■ :; ■':; ' .."v-.'^ .:..■■■' ':;-.-;' p ■'' 700 LE NOTTICHIARE HRANO TUTTE t/N'Aí,ju E che genere di guerra poí si ě ciovuía sostenere per váti® i q annol Ah non piú Sa visione aperta, radiosa della guerra napo leonica e garibaldina. Con la grande linea di: báttagiia, che si distende a viso aperto sul campo, coi tamburi che battono la carica, le trombe che chiarnano aiťassalto, Je bandíére snižte al venío, gli squadroni galoppanri che si sferrano come m* tempesta, i battaglioni in dense colonne lanciate a baionette incrociate! Ah si, cosi la sognavamo noí la nestra guerra finále liberatriceí [...] Ma invece no, noi abbiamo trovato ia mon-tagna bieca, arcigna, inřlessibile, abbiamo trovato il nemico, appiattato nelle rocce irte di reticolati e di mitragliatrici, che non affrontava, non subiva i grandi urti; abbiamo trovato ia guerra senza poesta, senza bellezza, senza luce; ia guerra oscu-ra, monotona, triste.58 rtsľnnodipoi /Ol Ancora prima che scoppiasse, quella guerra "senza;pqepsf senza bellezza, senza luce", qualeuno aveva giä capito che non sarebbe stata in alcun modo comparabile a quelle precedenci. Fra il 1912 e il 1913, mentro vagabondava fra Ital ta e Germania al seguito dellamante tedesca Frieda von Bichíofen (Iphtana parente del futuro 'Barone Rosso'), un bel giorno David H. Lawrence, non da aNora convinto pacifista, si trovó ad assistere in Baviera alle esercitazioni dellartiglieria pesante del Kaiser. E un vero e proprio choc culturale queíío che lo serittore ripor-ta in un articolo uscíto allo scoppio della guerra, néllagosto del 1914: "ho potuto vedere corne sarebbe stata la guerra -una faccenda di sole maechine, a cui gli uomini stanno attaccati corne se ne costituissero delle parti secondarie". Sicché "la nöstfä: carne e il nostro sangue, lanima e 1'inteiligenza erano perduti, e tutto ciö che rimaneva di noi era la dedizione fredda e metal- 58 Rodolfo Corselli, Come vive ťesercito italiano alla fronte, in "Ri-vista militare italiana", LXI, 1916,9, pp. 1061-2, cit. in Diego Leoni, La guerra verticale, cit., p. 126; si veda il commento di Mattet) Giancotti, Paesaggi del trauma, cit., p. 51. lllllll; ■ if: %[ Ulfe I-.:! -iíicä a una macchina di ferro"59. Ma il suo grido ďallarme restö in'ascoltato. " Un dettaglio eloquente del cambíamento di mentalita im-!;posto dalle nuove condizioni delia guerra tecnologica ě rife-Irito dal classico studio'di Barbara Tuchman, e commentate >da Stephen Kern. Nelle guerre aperte e radiose delľOttocen-to (quelle con tanto slancio rimpiante dal tenente colonnello Corselli) gli eserciti ostentavano divise dai colori sgargianti: "i sensazionaíi azzurri e rossi e bianchi si supponeva mettessero in luce ľabbondanza, la lucentezza e la disciplina delľesercito I che avanzava, e intimidissero il nemico"60. Ma le nuove armi automatiche e di precisione rendevano quelle uniform! il piu facile dei bersagli. Mettendo a frutto ľesperienza della secon-f da guerra coi Boeri (1899-1902) - che per molti versi rappre-senta la piu nitida anticipazíone della Grande Guerra - gli in-. glesi erano giä passati alia divisa cachi, ma nell estate del 1914 % i soldáti francesi indossavano ancora íl cfaepi e i pantaloni rossi : dei tempi del Sccondo Impero. 11 generale Adolphe Messimy V; propose di cam bi a re le uniform! ma il Ministro delia Guerra, :. Eugene Etienne, si rihello al grido: "Mai! Le pan talon rouge ■ cest la France!"61. Dopo i primi massacri delľagosto e del set-' tembre 1914, pero, s'impose una revisione di tale orgogliosa identita, e i francesi passarono alľavanguardia nelľintrodurfe 59 David H. Lawrence, Con i mortal [1914], in Id., Inghilterra, mia Inghilterra, a eura di Franceses Cosi e Alessandra Repossi, Fi den za, Mattioii 1885, 2014, pp. 69-70. Si veda, sul terna, ľacuta riflessíone di Pierandrea Amato, 11 naufragio delľesperienza. La filosofia e la guerra dei materially in La filosofia e la Grande Guerra, atti a sua eura del con-vegno di Messina, 26-27 novembre 2014, Miiano-Udine, Mimesis, 2015, pp. 79-98. 60 Stephen Kern, II tempo e lo spazio. La pereezione del mondo tra Otto e Novecento [19831, traduzione di Barnaba Maj, Bologna, il Mulino, 1988, p. 384. 61 Barbara W. Tuchman, Jcannonid'agosto [1962], traduzione di Ugo Tolomei, introduzione di Robert K. Massie, Milano, Bompiani, 1998, p. 53. 702 LE Nora CKIARE E RA NO TUT t f tjv | j jg sempře piů sofisticati sistemi di mimetizzazione. Ufa miliüuJ* acldetto alls comunicazione in un unita ďartíglieria. de Scévcila, aveva avuro 1'idea dí nascondere i cannoní eon i na rete chiažzata di colori terrosi, ed ebbe modo di esporia aí Ma-resciaíiojoffre e al Presidente Poiacaré: sícchc vcňoie creata la príma section de camouflage dellesercito francese. A cose fatte Scévola dichíaro che 1'idea gíi era venuta dai qiíadri cubistj visti prima della guerra, e che questa tradizione g!i permise di trovare con faeiiitä pittori disposti ad "alterare la natura di ogni specie di forma, quale che fosse**2 (diversi artisti, in <=£. fetti, vennero iropiegati con queste mansion i da entrambeie parti: all'inizio del 1916, per escmpio, Franz Marc - che m quella battaglia troverä la morte - lavoró alia mimetizzazione dei cannoni tedeschi che verranno impiegati a Verdun).. Ricor-da Gertrude Stein che quando Pablo Picasso vide passare sul Boulevard Raspail il primo autocarro mimetizzato esclamö: "ma si, siamo stati noi a inventarlo. Quello ě cubismo"6'.. La volontä, 1'intelligenza, l'identitä stessa dell'individuo fu-rono le prime vittime della guerra: le piú difficili da accettare, in erfetti, per i tanti che - allora e in seguito - quel conflkto, írť; forma appunto individuale, si trovarono a raccontare. Proprio | Leger, "il pittore che sagomava i soldáti come automi dai corpi tubolari", scriveva in una lettera 1'8 novembre 1914: "si ě giuntí a questo: esseri umani che agiscono neH'incoscicnza iacendo agire de lie macchine, Siamo quasi all'astrazione. Spero che la prossima guerra troverä modo di evitare anche quel poco di azione che ancora rimane all'individuo"64. a Cit, in Stephen Kern, 11 tempo e lo spazio, cit., p. 385. 61 Gertrude Stein, Picasso [1938], traduzione di Vivianne Di Maio, Milano, Adelphi, 1973, p. 21. Cfr. Paolo Fabbri, Semiotica e camouflages: in Falso e falsi. Prospět live teoriebe e propaste di analisi, a eura di Luisa Scalabroni, Pisa, ETS, 2011, pp. 11-25 (hiip://www.paoIofabbri.it/sággi/;. semiodca_camoufIage.html). 64 Cit. in Emilio Gentile, L'apocalisse della modernita, cit., p. 255. ijLSENNODIPOI 703 f Ě una considerazione che ripetono in tanti: quella di una guerra che "sembra sempře piu fine a se stessa, perdendo le ca-ratteristiche di progetto umano per profilarsi come un'orribile f ■ macchina di morte che si autogiustifica e st autoalimenta''' Prima ancora che la guerra inizi per ľltalia, a dirlo ě il Luigi Pirandello che sta scrivendo Si giro, (il romanzo sul cinema p come meccanizzazione delľumano, che con questo titolo sta 1: uscendo a puntate sulla "Nuova Antológia" e verrä pubblicato, poi, come Quaderni di Serafino Gubbio operátore), il quale in fl un'intervista dellaprile del 1915 parla del "pasto delle mac-chine impazzite": "guerra di macchine, guerra d i mercato. [...] 5 Ma non basta fabbricarle, le macchine: perché agiscano e si I muovano debbono per forza ingoiarsi la nostra anima, divorar-si la nostra vita. Ed ecco, non piu soltanto idealmente, ma ora I anche materialmente se la divorano. Sette uomini - dicono - al I minuto: per il trionfo dei prodotti industrial! d'una nazione di-I ventata, non pur nei cantieri, anche negli anirni e negli ordini, I metallica, un immense macchinario"66. 65 Fuivio Senardi, Scrittori in trincea. Per ricordare la Grande Guerra, introduzione al volume a sua cura, Scrittori in trincea. La letteratura e la Grande Guerra, Roma, Carocci, 2008, p. 42. 66 Cit. ivi, p. 45n. Si tratta della risposta a un questionario sul si-gnificato della guerra proposto dalla rivista "Noi e il mondo", uscito il 1 aprile 1915 (risposero anche, fra gli altri, Luigi Capuana, Salvátore Di Giacomo, Giacomo Puccini, Matilde Serao e Trilussa): cfr. Interviste a Pirandello. "Parole da dire, uomo, agli altri uomini", a cura di Ivan Pupo, prefazione di Nino Borsellino, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, p. 113. La visione della guerra ě moko vicina qui (cosi come nell'altra in-tervista, di Alberto de Angelís, uscita su "La Tribuna"' il 15 marzo i 916; ivi, pp. 116-9) a quella della mera "scienza strategica" che "mangia vite, strazia carni" nella novella Frammento dicronaca di Marco Leccio e della sua guerra sulla carta nel tempo della grande guerra europea, che esce a puntate sul quotidiano "II Messaggero" fra ľagosto e il settembre di quello stesso 1915 (ora in Novelle per un anno, edizione diretta da Giovanni Macchia, a cura di Mario Costanzo, vol. Ill, Milano, Mondadori, 1990, pp. 1161-207). Nella piu nota Bereccbe e la guerra, del 1919, torna 704 La scrittum del disastro1 le notti chi are eranotutíé " ^SEHNODXPOi 705 L'individuo nella guerra moderna e spersonalizzätö anatyt to perche quella guerra non la vede. E quella che si;potrebbe; chiamare 'sindrome di Fabrizio Del Dongo': una volta 31 ricordando 1 episodic nei terzo capitolo della Certosa di Parma, in cui Ügiovane awenturiero di Stendhal - al quale su'üü-piät-T to d'argento si öftre l'occasione di partedpare rib Scot.a nd punto e al momenta esatto in cui essa si produce. « Tatedoo net 1815, e che su di essa si getta con spirito non diversbctnl effetd, da queiio dei ragazzi dclla "comunita d'agostd" "e 'del; "maggio radioso" di un secob dope tuffato ncl bei rnezzd;.. della Battaglia per antonomasia, noa desce a percepi re ditto*' che un gran frastuono, un immenso polverone, un andindlehij insensate di uomini e cavalii; confuso, si rivolge a "un sergend te d'ailoggio con aspetto bonario", e gii chiede: "ma questaeft proprio una vera battaglia?"67. Passato un secolo, l'evoluztone delle discipline tattiche (che comportano una confusidne' dei: piani e una sovrapposizione delle iinee) e dei paraphernalia tec-. invece ia "guerra di mercato" la quale viene perö impuiata alia sola Ger-, mania che "ha voluto aggredire per imporre a tutti ia sua mercer (ffl!:ii> p. 598). Cfr. Piero Milone. "Un'altra vita"? Pirandello, la guerra e I'arteii in Pirandello e la politics, atti del convegno di Agrigento, 7-10 dicembred 1991, a cura di Enzo Lauretta, Milano, Mursia, 1992, pp. 109-60;■Gio-? vanni de Leva, Pirandello e la guerra sulla carta [20141, in Id., ha güeifäA sulla carta. 11 racconto del prima conflilto mondiale, Roma, Carbeci, :20I7,;; pp. 93-102; Simona Costa, La guerra sulla carta diSvevo e P> ran ditto, in Guerra e pace nel Novecento e oltre, atti del convegno di San Salvato-re Monferrato, 25-26 settembre 2015, a cura di Giovanna loli, Novafa,: Interlines, 2016, pp. 55-70; Cristina Savettieri, Performing the Identity, of the Nation in Pirandello's War Short Stories, in "Pirandello Studies", 2016,36, pp. 8-22. 67 Stendhal, La Certosa di Parma [1839], traduzione di Gianni Ceolat:, Milano, Feltrinelii, 1993, p. 91. Cfr. Antonio Scurati, Guerra. iVar- ] razioni e culture nella traäilione occidentale, Roma, Donzeili, 2003, pp. 190-209. ■P lllllP 111 11111 ill Šjäplogíci (fumogeni, gas, camouflages e altri dispositivi concepi--ti per occultare e rnimetizzare tanto le forze militari quanto íl "campo d i battaglia) ha reso la guerra ancora piu inintelligibile, Icäotica, tendenziaimente invisibile. Scrive il poeta mutilato di Iguerra Blaise Cendrars: "di tutte le scene di battaglia cui ho iassistito rn'e rimasta soltanto l'immagine dun gran casino [.,.], fid sul posto e nel íuoco delľazione non ci se ne rende conto. Manca la prospettiva per poter giudicare e non si ha il tempo di farsi undpinione"68. d; Questo oseuramenio ě prodotto daü'uomo, daila sna vio-dlenza; dagli infernal! strumenti tecnoiogici da lui impiegaíi f per sopraŕíare e stérminare altri uomíni. Suo correlate dia-lettico, uguale e contrario, ľ innaturale illurninazione (ríflet-tori, bengaia, esplosivi lampeggianti) ehe nel teatro di guerra sovverte il ciclo naturale della notte e de! giorno; un ciclo % ehe, per la stragrande maggioranza del "popole in arm i", era % rimasto invariato da millenni69. H verso degli Ossi di seppia i: ehe ho mutuaro nel mio tttolo, "le notti chiare erano tutte 68 Blaise Cendrars, La mano mozza [1946], traduzione di Giorgio ; Caproni [1967], introduzione di Giovanni Bogliolo, Parma, Guanda, . 2000, pp. 60-1. 09 La reazione di molt i soldáti di origine coníadina a questi fenoméni inauditi, ehe mostravano loro per la prima volta la modernita nel suo volto piü feroce, f u comprensibiimente una regressione agii strati piú ancestral! e irrazionali della mentalita premoderna. La religiositä di guerra, fenomeno perturbante sul quale negli ultimi venťanni circa ha attirato ľattenzione molia critica tnternazionaie di íaglio antropologico (penso anzitutto agli important! libri di Jay Winter, U lutto e la memoria. La Grande Guerra nella storia culturale europea [1995], traduzione di Nicola Rainô, Bologna, ii Mulino, 1998, e di Stephane Audoin-Rouzeau e Annette Becker, La violenza, la crociata, il lutto. La Grande Guerra e la storia del Novecento, cit.), fu indagata per primo - con studi pio-nieristici quali Ľanima religiosa della guerra, Milano, Mondadori, 1935 - dali etnografo napoletano Cesare Caravaglios, nel 1941 precocemenie scomparso per i postumi delle ferite riportate in guerra (si veda sopra il capitolo La guerra-cerimonia, alle pp. 197-200). 706 le nottichiahe er ano tuttf. un'aiba", dice anche questo (si veda, sopra, Xlnlroduzioni alt pp, 67-9)70. L'offesa ail'ambiente naturale ě iňeffem, ínsí^ž*-^ alla crisi della personalita individuale, la prima cotioem an. della guerra (anche questo, c'e da supporre, vet a rifi- ,ir**"' verato come un senno dipoi della contemporanes z :;:=.--■„ ambientalísta)71. Se i paesaggí bellici sono paesaggi del n-cn,,-,-a - per parafrasare il bel títolo di Matteo Giancotti ->ě pérchí " 1 la guerra deturpa, in misura spesso irrimediabile, erjtrambe " le controparti indispensabili perché, in termini antroDolo-gici e culturali, si possa in effetti concepíre un paesaggio72, Quando Marinetti delira sulla guerra come "compleffientö 70 Nonché, per ultcriori considerazioni, il mio Ri-conoscere la giter-ra, "doppiozero", 20 gennaio 2015 (http://www,doppiozero.com/řuhd-che/13/201501/rí-conoscere-la-guerra). 71 Si veda, per una sintesí equiíibráta (oltre che bibliograficamen-te assai ricca), Niccolö Scaffai, Letteratura e ecoíogia. Porme e témi ii una relazione narrativa, Roma, Carccci, 2017 {sulla Grande Guerra, e su Gadda in generale, si vedano fe pp. 169 sgg.). Un'iniziativa singolare b stata queíla che nel 2013 ha riportato nell'ambiente di přoveňxenzá r"A!bero Isolato" del "Valloncello" menzionato da Ungaretti nella data posta in calce a San Martino del Carso, nel Porto Sepolto: un geiso: rinsec-chito che nella terra di nessuno serviva a entrambe le pard in lotta per orientarsi e che i soldáti ungheresi del 46° reggimento, prima di ntirarsi dalla zona nel 1916, taglíarono per porta Ho con loro in patria a mo' di reliquia (per loro era "1'albero di Doberdo"). Dopo essere stato conser-vato per quasi un secolo al Mora Fenec Muzeum di Szeged, ě tornato in Italia, esposto alla mostra italo-ungherese San Martino del Carso. li poeta Ungarettie 1'albero isolato, dal 30 marzo al 29 giugno 2013 (eataio* go a eura di Lucio Fabi, Gianfrančo Simonit e Tamas Pinter, Cormons, Poligrafiche S. Marco, 2013). Cfr. Paolo Di Stefano, Halbem che ispi'ö Ungaretti torna a San Martino del Carso, in "Corriere della Sera", 25 marzo 2013, Si veda pure il documentario di Paolo Rum i z e Alessandře! Scillitani, Halbem tra le trincee, uscito nel 2013 in un dvd Ariern ide Film-L'Espresso; e, di Rumiz, Come cavalli che dormono in p/év//, Mikino, Feltrinelli, 2014. 11 Secondo P'equazione' proposta dal maggior studioso contempo-raneo del tema, Michael Jakob: "P = S + N" (dove P sta per Paesaggio, S il SENNO DiPOJ 707 8|í5gicQ della nátura", capace di conferire finaímente la loro -"vera bellezza alle montagne, ai fiumí, aí boschí"73, non fa iche esíbíre in positive, provocatoriamente, un řenomeno che - altri scríttorí ri leva no a loro volta, con accent! magari meno icastici dei suoi tnu rispettosi, e anzi spesso turbati da quelľi-naudita lacerazione che la storía stava producendo Ira uomo ;é nátura74. E il caso di De Roberto, che inizia La paura con le parole "Nelľorrore della guerra ľorrore della nátura"75. E il caso di Gadda, le cui prose alludono spesso alla defore-stazione causata dai bombardamenti nel paesaggio alpino (il dettaglio delle pietre denudate che, con terribile analógia, evocano le ossa umane sotto la came)76. Ed ě soprattutto, forse, il caso di Italo Svevo: che non figura in nessun 'organigramma' della letteratura di guerra e i cui testi in effetti quella guerra non rappresentano, m a il cui per Soggetto e N per Natura: cfr. II paesaggio, traduzione deü'autore con Adriana Ghcrsi, Bologna, il Muiino, 2009, p. 30). 73 Fiiippo Tommaso Marinetti, La guerra complemento logico della natura, in "L'Italia futurista", 25 febbraio 1917 (si veda, sopra, il capitata La guerra-festa, p. 162-3). 74 Cosi come il leader del futurismo poneva Paccento - a modo suo, si capisce - su un altro effetto tragico deila guerra: la devastazione dei corpi dei mutilati (si veda, sopra, YIntroduzione, alle pp. 75-6). 75 E cioe "la desolazione della Vaigrebbana, le ferree scaglie del Montemolon, le cuspidi aguzze e tagiienti delle due Grise, la forca del Palalto e del Palbasso, i preeipizii della Fölpola: un paese fantastico, uno scenario da Sabba romantico, la porta deli'Inferno" (Federico De Roberto, La paura, ed. cit., p, 271). 7fc In una lettera Gadda descrive la valletta fra i monti Zovetto, Ma-gnaboschi e Lemcrle esclamando: "non ha piu l'aspetto che la natura le aveva conferko: non ho mai visto un tale spettacolo di rovina" (a Mad-dalena Marchetti, 18 luglio 1916, in Id., Lettere agli amici milanesi, a cura di Emma Sassi, Milano, il Saggiatore, 1983, p. 28, cit. in Antonio Daniele, II carnaio diMagnaboschi [2004], in Id., Magnaboschi. Storie di guerra, di scrittori e d'altopiano, Verona, Cicrre, 2009, p. 63). 708 Iii NO i T i Hl 1= L«UNO"t,rir 7üS ritorno alia scrittura dopo Finterminabile "ibernazione"^ =e-guita al fiasco di Senilitä - col suo ultimo romanzo compiuto L« coscienza di Zeno, ei framraenti affascinanti di un quarre mai ultimate che avrebbe dovuto intitolarsi "II Vecchione" - si colloca con precisione all'indomani della fine del cc Come dice in una lettera al suo editor (e scrittorc dl guerra. iui si, col ben noto Diario di un imboscato)19 Attiiio Frescura e stata proprio la guerra, 'congelando' l'attivkä imprenditoriale a Trieste, ad avergli regalato alPimprovviso un tempo l'iberp insperato. Col quale dapprima abbozza un saggio d'isptrazib-ne kantiana dedicate a "'un progetto di pace mondiale''3ff; ff vero, "non si tratta di un lavoro molto originale"81,maesigni-ficativo che Svevo, "dopo di aver assistito aila distrüzione di tanta parte di vita e di civiltä", vi segni a dito quello sviluppo teenologico che all'umanitä consentc di "giä oggi cänceHare ogni traccia di vita da paesi interi e domani forse scardinsre 77 Cosi la definisce Manrizio Serra nella sua belia biografie, Arttim-ta diltalo Svevo [2013], traduzione dell'autore, Torino, Aragno, 2017 p. 141 (sul periodo di guerra si vedano ie pp. 149-66). 78 Cfr. Giancarlo Alfano, Go che ritorna. Gli effetti della guerra nelití letteratura italiana del Novecento, Firenze, Cesati, 2014, pp.; 38-9. Si veda anche Simona Costa, La guerra sulla carta di Svevo e Pirandello,..cit. 79 Cfr. Attiiio Frescura, Diario di un imboscato [1919], prefazione di Mario Rigoni Stern, Milano, Mursia, 1981. Se Frescura (che neiia realtá si meritó una medagiia d'argento e una di bronzo ai valor milita-re) adotta la prosopopea provocatoria dell*'imboscato, diversi persoiiaggij delJ'ukimo Svevo - a partire da Zeno Cosini - sono presentati quali pescecani: profittatori di guerra, cioě, come in un certo senso siscnuvS;; davvero 1'imprenditore Aron Hector Schmitz. 80 Italo Svevo ad Attiiio Frescura, gennaio 1923, in Id., Epištola?:: rio, a cura di Bruno Maier, Milano, DaM'Oglio, 1966, p. 824 {ilpassa ě citato nel notevole saggio di Luca Salza, Pensare la fine: da Italo Svevo a "Wonder Woman", in Rappresentare I'irrappresentabile. La Grande . Guerra e la crisi dell'esperienza, cit., p. 355). 81 Maurizio Serra, Antivita di Italo Svevo, cit., p. 175. - la terra stessa"82. Infatti il nuovo romanzo, cui motte mano subito dopo, si concluderä con I'immagine memorabile di un , "uomo fatto come tutti gli altri" che "quando i gas velenosi non basteranno piü [...] inventerä un esplosivo incomparable, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli", e "un altro uo-irio fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' Spiú ammalato, ruberä tale esplosivo e s'arrampicherä al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto poträ essere il massimo. Ci sara un'esplosione enorme che nessuno udrä e ŕ*la terra ritornata alia forma di nebulosa errerä net deli priva di parassiti e di malattie"83. II dominio della tecnica, al quale la guerra ha dato una spinta decisiva, si configure nell'ultimo Svevo come profezia di una salute apocalittica: una nube di . gas che, fuoriuscita dai campi di battaglia, pone fine all'umanitä che ľha prodotta, e addiríttura a tut to il pianeta, genero-so quanto incauto, che quelľumanitä cost a iungo ha ospitato. La veritä tenebrosa, é il caso di dire, delYoscuramento defi-: nitivo minacciato dalla guerra, a i tempi ricordati dalla Certosa : di Parma di Stendhal era stata appena mostrata, per la prima ! voita, da un grandíssimo artista. Forse il massimo artefice di ! immagini di guerra di ogni tempo: il Francisco Goya dei Di-sastri della guerra, il grande ciclo di incisioni dedicate all'inva-sione napoleonica in Spagna del 1812s4. Nel beliissimo testo 82 Italo Svevo, Sulla teória della pace, in Id., Teatw e saggi, a cura di Federico Bertoni, introduzione di Mario Lavagetto, Milano, Mondado-ri, 2004, p. 860. 83 Id., La coscienza diZeno [1923], in Id., Romanzie continuation, a cura di Nunzia Paimieri e Fabio Vittormi, introduzione di Mario Lava-get to, Milano, Mondadori, 2004, p. 1085, 84 Si veda per esempio la classics edizione di Francisco Goya, I di-sastri della guerra, introduzione di Renato Guttuso, Milano, Vie Nuove, 1967; ora, a cura di Francesco Martini, Milano, Abscondita, 2011. La tradizione della pittura di guerra é ripercorsa da Luigi Bonanate, Di-pinger guerre, Torino, Aragno, 2016 (su Goya si vedano le pp. 399-404). 710 LE NOTTI CHI ARE ERANO TUT1 JNODIPOI 711 consegnato a! catalogo del la gíä citara mostra cel MASSES maggior fiiosofo vivente, Jean-Luc Nancy, coílegä il dtoic:Ä" Goya a questa "perdita delia visibilitä": "perdita delľasí^ perdita della sua luce mtelare"85. Perdita definitiva, cioě,iu&č solo degli idea U cavallereschi coi quali si poteva p ens are andare alia guerra núYancien regime, ma anche della speran-za illuminista coltivata dal Goya ossequioso pittore di corte all'Escorial, ma quasi-giacobino in incognito, ally nivo oe:e armate napoleoniche. Le quali lui sperava arrivassero: iii S$a- J gna a "esportare la democrazia'; mcntre poté subito vedere che;: quanto seminavano, ailora come oggi, err solo terrore, soprař- ■ fazione e massacri. II disastro ě la perdita anche di questo 'lu-me': "smarrimento nell'oscuro" dice Nancy, "nel magma, neiia confusione, neíla devastazíone, nel ripugnante, nelľ ignoble". Ri-acccndere una luce su questo magma, rendere nnalmence visibile la sostanza traumatica delta guerra, vuol dire rivelarne il "fondo in forme"; vuol dire sancire una volta per tutte che - ě Iancora Nancy che paria - "sempře e a dispetto di ogni Causa, e a maggior ragione quando le Cause collassano, essa e inso-stenibile". Per questo tocca sostenere con stoicisme tale luce oscura, bisogna tenere flssi gli ocelli sulic imrnagini del disastro: esse " brillano e ci avviiuppano in un lampo nero" e solo ailora, forse, "íl ritiro degií astri, íl loro arretramentó o laloro caduta, impone la sua chiarezza - forse la giustizia stessa"86. li momento di taie giustizia, per dirla con Waiter Benjamin ailora il "momento della conoscibilitä" di quci disastri 83 Jean-Luc Nancy, 11 disastro. Scomparsa degli astri, in *L, oven che verm /none la prima", catalogo della mostra cit., p. 29. ■ ' ' ,.. lhidemc Si ,vedano su questo punto anche le riflessioni introdutti-ve d, Lavinm Spaianca, Scriverela guerra, in Bad, II martire e ildisertore 0t> \cntton e la merra daWOttocento al Novecento, Lccce, Pensa Multimedia, 2011, pp. il-23. «iMiviuiti.;: fcřiiřtó senza testamente Go che 1'espcrienza e la scoria insegnano e questo: che uomini e governi non hanno mai im-parato nulla dalla storia, as mai agito in base a principi da essa edotti. Hegel La storia iosegna, ma non ha Scolari. La storia non ě magistra di niente che ci riguardi. Accorgcrsene non serve a fa da pid vera e piú giusta. G ram sei Montale Se oggi ripenso al mio percorso e'e un punto sul quale, a den« si pud immaginare quanto stretti, sono costretto a dar ragione a Isnenghi. Cioe quando dice di dubitare "di una dire-zione di marcia collettiva prevalente nel senso dell'abbandono degli incanti e del prevalerc dei disincanti". E un punto chiave, che rappresenta per me - si perdoni la retorica - un vero tor-mento. Eravamo nel 1998 quando Isnenghi scriveva qucste parole. A lui, s'e detto, premono adesso gli incanti che malgrado tutto, dice, la memoria della Grande Guerra continue a eser-citarc su chi Faveva fatta (si ricordi la "felicitä" del Gadda dei Castello di Udine). Contro di me si ritorce, viceversa, l'ukeriorc senno dipoi degli anni, catastrofici, che a quel '98 sono seguiti. II Kosovo, la Serbia bombardata dai nostri Tornado, e poi I'll settembre e tutto quello che e seguito. Altro che disincanto: il cavaliere dell'Apocalisse e tomato, da ailora, in grande stile. Quello che ho capito, in questi anni, e che la fiducia che nu-trivo a mcta anni Novanta ("nessuna guerra - fortunatamente - 712 LE NOTTICHIAREERANOTlHT£ m,. ll senno dipoj 713 potra mai piü veicolare Se attese, Se speranzc, gli entusiasm« delí i o 191 if sggio 1915 re i ái i; mo ae fait, piü dun a merire, dei piü suggesdvi e ingannevoli, che ci con. segna ľeducazione umanistica. E cioě che história sia magistra vita: Se tma cosa msegna, ia ietteratura cii guerra, ě che qu<ä?g storia, invece, non ci ha insegnato proprio nulla. Lo 'na "detto mol to meglio di quanto possa fare io, paralrasando Brecht, uno ehe dí incanii e dhmeanti - a paitire, nelio speciSco, d-a uuell; di cui stiamo parlando87 - se ne intendeva, Umberto Saba: "Se la storia fosse maestra di vita, Napoleone non avrebbe vinto ad Austerlitz, né perduto a Waterloo, Molte cose si possono imp& rare dalla storia, ma non credo sta una maestra di vita, Perché allora il suo ultimo insegnamento sarebbe: 'Beat i i popol i che non h an no storia, o che ne hanno il meno possibile'"8*, Chi ancor oggi metta piede aila Sapicnza di Roma, come ho fatto io taňte volte nella mia giovinezza, non puö non restare colpito dalle citazioni da Cicerone incise a caratteri cubitali, e inconfondibilmente fascisti, sulia facciata marmorea dei Palazzo del Kettorato di Marcello Piacentini; IN PŘIMIS HOMINIS EST PROPRIA VERÍ INQUISITTO ÁTQUE INVESTIGATE} e DOCTRINA E A DE M VIDÉÄ ET REGTE FACIENDI ET BENE DICENDIM AGISTRA8<)ľOuel set metafisico převede altresi, pero, il memento rappresentato ^||: 87 Si veda, sotto, la Scheda a iui relativa nel Foglio matricolare cha mene capo a questo volume. 88 Umberto Saba, Storia maestra di vita [1950], in Id., Turie le prose, a eura di Arrigo Stará, introduzíone di Mario Lavagetto, Müanö, Moti-dadori, 2001, p. 1030. Si tratta delia risposta, pubblicata dal'giorňak. con titolo redazionale, che Saba dä nella sua rubrica Itália domanda (iif calce alla quaie la sua firma era accompagnata ogni volta dalla qualificaj "Poeta") a un giovane iettore di "Epoca", uno "studente licealedi Palermo" che aveva seritto: "Per tutto ľanno scolastíco mi son sentito ripe-tere ehe 'história est magistra vitae'. Questa massima, nelľera atomica,-seusate, mi sbalordisce" (cfr. la nota di Stará a p. 3446). 89 Rispettivamente De Officiis, I, 13, e De Oratoře, III, 15, .dalla Minerva di Arturo Martini, la Dea-Guerriera che il regime vi col locô nel 1935. Non so se viga ancora, fra quelli Hi; oggi, la superstizione che a noi studenti di allora vietava jfi guardarla negli occhi, quella statua, prima di affrontare un lesame. Dipendeva dal fatto che quell'immagine della sapienza, ;©forse solo della consapevolezza, guards fisso davanri a sé cog!i occhi sbarrati: proprio come quelli áúYAngelus Novus Paul Klee che nei 1940 commenterä Walter Benjamin nella lehre nona tes i Sul concetto di storia'K. : Il film di guerra put celebrate del tempo post-kubrickia-no ě senz altro Salvate il soldato Ryan {Saving Private Ryan) di Steven Spielberg - colla straordinaria scena iniziale che tut-ti ricordiamo, ventiquattro minuti che ci fanno piombare nel bel mezzo deilo sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944. Ma a rovinare il film, come altri del suo autore, ě la morale che si sente in dovere di spiuttellarci nel finale. Quando l'invec-chiato Matt Damon - ľefebico soldatino Ryan, disperse dopo essersi paracadutato dietro le iinee tedesche, con la 101a divi-sione aerotrasportata: esattamcnte com era capitate davvero a Paul Fussell - dopo tanti anni torna in Francia per visitare il cimitero americano, e ricorda Tom Hanks, ossia il capitano Miller, col u i che aveva comandato la missione speciale del suo salvataggio e che, ferito a morte, in extremis aveva tenuto ai suoi uomini, e a ltd, ľultima oration picciola. Sublime, eroica lezionc: quella che insegna ehe la vita bisogna meritarsela. Se necessario - e Spielberg, ši hadi, tutto vuole essere meno che paradossale - sacrificandola, Coscienziosamente, Ryan esegue il compito che gli aveva dato allora il suo capitano: portare in lacrimata offerta, sul sacello eommemorativo del tempo di dopo, la famiglia patriarcale al sorridente seguito, il suo perfet-tamente realizzato american way of life. Ebbene, ricorda Ryan: 00 Cfr. Walter Benjamin, Sul concetto di storia [pubblicato postumo ne! 1942], a cura di Gianfranco Bonola e Michele Ranchetti, Torino, Einaudi, 1997, p. 37. 714 !.£ NOTOCHIARE HRANO TUTTfi^ 7 Ľ prima di esalare ľultimo respiro Miller aveva sorfertameote rivclato ai suoi uomini-discepoli qaanto in preccdenza sempře aveva loro taciuto, ovvero ehe príma, nelía vita civile, di mesřie-re faceva proprio Xinsegnante. ; A differenza dei 'veri' registi gntimilharisti del Novecento quelli 'involontariamente' tali - a partire appunto dal Kubrick di Full metal jacket, ehe la ver/tá della guerra I'ha mostrata ilfu-strandone ľassoluta, criminosa mancanza di senso -, Spielberg declina insomma, con la sua fipica miscela di ingenuitá e p*, raculaggine, la favola bella della Storia maestra di vita, della catarsi che e dato rinvenire, malgrado tutto. ai fondo della tragédia piü nera. Ecco, anche questo ě un mito: il piü infingardo, il piü traditore. E vero proprio il contrario; se appunto nefia ripetizione, nella coazione a ripetere, si tocca con mano l-'assur-do della guerra: come mostra esemplarmente La paura di De Roberto, che racconta proprio la cieca implacabilitä;di:ün or-dine reiterate anche dopo ehe íl přímo soldato ínviato in avan-scoperta é stato freddato dal cecchino; e poi ancora, e ancora, e ancora una volta. L'aneddoto tragico riportato da De Roberto % non fa che replicare in scala lefferatezzaomicida della dottri-na áúYässalto frontale di Cadorna: che condusse il "popolo in armi", per undid volte dal giugno del 1915 all'agosto del 1917, a sac rificarsi a decine di migliaia, esponendo í petti eroici tule fredde e anon i me, ma estremamente efňcienii, mitragliatrici avversarie'". Lo dice con umiliantc chiarezza, in definitiva, il 91 Cfr. Gastone Breccia, 1915: ľltalia va in trincea, Bologna; il Ma- ; lino, 2015. Importante la monografia di Marco Mondini, 11 Cäpo. La: Grande Guerra del generale Luigi Cadorna, Bologna, ii Mulino, 2017, che sensatamcnte se la prende col "rnito del Capo" fatto proprio tan-to dalle (oggi piü rare di ottant'anni fa) apologie che daíie (oggimeŕio insistent! di quaranťanni fa) demonizzazioni dí Cadorna, accomunate dalľassunto delľeccezionalitä del personaggio. Laddove egli "non fu un'eccezione, ma un prodotto canonico della sua generazione, delia sua; educazione familiäre e del suo campo professionale", in un tempo in cui gli alti comandi delle forze armate europee "erano culturaimerire, "--:---:II:=ěě:=^ :c^ä--ť--.- m m fatto ehe dopo una guerra - e, corae d i mostra quanto awenne Mopo la Grande Guerra, il piú delle volte in conseguenza dí Itína guerra - se ne fa sempre un'altra. Paria no chiaro i verši dl ^Brecht daí quali la eitata mostra del MART ha preso il titolo: "La guerra ehe verrä / non é la príma. Príma / ci sono state ■ altre guerre. / Aila hne del! ultima / cerano víncitori e vinti. 0 Fra i vinti la povera gente / faceva la fame. Fra i víncitori / - faceva la fame la povera gente / egualmente"92. Alľinsensatezza della víta - non parhamo della Storia - ľu-manitá cerca sempre, disperatamente, di porre rimedio: co-seruendo percorsi di senso piú o meno verosimiii, narrazioni | capaci di illuderci ehe la víta, in fondo, un senso ce ľabbia. 1 Al la cosa piú insensata di tutte - la guerra, appunto - ii risarei-;; mento ehe chĺediamo e che essa a 1 meno ci lasá un qualche in-I segnamento. Ma la cosa piü vera ľ ha seritta Piero Jahier: "non dire neanche ehe é una lezíone, / La distruzione non é una : lezíone. / Muoiono i migliori, muoiono í soli ehe / potessero approfittare"93. socialmenre, ídeologicamente (e spesso nevroticamente) il prodotto dei sistemi di formazione e seiezioní deile elite ai potere della íoro epoca" (pp. 12-3). Riporta Kern (II tempo e lo spazio, cit., pp. 364-5n) passi elo-quenti da u n manuale d'addestramento della cavalleria inglese del 1907, piü di mezzo secolo dunque dopo il massacro di Balakiava nella guerra di Crímea ("il t učil e, per quanto eŕficace esso sia, non puô sostituíre ľef-fetto prodotto dalla vetocitä del cavallo, dal magnetismo e dal terrore del freddo acciaio") e di un regolamento da campo del 1913 ("ľesercito francese, ritornando alle sue tradizioni, ďora in poi non ammette altra legge che 1 uftensiva"). Ma tutto questo non fa ehe confermare, direi, quanto serivevo venťanni fa (si veda Ylntroduzione, sopra, alle pp. 28-29) commentando !e parole del generale Porro. 92 Bertolt Brecht, La guerra che verrä, in Id., Poesie di Svendborg [1939], sezione "Breviario tedesco"; in Id., Poesie e canzoni, a cura di Ruth Leiser e Franco Fortini, Torino, Einaudi, 1959, p. 258. 93 Piero Jahier, Ma questa guerra, in Id., Con nie e con gli alpini, Firenze, Libreria della Voce, 1919, p. 148 (ora in La guerra ď Europa 1914-1918 raecontata dai poeti, a cura di Andrea Amerio e Maria Face Ill ill It I8l§ 716 lengttichiareeranotutte .| Nulla si puô imparare dalla guerra perché nulla, di esäa gí puô realmente insegríare. Queili chehanno ricevutoii saolnsa./ ; gnamento, coloro che dovrebbero trasmettercelo, sonc - ci cejahier - quclli che non possono piu pari are: per laplíi: sem- .. plice, la piu tragica delle ragioni. Come scrivevo giä venter, ai £a Kú veda Yíntroduzionc alie pp. 73-4), po i :.pe lj'teri.Je condensano í problem! che stiamo diseutendo quanto un nim. V realizzato da Abel Gance quando la guerra non era ancora ter-minata (e uscíto in due different! version! nel 1919 e nel 1938), Per la patria Q'accuse '): ii poeta-soldato Jean Diaz - ché gu> da verso le rctrovie un'armata di spettri risorti dal campo di • • battaglia, col fine di ammonire chi é rimasto a casa štilla vera nátura della guerra - non viene ascoltato da) propiistešsítsmí- ■ 'M gliari; a casa trova una copia del suo libro di poesie e, sopraf--.-fatto dal disgusto, muore una seconda volia™. ĽimpósšitíiiitäÚľ'-'* \ trasmettere ľesperienza vissuta, al ritorno dal confliítore stata ■ espressa da Benjamin in u n memorabile (e infatti citatisämp! passo del suo saggio sul Narratore ("Non si era v isto, alia fine -della guerra, che la gente tornava dal fronte ammutoliia, non t " piú ricca, ma piu povera di esperienza comunicabile?") ché, nel meno citato prosieguo, spíega come proprio ľincommensurg-bilitä spaziale tra fronte e rctrovie, correiata con quella tempog rale fra il prima e íl dopo, avesse isolato e infine ammuťolM 11 í: reduce, privandolo delľascoho per lui vkale; "mai esperienzé furono piú radicalmente smentite di quelle strategiche dáUf: guerra di posizione, di quelle economiche dalľinflazJone, di quelle ŕisiche dalla guerra dei material!, di quelle morali dal. detentori del potere. Una generazione che era ancora andata a Ottieri, Roma, nottetempo, 2014, p. 94; e infine qui sopra, nel capňol Laguerra-nfiesstone). . . . :p: « Cfr. Jay M. Winter, 1/ lutto e la memoria. La grande guerra neí la stoná culturale eurapea, cit,, pp. 27-33; e si veda la diseussione delfé diverse verstont del film nelľeccellente saggio di Giuseppe Chigi, Le ceneri delpassato, cit., pp. 24-5. .. iiitSENNOOIPOI 717 1ÍI1 fčuola col íram a cavalli, sí trovava, sotto i! cielo aperto, in un Jpaesaggio in cui nulla era rimasto írnmutato fuorché le nuvole, e sotto di esse, in un campo magnetico di correnti ed esplosio-pi micidiali, il mínuto e fragile corpo delľuomo"95. % Queiio di Gance é un racconto topico, dunque. Ľespressio-ne piú icastica di quel terrore di non trovare ascolto che - al ri-rno dalla guerra seguente, ancora piú orríbile - perseguiterä ríimo Levi sino alia sua tragica fine. Levi lo ricoliegava con insistenza alia versione fondatíva del rnito come ľaveva raccon-tata un altro poeta, Samuel T. Coleridge, nel la sua Ballata dei vecehio marinaio datata 1797%. Alľinizio íl Vecchio Marinaio, alia sua spettrale apparízione a "tre eleganti giovani invitati a uno sposalizio", prova a cominciare il suo racconto ma viene respinto; e quando uno dei tre testa invece ammaiiato dal suo "ocehio acceso" e seopre di non avere "altra scelta che ascol-tare" il suo racconto lo agghiaccia e lo turba. Unico superstite della strage che ha decimato la sua ciurma, col ponte della nave ridotto a un charncl-dungeon ("carnaio-fortezza"5: VI, 43>)97, 95 Walter Benjamin, 11 narratore. Considerazioni sulľopera di Nicola Leskov [1936], in Id., Angelas Novus. Saggi eframmenti [1955], a cura di Renato Solmi, Torino, Einaudi, 1963, p, 248. % Nel 1984 Levi intitola con un verso del poemetto di Coleridge la sua stessa raccoka, Ad ora incerta; due anni dopo porrä ľintera strofa, che quel verso contiene, in esergo al suo capolavoro-testamente, J sommersi e i salvati. Ma giä venťanni prima, nel 1965, quando La tregua viene tradotto in inglese (in Inghiherra col titoío The Truce, negli Stati Uniti come The reawakening), Levi avrebbe voluto intitolarlo invece Upon a Painted Ocean, "Sopra un oceano dipínto", come suona un altro verso della Ballata (cfr. la letteta a Kurt H. Wolff del 23 marzo 1965, pubbiicata e commentate da Sergio Luzzatto e Domenico Scarpa, su "Il Sole 24 ore-Domenica" del 19 giugno 2011; il documento é riprodotto qui: hiip://www.iisole24ore.com/art/cultura/2011-06-17/primo-levi-o-ceano-diptnto-173901.shtml?grafici). 97 Giovanni Giudici traduce, tanto liberamcnte che denotativameii-te, "eimitero". Le mie citazioni sono dalla beila edizione commentata a cura di Massimo Bacigalupo (La rima del vecchio marinaio, Miláno, SE, Sis fulfil I'tlllt I|§|§||i 718 LE NOTTICHIARE ERANOTL .ji, S'i'NNO DT POJ 719: egli ha avuto in sorte un destino diverse da quello.* suoi conipagni, restati preda del Teschio (figurazksne ca delia Morte) cheiih'a vinti ai dadi con una figure nH "bianca la pelie come lebbra", che altri non e che "l'xj vita-in-morte" (III, 187-198), Solo in apparenza, tottavia, u suo e un destino piu fortunato; perche da allora, simile all'Ebreo Errante, egli e condannato ad aggirarsi "come, chi va per via deserta / con timore e spavento, / si guarda indietro, afire:ta il passo / senza voltare piu la testa" (VI, 446-449), "Da allora sempre, a un'ora incerta, / qucll'agonia mi risento^:/-;'#:.^I$ storia non ripeto / il cuore mi brucia dentro'" (VIE582-585), Se il Vecchio Marinaio fa una fatica trcmenda a farsi ascoi-tare, e perche chi viene chiamato a seguirlo percepisce subito, prima ancora del racconto, la sua natura di spettro, di — alia let-tera - revenant. I vivi sono turbati dalle sue parole perche ca-piscono che esse vengono dal regno dei morti: da quel carna-io-fortezza al quale egli, in realta, continua ad appartenere, E a' quale sa di dovere prima o poi fare ritorno. La "vita-in-morte"' del Marinaio - del reduce - e il marchio di questa differenza insuperabile: di questbmbra delia morte, di quest'intrinseca consanguineitd cat morti che ai vivi lo rende intollerabile. Egli 1987; nuova edizione accresciuta, ivi 2011, p. 45), che si vale appunto delia traduzione di Giudici (commissionata al poeta dalla Rai nel 1978e: parzialmente amicipata nel suo 'quaderno di traduzioni' Addio,prpibito piangere, Torino, Einaudi, 1982). Piü discorsivo-denotative le scelte di Mario Luzi, "un ossario" (Milano, Rizzoli, 1973; ora, a curadi Girie-vra Bompiani, ivi 1992, p. 115), di Franco Buffoni, "J'ossario";(Milano,; Mondadori, 1987; cito dalla sua edizione dei Poeti romantici ingleskMx-: lano, Bompiani, 1990, vol. I, p. 333) e di Maria Sebregondi> Tdssarid; di una cripta" {La baliata del Vecchio Marinaio, Milano, Archinto, 2002,: p. 63); piü fedele Beppe Fenoglio, "carcere-carnaio" (la versione-dellät Baliata del vecchio marinaio era stata pubbiicata su rivista nel 1955; poi; come volume a se, con preiazione di Claudio Gorlier, Torino, Einaudi,;: 1964, p. 53; ora in Id,, Quaderno di traduzioni, a cura di Mark Pictralun-ga, ivi, 2000, p. 245). 11 if : ■;per loro e alia lettera incomprensibile, irriducibiJmente altro. In • :-questo la sua natura sospesa, liminare, davvero assomiglia. alia vilamorte che per Rebora, come abbiamo visto, e ii prodotto - osceno - delia zona di guerra: delia zona morta. . Ed e infatti Rebora ad aver messe in versi la piü tormcntosa immagine dei morti-in-vita che dal fronte tornavano ammu-toliti. E Voce di vedetla morta il punto cstremo, intollerabile, delia nostra poesia di guerra: un morto-che-parls ("un corpo in poltiglia / con crespe di faccia, affiorante / sul lezzo dell'aria sbranata") si rivolge al commilitone che, a differenza di lui, tornerä a casa. E gli spiega che e inutile centarc di raccontare tut to questo, "a chi ignora"; impossibiie cercare di trasmettere I "la cosa" - la cosa oscena che e la guerra - laddove, invece, "I'uomo / e la vita s'intendono ancora": [...] se ritorni tu uomo, di guerra a chi ignora non dire; non dire la cosa, ove I'uomo e la vita s'intendono ancora, Alia "donna" (sineddoche del mondo di prima, escluso dalla piega mortifera delia zona di guerra), "se tornare potrcT, dovrä dire invece, anzi "soffiarc" come uno spettro, che nulla del mondo redimerä ciö ch'e perso di noi, i putrefatti di qua; stringile il cuore a strozzarla: e se t'ama, lo capirai nella vita piü tardi, o giammai.98 98 Clemente Rebora, Voce di vedetta morta, "La Riviera Ligure", 1 gennaio 1917; ora in Id., Poesie, prose e traduzioni, cit„ p. 174 (e inline qui sopra, nel capitolo La guerra-follia). 720 UiNO'iTtcumai EMNOTrrrr-p • Ě questo il paradosso tormentoso attorno al quale ruotan concentrici e sempře piú lancinanti - come cerchi no senza fine - i saggi raccoiti da Levi nei Sot Al mio ritorno dalla prigionia ě venuto a visitarmi an airHco piu anziano di me, mite ed intransigents, cultore di untfwG gione sua personále [...]. L'amico religiose mi avevc d.t-.o che ero sopravvissuto affinché portassi testimomanžá. L'ho frtto ^ meglio che ho potato, e non avrei pot u to non farlo, e ancJBH faccio, ogni volta che se ne presenta lbccasione; mail ©ensRRjí che questo mio testimoniare abbia potuto fruttarmi da solo ii privilegio di sopravvivere, e di vivere per molti anni senza, grossi problem}, mi mquieta, perché non védo propotzione fra il privilegio e il risultato. Lo ripeto, non siamo noi, i superstiti, i testimonl veri,."[. • .] Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomak o!tre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilitä bfortuna,. non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gor-gone, non ě tomato per raccontare. o ě tomato muto; mä sono loro, i "mussulmani", i sommersi, i testimoni integráli, cototä la cui deposizione avrebbe avuto significato generále. Loro sono la regoia, noi l'eccezione. Come chi ritorna "ove ľuoino e la vita s'intendono ancoru , come il Vecchio Marinaio sal vato dal carnaio-fortezza del suo* vascello fantasma", anche il reduce dal lager sa d'esscre mero I 09 E che non a caso Massimo Bacigalupo ha potuto paragonare ad altre due figure a Levi contigue, Giobbe e Josef K.: "Solo su un mare sconfinato". Coleridge, ilviaggio e la visione, postfazione alľed:ciť. deiiS *; Rima dell'antico marinaio, p. 117. Si ricorderä che quella di Giobbe e la prima figura che s'incontra nell'antologia personále di Levi, Laricerca |; delle radici (Torino, Einaudi, 1981; ora in Id., Opere complete, ciť., vol II, pp. 13-26) e che egli nel 1983 accettô di tradurre Ilprocesso drKäfkäp nella collana einaudiana "Scrittori tradotti da scrittori" (si veda la nota a questa edizione, Tradurre Kafka, ivi, pp. 1096-8, nella quale Levi affer- :;; DIPOI ill ••-poctavoce di una testimomanžá integrále - quella dei morti, dei ^'sommersi - che nessuno ě in grado di rendere e nessuno, in ; o'ŕrii caso, potrebbe rnai intendere: Noi toecaii dalla sorte abbiamo cercato, con maggiore o mino-re sapienza, di raccontare non solo il nostro destino, ma anche quello degli altri, del sommersi, appunto; ma ě stato un discor-so "per conto di terzi", il racconto di cose viste da vicino, non sperimentate in proprio. La demolizione condotta a termine, I 'opera compiuta, non ľha raccontata nessuno, come nessuno ě mai tomato a raccontare la sua morte,100 II centenario in corso ě stato segnato da un altro him, Tor-:i;nercmno i pratt di Ermanno Olmi. Un film su commissione, per il centenario appunto, ma che ha incontrato ľispirazione dell'autore (i racconti della Grande Guerra di suo padre gli tavevano giä ispirato, nel 1969,1 recuperanti nonché, magari, il capolavoro II mestiere delle armi, dedicate nel 2001 alle guerre di ventura del Cinquecento), il quale in questa occasione s'e í .' ispirato alia Paura di De Roberto, Nelľultima scena una parte dei commilitoni si ineammina nell'oceano di neve, dopo che % anche ľottusitä dei comandi ha dovuto prendere atto che la ; ma di provare per lui un "amore [...] ambivalcnte, vicino alio spavento e al rifiuto"; sul vero e proprio processo che rappresentô per Levi questo lavoro di traduzione, sono di grande profonditä le pagine del capitolo sulla "vergogna" - questo il titolo del saggio-chiave dei Sommersi e i saivati - in Marco Beipoliti, Primo Levi. Di fronte e di profilo, Milano, Guanda, 2015, pp. 556-62; rinvio anche a Lo scarafaggio, la tarma (e lo scorpione). Fortini (e Levi) di fronte a Kafka, in "Le parole e le cose", 21 dicembre 2017; hiip;//www.leparoleelecose.it/?p=30456). 100 Primo Levi, I sommersi e i saivati [1986], in Id., Opere, cit, vol. II, pp. 1196. Su queste pagine straordinarie fondamentale resta - mal-grado le polemiche che lo hanno accolto - il saggio di Giorgio Agatn-ben, Quel che resta di Auschwitz. Ľarchivio e il testimone (Homo sacer III), Torino, Bollati Boringhieri, 1998. 722 LE Nora CHIARE ERANO TUTTE UNALBA loro posizione e indifendibile; gli altri si dedicano all'uffitio pietoso di dare sepoltura ai compagni morti. Ma come morti sono loro stessi: dall'inizio alia fine del film rappresentati sotto il livello del terreno, in attesa della granata che piovera dall'al-to dei cieli o della mina che spuntera dalle viscere della terra. Le prime parole suonano appunto "siamo sepolti" (sotto la neve, certo). Quando dicono "torneranno i prati" - alia fine della guerra, s'intende, una volta che si plachera la tempesta tecno-logica che ha violentato la natura, simboleggiata dalla coltre di neve che ora quei prati ricopre - e per aggiungere: "e nessuno si ricordera di cio che e accaduto". Ecco. Forse Tunica cosa che davvero ci insegna la letteratura di guerra e che, quando quei soldati dicevano questo, avevano torto. Quanto meno sta a noi dimostrarglielo, oggi. FOGLIO MATRICOLARE Schede biobibliografiche e indice per autore Corrado Alvaro (San Luca, Reggio Calabria 1895-Roma 1956) II dantista Umberto Bosco ricorda un Alvaro fervido interventista al liceo di Catanzaro, sottoposto anche ad arresti (in Corrado Alvaro, VAspro-monte e I'Europa, atti del convegno di Reggio Calabria, 10-12 novembre 1978, Casa del Libro 1981, p. 12). II ribellismo restera sempře segno di-stintivo di Alvaro: che non ci pensa due volte, nel '15, quando si tratta di prendere la strada del fronte. All'inizio in un reggimento di fanteria a Fi-renze (quando per le soiite intemperanze viene rinchiuso in cella e sulle sue pareti, ricordera, scrive le sue prime liriche), poi al corso ufficiali dell'Ac-cademia di Modena (dal quale esce coi gradi di sottotenente) e sul Carso, dove resta ferito alle braccia (il destro non guarirä mai del tutto) sul Monte Sei Busi nei presst del San Michele; medaglia d'argento al valor militare, trasferito ai servizi sedentari presso Chieti, poi a Roma dove abbraccia il giornalismo e raccoglie (nel '17, presso Bernardo Lux) le Poesie grigioverdi in parte pubblicate sulla rivista "La Riviera Ligure" (verranno rifuse nel volume // viaggio, pubblicato nel '42 presso Morcelliana e restaurato per Falzea nel '99, con altre poesie disperse, da Anne-Christine Faitrop-Porta; cfr. Alfredo Barbina, Alvaro 1916-1917, "Otto-Novecento", 1979,2, pp. 163-89). Se la scrittura in versi sarä in seguito rimossa dali'autore, non cosi la memoria della guerra: che nelia sua opera torna a piů riprese (sintomatica la prosa del '37 Pensieri del vecchio soldato: in Id., Scritti dispersi 1921-1956, a cura di Mario Strati, introduzione di Walter Pedulla, Bompiani 1995, pp. 542-4) e riempie di sé il romanzo Vent'anni, pubblicato da Treves nel '30 e riscritto nel '53 (cfr. Giovanni Capecchi, Scrüture e riscritture di guerra [2015], in Id., I fronti della scrittura. Letteratura e Grande Guerra, Unicopli 2017, pp. 186-9): é la versione piu volte ripresa (sino all'edizione Bompiani 2016, a cura di AJdo Maria Morace), che si conclude su un punto di vista collettivo anziehe individuale come nella princeps: "Si rimisero in cammi-no. Camminare voleva dire essere vivi". 89,239-42,248, 257-8,326,332,341-7,450-1, 460,474-5,723